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<blockquote data-quote="Gando94" data-source="post: 20571305" data-attributes="member: 284518"><p>Parte 3</p><p></p><p>Gabriele stava fissando il corridoio. Ancora scosso per aver rischiato di essere pestato a sangue, ma di più per la reazione inaspettata di Alex, era lì impalato e guardava con occhi persi la porta d’entrata che, da poco, si era richiusa alle spalle del suo migliore amico.</p><p>I passi sulle scale lo risvegliarono dal torpore, costringendolo a voltarsi. Sua madre stava scendendo i gradini vestita con il suo solito completo grigio da casa, le guance accaldate come se la temperatura lì dentro fosse troppo alta.</p><p>«Tesoro, stai bene?», gli chiese lei, fermandosi in fondo alla rampa di scale. «Ti ho sentito gridare.»</p><p>«È tutto a posto», rispose secco Gabriele, in un tono che non gli era affine. «Tu sai che è successo ad Alex?»</p><p>In quel momento la donna sentì il sangue fluire maggiormente sulle guance. Si voltò, diretta in cucina, mormorando qualcosa che doveva essere un “non lo so”.</p><p>«Mamma, hai sentito?», ripeté Gabriele, seguendola. «Aveva appena detto che sarebbe rimasto per cena. Come mai se n’è andato così?»</p><p>«E io perché dovrei saperlo?», replicò Sonia, aprendo il frigorifero alla ricerca di una bottiglietta d’acqua fresca. La donna si rese conto, però, che quel suo comportamento stava suonando sospetto persino alle sue orecchie, così aggiunse: «Mi è sembrato di sentirlo parlare al telefono. Forse sua madre lo ha chiamato e gli ha chiesto di tornare a casa…»</p><p>«Sì, forse.» </p><p>Gabriele, però, non fu convinto dalla supposizione della madre. Conosceva Alex come le sue tasche e sapeva che non era da lui comportarsi in quel modo così sfuggente e nervoso; non con Gabriele, perlomeno.</p><p>Decise di scrivergli un messaggio.</p><p> </p><p>GABRIELE:</p><p>Alex tutto ok?</p><p>Scusa se me la sono presa con te, poco fa. </p><p>Non è compito tuo starmi appresso al culo e difendermi, ti do pienamente ragione. È solo che mi stavo cagando addosso.</p><p>Alex?</p><p>Rispondi per favore.</p><p> </p><p>ALEX:</p><p>Va bene ok. Perdonato.</p><p> </p><p>GABRIELE:</p><p>Perché non sei voluto restare a cena? Mia mamma ci teneva.</p><p> </p><p>ALEX:</p><p>Mi sono ricordato che avevo una cosa da fare.</p><p> </p><p> </p><p>GABRIELE:</p><p>Cosa?</p><p> </p><p>ALEX:</p><p>Amico stai diventando stressante. Ho già una madre, non me ne serve un’altra.</p><p> </p><p>GABRIELE:</p><p>Hai ragione, scusa. È solo che mi sei sembrato strano.</p><p> </p><p>ALEX:</p><p>Ci vediamo domani.</p><p> </p><p> </p><p>Gabriele rimise in tasca il cellulare, per nulla soddisfatto di quella conversazione. Alex poteva pur credere di averlo convinto, ma Gabriele non si beveva certe palle con così tanta facilità. Aveva visto come si comportava Alex con gli altri, il suo atteggiamento, le sue menzogne, il suo lato subdolo. E aveva motivo di credere che, per qualche ragione, Alex ora stesse rivolgendo lo stesso trattamento anche a lui.</p><p>Quella sera Gabriele cenò in silenzio. Suo padre Giovanni, che era rientrato giusto in tempo per cenare con loro, si era dilungato in chiacchiere da avvocati, e tra lui e Sonia era nato un dibattito che Gabriele non aveva nemmeno avuto la voglia di sforzarsi a decifrare. </p><p>Così, come faceva sempre nelle situazioni scomode, si era chiuso nei recessi della sua mente, perdendosi in congetture che poteva affrontare solo con sé stesso. Ancora non gli andava giù il modo in cui Alex se n’era andato di tutta fretta, senza nemmeno salutare sua madre, quando poco prima era sembrato così entusiasta di cenare insieme a loro. Non digeriva nemmeno il fatto che sua madre, davanti ad Alex, avesse proposto di ordinare delle pizze, mentre alla fine si erano ridotti a mangiare dell’insalata e del branzino riscaldato della sera prima.</p><p>Giovanni si prese la briga di chiedere a Gabriele come stesse andando la scuola — classica domanda da padre che non ha la minima idea di che cosa stia capitando nella vita di suo figlio. </p><p>«Bene», rispose Gabriele.</p><p>«Ne ero certo.»</p><p>Gabriele stette per riporre il piatto nel lavello, quando Giovanni si alzò da tavola e sorridendo disse: «Aspetta qui, ho una cosa per te.»</p><p>Il ragazzo rimase lì, di fronte al lavandino, chiedendosi quando fosse stata l’ultima volta che suo padre gli aveva rivolto un sorriso complice come quello.</p><p>Giovanni mancò per un paio di minuti, tanto che ormai il silenzio in quella cucina stava diventando imbarazzante, ma proprio mentre Sonia decise di aprire bocca, lui tornò. Aveva un grosso pacco tra le mani, incartato con dovizia. </p><p>Gabriele fu ancora più confuso mentre Giovanni glielo tendeva. «È per me?»</p><p>«Certo», rispose Giovanni, perfettamente a suo agio.</p><p>«Un regalo? E perchè?»</p><p>«È presto per i regali di compleanno, ma so che ti serviva. E poi tua madre mi ha detto che quest’anno sei il primo della classe. Voglio che tu sappia che apprezziamo i tuoi sforzi, e che il duro lavoro viene sempre ripagato…»</p><p>Gabriele afferrò il pacco, sorpreso da quello slancio d’affetto a cui non era abituato. Non appena le sue mani si strinsero intorno alla scatola, un’intuizione gli balenò nel cervello. La forma, le dimensioni, il peso, il rumore quando veniva scossa… </p><p>No, non era possibile.</p><p>Si voltò verso il bancone della cucina per scartare il pacco con foga, sperando che il suo intuito non lo stesse ingannando.</p><p>Poi la classica scatola bianca comparve da sotto la carta da regalo. A Gabriele mancò il fiato.</p><p>«Un MacBook!», esclamò. </p><p>«Ti piace?», chiese Giovanni con aria fiera.</p><p>Ancora seduta al tavolo, Sonia assisteva alla scena sorridendo, ma il suo sguardo sembrava lontano.</p><p>«Ovvio!», replicò Gabriele. «Papà, sei un grande! Grazie!»</p><p>Giovanni fece una risatina compiaciuta. «Su, vai pure in camera tua a provarlo. Io e tua madre dobbiamo parlare di lavoro.»</p><p>«Con piacere», esultò Gabriele. Afferrò la scatola, stringendola con forza quasi avesse paura di perderla, e si affrettò a salire le scale. Si chiuse in camera sua e subito scartò il computer. Non era soltanto un MacBook, ma l’ultimo modello uscito, ultra sottile, color grigio opaco, con il classico logo della mela morsicata sul dorso. Era un gioiello, un’opera d’arte tecnologica. Gabriele non avrebbe potuto essere più felice di così.</p><p>Trascorse tutta la notte a testarlo, scaricare programmi, passare i file e le foto dal suo vecchio trabiccolo che ormai impiegava un’eternità ad accendersi.</p><p>Si addormentò nel letto, il computer portatile accanto e ancora acceso, quando ormai il sole fu lì lì per sorgere.</p><p></p><p>Continua......</p></blockquote><p></p>
[QUOTE="Gando94, post: 20571305, member: 284518"] Parte 3 Gabriele stava fissando il corridoio. Ancora scosso per aver rischiato di essere pestato a sangue, ma di più per la reazione inaspettata di Alex, era lì impalato e guardava con occhi persi la porta d’entrata che, da poco, si era richiusa alle spalle del suo migliore amico. I passi sulle scale lo risvegliarono dal torpore, costringendolo a voltarsi. Sua madre stava scendendo i gradini vestita con il suo solito completo grigio da casa, le guance accaldate come se la temperatura lì dentro fosse troppo alta. «Tesoro, stai bene?», gli chiese lei, fermandosi in fondo alla rampa di scale. «Ti ho sentito gridare.» «È tutto a posto», rispose secco Gabriele, in un tono che non gli era affine. «Tu sai che è successo ad Alex?» In quel momento la donna sentì il sangue fluire maggiormente sulle guance. Si voltò, diretta in cucina, mormorando qualcosa che doveva essere un “non lo so”. «Mamma, hai sentito?», ripeté Gabriele, seguendola. «Aveva appena detto che sarebbe rimasto per cena. Come mai se n’è andato così?» «E io perché dovrei saperlo?», replicò Sonia, aprendo il frigorifero alla ricerca di una bottiglietta d’acqua fresca. La donna si rese conto, però, che quel suo comportamento stava suonando sospetto persino alle sue orecchie, così aggiunse: «Mi è sembrato di sentirlo parlare al telefono. Forse sua madre lo ha chiamato e gli ha chiesto di tornare a casa…» «Sì, forse.» Gabriele, però, non fu convinto dalla supposizione della madre. Conosceva Alex come le sue tasche e sapeva che non era da lui comportarsi in quel modo così sfuggente e nervoso; non con Gabriele, perlomeno. Decise di scrivergli un messaggio. GABRIELE: Alex tutto ok? Scusa se me la sono presa con te, poco fa. Non è compito tuo starmi appresso al culo e difendermi, ti do pienamente ragione. È solo che mi stavo cagando addosso. Alex? Rispondi per favore. ALEX: Va bene ok. Perdonato. GABRIELE: Perché non sei voluto restare a cena? Mia mamma ci teneva. ALEX: Mi sono ricordato che avevo una cosa da fare. GABRIELE: Cosa? ALEX: Amico stai diventando stressante. Ho già una madre, non me ne serve un’altra. GABRIELE: Hai ragione, scusa. È solo che mi sei sembrato strano. ALEX: Ci vediamo domani. Gabriele rimise in tasca il cellulare, per nulla soddisfatto di quella conversazione. Alex poteva pur credere di averlo convinto, ma Gabriele non si beveva certe palle con così tanta facilità. Aveva visto come si comportava Alex con gli altri, il suo atteggiamento, le sue menzogne, il suo lato subdolo. E aveva motivo di credere che, per qualche ragione, Alex ora stesse rivolgendo lo stesso trattamento anche a lui. Quella sera Gabriele cenò in silenzio. Suo padre Giovanni, che era rientrato giusto in tempo per cenare con loro, si era dilungato in chiacchiere da avvocati, e tra lui e Sonia era nato un dibattito che Gabriele non aveva nemmeno avuto la voglia di sforzarsi a decifrare. Così, come faceva sempre nelle situazioni scomode, si era chiuso nei recessi della sua mente, perdendosi in congetture che poteva affrontare solo con sé stesso. Ancora non gli andava giù il modo in cui Alex se n’era andato di tutta fretta, senza nemmeno salutare sua madre, quando poco prima era sembrato così entusiasta di cenare insieme a loro. Non digeriva nemmeno il fatto che sua madre, davanti ad Alex, avesse proposto di ordinare delle pizze, mentre alla fine si erano ridotti a mangiare dell’insalata e del branzino riscaldato della sera prima. Giovanni si prese la briga di chiedere a Gabriele come stesse andando la scuola — classica domanda da padre che non ha la minima idea di che cosa stia capitando nella vita di suo figlio. «Bene», rispose Gabriele. «Ne ero certo.» Gabriele stette per riporre il piatto nel lavello, quando Giovanni si alzò da tavola e sorridendo disse: «Aspetta qui, ho una cosa per te.» Il ragazzo rimase lì, di fronte al lavandino, chiedendosi quando fosse stata l’ultima volta che suo padre gli aveva rivolto un sorriso complice come quello. Giovanni mancò per un paio di minuti, tanto che ormai il silenzio in quella cucina stava diventando imbarazzante, ma proprio mentre Sonia decise di aprire bocca, lui tornò. Aveva un grosso pacco tra le mani, incartato con dovizia. Gabriele fu ancora più confuso mentre Giovanni glielo tendeva. «È per me?» «Certo», rispose Giovanni, perfettamente a suo agio. «Un regalo? E perchè?» «È presto per i regali di compleanno, ma so che ti serviva. E poi tua madre mi ha detto che quest’anno sei il primo della classe. Voglio che tu sappia che apprezziamo i tuoi sforzi, e che il duro lavoro viene sempre ripagato…» Gabriele afferrò il pacco, sorpreso da quello slancio d’affetto a cui non era abituato. Non appena le sue mani si strinsero intorno alla scatola, un’intuizione gli balenò nel cervello. La forma, le dimensioni, il peso, il rumore quando veniva scossa… No, non era possibile. Si voltò verso il bancone della cucina per scartare il pacco con foga, sperando che il suo intuito non lo stesse ingannando. Poi la classica scatola bianca comparve da sotto la carta da regalo. A Gabriele mancò il fiato. «Un MacBook!», esclamò. «Ti piace?», chiese Giovanni con aria fiera. Ancora seduta al tavolo, Sonia assisteva alla scena sorridendo, ma il suo sguardo sembrava lontano. «Ovvio!», replicò Gabriele. «Papà, sei un grande! Grazie!» Giovanni fece una risatina compiaciuta. «Su, vai pure in camera tua a provarlo. Io e tua madre dobbiamo parlare di lavoro.» «Con piacere», esultò Gabriele. Afferrò la scatola, stringendola con forza quasi avesse paura di perderla, e si affrettò a salire le scale. Si chiuse in camera sua e subito scartò il computer. Non era soltanto un MacBook, ma l’ultimo modello uscito, ultra sottile, color grigio opaco, con il classico logo della mela morsicata sul dorso. Era un gioiello, un’opera d’arte tecnologica. Gabriele non avrebbe potuto essere più felice di così. Trascorse tutta la notte a testarlo, scaricare programmi, passare i file e le foto dal suo vecchio trabiccolo che ormai impiegava un’eternità ad accendersi. Si addormentò nel letto, il computer portatile accanto e ancora acceso, quando ormai il sole fu lì lì per sorgere. Continua...... [/QUOTE]
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