Seconda Parte
Un cameriere gentilissimo ci accompagnò al nostro tavolo ed io, da buon cavaliere, feci accomodare D. spostandole la sedia e togliendole il giacchino con un gesto deciso: lei tentò di tenerlo ma il mio gesto non ammetteva repliche! Sapeva di essere esposta agli sguardi ma accettò la sfida. Sapevo benissimo cosa pensava in quel momento: Mi vuoi troia? Stai a vedere come ti accontento!
Dal reggiseno striminzito i capezzoli fuoriuscivano prepotenti spingendo contro la seta sottile della camicetta … la troia si era già eccitata, pensai … ed il cameriere non le toglieva gli occhi di dosso!
La feci sedere con le spalle al muro ed io a lato; mentre assaggiavamo gli antipasti non smettevo di coprirla di complimenti, di battutine a doppio senso e, soprattutto, di riempirle il bicchiere sapendo quale effetto faceva l’alcool su di lei, togliendole ogni freno inibitore. D. rideva, scherzava e a un certo punto cominciò persino a provocare il cameriere slacciando un bottone della camicetta e passando ripetutamente la lingua sulle labbra rosse ogni volta che si avvicinava al nostro tavolo, poi guardandomi mi disse: Sono abbastanza troia per te stasera, amore? Vuoi che faccia altro? Vuoi che esageri? Te l’ho promesso, farò tutto quello che vuoi stasera! L’aria di sfida delle sue parole era evidente ma non sapeva quello che avevo in mente: trasformare la mia adorata moglie in una vera troia per una sera!
Guardali! Le dissi, facendole notare i tre camionisti seduti al tavolo vicino che ci sorridevano ridacchiando tra loro … potevo immaginare i loro discorsi volgari … vedi come ti guardano? Dai, provochiamoli! D. mi guardò con aria interrogativa. Vai in bagno e togliti le mutandine, così facciamo vedere loro “una bella cosa” aggiunsi con un sorriso beffardo. Mia moglie mandò giù un altro bicchiere di bianco e si alzò: con uno strano sorriso sulle labbra mi disse: Credi che non ne sia capace? Ora vedi! La seguivo con lo sguardo mentre ancheggiando vistosamente si allontanava verso i bagni. Anche il terzetto la guardava, anzi, la scopava con gli occhi e la scena mi eccitò terribilmente.
Ancheggiava ancora mentre tornava dai bagni tenendo qualcosa di nero in mano, ma non capivo cosa. Lo capìì quando arrivò al tavolo: D. come un trofeo teneva in mano le mutandine nere, alzò il braccio mostrandole a me ma sorridendo al terzetto e usandole come un tovagliolo mi pulì la bocca per poi lasciarle sul tavolo. Felice ed eccitata tornò a sedersi mentre io rimasi di sale. Il terzetto non le levava gli occhi di dosso e il cameriere si precipitò al nostro tavolo. D. oramai aveva preso il gioco in mano, forse anche per effetto dell’alcool e, guardandomi negli occhi lasciò cadere il tovagliolo tra le gambe. Non appena il cameriere si chinò a raccoglierlo, D. lentamente aprì le gambe fino a spalancarle il viso dell’uomo era adesso a neanche un metro dalla figa depilata di mia moglie, la scena era surreale! Lui, una statua di sale che si stava sciogliendo dal calore, io incredulo e eccitato, il terzetto che sentivo grugnire alle nostre spalle mentre si godeva lo spettacolo e lei, padrona della scena. Neanche quando il povero cameriere balbettando qualcosa si alzò lei si ricompose, lasciandosi ammirare dal terzetto. Mi sorrise, io ricambiai il sorriso e le dissi: Sei una troia, amore mio! Ricambiò il sorriso … Vero? Non è così che mi vuoi? Mi rispose. La cena andò avanti tra provocazioni, battute e doppi sensi sempre più volgari e il povero cameriere sempre più stordito dall’eccitazione. Dopo il dessert D. si pulì la bocca e con quel sorriso che oramai avevo imparato a riconoscere, mi disse … Ma le sigarette? Ho proprio voglia di fumarne una ora, le hai lasciate in auto? Non preoccuparti, vado io a prenderle. Oramai il locale si era svuotato e a parte noi, il terzetto che oramai si capiva che ci stava puntando, e pochi altri, era vuoto.
Io rimasi a guardarla mente si alzava e lentamente si aggiustò una calza alzandosi la gonna e sistemandola al reggicalze come se fossimo soli, poi, prese le mutandine nere che ancora stavano sul tavolo e si allontanò verso l’uscita; si fermò solo davanti al tavolo dei tre, guardò il più rozzo di loro, quello che non aveva smesso di far sentire le sue volgarità e passandogli le mutandine sulle labbra e agli angoli della bocca, gli disse: Asciugati, hai la bavetta che ti cola. Si diresse all’uscita lasciando le mutandine sul loro tavolo.
(continua)
Un cameriere gentilissimo ci accompagnò al nostro tavolo ed io, da buon cavaliere, feci accomodare D. spostandole la sedia e togliendole il giacchino con un gesto deciso: lei tentò di tenerlo ma il mio gesto non ammetteva repliche! Sapeva di essere esposta agli sguardi ma accettò la sfida. Sapevo benissimo cosa pensava in quel momento: Mi vuoi troia? Stai a vedere come ti accontento!
Dal reggiseno striminzito i capezzoli fuoriuscivano prepotenti spingendo contro la seta sottile della camicetta … la troia si era già eccitata, pensai … ed il cameriere non le toglieva gli occhi di dosso!
La feci sedere con le spalle al muro ed io a lato; mentre assaggiavamo gli antipasti non smettevo di coprirla di complimenti, di battutine a doppio senso e, soprattutto, di riempirle il bicchiere sapendo quale effetto faceva l’alcool su di lei, togliendole ogni freno inibitore. D. rideva, scherzava e a un certo punto cominciò persino a provocare il cameriere slacciando un bottone della camicetta e passando ripetutamente la lingua sulle labbra rosse ogni volta che si avvicinava al nostro tavolo, poi guardandomi mi disse: Sono abbastanza troia per te stasera, amore? Vuoi che faccia altro? Vuoi che esageri? Te l’ho promesso, farò tutto quello che vuoi stasera! L’aria di sfida delle sue parole era evidente ma non sapeva quello che avevo in mente: trasformare la mia adorata moglie in una vera troia per una sera!
Guardali! Le dissi, facendole notare i tre camionisti seduti al tavolo vicino che ci sorridevano ridacchiando tra loro … potevo immaginare i loro discorsi volgari … vedi come ti guardano? Dai, provochiamoli! D. mi guardò con aria interrogativa. Vai in bagno e togliti le mutandine, così facciamo vedere loro “una bella cosa” aggiunsi con un sorriso beffardo. Mia moglie mandò giù un altro bicchiere di bianco e si alzò: con uno strano sorriso sulle labbra mi disse: Credi che non ne sia capace? Ora vedi! La seguivo con lo sguardo mentre ancheggiando vistosamente si allontanava verso i bagni. Anche il terzetto la guardava, anzi, la scopava con gli occhi e la scena mi eccitò terribilmente.
Ancheggiava ancora mentre tornava dai bagni tenendo qualcosa di nero in mano, ma non capivo cosa. Lo capìì quando arrivò al tavolo: D. come un trofeo teneva in mano le mutandine nere, alzò il braccio mostrandole a me ma sorridendo al terzetto e usandole come un tovagliolo mi pulì la bocca per poi lasciarle sul tavolo. Felice ed eccitata tornò a sedersi mentre io rimasi di sale. Il terzetto non le levava gli occhi di dosso e il cameriere si precipitò al nostro tavolo. D. oramai aveva preso il gioco in mano, forse anche per effetto dell’alcool e, guardandomi negli occhi lasciò cadere il tovagliolo tra le gambe. Non appena il cameriere si chinò a raccoglierlo, D. lentamente aprì le gambe fino a spalancarle il viso dell’uomo era adesso a neanche un metro dalla figa depilata di mia moglie, la scena era surreale! Lui, una statua di sale che si stava sciogliendo dal calore, io incredulo e eccitato, il terzetto che sentivo grugnire alle nostre spalle mentre si godeva lo spettacolo e lei, padrona della scena. Neanche quando il povero cameriere balbettando qualcosa si alzò lei si ricompose, lasciandosi ammirare dal terzetto. Mi sorrise, io ricambiai il sorriso e le dissi: Sei una troia, amore mio! Ricambiò il sorriso … Vero? Non è così che mi vuoi? Mi rispose. La cena andò avanti tra provocazioni, battute e doppi sensi sempre più volgari e il povero cameriere sempre più stordito dall’eccitazione. Dopo il dessert D. si pulì la bocca e con quel sorriso che oramai avevo imparato a riconoscere, mi disse … Ma le sigarette? Ho proprio voglia di fumarne una ora, le hai lasciate in auto? Non preoccuparti, vado io a prenderle. Oramai il locale si era svuotato e a parte noi, il terzetto che oramai si capiva che ci stava puntando, e pochi altri, era vuoto.
Io rimasi a guardarla mente si alzava e lentamente si aggiustò una calza alzandosi la gonna e sistemandola al reggicalze come se fossimo soli, poi, prese le mutandine nere che ancora stavano sul tavolo e si allontanò verso l’uscita; si fermò solo davanti al tavolo dei tre, guardò il più rozzo di loro, quello che non aveva smesso di far sentire le sue volgarità e passandogli le mutandine sulle labbra e agli angoli della bocca, gli disse: Asciugati, hai la bavetta che ti cola. Si diresse all’uscita lasciando le mutandine sul loro tavolo.
(continua)