Racconto di fantasia Le bizzarre avventure di Maria

spoch

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Capitolo 1
Maria stava avendo un incubo

Aveva le coperte fino alla pancia e la canotta in vista. Da qualche tempo sentiva tanto caldo, e preferiva dormire in mutande e in canottiera, del tipo che si sbottonano sul davanti, così che è più facile, per una donna in allattamento, tirare fuori la tetta. Sudava, si muoveva, si lamentava nel sonno.
Si trovava in una zona di campagna. Sapeva di essere vicina al paese, ma non la riconosceva comunque. Eppure ci andava ogni mattina a correre. Strano. E comunque il cielo minacciava pioggia, meglio tornare verso casa, e a passo rapido. Poi la prima goccia piovve proprio nella scollatura, tra la tetta destra e quella sinistra, facendola rabbrividire. In un attimo, venne giù il mare. D’un tratto, però, si accorse della vecchia stalla cadente e ci corse dentro.
La stalla non era che un’enorme stanzone odoroso di legno marcio. Poca luce, solo una porta di ferro, che per sua fortuna era stata lasciata aperta, come se il proprietario fosse uscito da poco per tornarvi entro poco. C’era un po’ di fieno sparso, e tanti, tantissimi secchi di latta ammaccati, sporchi, un po’ arrugginiti. Semmai fosse tornato qualcuno avrebbe chiesto scusa dell’intrusione, ma fuori veniva giù che Dio la mandava, avrebbero capito, forse.
Maria, però, cominciò a sentirsi strana. La tuta pizzicava. E sì che era fradicia. In più si sentiva pesante, o meglio, si sentiva il seno pesante, ma come se fosse aumentato di un chilo per mammella. E se lo sentì intorpidito, teso. Iniziarono le fitte all’interno. Se lo tenne, se lo strinse. «Ma che cavolo hanno, adesso?». Abbassò la zip e si allargò la canotta, si allargò le coppe del reggiseno. Tirò tutto giù.
«Oh, no… di nuovo!»
I capezzoli induriti e scuri, la pelle tesa, arrossata, e quelle gocce di colostro che fuoriuscivano dai fori del capezzolo. Ecco che stava succedendo di nuovo. Non era possibile. Eppure aveva smesso di allattare da anni, e poi perché proprio adesso, proprio nei momenti meno opportuni.
La porta di ferro sbatté. Maria si voltò, le tette che ballonzolarono schizzando acqua e latte. E i capezzoli s’inturgidirono anche di più quando incrociò lo sguardo del contadino. Mamma che schifo, sembrava uscito da un film horror anni ’70, tipo Non aprite quella porta, con gli occhi a palla, i dentoni tutti gialli e le labbra gonfie, quasi deformi. Reggeva con quella sua manona pelosa e incallita un secchio, ammaccato e sporco come tutti gli altri.
«Bene, bene, bene» disse il contadino, leccandosi le labbra.
Maria si coprì i capezzoli d’istinto, mentre il contadino si avvicinava, lo sguardo fisso sul suo seno. «No, che fai? Che vuoi fare, no!».
«No, che fai!» urlò tirandosi su nel letto. Era a casa sua, nel suo letto, ed erano le quattro del mattino. Tra poco doveva alzarsi e preparare la colazione. Nella foga si era scoperta una mammella, ed era turgida e tesa anche lei. Si asciugò il sudore e cercò di rimettersi a dormire.
Erano già diverse notti che sognava quell’uomo orrendo, in situazioni analoghe. Chissà cosa significava.




(immagine originale, fatta con AI)
 

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