Racconto di fantasia Le mie storie

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Ciao, sono Sabrina. Scrittrice, blogger, sceneggiatrice professionista, di genere porno e ghostwriter. Quelli che leggerete qui sono alcuni dei miei racconti. Spero vi piacciano e che mi facciate sapere cosa ne pensate.
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Lo stagista

Sabrina, come ogni giorno, era in redazione a scrivere articoli per la pagina web per la quale lavorava. Nonostante fosse pieno inverno, dentro l’ufficio, causa i riscaldamenti alzati a palla, faceva un caldo terribile.

In quello stanzone fatto solo di scrivanie e qualche pianta di plastica per dare una nota di colore in mezzo a tutto quel bianco, erano in tre: un ragazzo e due ragazze, tra cui, appunto, la protagonista della storia.

Nicolas era uno stagista, il più giovane dei collaboratori della testata telematica. Non era di bell’aspetto: molto magro, alto quasi un metro e novanta centimetri, curvo, i capelli pettinati in avanti e segni dell’acne non del tutto spariti sul suo viso scarno, con gli zigomi sporgenti. Gli occhialoni dalla grossa montatura nera non facevano altro che nascondere e far sembrare ancor più minuta, quella faccia già smunta di suo. La collega di Sabrina, invece, era una ragazza in carne, col grosso seno e il naso pronunciato. Stava sempre coi capelli legati e vestiva in maniera sciatta, non curandosi molto del suo aspetto fisico, come se già sapesse che non sarebbe importato a nessuno.

Sabrina, pur non essendo molto alta, aveva un fisico e un viso aggraziati. Un piccolo seno sodo che mostrava i piercing ai capezzoli, specie quando questi si inturgidivano per il freddo o quando, come in quel caso, la giovane si toglieva la maglia, restando in canottiera per non morire di caldo.

Era perfettamente cosciente di attirare le attenzioni di Nicolas, del resto, non è che il ragazzo avesse una scelta tanto ampia su cui posare lo sguardo. Lei, qualche volta, quando tirava su il capo o si stiracchiava per qualche secondo, incrociava lo sguardo dello stagista e gli sorrideva. Lui diventava rosso, all’istante e, anche se solo per un’occhiata, gli veniva su duro, gonfiandogli in maniera evidente i jeans. Sabrina rideva di questo ma non poteva nascondere che la cosa la eccitava e non poco. Sapere che bastava uno sguardo per far diventare duro un cazzo, non era da tutte ed essere desiderata a tal punto, le piaceva.

Faceva la smorfiosa, sapendo di essere l’oggetto proibito del desiderio di quel ragazzone impacciato che mai, forse, si era fatto una scopata.

Quando Sabrina usciva sul terrazzino a fumare, si appoggiava con le mani sulla balaustrata, inarcando la schiena quel poco che bastava per farle venire su un culo sodo che avrebbe messo voglia a chiunque, poi, come se non bastasse, si metteva prona, arrivando a poggiare i gomiti sulla parte metallica del ringhiera. Il culo le si apriva di poco, ampliando i fianchi sinuosi. Nicolas, quando la vedeva a quel modo, si portava la mano alla minchia e se la massaggiava duro da sopra i pantaloni. Ogni volta doveva correre in bagno a spararsi una pugna. Il wc era unisex e la sborrata, il giovane, la schizzava contro la parete liscia, sperando che, dopo di lui, sarebbe entrata Sabrina, e avrebbe visto lo sperma che colava. Era un desiderio dettato dalla voglia. Ogni volta che sborrava, infatti, tornava in sé e, puntualmente, puliva la parete. Gli era scappato qualche schizzo che non aveva visto e che si era asciugato sulle mattonelle di un azzurrino chiaro. Si poteva notare chiaramente l’alone della goccia bianca che era colata giù.

Sabrina, dal canto suo, aveva inteso che allo stagista piaceva particolarmente vederla fumare, mentre soffiava il fumo. Non potendolo fare nell’ufficio, si era comprata una sigaretta elettronica. Soffiava il vapore dal naso, che usciva in maniera abbondante e per qualche secondo. Con lo sguardo basso faceva finta di nulla per non dare a vedere di aver notato come Nicolas la fissava ogni volta.

L’altra ragazza s’era accorta di tutti questi piccoli gesti e ne parlava, scherzando, con Sabrina, ma faceva pure da confidente a Nicolas, riportando, poi, in seguito, all’amica, ogni dettaglio dei commenti “estorti” al ragazzo. La scrittrice rideva divertita dell’impaccio di quella che riteneva una povera vittima sacrificale del divertimento delle due redattrici, ma dietro quella maschera di scherno si nascondeva la verità: l’eccitazione data dalla conoscenza dei dietro le quinte delle provocazioni che lanciava.

Nicolas, come detto in precedenza, non era di bell’aspetto, però Sabrina sospettava, e nemmeno usando poi tanta fantasia, visto che il cazzo duro del giovane premeva a ogni erezione contro il pantalone, mostrando un notevole rigonfiamento nelle parti basse, che la minchia dello stagista doveva essere sopra la media per spessore e lunghezza.

Un giorno, uno come tanti, Sabrina si fece trovare difronte la fotocopiatrice. Finse di non sapere come usare lo scanner. Per l’occasione si era messa un jeans nero attillatissimo e delle scarpe rosse, col tacco, che le evidenziavano maggiormente il culo sodo. Si era messa in tiro, quel giorno, con la scusa di un pranzo importante.

Faceva udire le sue imprecazioni in tutto l’ufficio, la scrittrice, per attirare l’attenzione di Nicolas, il solo che avrebbe potuto aiutarla in quell’impaccio. Il ragazzo si accorse immediatamente che il suo desiderio più ardente necessitava di immediato aiuto, ma, la sua timidezza e goffaggine facevano in modo che non riuscisse a scollarsi dalla sedia della sua scrivania. Dovette intervenire l’altra donna, avvisata da Sabrina delle sue intenzioni, per convincere il tizio ad andare a vedere cosa stesse succedendo.

Nicolas arrivò lì col cazzo già in tiro. Ce lo aveva duro da quando la scrittrice era entrata in ufficio vestita e truccata a quella maniera.

Lei accolse il suo arrivo con un grande e cordiale sorriso, guardandolo con qui suoi occhioni grandi e rivolgendo, poi, gli occhi sul cazzo, per accertarsi che fosse già bello duro, in tiro. Fece in modo che lo stagista si accorgesse che gli aveva puntato la minchia con gli occhi. Lei non si tolse da davanti la stampante, costringendo Nicolas a mettersi dietro Sabrina che cominciò, senza perdere tanto tempo, a strusciarsi col culo contro quel cazzone turgido, che pulsava per il piacere. Faceva finta di nulla, lei, mentre si appoggiava. Continuava a parlare del problema che aveva con lo scanner. Guardava l’amica sottecchi e si scambiavano delle risatine, ma a Sabrina piaceva e molto sentire quel cazzo grosso contro al suo culo.

Lo stagista risolse il “problema” alla collega e la giovane se ne tornò al suo posto. La scrittrice adesso sapeva con certezza di cosa fosse dotato tra le gambe Nicolas e la questione le cominciava a interessare parecchio. Non importava che fosse brutto, l’importante che ce lo avesse bello grosso e su questo non ci pioveva, aveva tastato con mano, anzi: con culo.

Sabrina fece una pausa e uscì sul balconcino a fumare, come sua abitudine. Stavolta non si girò di spalle a guardare il panorama che offriva la città, ma rimase frontale alla finestra dell’ufficio, tanto da essere vista, come fosse in uno schermo televisivo, dalla sua preda, che ancora non sapeva di esserlo. Questi, dal canto suo, impacciato com’era, aveva difficoltà ad alzare lo sguardo per vedere la redattrice mentre fumava. Aveva ancora tra le cosce la forte erezione causata dalla strusciata precedente. Non era corso in bagno a farsi una sana pugnetta su quanto vissuto.

Appena fu possibile e gli sguardi dei due si incrociarono, Sabrina sorrise nuovamente a Nicolas, invitandolo con la mano a raggiungerla. Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte. <<Chiudi il balcone>>, gli disse, Sabrina, non appena l’altro arrivò da lei. <<Lo so che mi guardi sempre mentre fumo e non solo… so che ti piaccio!>>, gli rivelò, lei, di colpo, lasciando di stucco mentre se ne stava con la testa bassa, senza ricambiare allo sguardo della ragazza che, dal canto suo, non gli toglieva gli occhi di dosso. <<Hai davvero un gran bel cazzo… complimenti>>, aggiunse, Sabrina, dopo aver fatto un tiro e soffiato il fumo. <<Prima mi è piaciuto quando me lo hai appoggiato contro al culo. Notevole, bravo!>>. Lui continuava a tacere, imbarazzato com’era. <<Oggi non te la sei fatta ancora una pugnetta su di me?>>, chiese, d’improvviso, la scrittrice. Si fece silenzio tra i due. Sabrina fece un tiro, soffiò il fumo dal naso e continuò a incalzarlo con le domande:<<Non devi preoccuparti, lo so che ti spari i segoni su di me, in bagno… ho visto le macchie alle mattonelle. La cosa non mi dispiace, tranquillo, non voglio rimproverarti e dirti che non devi permetterti più, anzi…>> Fece una breve pausa, aspirò l’ultima boccata di fumo e poi spense la sigaretta. <<Dai, tiralo fuori e sparatene una qui, davanti a me!>> Difronte a tale richiesta, Nicolas alzò la testa. Non credeva a quanto aveva sentito. <<Dai! Cosa aspetti?>>, chiese, impertinente, Sabrina. <<Devo tirartelo fuori io? Non sai farlo da solo?>> Non ricevette alcuna risposta e nulla accadde. La redattrice spostò di poco gli occhi, guardando dentro l’ufficio, attraverso la finestra. <<Temi che qualcuno possa vederti? Qualcuno oltre me? Tranquillo, non ci vede nessuno, né da dentro l’ufficio, né dagli altri palazzi. Ci sono io davanti a te>>

Con la mano che gli tremava, lo stagista principiò a sbottonarsi i pantaloni. Sabrina seguiva attentamente ogni gesto con lo sguardo, senza perdersi nulla. Si mordeva il labbro inferiore tanto era eccitata. Si poggiò con la schiena contro la ringhiera, allargando le braccia, facendole scivolare sulla balaustra. <<Dai, che non abbiamo tutto il tempo!>>, gli ricordò, la giovane. <<Non abbassarti tutti i pantaloni, tienili su. Tira fuori solo la minchia a e i coglioni. Falli uscire poco sopra l’elastico dei boxer>> Il ragazzo eseguì.

Aveva un cazzo davvero grosso e spesso. <<Uhhhhh!!!>>, esclamò, Sabrina. <<Ce l’hai grosso come pensavo… anche di più. Inizia a scapocchiarlo, dai che voglio vederti la capocchia>> Appena il ragazzo ebbe abbassato la pelle e il glande fu liberato, del liquido trasparente colò fino a terra, rimanendo, però, attaccato al pene. <<Ma che voglia hai?! Guarda come sei bagnato… coli tutto! Mai vista una cosa simile! Devo farti i miei complimenti!>>

Nicolas iniziò a menarselo. Chiuse gli occhi, dandoci dentro di brutto. <<Più veloce, più veloce, da bravo. Voglio svuotarti. Più veloce!>>, lo incitava, Sabrina, che guardava quella mano che si muoveva con vigore su quel bastone turgido e venoso. <<Quando sborri vienimi addosso. Sborrami sui pantaloni, capito? Non preoccuparti di sporcarmi. Te lo sei meritato!>>

Nicolas menava sempre più forte. In quel momento, Sabrina notò che dalla finestra la sua collega stava guardando tutto. La scrittrice sorrise e immediatamente tornò a rivolgere gli occhi sul cazzo in tiro dello stagista, che era pure resistente. <<Bravo! Sei uno che dura. Non è da tutti, bravo! Ti stai facendo onore. Sei un vero maschio. Devi essere un gran chiavatore, come quelli che piacciono a me, a noi donne!>>, gli fece sapere, la scrittrice, anche per incitarlo ad aumentare la velocità della sega e portarlo all’eiaculazione. <<Oh, sì! Oh, sì! Ti sborro tutta, ti sborro tutta… puttana!>>

<<Bravo, sborrami tutta, pezzo di merda! Siamo qui per questo. Sborrami i pantaloni. Hai il capocchione davvero bello grosso! Chissà che male, poverino, quando lo scopri!>>

L’altra ragazza, da dentro l’ufficio, sempre attraverso la finestra, stava riprendendo la scena col cellulare. Lo faceva da un po’. Lo stagista era di spalle e il suo volto, perciò, era irriconoscibile, Sabrina, invece, veniva immortalata in tutta la sua bellezza ed eccitazione. <<Questo lo metto su internet e ti sputtano, stronza di merda! Così impari a essere la prima della classe, la più brava e meritevole in tutto. Ti rovino, stronza bastarda!>>, disse, tra sé e sé, l’altra redattrice, che si fingeva amica di Sabrina ma che, in realtà, odiava, poiché più brava di lei a scrivere.

<<Sborro, puttana, sborro!>>, annunciò, un eccitatissimo Nicolas.

Lo schizzo fu incredibile. La sborra non prese solo le cosce di Sabrina sporcandole il pantalone, ma gli arrivò sulla camicetta rossa e sul mento. Con quella gettata potente l’aveva praticamente inondata da capo a piedi. <<Uhhhhh!!! Cazzo, che sborratona! Eri proprio pieno! Ma che sei, un cavallo!?>>, ironizzò la ragazza. <<Se mi sborravi in pancia mi riempivi come un uovo! Sì, devi essere un bel cavallo di razza. Sei brutto, mi fai proprio schifo come aspetto, ma quel cazzone enorme, quelle palle sempre piene, ti danno qualche speranza>>

Ripresasi da quello spettacolo che aveva richiesto, Sabrina si accorse che la collega la stava filmando. La cosa non le piacque affatto. <<Ce l’hai?>>, chiese, Nicolas. <<Sì, ho filmato tutto, amore! Ora la sputtaniamo su internet, la stronza!>>

Sabrina era scioccata! Ignorava che i due avessero da tempo una relazione e che si stessero prendendo gioco di lei, tendendole una trappola nella quale la ragazza era caduta in pieno, senza rendersene mai conto e accorgersi di nulla. Pensava di tirare lei i fili, di essere la burattinaia di un gioco erotico, invece, era accaduto esattamente il contrario ed era stata usata. La sua carriera da scrittrice, la sua reputazione, finivano lì, con un video caricato su internet, in cui guardava uno stagista spararsi un segone e sborrarle addosso.
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Rivelazione

Emma e Marta erano amiche da tempo. Si conoscono praticamente da bambine. Da piccole le chiamavano: le inseparabili. Stavano perennemente insieme e facevano tutto insieme. Poi con l’andare del tempo, gli anni passarono e le frequentazioni amicali, i percorsi di studio differenti, hanno fatto sì che le due, pian piano, abbiano intrapreso strade opposte, allontanandosi l’una dall’altra. La loro amicizia, però, rimase comunque intatta anche se i rapporti tra le amiche si erano un po’ raffreddati per via della lontananza e a causa del sentirsi sempre meno, nonostante le molteplici possibilità fornite dalla tecnologia.

Emma era più grande di Marta di sei mesi. Era la più ribelle, la più spigliata e sfrontata, al contrario dell’altra, più schiva, timida, riservata.

A indurre Marta a provare qualcosa era continuamente Emma, che la stuzzicava e invogliava. Fu lei, infatti, a cominciare a fumare per prima, bere per prima, dare il primo bacio per prima e fare sesso per prima. Marta arrivava sempre dopo, in tutto questo. Si affacciò a ognuna delle suddette esperienze perché era la compagna a spingercela e non per altro.

Emma aveva solo la madre, non aveva mai conosciuto il padre e per questo, forse, le veniva concessa maggiore libertà. La mamma considerava che era meglio non pressarla eccessivamente e imporle un’educazione troppo rigida.

Con l’arrivo dell’estate, le due amiche si trovarono nella cittadina in cui erano nate e avevano vissuto l’adolescenza prima di partire per l’università. Gli impegni di studio e di lavoro lasciarono una settimana, sette giorni, solo sette giorni, in cui Emma e Marta fecero coincidere il loro soggiorno nella città natale.

Seduta su una panchina, Emma stava fumando e con l’altra mano giochicchiava col cellulare, mente aspettava la compagna. Soffiava il fumo dal naso e si passava la punta della lingua sul labbro superiore, sfiorandolo appena. Era un vezzo che aveva sin da piccina, quando si concentrava.

Aspirò l’ultimo tiro quando si accorse con la coda dell’occhio che Marta stava raggiungendola. Soffiò la boccata di fumo e si alzò in piedi per raggiungerla. Si abbracciarono forte e a lungo. I piccoli seni delle amiche si schiacciarono l’uno contro l’altro. Marta, essendo più riservata, trovava esagerato l’atteggiamento di Emma, ma la lasciò stare, sapeva che era sincera e che quello, volente o nolente, era il suo modo di fare, che piacesse o meno.

Quando finalmente cominciarono a chiacchierare (ed erano tante le cose da confessarsi), Emma disse che avevano aperto un nuovo locale e che la sera stessa sarebbero potute andarci. Marta voleva starsene a casa con la famiglia, non la vedeva da un po’, ma l’insistenza dell’amica fece in modo (dato che lei conosceva il suo carattere), che Marta accettò, seppur non con convinzione.

Arrivarono sul luogo verso le 23:30. Il posto era pieno di gente. Tra diversi conoscenti, c’erano anche alcuni dei vecchi compagni di scuola delle ragazze. Marta, tutto sommato, a differenza di quello che pensava, non stava passando affatto una brutta serata, anzi, il contrario: molto piacevole. Rideva e si divertiva a ricordare con gli altri i fatti buffi del passato, raccontandosi aneddoti che erano andati perduti nella memoria di alcuni e rimembrando faccende a dir poco surreali, come sempre capita in questi casi. In tutto ciò, col trascorrere delle ore, Marta si accorse che Emma si era allontanata. L’aveva persa di vista. In un primo momento notò che se ne stava a parlare con dei tizi vicino al bancone ma, da qualche minuto, lei era sparita. Solo due dei ragazzi con cui l’amica stava chiacchierando, erano rimasti nel locale, l’altro, non sapeva che fine avesse fatto.

Era notte inoltrata, ormai e Marta cominciava a essere stanca e ad avere sonno. Era venuta con la macchina di Emma. Decise di andarla a cercare. Le dissero di averla vista uscire. Una volta fuori non tardò a trovarla. Si accorse di un gruppetto di persone poco distanti da lì. Alcune di queste tenevano in mano il cellulare, sia ragazzi che ragazze. Più Marta andava avvicinandosi, più si rendeva conto di ciò che stava succedendo. Emma era lì, divertita, irriconoscibile, che masturbava il ragazzo ubriaco (il quale non si rendeva conto di quello che succedeva) mentre gli ficcava un dito nel culo con la mano libera. Il giovane era disteso completamente a terra mentre il cazzo moscio veniva menato velocemente dall’amica che lo derideva e umiliava, dicendogliene di tutti i colori. Marta rimproverò l’amica ma questa, ridendo sguaiatamente, le disse di unirsi alla festa. Marta aveva capito che la compagna non solo era ubriaca ma anche drogata e pesantemente. Provò dapprima a dissuaderla con le parole a smettere di fare ciò che stava facendo. Quando si accorse che era inutile, tentò di sollevarla a forza. Emma non si lasciò strattonare e, dal canto suo, tirò giù l’amica, facendole prendere il cazzo moscio del tizio, in bocca, mentre tutti riprendevano. Le fece fare un paio di pompate, tenendole la testa sulla minchia. Marta si liberò dalla stretta e diede uno schiaffo all’amica che, non aspettandosi una reazione simile, rimase scioccata e tornò in sé. Marta, a quel punto, tornò ad afferrarla dal braccio, riuscendo, stavolta, a portarla via.

Passarono un paio di giorni prima che le amiche si risentissero e riprendessero a parlarsi. Emma chiese scusa a Marta. Si rese conto che ebbe un atteggiamento fuori le righe ed esagerato. A tutto c’è un limite e questo, la ragazza, sembrava averlo capito.

Le domandò se fosse possibile vedersi la sera stessa, per andare un po’ in giro per locali. Marta, che non voleva sembrare quella che teneva il muso per questioni appartenenti al passato, per quanto fosse un passato recentissimo, accettò. La compagna le disse che sarebbe passata a prenderla attorno alle 22:00. L’avrebbe accompagnata in un locale alla moda, quindi si sarebbe dovuta vestire in maniera elegante, non casual, altrimenti non l’avrebbero fatte entrare.

Nell’armadio della giovane non c’erano tanti vestiti così come richiedeva l’amica. Marta era una ragazza semplice, dopo tutto, non prestava attenzione, o non quanto in genere ne presta una ragazza comune, a tali cose. Comunque riuscì a trovare quel che serviva alla serata: un vestito rosso, un tubino senza spalline e con la gonna corta fino a metà coscia, aderente al corpo, tanto da lasciare in evidenza le curve sinuose della giovane. Anche le scarpe erano rosse, col tacco alto e che avvolgevano a mala pena il piede, lasciandolo in bella mostra.

Emma passo da casa dell’amica puntualissima. Si era vestita di grigio scuro, abito attillato e scollatura vertiginosa. Le scarpe erano nere e a spezzare il tutto: un rossetto rosso acceso.

Marta salì in machina che era titubante. Erano davvero tanto in tiro per una semplice serata tra amiche e non conosceva nei paraggi un posto così alla moda dall’essersi dovute agghindare come delle puttane da alto bordo.

La passeggera non aveva rossetto e l’amica le passò il suo, dicendole col sorriso che era d’obbligo metterlo. L’altra eseguì, guardandosi nello specchietto. Era davvero bella! Non si era mai conciata a quel modo. Tutte e due avrebbero lasciato senza fiato chiunque avesse posato gli occhi su di loro.

Giunsero nei pressi di un fabbricato isolato apparentemente abbandonato, ma dal quale uscivano delle luci laser di diverso colore e da cui si poteva sentire una musica ovattata provenire dall’interno.

Un omaccione di colore, elegante, stava davanti l’ingresso. A Marta non piaceva tutto quello. Provò a dissuadere l’amica ad entrare ma questa, sorridendole e accarezzandole il viso mentre la guardava con degli occhi che non ridevano affatto ma che anzi erano taglienti come lame, le rispose di stare tranquilla e di fidarsi di lei, come l’ultima volta, aggiunse per concludere la frase. L’ultima volta non era andata affatto bene ma Marta non poteva tornarsene da sola a piedi e al buio. Fu costretta, perciò a seguire la compagna.

Una volta varcata quella pesante porta, la musica e l’odore di alcol le travolse. Marta riusciva a stento a vedere dove metteva i piedi tanto le luci erano basse. In quella grande stanza piena di gente, uomini e donne più o meno giovani, si ballava e si beveva. A tenere il tempo di tutto c’era la cubista, al centro della camera. Avvenente e prosperosa, coi capelli neri e lunghi raccolti in una fluente chioma. Gli stivali poco sopra il ginocchio, col jeans attillato che ne esaltava le carnose forme. Solo il reggiseno a evidenziare un seno procace e sodo.

Le due amiche si separarono quasi subito nella folla. Emma si perse, come trascinata da qualcuno, verso un ingresso alla fine di un corridoio dove delle coppie guardavano i presenti con occhi affamati. Mentre Marta la cercava con lo sguardo, una mano le si posò sulla spalla: era la cubista, Eva, dal tatuaggio che le si poteva leggere sotto al collo. La giovane era imbarazzata. Le dita della donna erano scivolate sui fianchi, fino poi ad arrivare a prenderle la mano. La studentessa pensò che la tizia volesse accompagnarla dall’amica, avendola vista in difficoltà, e non obiettò quando la sconosciuta la tirò con sé verso l’androne stretto da cui era passata poco prima, Emma. Oltre l’uscio la musica era meno stordente. Qua e la coppie che si baciavano o che facevano sesso. Marta non sapeva cosa fare e ché pensare. Era come impietrita. Eva l’attaccò al muro e le bloccò il passaggio col corpo, che gli si schiacciò contro. Marta Incominciava a essere eccitata e l’atteggiamento dominante della tipa non le permetteva di ribellarsi. Considerando il suo carattere mite, la lasciò fare. Eva, senza tanti indugi, arrivò a ficcarle due dita in figa e a fare su e giù con la mano, facendo squirtare quella che era divenuta la sua schiava. Dopo di ciò, quelle stesse dita, adesso umide e bagnate fino a colare, gliele mise in bocca. Lasciò che la ragazza assaporasse il suo stesso sapore. A Marta tremavano le gambe per l’orgasmo che aveva subito. La cubista la baciò intensamente in bocca, succhiandole con le labbra carnose, la lingua. La studentessa strizzò gli occhi e istintivamente tentò di tirare indietro il capo poiché l’alito di Eva sapeva di alcol e fumo. All’accenno di rifiuto, la donna strinse le braccia di Marta e, senza chiudere gli occhi, tornò a baciarla. Se la slinguazzò un bel po’. Dopo che fu stanca di lei, tornò a prenderla per mano e l’accompagnò davanti una porta rossa, lasciandocela di fronte. La giovane aveva il rossetto sbavato e il vestito non era a posto, dato che le erano state messe le mani da per tutto. Eva rimase a guardarla facendole solo un cenno col capo, come a dirle che doveva entrare, che la sua amica, Emma, era oltre quell’entrata.

Aprì lentamente. Oltre, una tenda di velluto nero. La musica non si udiva più. Al suo posto dei gemiti e dei colpi, come qualcuno che stava sbattendo le mani su una superfice piatta. Scostata la tenda vide dodici uomini alle prese col ficcare duro Emma. Una bella gang bang! Nessuno di quelli aveva il preservativo ma i loro cazzi, tutti i loro cazzi, erano in tiro, turgidi fino allo spasimo. Marta si morse il labbro inferiore e le pupille si dilatarono. Per terra era visibile quella che all’apparenza era acqua ma che in realtà era sudore e liquido che colava abbondante dalle cosce di Emma.

In quel momento, Emma, aveva due cazzi dentro, uno in figa e l’altro in culo, uno per mano e due in bocca. Quelle capocchie erano gonfie, pronte a esplodere, ma altri uomini stavano lì a menarselo, in attesa del loro turno. Si accorsero della nuova arrivata e andarono a prenderla senza che lei facesse la minima opposizione.

Marta venne messa a pecora e senza che le venisse lubrificato l’ano, questo le venne allargato a forza da due cazzi, uno dopo l’altro. La smorfia di dolore sulla faccia della studentessa fu palese. Ficcavano a crudo come se non ci fosse un domani. A turno le cacciavano i cazzoni in gola, senza tregua, facendola vomitare tanto arrivavano in fondo e con foga. Le lacrime le scesero sulle guance e il truccò andò via del tutto, rendendola simile alla maschera di una puttana ubriaca da strada. La sua amica non aveva accettato il comportamento di Marta qualche sera prima e quello era il suo modo di vendicarsi.

Quegli sconosciuti erano eccitatissimi e ognuno voleva mettere la minchia in qualche buco, uno qualsiasi delle ragazze. Fu così che cominciarono a ficcarlo anche sotto le ascelle delle giovani. Gli schizzi di sborra arrivarono fino in faccia mentre dal culo di Marta lo sperma era color rosa, in quanto il seme si mischiava col sangue. Aveva il culo rotto, spaccato. Senza decenza, anche quelli che stavano fottendosi Emma, transitarono dall’altra per penetrarla a fondo in culo, solo in culo, fino a sfiancarla e lasciarla là a terra, senza forze. Le pisciarono addosso, per completare l’umiliazione. Per finire, la stessa cosa fece l’amica, che le si mise sopra la faccia e, poggiandole la figa sporca sulla bocca, la costrinse a bere, bere tutto, ogni goccia di pisciazza che le uscì dal ciunno.

Lasciarono Marta lì, priva di forze. Non era stata violentata, non le era dispiaciuto affatto quanto le fosse capitato, ma da allora, il rapporto con Emma cessò definitivamente e i fatti di quella sera misero definitivamente un pietra su quella che fu la loro amicizia.
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Lo scambio

Se c’era una cosa che accomunava me e il mio fidanzato, questa era voler provare almeno una volta nella vita (da coppia, si capisce), lo scambio. Era un segreto che ci portavamo da tempo nascosti nel nostro profondo e che entrambi avevamo timore e vergogna a esprimere per la paura che l’altro l’avrebbe presa male e che le cose tra noi sarebbero potute cambiare. Poi, un giorno, finalmente, così, quasi per gioco, mi decisi a dichiararlo.

Eravamo al cinema a guardare un film horror (importante questo particolare perché dovete sapere che la storia del film non c’entrava nulla con quello che stava accadendo poco lontano da noi) e notammo che nelle file in basso, quelle che fiancheggiavano la scalinata a sinistra, c’erano dei movimenti strani. Lì, infatti, stavano sedute quattro persone, due uomini e due donne. L’ordine esatto era: uomo, donna, uomo, donna. Quindi una delle donne si trovava a sedere tra due uomini. Fu proprio questa che attirò la nostra attenzione. In sostanza stava scappellando duro i tizi ai suoi fianchi mentre l’altra, quella alla estrema destra, con la mano ravanava tra i coglioni di quello che aveva a fianco, alla sua sinistra e in più gli leccava l’interno dell’orecchio. Non sapemmo mai chi fosse quella compagnia che ci dava dentro in un cinema semivuoto durante la proiezione di un film horror, però questo tanto bastò per farmi ammettere che se quelle erano coppie, la cosa mi eccitava da morire. Essere io al posto di quella che smanettava i cazzi turgidi, mi mandava in visibilio. Tale affermazione lasciò di stucco il mio fidanzato che mi guardò da prima con un’aria basita e, subito dopo, la sua espressione stupita, forse anche un po’ smarrita, divenne di gioia e furbetta. Non supponeva neanche lontanamente di avere una ragazza con quelle idee e voglie in testa e la cosa, dato che poi ero stata io a fare il primo passo rischiando di grosso, lo riempiva di felicità.

Al ritorno in macchina parlammo per un po’ dell’argomento, non di quello che avevamo visto al cinema, ma di come poter fare per riuscire a trovare un’altra coppia che decidesse, accettasse, di farlo con noi. Discutemmo di cosa piaceva a me e a lui, così da trovare una quadra, un punto in comune su cui poter lavorare, avviare una ricerca.

Optammo per la classica visita in un club privè ma io fui da subito contraria poiché, essendo la nostra prima volta e non avendo esperienza alcuna in questo genere di cose, questa stessa esperienza ci sarebbe potuta non piacere e il fatto di essere circondati da gente tutt’attorno che ci guardava, non mi attirava. Volevo, almeno per il nostro esordio in questo mondo nuovo, avere un minimo d’intimità.

La cosa che faceva “paura” a entrambi era che sicuramente ci sarebbe stata mancanza di feeling, dato che l’avremmo fatto, certamente con un po’ di imbarazzo da parte mia, con due tipi totalmente sconosciuti e il rapporto sessuale sarebbe potuto divenire piuttosto freddo e macchinoso, privo di coinvolgimento.

Tutte quelle chiacchiere, utili, sia ben chiaro, mi avevano messo addosso un bel po’ di voglia.

Senza che lui smettesse di guidare, gli allungai la mano sul cazzo. Mi disse di fermarmi, doveva rimanere concentrato sulla guida ed era buio, ma io feci finta di non sentire e continuai. Gli sbottonai i pantaloni e glielo tirai fuori. Non so se ci avete mai provato, ma tirare fuori un cazzo moscio da un jeans e farlo mentre il vostro ragazza è seduto, non è un’impresa facile.

Scapocchiai abbassando la pelle che liberò la capocchia. Dovetti fare tutto con due dita, il pollice e l’indice in quanto non gli era venuto duro e perciò dovetti accontentarmi del cazzetto che sembrava quello di un ragazzino.

Succhiai come si succhia un lecca lecca, giusto la cappella avevo in bocca. Il mio ragazzo, invece di sborrare, per qualche assurdo motivo si pisciò addosso. Dopo un primo scossone da parte mia, che tirai la testa indietro, per evitare che pisciasse ovunque, lo ripresi in bocca e bevvi quel liquido amaro e caldo. Era la prima volta che mi capitava e la cosa mi schifò ma, al contempo, piacque.

Giunsi a casa che puzzavo di pisciazza. La maglia era zuppa ma tanto, ormai, mi sarei buttata in doccia e messa il pigiama per andare a letto.

Ci salutammo e rimanemmo d’accordo che l’indomani avremmo parlato meglio sul da farsi, definendo i dettagli della faccenda.

Già durante tutta la sera mi misi al pc e diedi un’occhiati sui vari siti, davvero tanti, troppi, di incontri e scambio di coppia. Mi iscrissi a quelli che mi sembravano più seri e con feedback positivi e feci una cernita degli annunci più allettanti.

Ce ne fu uno che mi attirò in modo particolare. Oltre il fatto di voler fare scambio di coppia, volevo anche farlo con un negro. Sì, negro, in maniera dispregiativa. Lo desideravo perché lo vedevo come uno schiavo, capite, un’inferiore, uno che deve ubbidire. E quando una donna bianca come me vuole un cazzo nero, questi glielo deve dare e sentirsi lusingato per la possibilità.

L’annuncio che attirò maggiormente la mia attenzione, quindi, fu uno, il solo, unico che trovai, in cui la coppia era formata da una donna di mezza età e uno scappato di casa negro che stava con lei per la cittadinanza, dato che lì dicevano che erano sposati, e i soldi. Non erano avvenenti, né l’uno né l’altra, ma dovevo fare di necessità virtù e accontentarmi di quel che passava il convento. In foto sembrava che lui avesse un bel cazzone, confermando lo stereotipo che i negri hanno il cazzo grosso. Avrei confermato, speravo a breve, il secondo stereotipo: che puzzano. Il pensiero che col suo odore selvaggio mi scopava bagnandomi di sudore, mi eccitava. Sotto questo aspetto dovete leggere le mie parole e niente altro. Non è razzismo, non c’entra nulla.

Lasciai un messaggio privato. I commenti degli altri utenti che li avevano incontrati erano più che lusinghieri, ma poteva trattarsi di mera cortesia.

Telefonai al mio ragazzo, al quale non avevo detto niente dei miei gusti in fatto di gente di colore e non lo avvisai, tenendo per nulla in considerazione, la questione che lui voleva sbattersi una bella figa giovane, anche più giovane di lui e di me, e invece mi ero fatta avanti con una che bella non era e giovane neanche. Non me ne fregava un cazzo: volevo godermela io l’eventuale serata di scambio.

Gli accennai qualcosina, restando molto sul vago, per evitare che, una volta lì davanti a loro, l’altra coppia, il mio fidanzato potesse tirarsi indietro.

Ricevetti la risposta di conferma a un primo incontro formale, il mattino seguente. Non stavo nella pelle. Mi sentivo tutta eccitata!

Mi accordai per vederci quel tardo pomeriggio stesso. Non volevo attendere più del dovuto e speravo di concludere a breve, di andare dritto al sodo dopo le prime quattro inutili chiacchiere di circostanza.

Mi misi in macchina e andai a prendere il mio ragazzo al lavoro. Attesi che uscisse dall’ufficio. Non lo avevo avvisato dell’appuntamento. Non gli diedi il tempo neppure di tornare a casa per farsi una doccia e cambiarsi. Lo condussi direttamente al luogo dell’appuntamento.

Gli altri due erano giù lì. Appena li vide, il mio fidanzato si arrestò di colpo e mi guardò stranito. Lei era peggio di com’era in foto e il marito non aveva l’aspetto di uno in forma. Per quel che mi riguardava: questo poteva essere per noi un punto di vantaggio, nel senso che eravamo più tutto, rispetto a loro: più giovani e belli e questo avrebbe permesso (almeno me lo auguravo) che da lì a qualche minuto sarei stata sotto al negro a farmi ficcare.

Ci presentammo e sedemmo. Ci guardavano intensamente, con un largo sorriso che copriva tutta la faccia. Spiegammo che era la nostra prima volta che facevamo scambio. Fui io e solo io a intrattenere il dialogo con loro.

Come sospettavo: quelli non vedevano l’ora di poter scopare con noi. Suppongo non immaginassero che si sarebbero trovati davanti una coppia tanto giovane.

Approfittai della cosa e tagliai corto. Proposi di appartarci nel parcheggio vicino la stazione e di farlo lì, subito. Non se lo fecero ripetere due volte e ci recammo a piedi al luogo designato.

Mentre camminavamo, lasciai la mano del mio ragazzo e presi sottobraccio il tipo, toccandogli vogliosa il culo. Sua moglie se ne stava impalata e non faceva nulla. Incominciai, così, a toccargli la minchia da sopra i pantaloni. Mi mordevo le labbra quando lo facevo e stringevo forte, tanto che lei mi disse di andarci piano, che non voleva facessi male al suo schiavo negro. Non lo chiamò così, ma fu quello che pensai io.

Gli abbassai la cerniera e glielo presi in mano, tirandolo e trascinandolo dove volevo come fosse un cane al guinzaglio. Già mi aveva bagnato le dita con la sua voglia liquida. Gli altri due si fermarono poco più dietro. Il mio ragazzo palpava le tette mosce che arrivavano alla pancia, di quella milf di merda, mentre lei lo baciava in bocca, leccandogliela in maniera sguaiata e volgare. Mi faceva schifo!

Appena fu possibile e trovai un ritaglio di spazio in cui nasconderci, mi abbassai e succhiai veloce. Lui cominciò a gemere forte. Mai nessun maschio geme come fece lui quando glielo succhiavo. Di solito stanno zitti. Il negro, invece, godeva e me lo faceva sentire. Aveva la capocchia che sapeva di pipì. Si vede che era andato a farla poco prima che arrivassi io. Glielo domandai e me lo confermò dopo un secondo di titubanza. Con la punta della lingua cercavo di allargargli il buchino, facendoci scivolare dentro della saliva. Gli bruciava, perché si tirò indietro e fece una smorfia di dolore. Lo voltai, allora, e la lingua gliela misi nell’ano, leccando tutto il culo floscio. Gliela facevo entrare più dentro possibile, quasi come a volergli pulire il buco del culo. Lui godeva e godeva tantissimo Il cazzo gli era venuto bello duro e, con me che gli stringevo i coglioni, il pene arrivò a grattare con la cappella al muro contro il quale lo avevo fatto poggiare.

La moglie era alle prese con un pompino al cazzetto moscio del mio tipo. Gli succhiava la capocchietta e gli dava dei colpetti di lingua. Il viso del mio fidanzato era sofferente. Aveva gli occhi chiusi e suppongo stesse pensando che a fargli il servizietto ci fossi io o un’altra più avvenente.

Il negro, senza preavviso, sborrò. Io glielo svuotai bene, mi assicurai che lo sburro fosse uscito tutto, completamente, ma di certo non potevo ritenermi soddisfatta: lui non mi aveva sfiorato proprio. Da questo punto di vista, non avevo scelto affatto bene e mi suonavano strani tutti quei commenti positivi sotto al loro profilo sul sito di incontri.

Mi alzai e mi sdraiai completamente su di lui, che era sempre girato di spalle, facendolo finire contro alla parete di fronte. Sembravo una poliziotta che doveva perquisirlo.

Non gli feci perdere l’erezione e proseguì a segarlo. Gli davo delle botte contro il culo nudo, come se volessi incularlo. Gli succhiavo il lobo dell’orecchio e gli ansimavo dentro, sussurrandogli che era un cazzo moscio, un fallito, un negro di merda, un’impotente… così, per provocarlo e avere una sua reazione. Volevo tornasse a essere maschio per far sì che mi prendesse e scopasse come desideravo. Il suo odore acre, la sua puzza, cominciai a sentirla e la cosa mi eccitò ancora di più.

Con l’unghia del mignolo gli entrai nell’uretra e gli allargai la capocchia. Urlò per il dolore. Mi sentì mortificata. La moglie, alle prese con una disperata penetrazione da parte del mio ragazzo a cui rimaneva moscio, mi guardò in malo modo. Arrivai a ficcargli dentro tutto il mignolo e a lui uscirono le lacrime per il dolore. Lo facevo andare su e giù, chiedendogli se voleva che smettessi. Mi implorò di farlo. Gli proposi che se voleva che mi fermassi e che tirassi fuori il dito, mi avrebbe dovuta sbattere e sbattere forte. Non se lo fece ripetere due volte. Mi prese con vigore il braccio e fece uscire il dito dal suo capocchione nero. Non infilò nemmeno il preservativo e, come l’animale selvaggio che era, mi sollevò dal culo, portandomi all’altezza del suo cazzo dolorante. Gli cinsi il bacino con le cosce, lasciandogli libero l’ingresso alla mia fica, che era bagnatissima. Ficcò con prepotenza per vendicarsi di come lo avevo trattato e del male che gli avevo fatto. Sborrò nuovamente, stavolta dentro di me, in una decina di secondi, dopodiché, stremato, cadde a terra, bloccandomi sotto di lui.

Se ne stava, esausto e col fiatone, con la testa poggiata sul mio petto mentre io gli accarezzavo la testa come fosse un bambino da coccolare. Anche la vecchia era riuscita a prenderlo dentro e, dato che lei non attizzava il mio tipo, dovetti aspettare che la chiavata terminasse: trenta lunghi minuti d’attesa!
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Ossessione

Nicolas era davanti lo schermo del pc a farsi una pugnetta guardando il nuovo porno appena uscito di Gabbie Carter, la sua attrice porno preferita.

Le smanettate che si sparava su di lei erano dure, focose. Il sentire quel PAC PAC PAC della mano che sbatteva contro il basso ventre quando l’arto arrivava alla fine della minchia, eccitava persino lui stesso.

Il cazzetto gli restava bello dritto, all’insù e tutte le volte che schizzava (sempre abbondantemente grazie alle tettone della Carter), la sborra gli finiva sulla pancia ma qualche goccia superava il petto, fino ad arrivare in bocca. Nicolas aveva così la possibilità, non essendo un ricchione e quindi non avendo mai fatto un pompino a un cazzo anche più grosso del suo (ci sarebbe voluto poco), di assaggiare dello sperma. In questo caso era fortunato, trattandosi del proprio e la cosa non lo schifava più di tanto, nonostante il sapore fosse acido e salato.

Era ossessionato da Gabbie e dal porno in generale. Se lo menava tre, quattro volte al giorno, d’abitudine, ma, e accadeva di rado, anche di più. Non bisogna però pensare che Nicolas fosse uno sfigato malato di figa perché non poteva averne. Non era un brutto ragazzo ed era affabile e simpatico. Semplicemente si ammazzava di sane pugnette perché gli piaceva godere e in questo nessuno ci troverebbe nulla di male, tranne, forse, qualche bigotto rompi palle.

Restando sul tema delle palle, Nicolas ce le aveva ben proporzionate e sode, non flosce e pendenti, come quelle di molti. Oscillavano con grazia, si potrebbe dire, quando si segava. Amava legare a queste un laccio di scarpe, isolandole dall’attaccamento col cazzo, così da renderle più sensibili ed accentuando in questa maniera il proprio piacere. Ci sapeva fare con l’auto erotismo, era indubbio. Si conosceva bene, alla grande, direi.

Il motivo per il quale, però, Nicolas era particolarmente legato sessualmente alla Carter, non erano solo le grandi tettone naturali, ma il viso di lei. Il fatto che la ragazza fosse di bell’aspetto importava poco, o, comunque, non era fondamentale. Tutte le attrici porno sono delle fighe assurde, ma questa aveva qualcosa di unico, unico per Nicolas, si intende. Assomigliava in maniera imbarazzante, incredibile, a una sua amica di cui era da tempo invaghito e alla quale non aveva mai avuto il coraggio di dichiararsi. Solo il viso era uguale, il fisico un po’ meno e di certo le tette, la loro misura, era ben distante: una, la Carter, una quinta naturale, Carmen, la sua amica, una seconda piena.

Nicolas si faceva un sacco di pugnettoni anche e soprattutto su Carmen. Prendeva le sue foto dai social, quelle in costume e i primi piani del viso, le stampava e ci sborrava sopra chiamandola puttana, troia e dicendogliene di tutti i colori.

Da quando aveva scoperto, poi, che Gabbie le assomigliava così tanto da poter pensare che fossero delle gemelle, causa pure la medesima età, separate alla nascita, gli sembrava di veder scopata di brutto la sua amica, che di cazzi prendeva solo quello del fidanzato storico, uno che, a detta di molte, era un vero e proprio stallone con un palo davvero notevole e che in paese se l’era scopate quasi tutte, anche quelle sposate. Leggenda, verità? Forse la giusta risposta sta nel mezzo, come sempre. Ma di questo poco ci importa e quindi non ne parleremo più.

Un’altra cosa, c’era, che Nicolas amava fare per farselo venire in tiro: mettere di fianco le foto della Carter con quelle di Carmen, la sua amica e schizzarle contemporaneamente.

Il giovane aveva una ragazza, stavano insieme da qualche mese. Lei era brutta, sovrappeso, ma serviva a Nicolas per sfogarsi. Dato che era una tipa che gli faceva il filo da tempo, non fu difficile per lui usarla per i suoi scopi. Infatti, quando la chiavava, la chiamava Carmen o Gabbie. La poverina sapeva chi era la prima ma ignorava chi fosse la seconda, la sua identità e professione, soprattutto. Si sentiva mortificata nel vedere che la persona con cui stava, ogni volta che la penetrava chiudeva gli occhi, non la guardava mai e abbassava le palpebre, immaginando di ficcarlo a Gabbie o, peggio ancora, a Carmen. Lei lo lasciava fare. Provava un sentimento per lui e quindi accettava suo malgrado la situazione pur di compiacerlo.

Della pornostar, Nicolas aveva comprato, pagandolo un sacco di soldi e facendoselo venire dall’America, un masturbatore con alla base il calco in lattice della vera figa di Gabbie. Ficcare il cazzo lì dentro significava, almeno in parte, ficcare il cazzo dentro la vagina della sua attrice porno preferita. Non era a conoscenza se Carmen avesse un ciunno simile, ma faceva lo stesso.

Tra i vari blog che Nicolas frequentava e a cui era iscritto, blog a sfondo pornografico, ce n’era uno che era il più popolare e visto il numero importante di utenti, c’erano diversi thread di gente che si offriva di pisellare o tributare, o meglio ancora, video tributare, foto, non per forza di nudo, in cui si vedeva il viso o la figura intera della tipa di turno da sputtanare. Molti degli annunci erano di persone poco o per nulla serie, in quanto si facevano mandare gli scatti solamente per vedere la ragazza e poi non restituivano la foto pisellata o tributata.

Dopo una lunga ricerca, Nicolas riuscì finalmente a realizzare il suo sogno. Carmen non eccitava solo lui, ma anche altri utenti e questi si divertirono a poggiare la capocchia contro la bocca, le tette in costume della perversione, ossessione del ragazzo. Nel vedere quanto richiesto, Nicolas non poté fare altro che impugnarlo e sbatterselo con foga con la mano, come se non ci fosse un domani. Il liquido pre seminale gli aveva lubrificato la cappella a tal punto che dei schizzi gli volavano via a ogni colpo e un filo biancastro cominciò a scendere giù, sempre più giù, senza mai staccarsi, fino ad arrivare a toccare terra. Come se non bastasse. Telefonò alla sua fidanzata, al lavoro in quel momento, faceva la cassiera in un supermercato, e le disse quanto stava facendo. Lei dovette allontanarsi un minuto per stare al cellulare, rischiando il posto, e consentire al suo fidanzato di farsi una pugnetta.

La chiamava Carmen e le diceva che si stava segando su di lei. Dall’altro capo del telefono, la giovane quasi piangeva. Mai era stata umiliata così tanto e si domandava il perché stesse ancora con un tizio a cui di lei non importava nulla ma che la usava come zerbino per le sue perversioni.

Nicolas ansimava di pancia al telefono e muoveva il bacino come se stesse scopando, ma il cazzo gli entrava e usciva dalla sua stessa mano.

Era lì lì per sborrare ma si tratteneva, voleva godersele a lungo le foto che aveva ricevuto. Il pensiero che Carmen avesse fatto eccitare altri uomini, rendendoli dei porci, lo esaltava mandandolo in estasi.

Gli occhi ruotarono all’insù e un potente schizzo colpì i fogli che aveva stampato, spostandoli, tanto fu rude il getto. Lo sburro continuava a uscire a fiotti e Nicolas lasciò cadere a terra il cellulare, mentre con la mano libera, istintivamente arrivò a stringere i coglioni, come a volerli strizzare per far uscire fino all’ultima goccia.

Quando ebbe finito, era esausto, aveva il fiatone. Raccolse da terra il telefonino. La sua ragazza era ancora in linea. Senza dirle nulla, riagganciò. Non era orgoglioso di quanto aveva fatto. Non solo per quanto riguardava la fidanzata, atteggiamento orribile, ma anche per le commissioni sulle foto di Carmen, che la sputtanarono in rete.

Si sentiva in colpa e non sapeva come rimediare, né se era possibile farlo. Paventava che la cosa avrebbe potuto creargli dei problemi con la legge.

Quasi come fosse un medicinale, una cura, prese il masturbatore e ci ficcò con difficoltà dentro il cazzo moscio. Accese il pc e selezionò a caso un video della Carter. Non voleva pensare a quanto fatto poco prima e cercava delle distrazioni.

Riprese a masturbarsi ma il piacere era stato sparato via qualche istante prima. Riuscì lo stesso, pure a cazzo moscio, a sborrare una seconda volta ma questa seconda volta non gli diede soddisfazione alcuna!

Ci dormi su, speranzoso che al risveglio il suo stato d’animo sarebbe stato migliore e che quel peso sullo stomaco se ne sarebbe andato.

Si destò nel tardo pomeriggio. Diede un’occhiata ai social e su Instagram notò che Carmen stava facendo una diretta. Trasmetteva da un evento poco lontano da casa di Nicolas. Lei si vedeva e non vedeva, dato che girava e rigirava la cam dal suo viso a quanto stesse assistendo. Aveva un top bianco un po’ scollato. Fu sufficiente a Nicolas per farglielo divenire turgido una terza volta e a farglielo scapocchiare nuovamente. Chiuse e si ricollegò con un altro account, uno che usava per seguire attrici porno e sexy star o per mandare messaggi di natura molesta a questa o quella ragazza, con tanto di foto del cazzetto in tiro.

Lasciava dei messaggi spinti sulla chat pubblica. Non essendo Carmen una vip o una influencer, ma avendo il profilo pubblico, senza alcuna restrizione, gli utenti che si erano collegati per vedere la sua diretta non erano tantissimi e ancora meno quelli che le scrivevano, quindi tutti potevano leggere quanto Nicolas le inviava, dato che il contenuto non scorreva via rapidamente.

Carmen lesse i messaggi ma non fece nulla per bloccare chi glieli spediva. Nicolas, che era certo che sarebbe stato bloccato, si eccitò oltremodo quando vide che così non fu e incominciò a pensare che a lei, essere trattata pubblicamente a quella maniera, piacesse.

D’improvviso il cazzo prese una bella erezione e tornò duro come se in quella giornata non avesse sborrato mai. Nella chat si potevano leggere solo messaggi offensivi e porci. Stranamente, Carmen faceva finta di non badare a quel che le stavano inviando e fece in modo di mostrare, così come le veniva chiesto, il top, o meglio: la scollatura del top. Si intravedeva il canale delle tette. Forse era vero che attizzava anche lei sapere di essere una tipa provocante, di essere una desiderata.

Visto che l’evento era un evento musicale, Carmen cominciò a saltellare. Le bocce principiarono a ballonzolare facendo uscire, seppur di poco, l’areola, la parte alta dell’areola, dal reggiseno. Nicolas stava registrando la diretta era intenzionato a sputtanarla e mettere il contenuto su internet.

Oltre gli insulti, per giungere all’orgasmo, il ragazzo accese il pc e avviò un porno di Gabbie Carter. Sentire la sua attrice preferita gemere mentre sparava una spagnola o lo prendeva in culo e vedere contemporaneamente la sua ossessione, Carmen, in diretta, dove teneva sempre di più la cam sul suo viso e corpo, attendendo nuovi messaggi spinti, facevano viaggiare il braccio di Nicolas a una velocità assurda. Ci diede dentro talmente tanto di brutto che arrivò a spezzare, senza neanche rendersene conto, per la foga, il velopendulo. Il sangue gli scese sulla minchia e sulle mani. Il liquido caldo non fece arrestare il giovane che, nonostante il dolore non voleva perdere l’occasione di schizzare in piena faccia, anche se attraverso uno schermo, la sua ossessione proibita, avendo ora capito che lei, cosa che ignorava fino a qualche istante prima, era una porca vogliosa, che amava essere insultata e sottomessa.

Carmen, in effetti, e non si poteva non notarlo, più leggeva i messaggi di Nicolas, gli unici in chat, e più la cosa la scaldava, tanto che arrivò a mordersi il labbro inferiore.

Nicolas sborrò e l’appiccicaticcio delle mani che era un misto tra sangue e sborra, si riversò in parte sullo schermo del telefonino.

Sfregò il cazzo su questo una volta terminato, come a voler pulire il suo arnese sul viso di Carmen. Passava la capocchia sulla sua bocca, che continuava a mordicchiare il labbro e ad attendere il prossimo messaggio.

Nicolas uscì dalla diretta e, contemporaneamente, anche la ragazza la terminò. Lei non sapeva chi fosse quello sconosciuto che gliene aveva dette di tutti i colori, ma una cosa era certa: gli aveva procurato un sacco di piacere!
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La sorpresa!

Oscar lavorava in finanza: quotazioni in borsa, innalzamenti e abbassamenti dello spread e cose così. La sua era una vita monotona, grigia, stressata. Mai un minuto fermo, sempre in costante movimento, con la mente che viaggiava a velocità inaudita per stare appresso alle aperture delle varie borse e con l’orecchio teso per carpire qualche informazione favorevole che lo aiutasse a concretizzare qualche ben assestato colpo che gli avrebbe fruttato milioni.

In famiglia non andava meglio. Sposato e padre di un bambino di tre anni che vedeva solo per qualche minuto quando la sera, stremato, tornava a casa, e gli dava il bacio della bona notte mentre il piccolo era già da un po’ nel mondo dei sogni. Era cosciente che la sua esistenza dedita totalmente al lavoro, non gli regalava la felicità, anche se il tenore di vita che faceva fare a moglie e conseguentemente, al figlio, non era da tutti. Per quanto riguarda questo aspetto, infatti, era irreprensibile. Si era da tempo auto convinto che servisse questo o solo questo a identificare un padre, un marito, tralasciando completamente la parte umana. Quando discuteva con la moglie non voleva sentir ragioni e metteva perennemente sul piatto della discussione la questione dell’incessante e duro lavoro che permetteva a tutti loro di vivere una esistenza più che agiata. La consorte stentava a riconoscerlo, i suoi occhi si posavano su un uomo totalmente diverso da quello di cui si e innamorata.

Oscar ed Emma, sua attuale moglie, si erano conosciuti qualche anno prima, all’università. Entrambi studenti di economia. Grazie ad amici in comune ebbero modo di frequentarsi, fino ad arrivare a mettersi assieme. Erano tempi diversi, quelli. A parte lo studio e qualche tirocinio per fare praticantato, gli impegni non erano asfissianti e perciò il tempo libero risultava essere abbastanza per trascorrere delle piacevoli ore assieme. Oscar era più gentile, accorto alle esigenze di Emma, più romantico. Si comportava come una qualsiasi persona innamorata e tanto bastava alla sua compagna per essere felice con lui. L’ambizione di egli, però, prese il posto dei sentimenti e quando ebbe, grazie a uno zio, l’opportunità di lavorare per un grosso e importante nome nel mondo della finanza, Oscar mise da parte ogni cosa e si buttò a capofitto nel lavoro.

Il ritorno economico, importante sin da subito, lo convinse che quella era la sua strada, che quello era il giusto modo di vivere.

Lo stress cresceva di giorno in giorno e quando l’uomo decise di prendere in moglie Emma, non lo fece per amore, lo fece perché così era giusto per la società. Non cercava una che gli rompesse i coglioni e quindi la depositò, nel vero e proprio senso della parola, in una casa dorata con tutti gli agi e i comfort possibili. Esaudiva ogni suo desiderio materiale. Lui, nel frattempo, per scaricare tensione e altro, andava a puttane, non quelle da cinquanta euro che sono ai lati delle strade, no, ma quelle che costavano, le puttane di lusso. Il cazzo non gli tirava e par far sì che ciò avvenisse, aveva cominciato a tirare, sì, ma su col naso, per avere una parvenza da maschio e mostrarsi virile alla puttana di turno alla quale, di lui, non importava assolutamente nulla. Questo aveva fatto negli ultimi tempi, Oscar.

Nonostante la giovane età, poco meno di quarant’anni, come un moderno Dorian Grey si era accorto che la facciata di sé che dava all’esterno, per gli atri, coloro che lo incrociavano giorno dopo giorno al lavoro o nei pochi ritagli di vita privata, non corrispondeva alla realtà interiore. Con ciò dovette principiare a fare i conti e tirare le somme della sua vita fin lì vissuta.

Gli oggetti di lusso di cui si circondava, il tenore di vita che aveva, non lo soddisfacevano, non lo rendevano completo, felice.

Un giorno, come ogni mattina, si preparò per andare a lavorare. Scese in garage, salì in macchina e partì alla volta della borsa, dove lo attendeva l’ennesima giornata stressante e confusionaria.

Nei pressi di un semaforo fu costretto a fermarsi e aspettare che scattasse il verde. Il tratto di strada, quel dì, era affollatissimo! Non solo c’erano i soliti che volevano vendere la qualunque, un altro paio di tizi che provavano a pulire i vetri delle vetture, ma, diversamente dalle volte precedenti, si poteva notare una ragazza giovane, carina, vestita in maniera particolare, completamente di bianco, che con calma serafica distribuiva alle persone in macchina e ai passanti, dei volantini. Uno di questi venne dato anche a Oscar. Lo prese senza dargli troppa importanza e lo ripose sul sedile del passeggero, per poi partire quasi sgommando non appena il semaforo fece apparire il verde.

Giunto al parcheggio riservatogli, Oscar afferrò la sua borsa e filò a macinare denaro. Come d’abitudine, per ore non fece che vendere e comprare, gridare dei numeri in una bolgia infernale. Nella pausa pranzo assunse una pastiglia per il mal di testa, che aveva frequentemente a causa, anche questo, del forte stress a cui era quotidianamente sottoposto senza tregua alcuna. Bevve un bicchiere d’acqua, passandosi la mano rimasta libera sulla nuca, massaggiandosi la cervicale. Una smorfia di dolore si palesò sul suo viso non appena le dita sfiorarono quella parte del capo.

Il sole era tramontato quando l’uomo fece ritorno a casa. Stringeva la borsa con la mano destra. Non aveva notato che il volantino vi era rimasto attaccato quando aveva poggiato la ventiquattrore sul sedile del passeggero.

Emma era sul divano. Lo salutò con un filo di voce. Oscar ricambiò, fece una doccia veloce, si preparò un panino che mangiò rapidamente in cucina e poi passò a dare il solito bacio della buonanotte al figlioletto. Preparò dei documenti che gli sarebbero serviti l’indomani e fu solamente allora che si accorse del colorato pezzo di carta. Stranito, non ricordava cosa fosse e perché fosse lì, lesse il contenuto. C’era un nuovo centro massaggi che aveva aperto da poco. Non era molto distate da dove lavorava. Faceva massaggi tantrici. La trovò una buona soluzione momentanea per i suo problemi dovuti allo stress. Magari, un giorno, in un’ora ritagliata tra una cosa e l’altra, avrebbe potuto andarci.

L’occasione, neanche a dirlo, gli si presentò il pomeriggio seguente. Invece di fare la pausa pranzo (non aveva un regolare orario in cui pranzava o cenava), optò di farsi sciogliere un po’ i muscoli, in particolare quelli sopra il collo. Non aveva una chiara idea di cosa fosse un massaggio tantrico, come molte delle persone che frequentava e conosceva.

Giunse al centro benessere. L’interno era completamente bianco ma non eccessivamente luminoso. Una donna sui cinquant’anni con una lunga treccia che arrivava quasi ai piedi, gli si avvicinò non appena ebbe varcato la porta d’ingresso. Gli diede il benvenuto e si fece dire cos’è che Oscar stava cercando. L’uomo venne accompagnato in una stanza in cui la luce era ancor più soffusa e fatto spogliare. L’interno di quel centro massaggi era composto unicamente da donne che vi lavoravano, ognuna con un’espressione serena in volto, rassicurante, di bell’aspetto. Non immaginava di doversi mettere completamente nudo! La cosa lo imbarazzava un po’ ma era comunque felice perché era circondato da ragazze giovani, tre, più la proprietaria, più anziana, che andò via subito.

Oscar venne fatto sdraiare a pancia sotto sul soffice lettino. Quasi subito le tre massaggiatrici si presero cura di lui.

Cominciarono a passare le mani sopra i polpacci e le braccia, facendo pressione e cospargendolo contemporaneamente di olio profumato. Quella all’altezza della sua testa, poggiava la parte del pantalone che copriva la figa, contro la parte alta della testa di Oscar. Questi non poté non notarlo, ma non proferì parola.

Per qualche minuto fu tutto un respirare ritmicamente mentre passavano le mani sul corpo dell’uomo, cominciando ad avvicinarsi alla zona pelvica.

Lo fecero girare. Oscar in un primo momento si rifiutò. Non se lo aspettava. Aveva un’erezione, gli era venuto grosso, davvero grosso e duro (non lo credeva possibile senza cocaina) e non voleva lo vedessero in quelle condizioni. Una delle ragazze gli mise un dito sulla bocca quando egli provò a parlare per dire qualcosa e lo girò.

Il cazzo stava dritto e all’insù, non poggiava sulla pancia. Le tre risero e quella all’altezza della testa principiò ad accarezzargli la faccia, scendendo verso la pancia, facendo in modo che il viso rimanesse tra le sue tette che gli scivolavano sopra gli zigomi, appena appena. Una goccia di liquido uscì dalla capocchia dell’uomo. L’altra, quella che si occupava della gamba destra, gli scappellò il cazzo, tirò anche un po’ di più fin dove il velopendulo teneva, provocando nell’uomo un eccitante piacere di dolore. La terza tizia gli passò le dita umide di olio tra i coglioni, distanziandoli tra loro e massaggiando, facendo pressione sulla massa dura, la ghiandola. Oscar si lamentava, un po’ per il dolore e un po’ per il piacere. A zittirlo c’era sempre la prima massaggiatrice, quella all’altezza della testa dell’uomo, che intanto si era tolta maglia e reggiseno e con le tette penzolanti gli soffocava il viso.

Oscar ansimava e istintivamente si alzava come poteva facendo forza sui glutei, sollevando di poco la pancia. Sempre abbassandogli e alzandogli dolcemente lo scroto, la massaggiatrice fece entrare prepotentemente tre dita nell’ano dell’uomo, che, questa volta, sentì davvero male, ma non aveva la forza per potersi ribellare contro quello che gli stavano facendo: gli piaceva tantissimo.

Indice, medio e anulare entravano e uscivano sempre più velocemente dal suo culo, lasciando della merda sulle falangi della ragazza, la quale non sembrava preoccuparsi minimamente della cosa e né ne era schifata, anzi. Più le dita andavano a fondo, più Oscar si sollevava sui glutei e il cazzo diveniva sempre più duro, turgido, con le vene in vista, che pulsavano. La mano sinistra della massaggiatrice glielo teneva ben saldo, stretto, segandolo duro.

L’altra tizia aveva cominciato a dare dei colpi con le dita contro i coglioni di Oscar. Ormai piacere e dolore erano un tutt’uno. Da ditate a veri e propri pugni, fu un attimo. Con la mano sinistra, la giovane aveva isolato le palle, che le uscivano sopra l’anello che aveva formato con l’indice e il pollice e con l’altra mano, quella libera, sferrava dei possenti pugni sui coglioni di Oscar che era ormai in balìa di un piacere mai provato prima.

La donna all’altezza della sua testa si abbassò i pantaloni, rimanendo a figa di fuori. Strusciava il suo folto pelo contro il naso e la bocca dell’uomo, il quale, con naturalezza, tirava fuori la lingua per poter leccare quanto gli veniva offerto. Lei gliela mise in bocca, tutta, muovendo rapidamente il bacino e lasciando che il suo orgasmo finisse direttamente in gola a Oscar, che soffocò non appena fu costretto a bere, tanto che il liquido e la crema bianca gli scivolarono dai lati della faccia.

Le tre dita che gli venivano ficcate in culo avevano allargato l’ano, facendolo rilassare ed elasticizzandolo. Pian piano le dita divennero quattro, poi fu l’intera mano ad essere inserita nel culo, fino a metà braccio. Il fisting, Oscar, non lo aveva mai provato ma sentirsi un braccio fin dentro la pancia gli fece pisciare un sacco di liquido pre seminale. La capocchia era lubrificatissima si scopriva con sane manate che era un piacere. Tutto ciò era accompagnato dal ritmo dei forti pugni sui coglioni, divenuti, senza che l’uomo neanche se ne accorgesse, sensibilissimi, più di quanto non lo siano normalmente. Non sentiva più dolore ma solo estasi.

La massaggiatrice all’altezza del suo capo gli si era sdraiata completamente sopra, facendo in modo che la figa restasse perennemente nella bocca di lui. Lei, dal canto suo, mordeva la cappella, allargando il buco dentro il quale ficcava la punta della lingua e, in un secondo momento, l’unghia del mignolo e il mignolo tutto, spalancando l’uretra e facendo scendere il dito fin dove riusciva. Ogni movimento delle tre divenne velocissimo e chi masturbava ci dava dentro di brutto.

Appena Oscar diede segno di stare per sborrare, la ragazza levò il dito da dentro la capocchia, liberandola e lasciando che lo schizzo potesse uscire con prepotenza. L’eiaculazione fu un vulcano di seme bianco che sporcò le massaggiatrici. I coglioni si andavano svuotando man mano che venivano colpiti dai pugni.

Così come era cominciato, il massaggio giunse al termine. Oscar era stato sottomesso da tre grazie che lo avevano guidato verso il piacere supremo in una maniera a lui sconosciuta. Passivo, aveva subito ogni cosa che gli avevano fatto.

Lo lasciarono lì, disteso sul lettino a riprendersi dal piacere. Non sappiamo se Oscar, da quell’esperienza, incominciò a essere un uomo migliore, certo è che i mal di testa, da qual momento, non si fecero vivi per un bel pezzo!
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Nicolas, il mio schiavetto

Per diverso tempo avevo lavorato saltuariamente per vari siti che offrivano servizi di sesso virtuale a pagamento. In altre parole: ero stata una cam girl.

Una volta, all’inizio di questo fenomeno, ci si nascondeva il viso per mantenere celata la propria identità, ma, come sempre accade, quando qualcosa che in un primo momento appare come scabroso diviene di dominio pubblico e lo si conosce meglio, quel velo di ipocrisia cade e tutto diviene più naturale e accettato dalla gente.

Fu così che, non avendo un lavoro ed essendo una a cui piacciono i soldi e guadagnarli in maniera facile, decisi di intraprendere questa carriera… sì, carriera, perché bisogna saperci fare se si vuole avere successo e intascare del denaro. La concorrenza è spietata e bisogna sapere emergere. La testa la si deve usare anche per fare la cam girl. Non avviene tutto in maniera semplice e scontata.

Trasmettevo, da principio, con una certa frequenza. Dovevo crearmi un seguito, perciò mi facevo trovare on-line sempre alla stessa ora e per la stessa durata di temo di una trasmissione. Avevo incrementato la pubblicità sui miei social, dove segnalavo a chi mi seguiva, puntualmente quando ero in trasmissione.

Facendo tutto ciò, arrivarono i primi soldi e potevo viverci tranquillamente fino a fine mese, pagando affitto, bollette eccetera. Non potevo definirmi benestante, ma era già un primo passo: avevo cominciato col piede giusto.

Più il tempo passava, più la mia popolarità cresceva e, di conseguenza, i soldi che mi entravano in tasca. Arrivai a guadagnare anche cinquemila euro al mese. Bel risultato, no?

Ci fu un periodo d’oro in cui, presa dalla foga e dall’eccitamento del denaro, dal mio esibizionismo e dal fatto che sapevo che dall’altro lato c’erano migliaia di persone che ansimavano e si masturbavano guardandomi, il sentirmi come una puttana o un’attrice porno, entrambe pagate per dare piacere, godevo duro solo sfiorandomi e regalavo agli utenti che erano miei fans, piogge di liquido che mi schizzava dalle cosce come niente. Però, per ogni cosa c’è un inizio e una fine e lo stesso avvenne per quell’esperienza, vecchia ormai di un due, tre anni.

La faccenda era divenuta monotona e soddisfare continuamente le medesime richieste, cominciava a essere stancante. Fu così che, quasi da un giorno all’altro, abbandonai tutto e taglia la mia vita da cam girl con un clic, cancellando ogni account che mi collegasse alle pagine su cui lavoravo ed eliminando, ovviamente, pure gli account delle piattaforme che mi ospitavano.

Avevo messo da parte un bel gruzzolo e fu con quello che aprì un’attività. Ma questa è un’altra storia.

Intrapresi il mio nuovo lavoro con passione e interesse ma forse, però, sono una tipa che si annoia facilmente e vuole sempre vivere qualcosa di nuovo o comunque, di intenso, più che nuovo.

Come un cane che si morde la coda, incominciai a sentire la mancanza, non tanto dei soldi, di quelli ne guadagnavo abbastanza anche con ciò che facevo per vivere, piuttosto di essere desiderata, voluta ardentemente, essere una sorta di oggetto del desiderio proibito di chi mi seguiva e guardava sparandosi dei pugnettoni belli duri e sani, che terminavano con una densa sborrata sullo schermo, vale a dire: su di me. L’unico problema che mi impediva di riprendere a fare show in cam, era quello, proprio, di vederlo come un lavoro e il dover avere degli orari, che per quanto flessibili, erano pur sempre degli orari da dover seguire, a tenermi lontana dal tornare sulle scene del web a figa spalancata e tette toste di fuori. Del mero guadagno in sé non mi importava granché, però anelavo il poter vedere chi mi stava davanti mentre me lo facevo fissandolo attraverso quel mezzo freddo che è l’occhio della telecamerina posizionata sul mio pc. Indipendentemente che il tizio che mi stava davanti fosse vecchio o giovane, bello o brutto, magro o grasso, impazzivo al solo pensiero di accertarmi, perché lo vedevo, che stava godendo per me. Non era necessario doverci parlare o chattare, certo, interagire sarebbe stato meglio, è una cosa che adoro, però non fondamentale. Fu per questi motivi che mi misi alla ricerca di siti internet di video chat in cui ci si poteva mostrare nudi, qualora lo si fosse voluto. La ricerca non fu affatto difficile. In ognuno di questi siti ci sono un sacco di uomini (donne molte meno) che ce l’hanno già tutti in mano, pronto all’uso e perciò c’è l’imbarazzo della scelta, cosa che mi permettevo di fare, ma ci arriveremo un po’ più avanti.

Ero tornata sulla piazza, però in maniera gratuita e per procurarmi solo piacere fisico, sensuale e sessuale. Volevo sentirmi porca ed essere trattata come una pezza da piedi dai maschi che avrei incrociato nella mia ennesima avventura virtuale.

Essendo la pagina web che avevo scelto particolarmente avvezza al ban facile, ero obbligata ad adottare un atteggiamento iniziale, soft. Mi facevo trovare davanti lo schermo con una canottierina o una maglietta dai colori chiari, tanto da sembrare trasparente, senza reggiseno, coi capezzoli che sparavano in avanti, avendoci io due bei piercing che me li tengono costantemente duri e facili alla eventuale succhiata da parte di un fortunato tipo a cui decido di concedermi. Viso in bella mostra, come sempre, e mano che già scivolava tra le cosce e sgrillettare una figa umida e pronta da tirare fuori all’occorrenza.

Il primo giorno mi sarò fatta una trentina di uomini, senza riuscire ad avere un solo orgasmo a causa della loro poca capacità di trovarsi di fronte una donna determinata e vogliosa, intenzionata a fare di tutto, di tutto davvero, anche se solo in cam, per loro e con loro.

Non riuscendo a trattenersi, le schizzate partivano rapide. L’atto terminava nel giro di un paio di minuti, nei casi più fortunati. Per altri, causa il forte imbarazzo, nemmeno si drizzava ma avevo imparato che in questi situazioni particolari, bastava rendere evidente l’impasse e insultare, umiliare senza pietà il partner. Questi, sentendosi sottomesso, ha la medesima reazione di quando, per farlo venire duro al tipo con cui si deve scopare dal vivo, gli si lecca l’ano o, meglio ancora, gli si ficca un dito nel culo, sditalinandolo a dovere e avendo così una bella reazione grazie alla stimolazione costante della prostata. Me la cavo a eccitare gli uomini, lo ammetto: è un vanto per me!

Registravo ogni trasmissione. Adoravo riguardarmi e masturbarmi (riuscendo finalmente a venire) tenendo gli occhi fermi sulla mia immagine immortalata in quei filmati di pura porcaggine. Ero davvero sensuale!

Col trascorrere del tempo la noia tornò a essere padrona delle mie galoppate in rete. Non mi bastava più solo darci dentro con foga per essere soddisfatta. Quel che mi era mancato fino a quel momento era la quasi totalità, la mancanza, l’assenza di interazione. Non volevo parlare con chi mi trovavo davanti, ma essere complici in qualcosa dal punto di vista sessuale, mentre lo facevamo, che ci fosse una sorta di feeling, legame. Fu così che decisi di adottare un atteggiamento maggiormente soft.

Cominciai a escludere quelli a cazzo in mano o nudi. Si capiva quali erano quelli vogliosi (tutti, in sostanza) e quelli troppo timidi (altri che venivano scartati). Mi soffermai di più su coloro che se lo menavano, è vero, ma che mostravano il viso e capivi ciò che facevano dal fatto che notavi distintamente il braccio muoversi, fare su e giù. Li approcciavo con un sorriso e provavo a farli resistere, trattenendomi anche io, in maniera tale che il divertimento sarebbe stato più duraturo. Li obbligavo a parlarmi, parlarmi, non: scrivermi. Se avessero chattato sarebbero state troppe interruzioni. Fu in una di queste esperienze, devo dire molto belle e soddisfacenti, che conobbi Nicolas. Un ragazzo, a detta sua, di appena diciotto anni. Magro, non fisicato ma che se lo scapocchiava a dovere, con gusto. Essendo io più grande di lui di nove anni, potevo manovrarlo come più mi piaceva. Ubbidiva a qualsiasi cosa gli chiedessi: dal ficcarsi le dita in culo al leccarsi le dita sporche di merda, dal prendersi a pugni nei coglioni a pisciarsi sulle mani. Sia ben chiaro: io facevo lo stesso per lui, solo che non era un ragazzo che avesse molta fantasia, data la giovane età e un’esperienza limitata. Ci scambiammo i numeri di telefono, col tempo, anche skype e i vari social per rimanere in contatto. Sapevamo qualcosina l’uno dell’altra. Io spiavo le sue foto e i suoi aggiornamenti e penso che Nicolas facesse lo stesso nei miei confronti. Messaggiavamo su whatsapp. Proprio su whatsapp avanzai la richiesta di spedirci foto piccanti e così proseguì per alcuni mesi con la pretesa di ricevere quasi ogni giorno foto del suo cazzo in tiro o moscio, mentre faceva la doccia o anche mentre cacava, con lo stronzo che gli usciva dal culo. Sì, sono un po’ perversa ma queste cose estreme mi eccitano. Ho tutte le sue foto in memoria e una cartella su google drive, così da essere certa di non perderle. Arrivai a fargli infilare una sottile asticella metallica dentro l’uretra. Si vedeva la capocchia che si apriva in due, che si allargava. Gli avrà fatto sicuramente malissimo ma il mio giovane schiavetto mi accontentò senza battere ciglio. Le istantanee in cui non si vedeva il viso le misi su internet in molteplici siti, senza chiedergli il permesso, così, per tastarne l’eventuale successo e leggere i commenti. Ricchioni ma anche puttane varie o presunte tali, lasciarono un’infinità di commenti, tutti positivi, Su quelli mi ci feci un sano ditalino. Mi stimolava un sacco leggere della loro voglia per lui.

Confesso che la mattina, quando accendevo il cellulare, accorgermi che l’icona di whatsapp segnava un numerino, mi auguravo perennemente che il messaggio fosse di Nicolas e che ci fosse una sua foto. Conosceva i miei gusti, ormai, ma mi chiedeva sempre di più, per sperimentare, si vede.

Gli mandai in regalo, per il suo compleanno, un grosso cazzone in lattice, di quelli con la forma animalesca. Per essere dettagliati: quello del kraken. Era davvero grosso.

Il dono gli costò un bel po’ di imbarazzo e difficoltà, dato che viveva coi suoi e nascondere una cosa del genere può essere ingombrante e, se questa fosse stata scoperta, insomma, non sarebbe stato facile spiegarla.

Gli spalancò il buco del culo! Quando mi arrivarono le foto non stavo nella pelle. Mi doleva la pancia dalla voglia di spararmici un ditalino sopra. Dovetti trattenermi per tutta la mattinata in quanto ricevevo clienti nella mia attività e non potei sfogarmi come volevo. Un supplizio terribile. Avere coscienza che le foto ti sono arrivate e non poterle guardare.

Appena ebbi finalmente l’opportunità, me la menai di forza, come altre pochissime volte in vita mia. Il buco di Nicolas era spaccato. Lo avevo aperto, sì, ero stata io col mio cazzone che gli avevo regalato. Me lo stavo inculando io e a lui questo piaceva. Lo avevo sottomesso ben bene e non fiatava. Soffriva, lo so, perché fa male, ma notare che oltre alla sua minchia in tiro aveva quel coso nel culo, mi riempì di gioia: lo stavo facendo godere e godere di brutto. Lo chiamavo: la mia puttana. Così lo registrai nella mia rubrica.

Non ci sentiamo da un po’, ormai, perché, come già detto in precedenza: le cose, tutte le cose, prima o poi scemano, terminano, finiscono. Ammetto che, quando sono sola e ho voglia, mi capita che, invece di sbattermela guardando un porno o trasmettendo in cam, mi connetta con uno dei siti su cui ho postato le foto, legga i commenti, sempre di più e più spinti e mi infili il braccio dentro la figa, il mio braccio, fino a metà. La voglio sentire bella larga e dato che io il cazzo del kraken o quello di un cavallo non ce l’ho, mi limito a mettere dentro il mio arto ben lubrificato da una pisciata, fino dove riesco ad arrivare. In fin dei conti, se ci pensate bene: sono una che si accontenta di poco e che fa di necessità virtù!
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Al ritorno da una serata con gli amici

Proprio questa estate, stavo rientrando a casa con degli amici. Avevamo passato una serata piacevole, passeggiando sul lungomare e chiacchierando: cosa che consideravamo normale prima della quarantena.

Sono una a cui piace ficcare, lo ammetto. Scusate la franchezza, ma non ci sono giri di parole per descrivere le mie pulsioni sessuali. Non credo, anzi, sono certa di non essere l’unica, solo che io lo dico liberamente, senza indossare delle maschere perbeniste che mi stanno sul cazzo.

Non vedevo un ragazzo da mesi.

Non sono fidanzata, non più da un pochino e quindi potevo esprimere la mia sessualità come meglio credevo e, nonostante questa mia breve presentazione, devo chiarire una cosa: non sono una che va con tutti. Sono, naturalmente, selettiva. Posso permettermelo, essendo carina.

Come se non bastasse, nella mia zona, ci sono stati problemi di connessione dovuti a guasti di vario tipo, non saprei entrare nello specifico, e spararsi un sano ditalino guardando un porno, o cercare qualcuno o qualcuna a cui mostrarsi su una video chat, non è stato possibile.

Dopo un primo imbarazzo su ciò che fino a qualche mese prima ritenevamo gesti assolutamente nella norma, abbracciarci era divenuta una cosa da evitare. L’essere umano è tale perché cerca il contatto fisico e mai prima di allora avevo provato tanto piacere nell’essere toccata. Non toccata in un punto intimo, solo sentire il corpo di un altro contro il mio. Mi eccitai all’istante. I miei amici non hanno canoni estetici che considereremo aggraziati, tutt’altro e poi sono amici, quindi li vedo come fratelli e non mi riesce di farmi ficcare, però, schiacciare le mie tette contro i loro toraci flosci, appoggiare la figa calda contro il loro cazzo moscio, mi eccitò enormemente, tanto che divenni tutta rossa e cominciai a sudare. Anche se i pantaloni facevano da intralcio, desideravo sentire quel bozzetto moscio contro la mia fica già umida, inaspettatamente per un contatto come un abbraccio. Non credo di essermi tanto avvinghiata a loro come in quella serata posta quarantena. Sono arrivata a poggiagliela anche contro al culo, cingendo la pancia con le braccia e facendo scivolare gli arti fin sopra il cazzetto, così, come per caso, cercando di sfiorarglielo, sempre da sopra i pantaloni. Premevo continuamente con le tette contro le oro schiene, a turno, mi sono appoggiata su tutti. Inconsciamente, ma nemmeno tanto speravo che almeno uno di loro lo tirasse fuori e me lo ficcasse duro in figa, ma ciò no avvenne. Li riempì di baci sul collo e non potei notare l’imbarazzo loro e degli altri amici che non capivano cosa mi stesse succedendo. Erano a conoscenza della mia libertà sessuale. Due di loro, in passato, erano rimasti di guardia all’uscita di un locale, piuttosto che per strada, mentre mi facevo sbattere a dovere dal tizio di turno rimorchiato poco prima.

Avevo le gote rosse e non ce la facevo più dal caldo e dalla voglia che mi spingeva a fare qualcosa. Il problema restava il distanziamento. Se qualcuno non si può avvicinare, difficilmente riuscirai a fargli capire ciò che aneli.

Pure le coppie che passeggiavano mano nella mano per strada mi facevano figurare in testa strane voglie da soddisfare. Mi ero convinta di essere un’ossessa. Mai prima mi era successa una cosa simile e che si faceva largo con tanta prepotenza nel mio ventre.

Appena ci fermavamo, mi strusciavo sulla qualunque per cercare di sedare la mia voglia. Avrò consumato non so quanti spigoli dei muri. Farà ridere la cosa, ma davvero mi ci poggiavo con forza e il tutto mi dava piacere.

Non potevo continuare ad andare avanti così. Mi mordevo le labbra a ogni passo che compivo.

Ci sedemmo a un tavolino sistemato all’aperto. Prima di ordinare chiesi al cameriere se era possibile andare in bagno. Mi disse di sì. Una volta dentro mi abbassai i pantaloni e le mutandine. Facendolo, dalla figa a questa c’era un filo di liquido bello denso che non voleva saperne di rompersi. Sorrisi.

Cominciai a fare pipì. L’urina che scendeva mi stimolava la figa incredibilmente divenuta sensibile e istintivamente cominciai a menarmela mentre pisciavo, con la pisciazza che mi lubrificava e schizzava tra le dita. Gli occhi mi si rivoltarono all’indietro. Gli addominali erano contrattissimi. Ci stavo dando dentro di brutto, forse come mai fino a quel momento. E io non sono una grande amante della masturbazione. La pratico pochissimo.

Venni interrotta, per mia sfortuna, sul più bello, proprio mentre stavo per svuotarmi, da un’altra ragazza che bussò alla porta. Non potei fare altro che rivestirmi e liberare il bagno per quella puttana (molto carina, a dire il vero) rompi coglioni, che mi lanciò una brutta occhiata prima di entrare dentro. Ne ignoro il motivo. Forse fu solo una mia errata impressione.

Tornata dai miei amici, consumammo quanto ordinato e decidemmo di andare via da lì. Nemmeno a dirlo: ero più vogliosa di prima. L’interruzione nel momento clou aveva peggiorato di gran lunga le cose!

Continuamente davo il tormento ai miei amici. Volevo toccarli, suscitare in loro una reazione animalesca, ma riuscivano a contenersi molto più di me. Fu uno di quei momenti in cui rimpiansi il fatto che per le donne è più difficile trovare un partner sessuale a pagamento quando se ne ha voglia. I maschi vanno a puttane e risolvono.

Mi misi a parlare di video porno e cose simili, giocando con loro a cercare l’attrice hard che più gli piaceva o la scena che li aveva fatti eccitare maggiormente. Ebbi l’effetto contrario di quanto volevo: la presero a ridere e i film che visionavamo erano un continuo spunto di ilarità. Ci rimasi male per il mio fallimento.

La disperazione mi stava assalendo. Stavo per impazzire. Fortuna che una foga del genere non mi si è mai più ripresentata.

Al ritorno verso casa prendemmo l’autostrada per fare prima. Non la ritenni una buona idea, di macchine in giro ce n’era ancora talmente poche!

Ci fermammo a un autogrill per fare benzina. La pancia mi stava scoppiando. Non stavo ferma con le gambe. Dovevo svuotarmi o rischiavo di esplodere. Ero tutta una vampata di calore. Scesi senza dire niente e mi diressi verso il bagno.

Appena dentro mi travolse una puzza di urina che quasi vomitavo. Non me ne fregava nulla. Aprì la prima porta, mi infilai dentro, non mi sedetti sul water e, abbassati di poco i pantaloni e facendo passere le dita nelle mutande, cominciai a masturbarmi duro. Volevo e dovevo fare in fretta. Facevo andare la mano su e giù con una velocità pazzesca. Con la mano destra mi tenevo dalla parete poiché al piacere mi piegavo continuamente sulle ginocchia. Provai un po’ quella sensazione che si ha quando ci si gratta per una puntura di zanzara. Un piacere incontenibile che tocca il cervello.

A stento trattenni dei gemiti di piacere. Mi ero accorta che nel bagno accanto al mio ci doveva essere una tizia che stava cacando, sentivo la puzza di merda, oltre che udire i versi a causa dello sforzo.

Mi lasciai andare del tutto e cominciai a sgrillettami a dovere, godendo a piena voce. Quell’altra, sicuramente sorpresa di quanto stesse avvenendo, mi chiese se andasse tutto bene. Io nemmeno le risposi e continuai a menarmela con furia. Il momento dell’orgasmo fu qualcosa di eccezionale. Una schizzata rude e forte contro la porta. Si sentì lo schizzo grattare sopra il legno. Parti del mio stesso liquido rimbalzarono sull’uscio e tornarono indietro, bagnandomi i vestiti e lavandomi la faccia. Tirai fuori la lingua e assaggiai il mio sapore: faceva davvero schifo, ma ne avevo tanta, tanta voglia.

Ero esausta. Le gambe mi tremavano e dovetti sedermi sul cerchio della tazza completamente sporco di pipì mista al mio liquido. Mi doleva il basso ventre tanto furono dure le contrazioni. Avevo il fiatone ma ero pienamente soddisfatta.

Mi risistemai come meglio potei e uscì da lì, fermandomi ai lavandini per sciacquarmi mani e faccia. Fu in quell’istante che uscì anche la ragazza che stava cacando. Mi guardava con uno strano ghigno sul viso. Io ricambiai ma senza mai fissarla direttamente, per quello usai lo specchio che avevo di fronte, che copriva l’intera parete. Mi si mise di fianco e incominciò a lavarsi le mani. Si vedeva lontano un miglio che le piacevano le donne ma era arrivata troppo tardi, un’istate prima e mi sarei fatta fare tutto quello che mi avrebbe chiesto. E io sono una che odia ricchioni e lesbiche, vi ho detto tutto. Per sua sfortuna non poté sfruttare quel mio momento di debolezza, lesbica di merda.

Con un’altra espressione in viso me ne tornai dai miei amici che pensarono fossi scappata in quella maniera in bagno perché mi sentissi male. Li tranquillizzai e risalimmo in macchina. Il mio atteggiamento nei loro confronti era cambiato. Se ne accorsero all’istante, anche se ignoravano il perché di quel mio attaccamento morboso nelle ore precedenti.

Tenevo la mano sulla pancia, che continuava a dolermi. Non dovevo avere un buon odore. Non so se vi è mai capitato di fare caso all’odore dell’orgasmo femminile. È particolare. I miei vestiti e capelli ne erano zuppi.

Sul sedile di dietro, visto che ero l’unica femmina, mi facevano sedere sempre in mezzo, cosa che io ho accettavo volentieri poiché mi piaceva recitare il ruolo della sottomessa. Se vai con gli uomini devi fare la donna, quindi sei passiva e fai quello che ti chiedono di fare, senza tante parole inutili e puerili.

Cominciarono ad annusarmi. Io non dissi nulla. Mi limitai a guardarli, in silenzio. Suppongo che ebbero, anche se solo vagamente, l’idea di quello che poteva essere quel liquido di cui ero invasa. La questione fece calare in macchina silenzio e imbarazzo.

La coda dell’occhio mi cadde sui pantaloni del mio amico che stava seduto alla mia destra. Gli era venuto duro! Con una scusa si passò la mano sulla gamba facendo in modo di sfiorarmi la mia con le dita. Io gli presi la mano e, guardandolo in malo modo, gliela rimisi sulla minchia. Adesso giocavo a fare la timida ragazza offesa e che non fa di queste cose. Se soltanto avessero colto i miei segnali durante tutta la serata, mi sarei fatta aprire dai loro cazzi, ma vado in giro con dei coglioni, lo ammetto, anche se sono dei coglioni a cui voglio un mondo di bene.

Aveva intuito, con amarezza, l’occasione che aveva perso. Non gli rimaneva che fare come me: masturbarsi. Prendere il suo bel cazzone duro, scappellarlo e farlo schizzare, magari usando una delle mie foto in costume che postavo sui social per mettermi in mostra e ricevere commenti in privato da sconosciuti, in cui mi mandavano foto dei loro arnesi in tiro, tributi sugli scatti e mi dicevano che volevano chiavarmi, approfittando dell’anonimato dei loro account. Vigliacchi senza palle.

Giungemmo in fine davanti casa mia. Scesi dalla vettura, salutai tutti come d’abitudine, con un bacino sulla bocca e, però, mi tenni una sorpresa finale per il mio amico che c’era rimasto tanto male per come lo avevo trattato: gli passai la mano sul cazzo, una carezza appena, ma lo feci mentre lo guardavo negli occhi. Potei sentire la sua sborrata che inumidiva il jeans. Delle volte basta davvero poco per far contenti gli amici!

Mi voltai e, sculettando vistosamente, mi diressi verso la porta di casa. Giunta sulla soglia mi girai ancora una volta e con sguardo provocante li guardai tutti, uno per uno. Mostrai loro il dito medio, sorrisi e me lo misi in bocca, cominciando a succhiare. Adesso avevo la certezza che avevano capito perfettamente quel che avevo tanto desiderato per tutta la serata e che sarei stata disposta a soddisfare ognuno, se solo fossero stati meno imbecilli e impacciati.

Li lasciai lì, con tanto rammarico e i cazzi grossi, ne sono certa. Come abbiano finito la serata non l’ho mai saputo. Per quel che mi riguarda posso pensare che se lo siano menato a vicenda immaginando che a fare su e giù con la mano c’ero io. Se sia mai avvenuto o meno non lo so e non lo saprò mai, però mi diverte pensare che sia andata così.
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Una serata particolare

Era un desiderio che da tempo stavo coltivando. A trentaquattro anni, mi dissi, forse la passione è maturata al punto giusto da poter essere espressa nel migliore dei modi. Sia ben chiaro: di chiavate all’insaputa di mio marito me n’ero fatta un sacco. Praticamente ero la puttana del reparto frutta al centro commerciale cittadino. Non mi importava chi fosse il collega con cui dovevo fare sesso, se fosse giovane o no, se fosse brutto o piacente. Volevo farmeli tutti e questo feci, ripetendo più volte il giro.

Tra i maschi si vantavano delle loro prestazioni con me, ma ero cosciente che erano davvero scarsi: due botte e schizzata tra le cosce.

Nostro figlio, il nostro unico figlio, non sono ancora nemmeno sicura sia di quel minchione di mio marito. Uomo che ho sposato solo perché avevo appreso mi avrebbe lasciata libera di fare quel che volevo e mi avrebbe dato una posizione.

Essendo la caporeparto, i sottoposti se la tiravano di essersi fatta “il capo”, o meglio: la moglie del capo. Mio marito, l’ameba, è proprietario (grazie agli sforzi e al lavoro del padre) di tre mini market sparsi per la città. In questo, il più grande, dirige le cose.

Lui è più piccolo di me di sette anni. Non ha mai creduto possibile che una donna piacente come me, avesse interesse per uno come lui.

Anche da fidanzati gliene ho messe di corna. Con chiunque. Facevo in modo che a fottermi duro fossero persone della sua cerchia di amici o conoscenti, persone a lui vicine in qualche modo, che potessero riferirgli gli atteggiamenti da zoccola traditrice della sua donna.

Questo non mi bastava più. Il passo successivo sarebbe stato quello di farmi ficcare da più cazzi in tiro possibile, davanti a lui. Non avevo intenzione di chiederglielo, di sapere se fosse d’accordo o meno. Avevo progettato tutto.

Poco lontano da dove vivevamo, in un luogo nemmeno tanto appartato, c’era un prato, un parcheggio abbandonato, per essere precisi, in cui le persone si incontravano per scopare. Uomini e uomini, donne e uomini, scambi, trans. L’idea era quella di andare lì in macchina, scendere e farmi prendere da chi lo desiderasse, anche, soprattutto, senza preservativo, mentre lui guardava, con me che ricambiavo fissandolo negli occhi. Non volevo però si insospettisse: doveva essere una “sorpresa”. Non potevo, perciò, vestirmi con abiti troppo corti, scollati o truccarmi pesantemente. Una camicetta, la giacca e un jeans sarebbero stati perfetti. Avrei guidato io, così da non sbagliare strada e fare in maniera che non potesse non portarmi dove volevo. Insomma: dovevo porlo di fronte al fatto compiuto!

Giunti sul posto sarei scesa, avrei abbassato di poco i pantaloni, mi sarei messa prona con le mani sul cofano davanti e avrei atteso che, a uno a uno, i cazzi avrebbero cominciato a entrare e uscire, sporcandomi di sborra dopo ogni ficcata, sicuramente breve e insoddisfacente, ma non era godere delle minchie dure di quei porci che mi interessava, volevo godere nel vedere umiliato, cornuto e sicuramente eccitato, quell’impotente di mio marito mentre la moglie, e in quell’occasione ne sarebbe stato certo, veniva sbattuta forte da altri, come già in passato era avvenuto, e delle voci glielo avevano fatto sapere.

Ero un po’ nervosa, quella sera, lo ammetto. Un conto è immaginare tutto così come dovrebbe filare, un altro, poi, è la verità, gli eventi che si verificano in base alle nostre azioni.

Mi attizzava l’idea sentire la pancia graffiata dalle capocchie di perfetti sconosciuti, le tette strette fino a farmi male, ma, non avendo una sfera di cristallo, non potevo prevedere la reazione di mio marito. Avrebbe fatto una scenata? Se lo sarebbe menato? Avrebbe fatto a botte con quei tizi? Avrebbe riempito di botte me? Tutte incognite che potevano verificarsi. Nulla era scontato.

Mi vestì in maniera semplice, come prefissato nel mio piano. Passai sulle labbra un po’ di rossetto rosso. Lui era sotto la doccia. In quell’istante mi balenò un’idea niente affatto male. Attesi che uscì. Era nudo. Il cazzetto gli ballava ridicolo tra le cosce. Oltre le statue disseminate in giro nel mondo, mio marito era l’unico ad aveva il pisello più piccolo dei coglioni. Comunque, attesi che si vestì e una volta che ebbe terminato, senza dirgli nulla, mi inginocchiai, lo guardai negli occhi e glielo tirai fuori, cominciando a succhiare la lumachina che, come sempre o quasi, non si drizzò. L’imbecille spingeva, dandomi dei colpi col bacino, come se in bocca mi stesse ficcando il cazzo duro di un cavallo. Nemmeno lo avvertivo. Ero stata soffocata da ben altri calibri!

Lui per godere godeva e questo doveva accadere. Glielo portai al punto giusto. Non lo finì, non lo feci sborrare: mi serviva eccitato.

Tirai indietro la testa, lasciandogli il rossetto sulla cappella. Lui me la strusciò sulla bocca, sbafandomi quel che rimaneva del rossetto. Lo lasciai fare e non mi ricomposi passando un’altra volta il lipstick.

Quell’espressione da puttana da strada mi aveva fatto bagnare i pantaloni. Ero senza mutande e tra l’interno coscia apparvero delle macchie di umido. Mio marito se ne accorse e cominciò a segarsi. Dovetti fermarlo, cosciente che avrebbe sborrato a fontana da lì a qualche secondo. Se così fosse successo, il mio piano sarebbe saltato completamente. Mi veniva da ridere sapendo quello che stavo per fargli e che lui non se ne rendeva conto. Credeva di essere un uomo, ma non era neanche capace di farselo venire in tiro per soddisfare la moglie, che doveva concedersi ad altri, incapaci e impotenti come lui (uomini di merda), per sentirsi quantomeno desiderata.

Mi rialzai e gli bloccai la mano, quando provò a passarla sulle labbra, come a volermi dire di tornare a mettere un altro po’ di rossetto. Capì che non volevo e fu lì, glielo lessi nello sguardo, che intuì appena appena ciò che avevo in mente: qualcosa fuori dal normale. Non poteva nemmeno lontanamente ipotizzare che sarebbe stato uno spettatore ferito a morte e allo stesso tempo eccitato come uno stallone da monta, nel guardare e basta sua moglie ficcata a sangue da altri mezzi uomini.

Rossella, la babysitter, arrivò puntuale come al solito. Notò, non poté farne a meno, la sbavatura sulle mie labbra. Il sorriso da cretina che aveva stampato sul viso, scomparve in un istante. Suppose che avevo sparato una pompa a mio marito e credeva non mi fossi accorta di come ero conciata. Povera stupida! Se mi girava avrei attaccato al muro pure lei e le avrei messo in bocca la figa pelosa, costringendola, tra le lacrime, a leccare e bere ogni goccia che mi avrebbe fatto fuoriuscire.

Mi sentivo su di giri. Un paio di volte avevo anche tirato su col naso un po’ di cocaina, ma quella sera la sensazione che provavo era qualcosa che non conoscevo. Ero bagnatissima e il bello doveva cominciare.

Ebbi una sola accortezza: quella di non baciare sulla fronte nostro figlio, come sempre facevo prima di uscire. Non ci riuscì. A tutto c’è un limite. Il suo visino felice mi riportò alla realtà e tremai al pensiero che le mie azioni, un giorno, avrebbero in qualche maniera potuto nuocergli. Già le voci (veritiere) sul mio conto non erano certo lusinghiere, ma a me non interessava, il brutto sarebbe stato se per causa dei miei atteggiamenti da puttana, mio figlio sarebbe stato umiliato e maltrattato in futuro, dovendosi vergognare di me, sua madre.

Incrociai la mia immagine allo specchio posto sul mobile della cameretta del piccino. Bastò quello per cancellare ogni esitazione. Appresi in quel medesimo istante come mi sarei fatta combinare e a fanculo ogni cosa!

Uscimmo. In ascensore attaccai mio marito alla parete e gli strinsi i coglioni. Lo bloccai col peso del mio corpo, schiacciando il seno contro al suo petto e fermandomi con la mia faccia a pochi centimetri dalla sua. Gli facevo male e gli piaceva. Lo lasciai in pace solo quando la porta dell’ascensore si aprì.

Mi sedetti in macchina dal lato del conducente. Non proferì parola. Gli piaceva questo mio improvviso e inaspettato modo di fare. Gli sarebbe piaciuto meno tra qualche minuto.

Lungo il tragitto non mi disse nulla, neppure quando si accorse che prendevo una strada che non portava al centro città.

Nel percorso che ci avrebbe condotti allo spiazzo, si intravedevano auto ferme poco oltre il ciglio della strada ormai sterrata, segno che eravamo fuori da quella che chiamiamo civiltà e che ci eravamo addentrati nel mondo della perdizione.

Parcheggiai dove c’erano più veicoli. Azionai gli abbaglianti e scesi dalla vettura, mettendomi di culo, con le mani poggiate sul cofano davanti, in bella vista. Non tardarono ad arrivare tre uomini. Dei panzoni di oltre cinquant’anni. Avevano la minchia moscia di fuori. Se la menavano, senza riuscire a farlo indurire. Presi con entrambi le mani i loro cazzetti, mentre il terzo me lo appoggiava contro le natiche. Feci un po’ di volte su e giù, velocemente, e la sborra mi colò sulle mani, densa. Mio marito era pietrificato. Aveva la bocca aperta e non sapeva cosa fare. Certo fu che non fece nulla per impedirmi di comportarmi come stavo facendo.

Fatti sborrare i primi due, feci la stessa cosa col terzo. Anche qui un paio di colpi su e giù con la mano e la sborra mi finì sulla pancia. Nemmeno il tempo di arrivare e ne avevo fatti fuori tre.

Altri due si avvicinarono con la minchia tesa. Questi erano messi piuttosto bene. Uno, il primo, però, sborrò non appena mi inginocchiai per spompinarlo, facendomi schizzare la sua sborra calda sulle tette. Non aveva un bello schizzo. Al secondo riuscì a succhiarglielo per qualche secondo dopodiché, mi sborrò dritto in gola. Mi fece strozzare e vomitai. Non mi piaceva il suo sapore, mi faceva schifo. Avendo capito che in quel punto c’era un puttana in calore, uomini e donne si apprestarono, chi ad assistere e chi a partecipare allo spettacolo.

Iniziarono a entrare e uscire dalla figa, che era un lago, i primi cazzi mezzi mosci di tizi che, senza preservativo, ficcavano e sborravano, come in una catena di montaggio. Qualcuno me lo infilava in bocca, altri me lo mettevano in mano, chi mi palpava le tette mentre mi avevano ormai messa supina sul cofano. Mio marito aveva finalmente cominciato a farsi una pugnetta. Andava veloce col braccio. Non volevo venisse prima che avessi finito gli uomini a diposizione.

Mi sentì ancor più eccitata quando mi accorsi che in tanti mi stavano riprendendo col cellulare. Realizzai che sarei finita su internet. La cosa mi faceva al contempo paura e piacere.

Fino a quel momento non avevo mai immaginato che la mia pancia potesse contenere tutto quello sperma.

Andai avanti per un paio d’ore. Due ore di chiavate da sconosciuti. Probabile che qualcuno mi ficcò anche più di una volta.

Quando mi lasciarono in pace. Non riuscivo a stare sulle gambe. Spinsi col ventre e fece uscire un bel po’ di sborra dalla figa. Mi scivolò tra le cosce. Fu in quell’istante che udì gemere mio marito. Aveva sborrato pure lui. Ero sporca e mi sentivo sporca. Adesso che l’eccitazione era passata, mi vergognavo nel dover tornare a casa in quelle condizioni ed essere vista e giudicata dalla babysitter. Ero ridotta davvero male, peggio di una puttana negra da strada.

Salendo in macchina vidi per la prima volta una piena erezione di mio marito che, nonostante avesse appena svuotato i coglioni, ancora ce lo aveva in tiro. Me lo infilò anche lui. Senti del dolore. Mi avevano aperta fino a pochi secondi prima e un altro cazzo nella patata faceva male. Spinse duro, facendomi sentire che anche lui era un uomo. Gli scivolava dentro con facilità, bagnata com’ero dalla mia eccitazione e dalla sborra di tutti quelli che mi avevano sbattuta.

Me ne restavo inerme a farmi ficcare. Non mi venne in pancia ma sulla faccia, chiamandomi puttana e dicendomi che era lui che comandava. Mi sbatté quella che fino poche ora prima era stato un cazzetto di ridicole dimensioni mai completamente dritto, sul viso, facendomi avvertire che mi stava punendo, bastonando, sottomettendo. Il cazzo ce lo aveva lui e lo avevo capito. Fu l’ultima volta che lo umiliai. Da quel giorno feci tutto ciò che mi ordinava: ero divenuta la sua cagna fedele.
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Mistress Sabrina

Come al suo solito, Sabrina era in ritardo. Quella cena di lavoro era importante. Non che lei fosse l’ospite d‘onore, ma non si fa mai bella impressione davanti al capo se non si è puntuali. L’unica cosa in cui Sabrina sperava era che nessuno si sarebbe accorto della sua assenza e, soprattutto, del suo susseguente arrivo, visto che la cena era su un lido davanti al mare, quindi, all’aperto.
Non era una tipa spericolata in macchina, tutto il contrario, ma quel giorno avrebbe fatto invidia a un pilota di formula uno.
Per armeggiare coi pedali si era levata la scarpe. Aveva calzato le sue preferite: quelle rosse col tacco vertiginoso, che le facevano un culo di marmo, bello alto, con conseguente mal di schiena ma si sa: se belle si vuole apparire, un po’ si deve soffrire!
Fortuna volle che i parcheggi fossero liberi. Non essendo alta stagione, di bagnanti ancora non se ne vedevano e perciò era più facile trovare posto per la macchina.
Accadde ciò che Sabrina aveva sperato: nessuno si accorse della sua assenza ed ebbe modo di intrufolarsi, prendere un bicchiere e cominciare a vagare tra gli ospiti e i colleghi.
Il finger food era a base di pesce, cosa che alla scrittrice non piaceva molto. A causa di questo capitò che bevesse soltanto ed è risaputo l’effetto dell’alcol quando ingerito a digiuno.
Sabrina era già brilla al secondo bicchiere. Incominciò a fare la scema con le colleghe ma non fino a essere molesta.
Le venne presentato da una di queste, un uomo sui cinquanta. Non di bell’aspetto ma, come avrebbe poi saputo in seguito, era uno che aveva insistito tanto per conoscerla, fin da quando aveva posato gli occhi su di lei.
Il tizio era elegante e dai modi raffinati. Dall’apparenza un po’ effeminato. Sicuramente nei gesti, ma pure per quanto riguardava la cura del corpo, l’uso di profumo e un leggerissimo filo di trucco che si notava appena appena, per chi aveva l’occhio allenato.
Lo sconosciuto era piuttosto intraprendente ed eliminò nell’immediato la distanza tra i due, arrivando, con scuse varie, a sfiorare il braccio o la mano dell’interlocutrice. Sabrina notò questa cosa. Era evidente anche per lei che il tizio voleva scoparsela, altrimenti: perché tutto quell’interesse e confidenze?
La ragazza andò in bagno per fare pipì. Aveva bevuto davvero tanto e i fumi dell’alcol principiavano a darle alla testa.
Il wc era unisex per cui non fu certo uno scandalo quando il corteggiatore di Sabrina si presentò là dentro. La cosa che lasciava maggiormente scalpore, o che avrebbe potuto farlo, era che quel gentile signore era già a cazzo duro. Sì, il cazzone era in tiro. Lo si notava chiaramente dal rigonfiamento dei pantaloni.
Sabrina ebbe uno scatto istintivo e gli afferrò la minchia, arrivando a stringergli i coglioni. Il tipo fece una smorfia di dolore che si tramutò in piacere man mano che la scrittrice stringeva e faceva su è giù con l’arto, con i calzoni che facevano attrito, arrivando a grattare la capocchia umida del tipo, che si mordeva le labbra.
La lasciava fare. Era inerme davanti alla sicurezza di Sabrina. Egli se ne stava con le braccia lungo il corpo e la testa chinata all’indietro per il piacere procuratogli.
Sabrina aveva la situazione in pugno, era proprio il caso di dirlo!
Senza lasciargli neanche per un secondo il cazzo, la ragazza si avvicinò alla porta di ingresso del bagno e la chiuse a chiave. Essendo l’unico cesso del locale, la speranza era che nessuno andasse a rompere i coglioni!
La giovane abbassò la zip e tirò fuori appena quel tanto che bastava, la punta della cappella, che strinse tra l’indice e il pollice, trascinando l’uomo verso il muro.
Sabrina non calò i pantaloni al tizio, si limitò a tirare fuori tutto il cazzetto, non era tanto grande, palle comprese, alla quali testò la sensibilità con rapidi colpi ben assestati delle nocche delle dita. A ogni contatto, il tipo faceva dei saltelli e si lamentava per il dolore, non eccessivo, ma pur sempre dolore. Fu solo in un secondo momento che la scrittrice portò l’indice e il pollice della mano destra premendo sul glande e facendo in modo che il buchino si allargasse quel tanto che bastava per infilarci, con fatica, il mignolo dell’arto sinistro. Sabrina aveva le unghie lunghe e quel gesto suscitò molto dolore a colui che era divenuto il suo schiavo. Per la prima volta, l’individuo di cui non rammentava neanche il nome, afferrò il polso della scrittrice, come a volerle dire di fermarsi, ma lei, guardandolo dritto negli occhi, non lo fece.
Portò il dito più giù che potesse, arrivando a ficcare metà del mignolo. Quando lo tirò fuori era bagnato come se lo avesse messo nell’acqua.
La smorfia di dolore sul viso del tizio si trasformò in sollievo.
Il buco era stato aperto e si poteva vedere all’interno. Sabrina ci sputò, così, perché aveva semplicemente voglia di farlo.
Come tute le donne, la parte materna della ragazza venne fuori.
La ragazza accompagnò, senza tante difficoltà, la testa del partner sul suo seno, ficcandola in mezzo alle tette, rimaste nella camicetta ma che stavano su belle sode, nonostante Sabrina non portasse il reggiseno.
Il tipo si attaccò ai capezzoli e cominciò a succhiare. Quelle parti del corpo, già rese dure dai piercing, sembravano due chiodi che spuntavano dall’indumento. Questo, tanto era zuppo di saliva, regalò un’erotica trasparenza che lasciava intravedere il colore rosa chiaro dell’areola attraverso le fibre del tessuto.
Stanca di quell’atteggiamento, La scrittrice, come se avesse agito per farsi perdonare dell’allargamento del buco della capocchia, alzò la gonna e scostò di poco il perizoma, liberando l’ano. Non ci fu bisogno, al fortunato, di capire ciò che la ragazza desiderava e si mise in ginocchio ad attendere. La scrittrice si voltò, gli poggiò le natiche contro la faccia e spinse fino a far sbattere con la nuca contro al muro alle sue spalle, l’individuo.
Questi iniziò a leccarle l’ano e mentre Sabrina lo teneva ben largo per fare in modo che la lingua en-trasse a fondo, il partner gli teneva le mani sui fianchi. La ragazza gliene prese una e se la portò alla figa umida e pelosissima.
Il liquido di piacere gocciolava tra le gambe mentre l’uomo leccava come fosse un cane voglioso, il buco del culo della giovane intellettuale.
Questa, dal canto suo, tenne ferma la testa del tizio, afferrandola per i capelli. Gli fece aprire la bocca e gli scorreggiò dentro. Fu una cosa disgustosa che Sabrina non aveva mai fatto prima ma che l’istinto gli aveva dettato di fare.
Il tipo tossì e allontanò il capo, disgustato, ma era la parte passiva e, pertanto, non protestò.
Come in precedenza, quasi a volersi far perdonare, Sabrina si voltò e in bocca gli mise la figa, muovendo il bacino avanti e indietro, come se avesse il cazzo e in ginocchio ci fosse una donna che la stava spompinando a dovere.
Il folto pelo strusciava contro il naso dell’uomo, che annusava quell’odore selvaggio.
La ragazza stringeva forte la testa, tenendo la sua verso l’alto, tanto era il piacere che provava. D’improvviso, però, si fermò. Abbassò il capo e gli sguardi dei due si incrociarono.
La scrittrice si assicurò di essersi sistemata ben bene sulla bocca del tipo, allargando le cosce quel tanto che bastava per farci entrare dentro la testa ed impedirgli di muoversi. Appena ne ebbe la certezza cominciò a pisciare. Non una goccia cadde a terra. Il tipo beveva tutta l’urina che gli veniva data, mentre guardava negli occhi la ragazza che lo stava abbeverando con quel liquido caldo che gli usciva dalla figa. Sabrina godeva come una cagna nel vedere quanto sottomesso fosse quello sconosciuto.
Una volta finito, allontanò la testa dell’uomo, gli sputò in bocca e gli diede un paio di schiaffi, poi lo fece alzare, lo girò di schiena, gli sfilò la cintura dai pantaloni e gli legò le mani dietro la schiena. Lo attaccò al muro, cominciando, con la sua figa pelosa, a strusciarsi con intensità contro al culo. Lo faceva con tanta foga che sembrava lo stesse sodomizzando, mentre lo afferrava per le braccia. Fu in quel momento che la scrittrice si portò un dito alla bocca, lo lubrificò e lo ficcò con prepotenza nell’ano del partner. Questi ebbe un gemito di dolore misto a piacere, che subito cessò lasciando spazio al primo, perché, la giovane, seguì a portare dentro le altre dita, fino a ficcare tutta la mano. Il dolore di quel signore era tanto ma il cazzo lo smentiva, restando dritto come un’asta e sbattendo contro le mattonelle della parete davanti a sé, lasciando cadere un filo di liquido trasparente fino a terra.
Sabrina, mentre gli aveva praticamente infilato tutta una mano nel culo e faceva avanti e indietro velocemente, con quella libera afferrò la minchia, cominciando a segare. Ci dava dentro talmente tanto forte che il pugno sbatteva contro i coglioni, facendoli agitare come delle campane. Chi stava subendo quel misto tra dolore, sottomissione e piacere, non ci mise molto a sborrare come una fontana. Gli schizzi furono talmente intesi che il rumore che fecero fu udibile, medesima cosa per lo sperma che sbatteva sulle mattonelle.
Sabrina, soddisfatta per come si era comportata ma vogliosa in quanto lei non aveva avuto l’orgasmo, mordeva le orecchie e il collo dell’uomo, come fosse una vampira.
Questi, stremato, arrivò ad accasciarsi con la fronte contro alla parete, ansimando come se avesse corso.
La scrittrice gli liberò le mani e si voltò verso il lavandino per lavare le sue. Una volta fatto, lasciò il bagno dopo essersi data una veloce sistemata ed essersi ricomposta, tornando alla festa come se niente fosse.
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La mia prima doppietta

Fu in un giorno di sole che, invitata a un matrimonio, mi misi in tiro per l’occasione.
Non vi nascondo, sarebbe incredibilmente ipocrita da parte mia che, dato che non avevo un ragazzo fisso da tempo, anzi, non avevo proprio un uomo da un bel po’, ero intenzionata a farmi qualcuno, quel dì. Con la faccia e il corpo che mi ritrovo e l’aiuto dell’alcol, non sarebbe stato difficile. L’alcol, in realtà, era un arma a doppio taglio, lo è sempre stata per voi maschietti. Non vi permette di farvelo venire su bello duro e sano per poter penetrare una figa stretta e umida, anche dopo un’incessante lavoro di pompa, di bocca.
Mi recai direttamente al ristorante, evitandomi la noiosa cerimonia e mi presentai bella fresca e in tutto il mio splendore.
C’erano un sacco di rivali, strafighe di ogni genere, ma tutte, all’apparenza, almeno, accompagnate dal manico, dal loro tipo. Un paio me li ero scopati in passato, quando, spero, non stavano già con la fidanzatina che stringevano sottobraccio. Chiavatori scarsi, a dire il vero, con una lumachina semi moscia al posto del cazzo.
Dovevo per forza fare buon viso a cattivo gioco e non dare nell’occhio delle guardinghe compagne. Visto che c’era già stato un precedente, conoscendo le mie intenzioni e la sete di cazzo in tiro che avevo, in mancanza di meglio me ne sarei potuto fare uno. Certo sarebbe stata una sveltina di qualche secondo ma stavo messa male e anche un paio di colpi ben assestati appoggiata contro a un muro, mi sarebbero bastati per qualche ora, almeno.
Fu una bella festa, ben organizzata. Si bevve un sacco, mamma mia quanto si bevve. Io non sono una che si tira indietro quando si tratta di buttare giù qualche bicchiere, eccedendo e finendo, non per essere ubriaca fradicia, questo no, mai, non mi è mai successo, non mi piace stare male il giorno dopo, ma bella brilla sì, cazzo che sì!
Quella volta non feci eccezioni e cominciando dal prosecco arrivando al vino e poi lo spumante, ero bella che andata.
Mi sentivo leggera leggera, disinibita più del solito e pronta a ricevere la prima minchia tosta che mi si sarebbe offerta.
Come in ogni festa che si rispetti, dopo esserci riempiti la pancia di cibo e alcol, si era passati nella sala da ballo per la serata danzante.
Avevo già provveduto a cambiarmi le scarpe e a sostituire i tacchi con delle più comode ballerine. Sono bassina, lo ammetto, ma sappiamo tutti come dice il proverbio: “nelle botti piccole c’è il vino migliore”, e io di vino buono ne avevo da vendere, anzi: da regalare al primo fortunato.
Mi buttai nella calca come un’ossessa. Saltavo, più che ballare veramente, dato che non so farlo. Le tettine mi stavano su belle sode, come sempre, ma erano in vista grazie alla scollatura profonda che avevo.
Per attirare ancor di più l’attenzione, giocavo con la gonna del vestito, agitandola fino a scoprire le cosce tornite e fette di culo che andavano e venivano nel giro di qualche secondo. Mi passavo le mani nei capelli, facendo il più possibile la sensuale.
Come api al miele, non tardarono ad arrivare ragazzi e uomini che mi circondarono letteralmente, facendo finta di nulla, senza dare nell’occhio. Mi trovavo nel mezzo di tanti porci che mi sfioravano appena con i polpastrelli e mi si strusciavano sui fianchi. Mi mordevo il labbro nel vedere che ero desiderata e mi sentivo una puttana, una troia da monta. Il tutto, come spiegato prima, era accentuato dall’alcol che avevo bevuto e che faceva sì che non mi preoccupassi eccessivamente di eventuali sguardi di giudizio da parte degli altri invitati.
Lasciai che le braccia mi cadessero lungo il corpo a penzoloni, così da poter a mia volta toccare, seppur di striscio, i cazzi di chi mi ballava attorno. Erano tutti, e dico, tutti, delle minchie mosce. Rimasi sorpresa di non avere vicino un vero maschio, uno bello pronto per cavalcarmi a dovere.
Dopo circa una mezz’ora che saltavo, cominciai a stancarmi. Affaticata e delusa, mi andai a sedere su una sedia.
Ero sudatissima. Avevo un caldo e una sete incredibili! Continuai a bere degli alcolici, pareva che l’acqua fosse stata bandita da quel luogo! Mi facevo, per quanto possibile, un pochino d’aria con la mano, mentre il mio petto si gonfiava e sgonfiava seguendo il ritmo del mio respiro affannato.
Mi si avvicinarono due tizi. Non li conoscevo. Erano anche loro degli invitati, ma non li avevo mai visti. Brutti come la morte ma furono gli unici a prendere coraggio, visto che ero ubriaca, e a rivolgermi la parola.
Me ne stavo seduta sulla sedia a cosce aperte, in maniera poco femminile, devo dirlo. Non spalancate, ma di sicuro non si sta sedute come stavo io, se si ha la gonna.
Con la scusa di uscire per fumare, mi feci accompagnare fuori. Uno di loro, vedendomi barcollare, mi afferrò da dietro, cingendomi il busto con le braccia. Col culo gli diedi una involontaria botta contro al cazzo. Sentì quel tipo ansimare. Era già duro e perciò in quell’istante decisi che me lo sarei fatto.
L’amico ci seguiva a poca distanza. Lui era più silenzioso, più riservato.
Senza mai lasciarmi, cazzo in tirò mi portò nel parcheggio. Caddi prona contro il cofano di una macchina e prona rimasi. In sintesi: i due volevano violentarmi, non sto scherzando. Volevano approfittare di me dato che si erano accorti che ero ubriaca. Ignoravano che io ci sarei stata a prescindere!
Mi alzò la gonna e ficcò subito il cazzo nel culo. Non so se lo fece perché non trovo il buco della figa, dato che era buio, ma so per certo che mi fece un male incredibile.
Mi penetrò a crudo, spaccandomi l’ano all’istante. Non si preoccupò certo di lubrificare almeno con un po’ di saliva. Io mi lamentavo per il dolore ma non dissi nulla: volevo che mi accadesse quello che mi stavano facendo!
Cominciò a spingere forte. Godeva come uno che non ha mai chiavato! Il dolore si faceva più intenso ma mi mordevo il labbro e sopportavo. Con la mano che non stava sulle tette, mi toccò la figa, dandomi un po’ di piacere.
Quando lo si prende in culo come stava accadendo a me, non è proprio come nei film porno, che il cazzo, per quanto grosso possa essere, entra ed esce che è una bellezza, con una facilità incredibile. No, niente affatto. È come prendere una trave da dietro e questa sfrega contro le pareti sensibilissime dell’ano facendo uscire di tutto: sangue misto a merda. Che è quello che accadde.
L’altro tipo, che fino a quel momento si era limitato a guardare, toccandosi la capocchiona gonfia per farselo venire duro e dando un’occhiata i giro per scongiurare l’eventualità d’esser visti, era pronto e voleva ficcare anche lui.
Mi buttarono a terra.
Quello che prima mi stava dietro mi si mise di sotto, ma sempre ficcandomelo nel culo e l’amico, incitato dal compagno, fece lo stesso.
Il dolore fu incredibile. Mai prima di allora avevo preso contemporaneamente due cazzi dietro e di quel calibro: sembravano due cavalli, erano davvero, davvero ben messi qui montanari puzzolenti.
Sentì il culo aprirsi come fosse una zucca e l’ano spaccarsi. Il calore del sangue e della merda ce lo avevo tutto attorno.
Dato che i tipi avevano le mani contro alle mie chiappe e ogni volta che i loro cazzi uscivano li rificcavano subito dentro, si sporcarono gli arti e sporcarono me. Mi sentivo un impasto appiccicaticcio di sangue e cacca.
Dal male mi misi a piangere. Non un pianto a dirotto, quello no, ma mi scesero delle lacrime e implorai che ci andassero più piano, che li avrei lasciati fare tranquillamente, senza nessun problema, ma quelli erano degli animali da monta e nemmeno mi sentirono, continuando a fare i loro comodi.
Ci davano dentro come se no ci fosse un domani.
Stanca dai colpi che mi assestavano, mi accasciai su quello che mi stava sotto. Iniziò a leccarmi la faccia e io ricambiai, infilandogli la lingua in bocca. Quello dietro mi mordeva la spalla e mi tirava i capelli, sporcandomeli di sangue e merda, la mia merda. So che può fare schifo, ma ciò accade nella realtà quando si incula una senza che lei abbia fatto la lavanda anale, come accade alle attrici porno.
Quello sotto di me, mentre mi slinguazzava e penetrava a sangue, e il caso di dirlo, cominciò, non so perché, a darmi dei possenti pugni nelle costole! Mi faceva malissimo, tanto da farmi mancare l’aria. Da brava femmina sottostavo a quello che mi facevano, lo volevo anche io e trovavo eccitante come mi stessero trattando.
Non potevo difendermi e cercare di parare i pugni che mi arrivavano di continuo, perché mi avevano schiacciata in mezzo tra loro e mi muovevano a fura di incularmi tosto.
Finalmente, il tizio che aveva cominciato a chiavarmi per primo, sborrò.
Si levò da sotto e, d’accordo con l’amico, mi misero in inocchio.
Mentre l’altro continuava a inculare, il primo mi ficcò il cazzo già moscio in bocca, dicendomi di pulirglielo dalla mia merda. Non potei che eseguire.
Appena finito di farlo, mi sputò in faccia e mi diede un pugno nello stomaco che mi tolse l’aria. Continuò a darmene finché l’inculatore non ebbe finito, svuotandosi anche lui dentro di me.
Caddi al suolo, stremata.
Prima di andarsene, mi pisciarono addosso e mi mollarono un paio di calci, non troppo forte, stavolta.
Ero stata stuprata, nelle loro intenzioni, almeno, ma la verità era stata che io avevo voluto ogni cosa, forse non i pugni e i calci, ma essere chiavata selvaggiamente da due animali, in quel modo.
Senza salutare nemmeno gli sposi, visto com’ero conciata, mi alzai, mi misi in macchina e me ne tornai a casa.
Mi faceva male la pancia e soprattutto l’ano, dal quale continuava a uscire sangue ma ero soddisfatta. Le scopate dovrebbero essere sempre così intense!
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Il boccone del prete

Era il giorno in cui la mia migliore amica doveva battezzare suo figlio. Con lei ci conoscevamo da quando eravamo ragazzine. Avevamo fatto tutto assieme, si può dire. Stesse scuole, stesse classi, stessi amici. L’unica differenza era che Marta, questo è il suo nome, aveva sposato il ragazzo con cui si era fidanzata alle medie. Da un amore, se così si può definirlo, adolescenziale, era arrivata a crearsi una famiglia.
Gli anni di fidanzamento erano stati tanti e anche i momenti di alti e bassi nella coppia, con un paio di rotture alle spalle, sanate dalle rispettive famiglie, che ormai vedevano in loro il legame perfetto e assodato che la società si aspetta. Sapevo che non era affatto così, lo sapevano tutti, ma gli altri lo negavano, io, dal canto mio, conoscevo ogni dettaglio della vicenda, dato che la mia amica si confidava con me.
Arrivai in chiesa in ritardo, quel giorno, come da mia abitudine non sono mai puntuale.
Era estate e perciò il vestito che portavo era scollato e con la gonna abbastanza corta, poco sopra il inocchio, ma niente di scabroso.
Per coprirmi il decolté mi poggiai sulle spalle un foulard, in maniera che il canale delle mie tette fosse invisibile. Non potei fare nulla per i capezzoli turgidi, però. Avendo io i piercing a entrambi i seni, quella parte del mio corpo rimane perennemente in vista, specie quando indosso, come in quella occasione, abiti leggeri.
Notai immediatamente che tutti, e dico, tutti gli uomini presenti, non facevano altro che guardarmi proprio lì, ma c’ero abituata e la cosa mi piaceva pure. Non ho un petto molto grosso, porto una seconda bella piena e questo mi permette, come anche in quella occasione, di andarmene in giro senza reggiseno, visto che loro stanno su belle sode, senza dare problemi o farmi sembrare sconcia.
Degli invitati non conoscevo praticamente nessuno, se non di vista. Gli unici che mi erano familiari erano Marta, il marito e i genitori di lei.
Avevo gli occhiali da sole, non me li tolsi, così che potei, senza farmene accorgere, scrutare gli sguardi che i maschi mi lanciavano e vederli sogghignare qualcosa, tra una risatina e l’altra. Se solo avessero potuto se lo sarebbero tirato fuori lì e me lo avrebbero ficcato a sangue in ogni buco, massacrandomi, ma non potevano e il cazzo gli rimase in tiro, ma nei pantaloni, senza possibilità di svuotarlo a dovere. Ce n’era qualcuno, di quei tizi, ai quali lo avrei preso in mano più che volentieri. Non perché fossero chissà come belli o che avessero una bella minchia grossa, questo non potevo saperlo, ma mi facevano sangue e una scapocchiata dura gliela avrei fatta con piacere, facendomi sborrare dritta in faccia, come un’attrice porno.
La cerimonia ebbe luogo e immediatamente dopo ci accalcammo per fare gli auguri al piccolo e ai familiari. Inutile dire che nella calca le strusciate mi sfiancarono. Sentivo cazzi tosti lungo tutti i fianchi. Qualcuno spinse anche, come a volermi ficcare. Io facevo finta di niente e continuavo a farmi avanti, poggiando le mie tette contro la schiena di chi avevo difronte, uomo o donna che fosse. Fu proprio quando finalmente giunsi davanti la mia amica, che teneva in braccio il figlio, che il prete tornò dalla sagrestia, nella quale si era andato a togliere la tonaca. Era un uomo di circa sessant’anni o poco più. Capelli solo dietro la nuca, grigi come la cenere. Naso adunco e zigomi sporgenti. Approfittò per fare gli auguri ai genitori del piccolo.
Dopo ciò, io mi fermai accanto a Emma, attendendo che tutti gli invitati finissero di fare la sfilata, scambiandosi convenevoli. Davanti a me c’era il sacerdote. Forse, ma non saprei dirlo con certezza, la prima volta che mi poggiò il gomito contro al seno, non lo fece di proposito, sta di fatto che la cosa, evidentemente, gli piacque molto e insistette a sfruculiarmi contro il capezzolo. Spingeva proprio facendomi anche un pochino male!
Me ne stavo con la mani una sull’altra, davanti al ventre, lasciandolo fare. Parlava con Emma e il marito e perciò ero portata a pensare che sul serio non si rendesse conto di ciò che mi faceva.
Cominciai a bagnarmi. La faccenda era eccitante. Non mi era mai capitato. Quasi certamente, visto che gli uomini e i ragazzi presenti non facevano altro che fissarmi da quando avevo messo piede in chiesa, si erano accorti di quanto concedevo al parroco, delle liberta che si stava prendendo col mio seno, con me assolutamente impassibile. Avrei potuto fare qualche passo indietro ed evitare ogni cosa, ma non ne avevo intenzione.
Emma mi chiamò a sé per fare delle foto. Fu così che, da dietro al prete, gli passai davanti e quindi, con questo spostamento, lui mi finì alle spalle.
In principio non accadde nulla, anche perché, tra i presenti, c’era chi lo conosceva e andava da lui per salutarlo e scambiare qualche parola, dirgli di passare da casa per benedirla, cose così. Fu quando finalmente lo lasciarono in pace che decise, con coraggio, devo ammetterlo, ad appoggiarsi deciso contro al mio culo. Quel gesto mi fece spalancare gli occhi e mi colse di sorpresa, mettendomi in imbarazzo, un serio imbarazzo. Sentivo chiaramente la punta del suo cazzo contro la parte centrale delle mie chiappe sode, come se stesse cercando il buco. Tentai di voltarmi e guardare se ce lo avesse duro, volevo vederlo, anche se da sopra i pantaloni, ma non ci riuscì. Le gote erano tutte rosse e sentivo caldo. Principiai a respirare affannosamente e mi levai il foulard, scoprendo spalle e canale delle tette. Non mi importava nulla, mi era salita troppa voglia in corpo e a farmela salire era stato un prete di oltre sessant’anni!
Emma si accorse del mio cambiamento in viso e del mio ansimare. Mi chiese se stessi bene e io, con un sorriso impacciato, le feci cenno di sì col capo. Vedendomi strana, non poté fare a meno di notare che, praticamente attaccato contro la mia schiena, c’era il prete che aveva celebrato il battesimo. Non so che faccia avesse lui, ma quella della mia amica era stupita! Faceva ballare gli occhi tra me e lui, quasi a volermi chiedere cosa stessimo facendo. Il sacerdote mi posò una mano su un fianco. Non ce la facevo davvero più.
Cominciai a fare forza in senso contrario alla sua. Mentre lui spingeva, e spingeva come se mi stesse chiavando, mi dava proprio dei colpi, io ricambiavo facendo forza contro al suo cazzo. Si stava godendo una strusciata magnifica contro il culo di una ventiseienne, allora era questa la mia età. Non è certo una cosa che capita tutti i giorni, in particolare se hai preso i voti e potresti essere mio padre!
Mi mordevo le labbra per trattenermi. Avevo un lago tra le gambe. Me le sentivo appiccicaticce. La mutandina era umidissima e temevo che il mio piacere potesse gocciolare, scivolandomi tra le cosce e che tutti lo avrebbero visto. Quando pensavo a tale eventualità, non facevo che peggiorare le cose perché mi eccitavo ulteriormente.
Emma aveva capito ogni cosa ed era più imbarazzata di me. Continuava a far buon viso a cattivo gioco e parlava con tutti coloro che le sia avvicinavo per gli auguri. Quando ebbe qualche secondo, tra i denti, mi rimproverò, dicendomi di smetterla di fare la puttana con un prete, in una chiesa, al battesimo del figlio. Io avrei voluto davvero tanto riuscire a darle ascolto, ma non ci riuscivo. Perseveravo a dare il curo al parroco in un modo fin troppo evidente. Sentivo che gli scappellavo il cazzo in tiro a ogni strusciata, che gli abbassavo la pelle della capocchia. Gemeva, addirittura, e anche io mi trattenevo a stento ma qualche mugugno mi scappò.
Muovevo il bacino contro di lui come se stessi ballando. I pantaloni ce li aveva bagnati e avvertivo il suo liquido su di me. Mi aveva macchiato il retro del vestito, che era verde chiaro e la macchia scura si notava benissimo.
Marta, lanciandomi un’occhiata terribile mi disse di sbrigarmi, di farlo sborrare a andare via, poiché tutti ci stavano guardando.
Eseguì quanto mi impose la mia amica. Non nascondo che mi eccitava anche il fatto che lei sapesse tutto e che mi avesse dato un ordine.
Agitai il culo più velocemente. Lo feci strusciare a dovere contro il cazzo che andava man mano ammosciandosi. Il piacere del prete raggiunse l’apice dopo qualche secondo di quel lavoretto di culo.
Sborrò. Gli scappò un gemito un tantino troppo forte e attirò l’attenzione di chi stava là vicino, Marta compresa. Il vecchio mi strinse la mano sul fianco quando schizzò contro le mie natiche.
Mi staccai da lui. Il vestito rimase attaccato alla macchia di sborra che si era schiantata contro i pantaloni, trapassandoli e raggiungendomi. Mi mordevo le labbra per quanto continuassi a rimanere eccitata. Lui era venuto, io no. Non ebbi il coraggio di voltarmi per guardarlo in volto.
La mia amica mi prese da parte e mi disse di uscire per ultima dalla chiesa, perché ero sporca contro al culo. Io non le risposi. Mi sentivo in colpa per averla messa in imbarazzo, ma non era dipeso da me quanto accaduto.
M portai le mani nel punto esatto in cui c’era la macchia di sborra. Sentire le mani che si bagnavano dello sperma mi fece un po’ schifo.
Le portai al naso per sentire che odore avesse lo sperma di un vecchio. Non ne aveva nessuno. Fui tentata di assaggiare ma mi vergognai troppo.
Ero paonazza in viso e i capelli un po’ scompigliati.
Quella sera nessuno dei baldi giovani che mi avevano puntato per tutto il giorno si fece avanti. Avrei accettato le avances di chiunque, tanta era la voglia che mi agitava il ventre! Nessuno seppe mai che grande scopata si perse!
 
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ma sono racconti autobiografici o no? non l'ho ben capito
alcuni sì, altri puramente inventati. sono racconti che i vennero commissionati, ma, ovviamente, anche se mi vennero pagati sono rimasti di mia proprietà intellettuale. non sono stati mai pubblicati in libri o raccolte. degli utenti avanzarono la richiesta di vedermi scrivere delle storie su misura per loro o di venire a conoscenza di fatti sessuali che avevo realmente compiuto, e io li accontentavo dietro compenso.
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Ho letto il primo, molto bello anche se il finale un pochino frettoloso... appena avrò tempo leggerò anche gli altri
Complimenti
grazie, sono felice che il racconto ti sia piaciuto. continua a seguirmi
 
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quindi ti fai pagare per scrivere? ok
sì, quelli che leggi sono alcuni dei racconti che mi sono stati commissionati da privati. di altri non ho avuto il permesso di renderli pubblici. posto gratuitamente le storie qui per farmi conoscere ed essere letta da un numero maggiore di persone.
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La mia prima volta

Era già da un bel po’ di tempo che mi preparavo a quel momento ed ero piuttosto nervosa. Non avevo mai fatto sesso prima di allora.

Lui era più grande di me e lo avevo scelto non perché fosse chissà come bello, tutt’altro, ma solo per togliermi da dosso quel peso della verginità che mi faceva sentire in imbarazzo con le amiche. Tutte loro dicevano di averlo fatto. Non avevano motivo di mentire. Solamente io non sapevo cosa significasse sentire il pene duro di un uomo dentro di sé.

Per l’occasione mi ero messa in tiro più del solito. Essere guardata, desiderata, mi è sempre piaciuto.

Lui mi venne a prendere in macchina. Al tempo vivevo ancora in casa dei miei e non dissi loro nulla del mio appuntamento “galante”.

Dato che era sabato e vedendomi vestita con una gonna così corta (cosa che mio padre disapprovava), pensarono che sarei andata a ballare, come sempre facevo, assieme alle mie amiche.

Indossavo un tubino nero, aderente, che mi evidenziava i fianchi. Era scollato quel tanto che bastava per mettere in evidenza il canale delle tette, che rimanevano raccolte dentro il tessuto, restando alte e sode. Non porto mai il reggiseno, tantomeno quella volta lo indossai. Le scarpe avevano il tacco alto, che mi rassodavano il culo. Misi un rossetto rosso, per l’occasione, che rendeva ancor più carnose le mie labbra.

Scesi in strada appena ricevetti il messaggio di lui. Non mi aveva mai veduta in quella maniera! Era abituato a incontrarmi la mattina, quando salivo sull’autobus che mi portava a scuola. Lui era l’autista, faceva questo di mestiere. Le voci che circolavano erano che fosse un gran chiavatore e che se ne fosse fatte parecchie di studentesse, ma si trattava solo di voci, voci che, però, avevano fatto sì che io mi interessassi a lui per lo scopo che mi ero prefissata. Sì, mi sarei potuta trovare un fidanzato, cose così. Uno col quale fare l’amore, non solo sesso. Come si dice: la prima volta è bene farlo con chi si ama. Io non la pensavo in quel modo, neppure adesso. Non volevo impicci. Desideravo solamente che qualcuno mi penetrasse, tutto qui, per togliermi, come detto pocanzi: il peso della verginità da dosso.

A bordo della vettura gli sorrisi e ci scambiammo un tenero bacio sulla guancia. Mi accorsi all’istate che era già eccitato! Non potevo non notare il rigonfiamento che si vedeva tra le sue gambe. Il cuore principiò a battermi forte. Avevo perso la sicurezza iniziale e faticavo a ostentarla, anche solo per finta.

Già allora fumavo. Un po’ per calmarmi, un po’ per dimostrare, mentendo, che sapevo ciò che volevo, mi preparai una sigaretta. Soffiavo il fumo dal finestrino, cercando in ogni modo di evitare il suo sguardo. Quando tornavo a guardare davanti a me, con la coda dell’occhio mi accorgevo che mi fissava le cosce. La cosa mi eccitava e divertiva ma, al contempo, aumentava il mio nervosismo.

Soffiai dal naso l’ultima nuvola di fumo e buttai la sigaretta. Si vede che anche lui voleva andare al sodo senza perdere tempo e infatti non ci recammo al locale dove ci aspettavano gli altri, ma mi portò in un parcheggio poco illuminato.

Giunti sul posto, appena la vettura si fermò, il cuore mi arrivò quasi in gola.

Senza dire nulla mi si avvicinò e, con gentilezza, portò la sua bocca sul mio collo. Rimasi ferma, impietrita, non come comportarmi! Mi piaceva quello che mi stava facendo, anche se un po’ mi dava sentore di schifo, perché leccava come se fosse un cane!

A un dato momento mi prese la mano nella sua e la portò sul pene, ancora chiuso nel pantaloni. Era durissimo e potevo avvertire che era bagnato poiché aveva inumidito il tessuto, tanta era la voglia di me.

Una volta che poggiai l’arto sul cazzo, rimasi bloccata come una statua di sale. Lui mi aiutò a masturbarlo, stringendomi il polso e facendomi fare su e giù con le dita. Ansimava.

Mi tirò fuori le tette. Mi fece male, non di proposito, ma me le fece uscire da sopra il vestito. Passò a succhiarmi i capezzoli che erano turgidi e dritti come chiodi.

Succhiava come stesse succhiando il latte. Trovai la cosa buffa, lo ammetto, ma lo lasciai fare: ero troppo impacciata per permettermi di prendere io l’iniziativa.

Intanto la mia mano restava stretta attorno al suo membro, sempre dentro i pantaloni. Lo sentivo pulsare. Sembrava dovesse esplodere da un momento all’altro. Lui si agitava, muovendo il più possibile il bacino, facendo in modo che la minchia si scappellasse.

Levò l’arto da sopra il mio e lo condusse tra le mie gambe che erano chiuse, strette. Fece forza solo un po’, poi le allargai, permettendogli di divertirsi con la mia figa.

Ero bagnata e ciò sembrava piacergli. Speravo, o meglio: mi ero immaginata più volte quella situazione e non mi ero vista così impacciata e ferma ma, anzi, ci davo dentro di brutto e mi auguravo di trovare quel coraggio che me lo avrebbe permesso! La realtà, però, era ben diversa.

Mi infilò… credo fossero tre dita, dentro la vagina. Entrarono senza difficoltà. Quando me l’allargò provai un po’ di fastidio perché lo aveva fatto con più foga di quando lo facevo io, in bagno, masturbandomi o guardando un porno sul cellulare. Mi morsi il labbro inferiore e ribaltai gli occhi indietro dal piacere. Ebbi il mio primo orgasmo procuratomi da un’altra persona.

Non so per quanto tempo si divertì a giocare con le mie tette e la mia figa, so solamente che, dopo un po’ si rimise seduto, si slacciò i pantaloni e lo tirò fuori. Rimasi un pochino delusa, a dire il vero, perché ce lo aveva molto piccolo. Quando lo vidi gonfio da sopra i calzoni, mi aveva dato l’idea di un pene, non enorme, ma almeno di proporzioni medie. Da un lato, però, mi sentì più tranquilla, supponendo che non mi avrebbe fatto troppo male infilandomelo dentro.

Le sue buone maniere avevano lasciato spazio ai suoi modi più rudi. La voglia eccessiva agiva per lui. Mi prese il capo e me lo abbassò di colpo. Mi ritrovai in bocca il suo cazzetto. Me lo spingeva tutto in gola. Mi sentivo soffocare. Mi uscirono le lacrime dagli occhi perché faticavo a respirare ma a lui questo non importava e lo spingeva dentro finché poteva. Il rossetto gli rimase sulla cappella. Mi stava letteralmente scopando la bocca. Quando finalmente fu soddisfatto, mi lasciò la testa e fui libera di tirarla su, prendendo fiato.

Perseveravo a tacere e a fargli fare quello che voleva, convinta che era così che doveva succedere. Ero nelle sue mani!

Non piegò neppure il sedile dove stavo. Mi allargò di poco le cosce, mi si mise sopra, con un po’di fatica si infilò nel mezzo delle gambe e mi penetrò con foga. Mi fece un male incredibile. Non credevo sarebbe stato così doloroso, considerando le dimensioni del suo membro.

Spingeva come se non ci fosse un domani. Nel giro di venti secondi circa, lo tirò fuori e mi sborrò in faccia e un po’ ovunque. Istintivamente aprì la bocca, lo avevo visto fare mille volte alle attrici porno nei film. Essere io in quella situazione mi piacque parecchio. Il sapore dello sperma faceva schifo, ma ingoiai lo stesso qualche goccia, così, per sentirmi più donna, più porca… non saprei. Aveva un sapore tra l’acido e il salato. Molto caldo.

Quando ebbe finito si pulì la cappella sul vestito, senza chiedermi il permesso. Era tutto macchiato e le chiazze, a contatto con la luce della luna, luccicavano sul quel nero.

Non mi disse nulla e io non gli dissi nulla. Non ci furono coccole. Mi diede solo un fazzolettino per ripulirmi. Quando mi guardai allo specchio, notai che il trucco era tutto sbavato e la faccia era sporca: quella visione mi eccitò da morire.

Andammo dai nostri amici, raggiungendoli con un po’ di ritardo e sul finire della serata, prima di riaccompagnarmi a casa, mi sverginò anche il culo, ma questa è un’altra storia.
 
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Il 30 e lode

Ero fuoricorso ormai da due anni. Entravo nel terzo. Chiunque ha avuto un percorso universitario sa bene che, a lungo andare, gli esami restanti e il tempo passato sui libri cominciano a essere stancanti. Non vedi l’ora che tutto sia finito, che arrivi il momento in cui puoi discutere la tesi.

Uno degli esami che mi mancavano era quello di psicologia cognitiva. Non un esame chissà come complicato, proprio per nulla, solo che in facoltà c’era un professore di sessantanove anni che aveva una nomea di essere un gran chiavatore e che approfittasse del suo ruolo per ficcare quante più studentesse possibile. Naturalmente si faceva solo quelle carine. La cosa non mi scandalizzò affatto, anzi: ero contenta e speravo fosse vero.

Come detto qualche riga sopra: non avevo più tanta voglia di starmene sui libri e perciò, se questi mi avesse fornito la possibilità di prendere questa scorciatoia, avrei accettato di buona lena.

Il problema che mi si mostrava davanti era come fare per esser sicura che il gossip in giro sul suo conto fosse veritiero. Non mi sarei certo potuta presentare alla sessione d’esame e pretendere che mi facesse l’offerta lì.

Colsi la palla al balzo e mi presentai nel suo ufficio in orario di ricevimento. Gli dissi che ero prossima alla laurea, che alla prima occasione avrei dovuto affrontare la sua materia e che stavo valutando l’ipotesi di scrivere la tesi proprio sugli esperimenti di Pavlov, argomenti riguardanti il suo corso. Il vecchio non perse tempo e, con sfacciataggine, mi propose un trenta e lode se gliel’avessi data. La faccia che feci fu di stupore, stupore non per la proposta, ero lì apposta, ma per il modo in cui me lo chiese.

La prima pretesa che avanzò fu quella di farlo senza preservativo, la seconda di immortalare tutto con un video in cui si vedeva lui che mi scopava. Un p.o.v., per intenderci, in maniera tale da preservare la sua identità.

Mi obbligò a decidere lì, in quel momento, minacciandomi che non avrei mai e poi mai passato l’esame se non avessi accondisceso. Credo che si comportasse così per paura che, in un eventuale secondo incontro, avrei potuto raccogliere prove che lo avrebbero messo nei guai.

Si alzò dalla sedia dietro la scrivania e mi raggiunse, sedendosi su questa, accanto a me. Aveva già il cazzo in tiro. Non saprei dire se fossi intimidita da tanta arroganza o se fingevo talmente bene da darlo a bere persino a me stessa.

Non era un bell’uomo, esattamente l’opposto. Viso butterato, alito pesante, sciatto, con la pancia, pochi capelli tutti unti.

Ci furono degli interminabili secondi di silenzio in cui io recitavo, con la testa bassa, il ruolo della ragazza offesa. Lui, dal canto suo, se ne stava braccia conserte a fissarmi, senza mai levarmi lo sguardo da dosso.

Alzai lentamente il capo, incrocia il mio sguardo col suo e feci di sì, annuendo. L’espressione del viso del professore mutò. Da tesa divenne raggiante.

Prese a chiudere a chiave le porta dell’ufficio e a spegnere la luce, così che si pensasse che all’interno non ci fosse nessuno.

Mi si mise davanti, io stavo sempre seduta sulla sedia. Si abbassò i pantaloni, si voltò di culo, si piegò un poco, aprì le natiche e mi disse di leccare. Il buco era pieno di peli con della merda secca tutta attaccata. Non potevo più tirarmi indietro, non ne avevo intenzione, ero lì per il mio trenta e lode senza sforzo, ma non immaginavo mi sarebbe toccato anche quello.

Appena fece per avvicinarmi, lui mi fermò di colpo: si era scordato di prendere il suo cellulare e avviare il video. Mi mise il telefonino in mano e mi disse di riprendere tutto bene, che la sera, con più calma, ci si sarebbe sparato una sega sopra.

Non potei fare altro che eseguire e in quel primo piano vedevo la mia faccia dentro il piccolo schermo dell’aggeggio elettronico, mentre leccavo il buco del culo sporco di merda di un vecchio. Mi sentì un’attrice porno. L’idea mi eccitò un sacco e iniziai a ficcare la lingua sempre più dentro. Al professore piaceva che glielo facessi. Lo si capiva da come ansimava. Sembrava che gli stessi facendo male tanto mugugnava forte. Io guardavo me nella registrazione, facendo lo sguardo da porca.

Mi prese per la nuca come meglio poté e mi spinse la faccia tra le chiappe. Quasi non riuscivo a respirare. Mi chiamava puttana, troia e lo lasciavo fare. Spingeva l’ano come se dovesse cacare, aprendolo e permettendomi di andare con la lingua sempre più a fondo. Con la mano libera, di mia sola iniziativa, principiai a palpargli i coglioni. Erano caldissimi e grossi, pieni come quelli di un toro. Dall’eccitazione strinsi forte e gli feci male, però non mi disse nulla: stava godendo come un maiale.

Non c’è da meravigliarsi nel credere che una storia simile sia reale. Non avete idea di quante volte capiti che ci vendiamo per qualcosa. Io lo faccio di continuo, se mi conviene e non me ne vergogno a dirlo, tant’è che lo racconto.

Era talmente tanto lubrificato il suo buco, che istintivamente levai lamano dai suoi coglioni e cominciai a fargli un ditalino. Partì subito con tre dita. Entrarono come se stessero affondando nel burro. Mi sentivo le labbra che sapevano di merda, non oso immaginare che alito potessi avere!

Il professore mi implorò di fermarmi. Stava per sborrare e non ne aveva ancora voglia. Eravamo solo all’inizio.

Si voltò e mi mise il cazzetto in bocca. Era dritto e non sarà stato più lungo di dodici centimetri, a essere generose.

Il cellulare lo prese lui e si eccitava nel vedersi nella registrazione, mentre io glielo succhiavo con gusto, vigore, voglia.

Mi colava la bava dalla bocca tanto lui spingeva forte, sempre più dentro. Mi fece venire dei conati vomito. Dovetti, per questo, fermarmi un paio di volte per prendere fiato ma lui insisteva: aveva deciso che avrei dovuto vomitare e ci riuscì. A furia di insistere con quel cazzo in gola, vomitai la colazione e mi finì tutto sulle gambe, sporcando i jeans. Mi faceva male la pancia per lo sforzo. Ricordo che mi ci portai la mano, massaggiandola e facendo una smorfia di dolore. Lui, non soddisfatto, continuò a scoparmi in bocca, facendomi vomitare una seconda volta. In tale occasione buttai fuori la bile. Aveva un sapore veramente amaro. Mi uscì addirittura dal naso!

Stanco, o comunque, appagato dalla mia pompa, mi disse di spogliarmi completamente, mentre lui riprendeva. Lo feci e mi misi a cosce aperte sulla scrivania. Fu in quell’istante che me lo ficcò dentro. Sarà stato per i conati di vomito, ma la pancia mi doleva a ogni colpo che mi veniva assestato.

Avendo il professore il cazzetto a uncino, gli andava a mezzaluna all’insù, riusciva a sfruculiarmi il punto g e a farmi pisciare un paio di volte. Non mi aspettavo che un vecchio mi avrebbe fatta godere a quel modo.

Mentre ficcava, col viso soddisfatto di chi stava spaccando a dovere la figa di un’allora ventiquattrenne, si mise due dita in culo e me li fece dapprima annusare e poi volle che glieli succhiassi. Non me lo domandò: me li calò in bocca e basta. Strizzai gli occhi per lo schifo.

Mi afferrò le guance con la mano e strinse forte, tanto da farmi male. Io aprì e lui mi ci sputò dentro quattro o cinque volte. Mi serrò le labbra con l’arto, costringendomi a ingoiare.

Prese a ciucciarmi con gusto i capezzoli. Già allora avevo i piercing a entrambi i seni. Succhiò con così tanta intensità da arrossarmeli e farmi male. Tutto questo mentre ficcava incessantemente. Constatai di persona che le voci sul suo conto che dicevano fosse un gran chiavatore, erano tutte vere. Fu una delle poche volte in cui mi sentì soddisfatta come donna.

Era perfettamente cosciente che mi stava trattando come una pezza da piedi, mi stava umiliando facendo male. Era intenzionato a comportarsi proprio a quel modo. Era un animale e io la sua puledra da montare, il suo pezzo di carne fresco.

Gli schiaffi che mi diede, sia in faccia che sulle tette, mi fecero arrabbiare ma rimasi impassibile, come se una forza mi trattenesse dal protestare. Ero soggiogata da lui e subivo il suo potere, il suo comando.

A un bel momento, il cellulare che aveva in mano, squillò. Non poté fare a meno di rispondere: era sua moglie.

Cacciò il cazzo da dentro la mia figa e cadde del liquido quando lo fece. Si portò l’indice al naso, indicandomi di stare zitta. Io annuì. Si diede una sistemata ai capelli, come se la consorte dovesse vederlo e poi rispose. Mentre lo faceva se lo menava con la mano libera, velocemente, per tenerlo in tiro.

Disse a quella poveraccia una serie di cazzate. Io avevo finalmente il tempo di prendere un po’ di fiato. Mi poggiai, sdraiandomi, con i gomiti sulla scrivania. Facevo ballare gli occhi tra lui che se lo scapocchiava a ciò ce c’era nella stanza.

Appena mise giù, tornò ad afferrarmi di forza. Mi alzò i fianchi e ficcò nel culo mentre me ne stavo a cosce aperte, così, a crudo. Il cazzo faceva fatica a entrare perché il mio buchino, usato poco, allora, era stretto e non lubrificato, ma lui, con prepotenza lo fece entrare a forza.

Si attaccò al seno mentre mi inculava con dei colpi rapidi e ben assestati. Era tutto sudato e il sudore mi colava addosso: ne ero piena!

Mi diceva un sacco di parolacce e mi sputava in faccia, dandomi qualche schiaffo.

Finalmente mi sborrò dentro. Ero esausta! Mi aveva sfiancata.

Quando si svuotò, ebbi la netta sensazione, dal grido che emise, che le palle gliele avessi prosciugate e mi piacque pensare che come aveva goduto con me non lo aveva fatto con nessun’altra. Ero stata la migliore, la più brava, anche se aveva fatto tutto lui, ma io glielo avevo sciato fare.

Tiro fuori il cazzetto ancora in tiro, accompagnato da una scia di sangue e merda: quella era mia. Mi aveva aperto il culo e mi bruciava da matti.

Mi ordinò, nuda com’ero, di pulire tutta quella sporcizia e di rimettere a posto. Eseguì, senza battere ciglio, mentre lui continuava a registrare.

Si pulì la capocchia con la mia maglietta. Fortuna che lo fece con la parte interna, così non si videro le macchie che ci aveva lasciato.

Mi lanciò i vestiti addosso, come si fa con le puttane e mi disse di andare via, che era stanco e di non preoccuparmi per l’esame.

Quando quel giorno arrivò, lui era tutto serio e ben vestito. Mi fece una domanda scema e, dopo che risposi, mi disse che ero preparata.

Mi diede il trenta e lode e io mi ritirai felice, speranzosa di trovare qualche altro professore tra quelli ancora rimastimi con cui avrei dovuto dare gli esami, che, in cambio di un voto alto, si sarebbero fatti pagare con la figa. Invece no, per quelli dovetti studiare. Lo feci poco e male e presi tra diciotto e ventidue.
 
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Un thread decisamente da non perdere. Per il momento ho letto il primo e mi è piaciuto molto. È ben scritto e coinvolgente. Pian piano me li gusterò tutti. Complimenti!
Un thread decisamente da non perdere. Per il momento ho letto il primo e mi è piaciuto molto. È ben scritto e coinvolgente. Pian piano me li gusterò tutti. Complimenti!
ciao, grazie per i complimenti. continua a seguirmi
 
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L'incesto

Chiara e Cristian erano fratello e sorella, gemelli. Da sempre avevano vissuto un attaccamento morboso tra loro che non permetteva a nessuno di potersi intromettere, nemmeno tra le persone della stessa famiglia, né tra la ristrettissima cerchi di amici, se così si possono definire..

Crescendo avevano perpetrato l’abitudine, bizzarra, vista la loro età, sedici anni, di continuare a fare il bagno assieme come avevano sempre fatto sin da bambini. I genitori non ci vedevano nulla di male in questo. Consideravano che tali atteggiamenti fossero dovuti al fatto che i due avevano perennemente condiviso ogni cosa, ogni esperienza, in quanto erano inseparabili.

Fino a quel momento non avevano consentito ad alcun loro coetaneo di allontanare l’uno dall’altra, impedendo a questo o quel ragazzo o ragazza, di avere una, seppur breve, storiella d’amore, invaghimento, come naturale nel periodo dell’adolescenza.

Inutile girarci attorno: i gemelli si soddisfacevano, già da tempo, in segreto da tutti poiché perfettamente coscienti che era una cosa sbagliata, tra di loro. Avevano scoperto i piacere del sesso a quattordici anni e da allora, costantemente, ogni giorno, più volte al giorno, notte compresa, appena potevano e avevano voglia, ci davano dentro.

Chiara, così come suo fratello, sapeva come si faceva a rimanere incinta e quindi aveva solo e sempre concesso il culo a Cristian, che glielo spaccava con foga.

La figa vergine di Chiara era una garanzia ulteriore, soprattutto per i genitori quando la portavano a fare le normali visite ginecologiche, che la giovane non avesse ancora avuto rapporti sessuali, non la penetrazione, almeno, tantomeno col fratello. Padre e madre ignoravano totalmente in che turbinio di perversioni si erano infilati i loro figli.

Tutto cominciò quando Chiara chiese a Cristian di masturbarsi assieme a lei mentre guardavano un porno in rete. La ragazza non aveva mai visto un cazzo in tiro dal vivo e quello del fratello la eccitò moltissimo, tanto che glielo prese immediatamente in mano, piano piano, non sapendo come maneggiarlo e poi, subito dopo, in bocca, succhiando solo la cappella gonfia e rossa. Cristian, imbarazzatissimo, a differenza di sua sorella che sembrava piuttosto sciolta, si lasciò comunque fare ogni cosa, godendo quasi subito nella bocca di lei, che prima tossì e soffocò, non aspettandosi uno schizzo con un getto tanto forte, e poi vomito sulle gambe nude del fratello. Questi pianse. Si vergognava tantissimo per quello che era successo ma ormai era avvenuto e non si poteva tornare indietro: non si poteva raccogliere il latte versato.

Chiara era mortificata. Aveva agito d’istinto e il vomito era scaturito non tanto per la sborra che gli era finita in gola, ma per aver preso coscienza dell’incesto a cui avevano partecipato. Era piaciuto a entrambi ma il sentimento contrastante li aveva messi davanti a un bivio e il passo decisivo verso la strada malata era già avvenuto. Non volevano pensare che non sarebbero mai più potuti tornare indietro.

Si abbracciarono e rimasero così per un bel po’, in silenzio, riflettendo sull’accaduto. Cristian ebbe una seconda erezione. Il cazzo si scappellò mentre arrivava a essere in tiro e si poggiò contro la pancia di sua sorella che, accortasene, abbassò gli occhi e vide il piacere di suo fratello cominciare a far fuoriuscire dall’uretra del liquido. La desiderava ancora e per Chiara era lo stesso.

Glielo accolse tra le tette mentre lui se ne stava seduto e cominciò a scappellarglielo col seno andando su e giù sempre più velocemente, sempre più velocemente. Cristian si alzò in piedi e principiò a sbattere le tette della sorella dandole dei colpi ben assestati. Lei gemeva e lo guardava negli occhi, lui a stento riusciva a reggere il suo sguardo, però lo stesso continuava a ficcare la cappella tra le morbide tette. La prese per le braccia e la tiro su, girandola e facendole prendere posto sulla sedia sulla quale stava seduto. Chiara ci si poggiò con un ginocchio, reggendosi con le mani dallo schienale. Fu lì che Cristian, senza lubrificare l’ano, glielo mise dritto in culo per la prima volta, sverginando la sorella da dietro. Sin da subito cominciò a uscire del sangue misto a merda. Lei si faceva male, tanto male, e cercava di trattenere la spinta del bacino del ragazzo, con la mano destra. A Cristian non importava nulla che l’altra stesse provando un dolore cane e continuava imperterrito a punirla a sangue.

Lei gemeva e si mordeva il labbro, restando sottomessa. D’improvviso si tirò via e un filo di merda liquida le colò dal culo, finendo a terra. Cristian tornò a tappare il buco col cazzo e diede gli ultimi colpi prima della seconda sborrata, che fu più piacevole e al contempo, imbarazzante della precedente.

Sfilò il cazzo. Era marrone e rosso, sporco di sangue e feci ma ancora dritto. Chiara andò a prendere in bagno un panno umido e ripulì il fratello che la guardava dall’alto in basso. Lei lo segò ancora e lui le sborrò in faccia. La spirale dentro la quale finirono non li avrebbe mai più lasciati andare via.

Da quel giorno smisero di ridere e il loro atteggiamento con gli altri cambiò radicalmente. Non si poteva non notarlo. Se ne accorsero, infatti, i genitori e li portarono da uno specialista il quale, però, non riuscì a cavare un solo ragno dal buco. I gemelli si difendevano a vicenda. Difendevano il turpe segreto celandolo in uno scrigno fatto di dolore e vergogna. Stavano male per ciò che compivano e seguitavano a scopare proprio per stare male e castigarsi per le loro perversioni.

Chiara era dimagrita tantissimo ma aveva conservato la sua bellezza eterea, diafana. Per coprire le smagliature del suo corpo era ricorsa a dei tatuaggi, dei piccoli tatuaggi che i genitori acconsentirono facesse proprio nella speranza di vederla tornare su di morale.

Stanca del ruolo passivo in cui era stata relegata dal fratello, lo obbligò a sottomettersi, concedendole a sua volta il culo. Da internet avevano comprato uno strap-on, uno di quei falli in lattice che le lesbiche legano alla vita per scopare la propria partner.

Chiara affondava dei possenti e duri colpi ditti nell’ano del fratello, allargandoglielo oltre modo. Il pene che aveva scelto era più grosso della media e lungo oltre i venti centimetri. Senza toccarlo o masturbarlo, in quell’inculata, Chiara riusciva, solo stimolando col cazzone la prostata di Cristian, a farlo venire.

Durante i rapporti in cui era lei a tenere le redini del gioco, la ragazza amava guardarsi allo specchio e vedere ciò che faceva al fratello come se stesse guardando un porno in rete. Amava osservare il cazzo dritto di lui mentre, come un bastone, faceva su e giù a ogni affondo nell’ano da parte di lei con la sua minchia finta. Il cazzo di Cristina sbatteva sulla sua stessa pancia e il TAC, TAC, TAC, ritmava il tempo dell’inculata come un metronomo.

Non sempre Chiara voleva farsi il fratello girandolo di schiena, speso, anzi, lo voleva a cosce aperte, così da poterlo guardare negli occhi e baciarlo, leccarlo e sputargli, facendo scendere lentamente la saliva dentro la bocca, mentre lo possedeva a sangue.

Il cazzone era talmente grande che quando Cristian veniva sbattuto ed era stato posizionato supino, a pancia su, sopra il letto, il pene che lo penetrava si poteva vedere camminare nel suo ventre. Chiara ci metteva la mano sopra e godeva tantissimo nel farlo. Era come se stesse scopando e contemporaneamente masturbandosi.

Non potendo lei raggiungere l’orgasmo, La giovane poteva permettersi di ficcare a lungo e con foga costante. Per Cristian era un piacevole supplizio che durava più di un’ora e al quale non poteva ribellarsi. Visto che i due facevano solo sesso anale quando se lo ficcavano dentro, in sostanza l’una si vendicava della brutalità dell’atto sessuale dell’altro.

Man mano che il tempo passava e più i due si avvicinavano l’un l’altra attraverso le loro esperienze sessuali, più queste diventavano monotone e i gemelli erano alla continua ricerca di altro. A guidarli in ciò c’era internet.

Chiara venne obbligata a mangiare la merda del fratello, mangiarla tutta. Le conveniva non vomitare quando lo faceva o avrebbe dovuto ingurgitare gli escrementi appena rimessi. Le feci le venivano anche cosparse sul corpo e la faccia, sulla quale Cristian avrebbe pisciato subito dopo, lasciando che l’urina finisse in bocca della sorella e che questa bevesse tutto quanto le veniva versato in gola.

Dei tagli cominciarono ad apparire sui corpi di entrambi. Si infliggevano ferite corporali per punirsi. Non sarebbero durati a lungo se avessero continuato per la strada che avevano intrapreso da qualche anno.

I genitori erano sempre più disperati non conoscendo la causa, e forse era meglio così, del declino dei figli. Loro non proferivano parola con chi viveva nel mondo che li circondava. Si erano chiusi a riccio e non accettavano intromissioni. Avevano deciso di punirsi per quello che erano e facevano, prevedendo che questa punizione, prima o poi, li avrebbe condotti alla morte!

In assoluto segreto, madre e padre dei ragazzi, installarono delle videocamere nella stanza dei gemelli per sentire i loro discorsi, sapere quel di cui parlavano e sperare di riuscire così ad aiutarli. Era la sola maniera per poter entrare nella loro dimensione dalla quale avevano fatto uscire tutti quanti.

Fu già dalla prima sera che i coniugi capirono la reale situazione del male stare della propria prole. A occhi spalancati assistettero, impotenti e indiretta, a una rude chiavata tra fratello e sorella. In quegli attimi la coppia si trasformava. Erano selvaggi ed esprimevano forza, energia. Cristian lo ficcava in culo alla sorella e Chiara chiedeva di essere presa a pugni in faccia. Il fratello l’accontentò e incominciò a picchiare sempre più forte. Il sangue volava via dalla bocca della giovane che era ormai tutta un livido. Non le importava come avrebbe fatto a giustificare il suo aspetto il giorno dopo.

Temendo il peggio, il padre si precipitò nella stanza dei gemelli. Erano come sotto l’effetto di una droga. Cristian non si fermò un attimo né rallentò nell’inculare la sorella, che aveva l’interno cosce sporco di sangue e merda. Il ragazzo aveva un’erezione incredibile che aveva allargato fino a spaccarlo, l’ano della giovane.

L’uomo fu costretto a levare con la vigore Cristian da dentro Chiara. Il primo si ribellò alla cosa e tentò di ficcare il pene in bocca al padre, che lo colpì con un pugno. Chiara intervenne in difesa del fratello. Aggrappatasi a suo padre con tutte le forze, gli leccava la faccia e rideva, ormai aveva perso la ragione, mentre coi piedi gli sfruculiava il cazzo da sopra i pantaloni.

Li raggiunse la madre, tentando di separare i due. Fu Cristian, a questo punto, che, col cazzo ancora in tiro, alzò la sottoveste di sua madre e ficcò la minchia nella figa di lei, dando due colpi ben assestati e sborrandole dentro. La donna si mise a urlare e piangere. Cadde al suolo. In volto non c’era più alcuna espressione umana per quello che aveva visto e quanto avesse appena subito.

Si rannicchiò in un angolo, rannicchiandosi in posizione fetale. Suo marito, alle prese ancora con Chiara, cercando di dimenarsi, perse l’equilibrio e, cadendo a terra, batté la testa, perdendo i sensi. I gemelli, prendendo fiato, si avvicinarono alla donna, la loro madre, e, con lei inerme, a turno, per svariate ore, la seviziarono e violentarono, costringendola anche a guardarli mentre si chiavavano a vicenda.

I vicini, sentendo le urla, avevano chiamato la polizia che arrivò in mattinata.

Lo spettacolo che si trovarono davanti era raccapricciante. Un uomo incosciente e una donna, sua moglie, distesa in un angolo, senza vita negli occhi. Un involucro che conteneva un’anima oramai ridotta uno straccio o neanche più quello. I gemelli erano nudi, abbracciati l’uno all’altro, col cazzo di Cristian nel culo di Chiara.

Entrambi non rispondevano alle stimolazioni che venivano fatte loro dagli agenti che li avevano soccorsi. Una triste vicenda fatta di incesti e conseguente disagio e autodistruzione che quelle scopate avevano generato, che lasciarono un profondo segno in tutta la comunità, appena la cosa si venne a sapere, diventando pubblica.
 
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Scrivi bene, ma mi spiace sono contrario ai racconti di stupro perchè qualche buontempone con troppi ormoni nel sangue potrebbe credere sia corretto o fattibile fare una cosa del genere.
Credo non debbano essere pubblicati questi racconti.
Continua con altro genere grazie.
 
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Scrivi bene, ma mi spiace sono contrario ai racconti di stupro perchè qualche buontempone con troppi ormoni nel sangue potrebbe credere sia corretto o fattibile fare una cosa del genere.
Credo non debbano essere pubblicati questi racconti.
Continua con altro genere grazie.
ciao, grazie per i complimenti. scrivo quello che mi chiedono. non c'è problema che poi qualcuno, solo perchè ha letto un racconto, si senta autorizzato a fare una cosa simile. se così fosse, bisognerebbe abolire tutto il genere horror e violento per paura di emulazione. mi spiace dirlo: ma credo tu abbia un punto di vista un po' troppo bigotto. ciao.
 
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Il solito incapace

Meetic li aveva fatti incontrare e adesso, senza perdere tempo, Nicolas e Carmen volevano fare sesso, sfogare i propri istinti, senza remore o falsi pudori. Lei gli indicò la strada per un posto tranquillo. Aveva cominciato a baciarlo sul collo, a mettergli una mano tra le gambe, liberando il pene dai boxer, nonostante Nicolas stesse guidando. Carmen era bellissima! A Nicolas sembrava strano che una donna tanto attraente avesse avuto bisogno di un’app di incontri per conoscere qualcuno, ma in quel momento poco gli importava del perché lo avesse fatto. "Fermati qui!", gli disse, sussurrandoglielo nell’orecchio. Nicolas inchiodò, facendo stridere le ruote sull’asfalto. Scesero dalla vettura. Lei lo condusse, tirandolo per il pene eretto, verso la cantina di casa sua. Era una ragazza che sapeva quello che voleva. Aprì la porta e una volta dentro nemmeno si accertò di richiuderla, rischiando che qualche passante potesse vederli. Magari si sentiva tutelata dal buio nella stanza o la cosa non le dava fastidio, anzi: la eccitava! Nicolas era vestito, solo il pene turgido gli usciva dalla patta. La partner lo masturbava con vigore. Il giovane si mordeva il labbro, trattenendo l’orgasmo. Carmen gli tappava la bocca con l’altra mano, mentre, completamente addosso a lui inchiodato al muro, gli diceva:"Non venire! Non fin quando non voglio io! Nicolas restava in silenzio e gemeva. La donna si mise in ginocchio, cominciando a succhiare velocemente, stringendo i testicoli con l’arto destro. Nicolas provava un misto tra dolore e piacere. Carmen si portò il pene tra le gambe, cercando di infilarlo dentro, nella vagina umida. Appena il membro eretto sentì il calore dell’interno del corpo della ragazza, esplose tutto il seme bianco. Carmen sbuffò, guardando in malo modo l’ennesimo ragazzo incapace di soddisfarla.
 
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Con la mia amica del cuore

Era da un po’ che con la mia amica Emma non ci vedevamo e passavamo del tempo assieme. Ci frequentavamo da ragazzine, praticamente. Abbiamo fatto ogni cosa in due: dalla scuola al primo bacio (cosa ingenua e tenera, da piccole, a stampo tra noi, per provare com’era).

Da poco avevo cominciato a scrivere per un blog che trattava di erotismo. Aveva la pretesa di essere il Playboy del web, così si definiva. Comunque era una cosa seria. Contenuti fantastici, grafica idem, scrittori capaci e io ero tra loro.

La mia agenzia mi aveva fatto ingaggiare per 2.200 euro mensili, cifra da capogiro. L’evento doveva essere festeggiato.

Approfittando che Emma era in città per quel periodo, organizzai lì per lì un’scita assieme, come ai bei vecchi tempi.

Le telefonai e le proposi una cosa semplice. C’era un locale che inaugurava l’apertura in quel fine settimana. Saremmo potute andare a bere qualcosa, ballare e scambiare quattro chiacchiere, criticando i presenti (cosa che ci divertiva un mondo, facendoci ammazzare dalle risate).

Emma approvò la mia richiesta.

Quel sabato erano quasi le 22:00 e cominciai a prepararmi per la serata.

Avevo cambiato appartamento, o meglio: non vivevo più in casa coi miei, data la montagna di soldi che mi sarebbero piovuti addosso per non fare un cazzo, praticamente. La vita da artista, intellettuale è favolosa quando c’è il ritorno economico.

Mi misi in tiro: cosce di fuori, col culo sodo e spinto in alto da tacchi vertiginosi e tette che stavano su che era una meraviglia. Nonostante abbia il seno piccolo, ne vado molto orgogliosa e adoro mostrarlo. Più che mostrarlo: adoro che me lo fissino! La scollatura a V lo permetteva, eccome se lo permetteva!

Salì a bordo della mia macchina e mi assicurai d’avere del fumo dentro la borsetta: non esco mai senza e quella sera avevo intenzione di stordirmi un po’ tra alcol e un paio di bei cannoni.

Giunsi sotto casa della mia amica che erano quasi le 23:00.

Arrivati sul posto, proprio accanto a dove stavamo parcheggiando, due ricchioni stavano scopando. Non mi era mai successo di vedere una cosa simile, non dal vivo. Quello che stava dietro ci dava dentro di brutto e l’inculato aveva impressa in viso l’espressione del dolore, però si mordeva le labbra per il piacere. Non durò molto: quello che lo prendeva sborrò senza che nessuno gli scappellasse il cazzo. Si vedeva lo sperma che gli colava mentre continuava a venire stantuffato dal maschione che aveva alle spalle.

Decidemmo di andare per la nostra strada, lasciano i due a ficcarsi e godersi il loro momento, abbandonandoli alla propria intimità.

La serata non era cominciata affatto male: una trapanata del genere me la sarei fatta fare volentieri!

C’era addirittura la fila per entrare. La cosa che a Emma e a me sembrò strana, era che anche la ragazze dovessero attendere prima di accedere all’interno.

Mentre ce ne stavamo a ridere e scherzare, dei tipi ci si avvicinarono, fino a poggiarcisi contro al culo. Approfittavano del fatto che la coda ci tenesse tutti appiccicati. Due balordi del genere, due fighe come noi non le avevano neanche mai viste. Solo fargliela annusare sarebbe stata una grande conquista per loro.

Mi sentivo eccitata per quello che avevo visto arrivando e per il bozzo duro contro al mio culo di quello sconosciuto che spingeva senza tante remore o vergogna. Lo lasciavo fare, oltre quello non poteva accadere e non mi sentivo in pericolo: c’era un sacco di gente.

Emma cominciò ad ansimare a singhiozzo. Non si trattiene quando è eccitata. Lo era, nel sentirsi molestata sul culo dal cazzo in tiro, seppur nei pantaloni, di quel tizio.

Quelli principiarono a spingere col bacino, come se avessero cominciato a chiavarci. La cosa non durò molto, per loro sfortuna, infatti aprirono l’ingresso a noi donne, lasciando i segaioli fuori.

Il posto era davvero molto bello ed elegante. La musica non faceva schifo come accade di solito e la gente era un misto tra tamarri e tipi e tipe alla moda, con un minimo di stile.

Ci avvicinammo immediatamente al bar per bere qualcosa. Neanche a dirlo: dei giovani molto carini ed educati ci offrirono quel giro. Non erano persone che ti saresti scopata nei bagni o fuor dal locale, o magari nel parcheggio, come i ricchioni che avevamo incrociato al nostro arrivo, erano più tipi da conoscere, frequentare, ma io, per quel che mi riguardava, non ne avevo intenzione. Non volevo impegnarmi con nessuno proprio nel momento in cui ero riuscita ad avere l’indipendenza economica ed essere andata a vivere da sola.

Restammo in loro compagnia per un’oretta circa e fu piacevole, devo ammetterlo.

Dissi a Emma che volevo andare a ballare. Lei era più rapita di me dai nostri nuovi amici e ci volle un po’ prima che si decidesse ad accompagnarmi. Forse quei ragazzi pensarono che la serata stava volgendo bene per loro. Dal mio punto di vista non era certo così.

Il cocktail che avevo bevuto era piuttosto forte e siccome Emma aveva lasciato il suo, mi ero scolata anche quello, per non parlare dei sorsi che ci fecero fare quei ragazzi dalle loro bevande.

Eravamo un po’ stordite. I sensi inibitori cominciavano a sciogliersi e noi, di conseguenza, a lasciarci andare.

Presi a ballare scuotendo la testa e facendo volare i capelli da destra a sinistra. Non potevo permettermelo: i tacchi altissimi e l’alcol mi fecero traballare, facendomi finire su un ragazzo alle mie spalle. Gli franai addosso e quando mi girai, stonata com’ero, lo abbracciai buttandomici contro, posando la faccia su suo petto. Gli portai le mani al culo, mentre tenevo gli occhi chiusi per evitare che il mondo attorno a me continuasse a volteggiare.

Emma mi tirò indietro, divertita. Rideva come una pazza. L’esca per quello sconosciuto era stata involontariamente sganciata e lui l’aveva colta al volo.

Tornò ad afferrarmi per i fianchi e a poggiarmi il cazzo contro la pancia. Un po’ per paura, un po’ per non essere lasciata sola, afferrai la mano della mia amica e la condussi dietro il tizio. Emma gli appoggiava la figa contro al culo, strusciandocisi. Lo avevamo messo in mezzo e facevamo le matte: era divertente.

Lui era pronto per una scopata. Ne sapevo qualcosa, in quanto mi stava perforando la pancia col cazzone.

Feci in maniera di scivolare accanto a Emma. Gli dissi nell’orecchio di uscire con quello e di farcelo. Dapprima lei rise imbarazzata, poi lo guardò e cambiò idea. Non avevamo mai fatto una cosa simile, lei, almeno, io delle esperienze del genere le avevo vissute.

Era ubriaca. Mi sentivo la testa pesante. Diedi così, d’istinto, un bacio sul collo della mia amica, abbracciandola. Tenevo sempre gli occhi chiusi. I contatti dei nostri seni schiacciati gli uni contro gli altri, mi fecero bagnare: erano caldissimi!

Da dove avevamo lasciato i nostri nuovi amici, questi ci guardavano con rassegnazione, avendo appreso d’aver perso un’opportunità. Dopo tutto il denaro sganciato per farci bere e ubriacarci, a cogliere contemporaneamente i frutti umidi di quelle due ragazze, sarebbe stato uno che chissà chi era!

Mi voltai nuovamente verso colui che sarebbe dovuto esse il nostro cavallo da monta e gli afferrai il cazzo da sopra i jeans. Stringevo forte e facevo su e giù per segarlo, anche con una certa foga, mentre ridevo come una scema. Fortuna che non avevo fumato o chissà cosa sarebbe successo. In tutto ciò, Emma mi ballava poggiata contro al culo, strusciandocisi e baciandomi sul collo.

Lo sconosciuto non perse tempo e ci condusse fuori. Neanche a farlo apposta ci fermammo proprio nello stesso identico punto dove prima si stavano inculando i due ricchioni. C’era ancora la sborra a terra, se ne vedevano le macchie sul selciato.

Mi sbatté letteralmente con la schiena contro al cofano di una macchina e mi mise Emma di sopra. Stavo con le cosce aperte con la mia amica che c’era finita in mezzo. La scema, ridendo (cosa che facevo anche io), mi palpava le tette, fino a tirarmele fuori, cominciandole a succhiare. Mordeva i capezzoli e li tirava su finché poteva, poi si attaccava come se dovesse bere il latte. Io la lasciavo fare.

Fu un po’ sconvolgente, devo ammetterlo, quando mi mise la mano tra le gambe e cominciò a sditalinarmi. Non me lo aspettavo!

Il tizio, nel frattempo, era in ginocchio proprio dietro la mia amica e se lo menava per farselo venire bello in tiro. Mentre lo faceva, leccava il culo, o forse la figa, di Emma.

Io perseguivo a tenere gli occhi chiusi ed ero come assonnata, muovendomi al rallentatore. Tenevo fuori la lingua nella speranza che Emma cominciasse a succhiarmela, ma era troppo presa con i miei capezzoli.

Il Ragazzo, senza infilare alcun preservativo, schiantò il cazzo nella patata di Emma. Lo fece con foga, tanto da spostarla di brutto e levandomela da dosso. Lei quasi cadde dal cofano.

Lui estraeva la minchia dalla sua figa e la infilava nella mia, così, continuamente. Ci scopava contemporaneamente.

Finalmente decise di dedicarsi a una di noi. Mentre sfiancava Emma a suon di cazzo in figa, io slinguazzavo di gusto la mia amica, sgrillettandole il clitoride. Non lo avevamo mai fatto tra di noi, a parte quel bacio innocuo da ragazzine. Non saprei dire se, in condizioni normali, da sobrie, saremmo mai arrivate a tanto.

Volevo pure io sentire il cazzo dentro di me e andai proprio a toglierlo da dentro il ventre di Emma, portandolo nel mio. Il tizio cominciò a darci giù duro anche con la mia fregna, che colava liquido di piacere.

Emma mi si attaccò al collo come se fosse una vampira e si mise a succhiare vicino l’orecchio. Quella sensazione mi fece roteare gli occhi per il puro piacere che avvertivo. Mi sentivo inerme, senza forze per come stavo godendo.

Mi ripresi un po’ appena sentì delle gocce calde schizzarmi sulla faccia. Qualcuna mi finì in bocca e fu dal sapore acidulo e salato che capì che si trattava di sperma e che quell’imbranato aveva già sborrato.

Emma e io, nonostante che l’imbecille avesse terminato, continuammo, teneramente a baciarci tra noi. Mi piacque davvero parecchio quando mi pulì la faccia dal seme dello sconosciuto, leccandolo con la sua lingua, così come si lecca un gelato.

La misi dritta, in piedi e, per ricambiare, le sparai un ditalino, facendole avere un orgasmo che le fece tremare le cosce e per il quale stentò a reggersi in piedi, se non fosse stato per me, dalla quale si reggeva.

Ci rimettemmo in macchina, combinate come eravamo e ce ne tornammo a casa, la mia, dove passammo la notte, tra una leccata di figa e l’altra.
 
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