Racconto di fantasia Le parole e i fatti

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Prima parte di un racconto principalmente di fantasia, ma con diversi elementi reali.

Le parole e i fatti



Avevo conosciuto R. in chat, ma non ha tanto senso specificare quale. Neanche io saprei dire di cosa fossi alla ricerca, in ogni caso tra una connessione e l’altra mi sono imbattuto in lei. Pur non avendola vista e senza avere a disposizione alcun supporto per poterla ammirare (o, chissà meravigliare di quanto potesse non piacermi), fin da subito ne ho provato una profonda, nascosta e indefinibile attrazione. Tutto quello che sarebbe accaduto dopo, a ripensarci, non è altro che la logica conseguenza del reciproco approccio che abbiamo vissuto e per mezzo del quale ci siamo rapportati. Tuttavia, parlare dopo anni di distanza, tanto più che ora non so più quale sia la sua vita, è molto facile e, sostanzialmente, sottrae ogni responsabilità.

Le nostre discussioni risultarono fin da subito intriganti e impegnative: non era persona da domande (e quindi risposte) facili, rimasi fin da subito colpito dal suo modo elegante e incalzante di argomentare. Non era solo l’italiano appropriato e preciso a colpirmi, al punto tale da non portarmi quasi immediatamente alla ricerca di una conversazione spinta ed esplicita, ma anche lo spirito critico, indomabile, sfidante che R. sapeva facilmente sprigionare, quasi per un istinto naturale che rendeva interessante e meritevole di estrema attenzione anche la comunicazione apparentemente più banale ed irrilevante.

Non abitavamo in zone vicine, elemento che rese fin da subito indispensabile l’organizzazione di una comunicazione il più possibile profonda e dettagliata: la possibilità di vederci, anche solo per una rapida consumazione di una bibita in un locale, era estremamente condizionata da spostamenti dell’uno o dell’altra (o di tutti e due in una zona intermedia in relazione ai rispettivi luoghi di residenza), di conseguenza dialoghi caratterizzati da un’immediatezza derivante dalla consapevolezza che ci saremmo facilmente visti dal vivo erano, di fatto, utopistici.

La immaginavo di volta in volta in modo diverso: bionda, rossa, mora, abbondante, diafana, dal seno grosso e strabordante, oppure piccolo e invitante, dai fianchi ampi, oppure rifiniti e stretti, alta e piccola, dall’incarnato scuro oppure latteo, dai capelli lunghi e mossi oppure corti e ispidi. Poco importava, davvero, visto che l’interesse che suscitava in me procedeva comunque: lentamente, concedendosi strappi, pause, arretramenti, accelerazioni, salti, rincorse, recuperi. In ogni caso, procedeva.
 
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I dialoghi continuavano, c’erano periodi in cui procedevano intensamente e altri in cui ci si sentiva di meno, in modo più saltuario, ma bastava pochissimo per ricreare l’atmosfera di controllata complicità che si era creata. Cercavo di aprirmi un varco, di trovare il modo per procedere, in modo via via più serrato, all’organizzazione di un appuntamento, ma non era affatto facile. Le lasciai anche il mio numero di telefono, volevo almeno passare alla conversazione orale, cercare di ridurre lo spazio dell’immaginazione, che pure non mi dispiaceva coltivare, a beneficio di un avvicinamento alla realtà. Niente da fare, il fascino che esercitava su di me era pari almeno alla sua impenetrabilità, al suo sapersi celare senza comunque risultare sgradevole. Iniziavo a confessarle in modo sempre più esplicito le pulsioni che avvertivo quando scambiavamo i nostri messaggi, era straordinaria nel creare intorno a sé un senso di attrazione e mistero. Lei gestiva i miei desideri con consapevolezza e leggerezza, dimostrandosi molto più matura di quanto la sua età non lasciasse immaginare. Rimaneva, tuttavia, una sorta di divinità, una figura distante e lontana. Il pensiero andava a lei frequentemente, mi eccitavo con sempre più frequenza, il desiderio saliva. Poi, però, tornavo in me, consapevole che nulla sarebbe accaduto. Finché, alle 22:15 di una piovosa serata di novembre, suonò il telefono.
 
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Sullo schermo apparve il nome con il quale avevo registrato il suo nome. Rimasi colpito, interdetto, per un attimo esitai prima di rispondere, poi misi da parte gli indugi.

- Ti disturbo?
- No, per niente, sono in casa.
- Lo immaginavo, vista l’ora. Ma magari saresti potuto uscire, no=
- Sta anche piovendo.

La conversazione proseguì piuttosto ordinariamente, le raccontai la mia giornata e lei appariva interessata, finché arrivò la sorpresa.

- Sono nella tua cittĂ .
- Come? Nella… Ho capito bene?
- Sì, hai capito bene.
- Non ci credo.
- Fammi qualche domanda, allora. Vuoi che invii una prova?
- No, no… Ti credo, ma è incredibile.
- Pensavo fossi piĂą contento.
- Lo sono, ma sono anche sorpreso.
- La vita è una sorpresa continua. Hai più anni di me, dovresti saperlo?
- Un conto è saperlo, un altro è pensarci di continuo.
- E se ti chiedessi di vederci?
- Ora?
- Ora, certo.

Trascorsero 10 secondi, lunghi, infiniti, intensi.

- Va bene. Dove ti trovi?
- Dimmi dov’è casa tua.
- Casa mia?
- Sì, casa tua.
- Ma tu dove sei, dove dormirai?
- Non preoccuparti di questo.

Altri secondi di silenzio imbarazzato ed eccitato, quindi, senza pensarci più, senza considerare niente, senza più controllo razionale, le comunicai l’indirizzo.

- Hai bisogno che ti venga a prendere?
- Stai tranquillo, provvedo da sola.
- Allora ti aspetto.
- A dopo.

Erano passate le 23, non avevo provato né a scriverle né a richiamarla, non volevo metterle pressione né manifestarmi ansioso, benché lo fossi. Ogni secondo si dilatava e al simultaneamente accelerava, il tempo passava, sentivo l’agitazione salire dal cuore alla testa, scendere giù fino ai piedi, ritornare su. Cosa sarebbe accaduto? Ormai era tardi, di certo sarebbe rimasta a dormire a casa. Dormire e basta o dormire nel senso più completo del termine? E se la seconda ipotesi si fosse concretizzata, come sarebbe andata? L’eccitazione? E se non l’avessi avuta, paralizzato dalla sorpresa? E se, invece, al contrario, l’inattesa situazione mi avrebbe sovraeccitato? E gli impegni del giorno dopo? E se non mi avesse trovato sgradevole? E se avessi trovato io sgradevole lei? E se l'impressione negativa fosse stata reciproca? E la casa? Era in ordine? Qualcosa da bere e, eventualmente, da mangiare? E se poi non fosse venuta? Se fosse stato uno scherzo? Se…

SUONO DEL CITOFONO (continua…)
 
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ATTENZIONE!!! DA NON CONSIDERARE L'ULTIMO POST, QUELLO DELLE 12:20 DEL 10/10/2021

Sullo schermo apparve un numero non registrato in rubrica. Un fenomeno che risulta, almeno per me, sempre inquietante. Rimasi colpito, interdetto, per un attimo esitai prima di rispondere, poi misi da parte gli indugi.

- Chi parla?
- Non puoi riconoscermi, ma sai chi sono.

La voce, femminile, era giovanile e gradevole, leggermente cantilenante, con una cadenza non perfettamente definibile. Non mi venne in mente nessuna.

- Non saprei. Se è uno scherzo, non sono in vena
- Non è uno scherzo. Il numero me lo hai lasciato tu, del resto.

Secondi, interminabili, di indugio e riflessione, complice la stanchezza. Poi, la luce.

- Ma allora sei R.!
- Ti disturbo?
- No, per niente, sono in casa.
- Lo immaginavo, vista l’ora. Però, magari, saresti potuto uscire, no?
- Sta anche piovendo e comunque non avevo programmato nulla.

La conversazione proseguì piuttosto ordinariamente, le raccontai la mia giornata e lei appariva interessata, finché arrivò la sorpresa.

- Sono nella tua cittĂ .
- Come? Nella… Ho capito bene?
- Sì, hai capito bene.
- Non ci credo.
- Fammi qualche domanda, allora. Vuoi che invii una prova?
- No, no… Ti credo, ma è incredibile.
- Pensavo fossi piĂą contento.
- Lo sono, ma sono anche sorpreso.
- La vita è una sorpresa continua. Hai più anni di me, dovresti saperlo?
- Un conto è saperlo, un altro è pensarci di continuo.
- E se ti chiedessi di vederci?
- Ora?
- Ora, certo.

Trascorsero 10 secondi, lunghi, infiniti, intensi.

- Va bene. Dove ti trovi?
- Dimmi dov’è casa tua.
- Casa mia?
- Sì, casa tua.
- Ma tu dove sei, dove dormirai?
- Non preoccuparti di questo.

Altri secondi di silenzio imbarazzato ed eccitato, quindi, senza pensarci più, senza considerare niente, senza più controllo razionale, le comunicai l’indirizzo.

- Hai bisogno che ti venga a prendere?
- Stai tranquillo, provvedo da sola.
- Allora ti aspetto.
- A dopo.

Erano passate le 23, non avevo provato né a scriverle né a richiamarla, non volevo metterle pressione né manifestarmi ansioso, benché lo fossi. Ogni secondo si dilatava e al simultaneamente accelerava, il tempo passava, sentivo l’agitazione salire dal cuore alla testa, scendere giù fino ai piedi, ritornare su. Cosa sarebbe accaduto? Ormai era tardi, di certo sarebbe rimasta a dormire a casa. Dormire e basta o dormire nel senso più completo del termine? E se la seconda ipotesi si fosse concretizzata, come sarebbe andata? L’eccitazione? E se non l’avessi avuta, paralizzato dalla sorpresa? E se, invece, al contrario, l’inattesa situazione mi avrebbe sovraeccitato? E gli impegni del giorno dopo? E se non mi avesse trovato sgradevole? E se avessi trovato io sgradevole lei? E se l'impressione negativa fosse stata reciproca? E la casa? Era in ordine? Qualcosa da bere e, eventualmente, da mangiare? E se poi non fosse venuta? Se fosse stato uno scherzo? Se…

SUONO DEL CITOFONO (continua…)
 
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Risposi automaticamente, con quella voce resa più vicina dal dispositivo di altro genere mi confermò la sua presenza: aveva osservato rigorosamente le indicazioni ed era arrivata. Le comunicai il piano dove arrivare e, secondo la mia consueta abitudine, aprii il portone prim’ancora che suonasse il campanello. L’ascensore, ben visibile frontalmente dall’uscio, era in movimento: provai a dare uno sguardo all’appartamento alla ricerca di particolari che sarebbero potuti risultare inopportuni, ma non trovai nulla e, se anche qualcosa ci fosse stato, non l’avrei visto. Composi viso e postura nel modo più rilassato possibile, mentre le palpitazioni erano a mille e non feci in tempo a organizzare l’ultimo pensiero che le porte mobili si divisero: R. era a pochi metri da me. Non riuscii a scorgere con precisione il viso, leggermente chino, come se stesse pensando tra sé e sé: un largo impermeabile con un cappuccio ampio la copriva al punto da generare una sorta di penombra, ma il resto mi colpì favorevolmente. Indossava una gonna parzialmente coperta dall’impermeabile, ma dalle ginocchia in giù ammirai delle armoniose caviglie e dei polpacci ben torniti deliziosamente rivestiti da quello che intuii - con mia grande soddisfazione - essere un collant (o una calza) color carne, ma tendente all’abbronzato, come il riflesso della luce artificiale mostrava. Ai piedi, due eleganti scarpe con il tacco non troppo alto, ma sufficiente a slanciarle la figura. Si avvicinò, la salutai con un sorriso non poco teso fisso in volto, lei mi rispose e, alzando il capo, mostro il visò. Era il volto di una ragazza che mostrava meno dei suoi anni, aveva addirittura qualcosa di adolescenziale, superato, tuttavia, da uno sguardo deciso che non lasciava dubbi in termini di sicurezza di sé e consapevolezza.

Appena entrò, le chiesi di porgermi l’impermeabile. Lo fece girandosi di spalle per favorire lo sfilamento: lentamente, presi confidenza visiva con il suo corpo. Nel voltarsi mi appoggiai delicatamente alla sua schiena, lei stessa, flessuosa e felina, fece quasi per appoggiarsi al mio torace. Fu un attimo, un solo attimo che si estese e ancora oggi sento di rivivere. Un profumo dolce e fresco proveniva dal suo corpo, rimasi fermo con l’impermeabile in mano, in attesa che si voltasse e potessi ammirarne le figura frontalmente. Il maglioncino rosa, non eccessivamente accollato, metteva in luce un seno dolcemente abbondante, che sormontava fianchi morbidi e dolci, esaltati dalla gonna scura al ginocchio. Ci sedemmo intorno al tavolo della cucina. Rimasi interdetto, insicuro, dubitante: cosa fare? Come comportarmi? Ruppe lei l’imbarazzo, palpabile.

- Ho sete.
- Certo, certo… Cosa vuoi?
- Per ora mi basta un bicchiere d’acqua.

Lo bevve lentamente, potevo ammirare il liquido attraversare la trachea e scendere lungo il collo. Depose il bicchiere, le labbra erano delicatamente umide. Eppure, nonostante l’ammirassi i miei muscoli erano fermi, contratti, perfettamente opposti alla sua leggerezza, femminile e impetuosa. Trascorse qualche minuto, chiacchiere senza particolare costrutto, soprattutto da parte mia. Poi, per rendere l’atmosfera un po’ meno fredda, le offrii del vino. Accettò senza titubanze. Brindammo e l’aria iniziò, almeno per me, a farsi più soffice. Le luci più calde. I sensi più attenti. Il desiderio mi pervadeva e sentivo il fuoco ormonale mescolarsi con quello alcolico, lei se ne avvide e, pur mantenendo una certa algida calma, non riusciva a nascondere una piacevole curiosità rispetto al mio lento scompormi e all’abbandono della posa da uomo capace del controllo di sé che fino a quel momento avevo faticosamente mostrato. Si alzò, imperiosa, la ammirai dall’alto al basso e credo di avere manifestato la mia voglia con il solo respiro. Si fece largo e si sedette su di me, cingendomi il collo con le braccia, ma senza perdere il dominio e il controllo totale e assoluto della situazione.

- Tu lo sai perché sono qui?
- Per… conoscermi?
- Voglio che mi scopi come mai prima.
- …
- Scopami forte, fammi sentire il cazzo con tutta la potenza e la forza che vuoi.
- Io… Veramente…
- Se ti piaccio come sembra, devi scoparmi oltre ogni limite, come mai hai fatto prima.
- Sì… Però…
- Basta parole, voglio i fatti.

Non aggiunse altro. Sedutasi su di me, con sapienza ed eleganza mi concesse lo sfioramento delle labbra, ritraendosi ai miei tentativi di baciarla con tutta la passione possibile, permettendomi solo leggerissimi scambi con la lingua, prima di schiudere la bocca e farmela assaggiare pienamente. Appoggiai le mani sui glutei sodi e carnosi, feci per spogliarla, ma lei bloccò il tentativo. I suoi seni esplodevano sotto la maglietta, la sua carne scottava e io feci in modo di farle sentire, nonostante la chiostra degli abiti, un’erezione potente e inarrestabile, che nulla e niente al mondo avrebbe mai potuto sedare. Colpita e gratificata dalla reazione, morbidamente si chinò sul membro. Lo sfoderò che era duro come mai prima l’avessi mai avuto e prese in bocca l’ampia cappella, larga e rossa.

- Hai un bel cazzo largo.
- Grazie…
- Ma bisogna saperlo usare.

E partì con il più dolce e lungo e passionale e incredibile pompino mai avuto in vita. La sua lingua girava intorno alla cappella con ritmo perfetto e sinuoso, poi la ingoiava tutta, continuando a lavorarla con la lingua, pur coprendola integralmente, e si liberava del boccone solo per prendere aria e riprendere con tecnica e padronanza inarrivabili. Accompagnavo con la mano, come si è soliti fare, la sua sublime performance orale, di tanto in tanto indugiando con le dita sotto il mento per carezzarla dolcemente, cercando di aggiungere un tocco di dolcezza in più a un momento rovente in ogni decimo di secondo. Proseguì per circa dieci minuti: non so ancora oggi come abbia fatto a non spargerle il seme in viso, quel viso dolce e deciso che di per sé, al di là del corpo, esortava allo scatenarsi della passione più potente. Eccezionale il lavoro ai testicoli, inglobati e ricacciati, umidi di lei, gonfi di sperma al punto di esplodere. Sublime la risalita dalla radice verso l’altro, indimenticabili le parole di accompagnamento.

- Non è lunghissimo, ma è corposo… Ha il sapore del cazzo che mi piace…
- Mi sembra di sentire i suoi mugolii di piacere, la voce impastata di saliva e liquido pre-eiacultorio,
- Così mi farai scoppiare…
- …
- Sei senza paragoni…
- …

Di tanto in tanto mi lanciava occhiate cariche di passione e desiderio, che al tempo stesso esprimevano un completo e totale dominio della situazione. Leccava e succhiava, baciava e masturbava, ora piano ora forte, gestendo con maestria l’asta, ormai completamente ricoperta di liquidi di varia provenienza.

- Adesso è pronto. Scopami fortissimo.
- Aspetta… Le tette…
- Ho capito.

Senza ulteriori parole, liberò il busto da maglia e reggiseno (in tinta con le calze) e accomodò il membro tra i seni, gonfi di passione, freschi, luccicanti. Sembrava non avesse fatto altro nella vita, dal modo in cui si muoveva e faceva scorrere l’asta tra le deliziose colline: tanto per farmi impazzire e procurarmi un’estasi sublime, di tanto in tanto interrompeva la spagnola per ricominciare con il suo indescrivibile pompino. Mai prima di allora il mio cazzo fu destinatario di attenzioni così straordinarie, la sua voglia di sesso, di maschio, di carne dura era palpabile ed essere il destinatario di tanto desiderio mi lusingava. Sentivo lo sperma raggiungere temperature enormi, cuocere letteralmente nei coglioni che non si stancava di mangiare, gustare, ingoiare e ricacciare. Non parlai, ma ormai non resistevo più e passai ai fatti. La tirai su, baciando la sua bocca piena del mio sapore intimo, e la spogliai definitivamente. Era nuda, quasi tutta nuda, rimasero solo le autoreggenti color carne e le scarpe, una mia fissazione. La voltai con decisione verso il tavolo ed ebbi la visione del suo culo tondo e carnoso. Vi ficcai il naso, le labbra, la faccia e gustai tutti i suoi umori, salatissimi e vivi, la fica era gustosa e fresca, una fica giovane, profumata e curata, piena di vita e di voglia, una fica già esperta, ma meritevoli di ulteriori aggiornamenti. Persi il senno, persi la testa e le infilati, per tutta la lunghezza, il cazzo dentro. Entro durò e lineare, eravamo ambedue così bagnati che scoparla con foga fu naturale, come se fossimo una coppia collaudata. I coglioni sbattevano sulle cosce vigorosi e potenti e rimbombavano, facendo da controcanto ai nostri gemiti di godimento.

- Sfondami, rompila…
- Sì, ti sfondo, te la spacco…
- Ti piace la mia fica?
- Tanto, te la allargo…
- Fai il toro, fottimi più forte…
- Ecco…

Diedi colpi sempre più forti, sempre più energici, sempre più rabbiosi che lei reggeva alla perfezione, alternando alle urla di piacere qualche leggera lamentela, dolce e gradita. Rallentai, volevo scoparla piano per sentire meglio la carne della fica. Lasciai andare una ventina di colpi lentamente, affinché potesse meglio sentire durezza, ampiezza ed estensione. Ad ogni millimetro di cazzo la sua voce di ragazza completamente stravolta dall’agitazione ormonale si alzava, si alzava e si alzava. Lo tiravo fuori, infilavo una mano tra la coscia e la calza, mi godevo culo e cosce con la lingua e poi riprendevo. Lasciavo scorrere il pene tra le natiche, senza ingresso alcuno, eppure tutto fluiva naturalmente, per poi riprendere con vigore e forza la penetrazione, ormai inarrestabile. Il profumo dei suoi umori invadeva la cucina e sembrava fondersi con gli odori tipici delle mura che assorbono gli aromi. Mi sedetti, salì sopra e sia offrendomi la vista della schiena sia donandomi il seno, che divoravo avidamente mentre saltava, cavallerizza sublime, sull’organo teso all’inverosimile, galoppò senza sosta, vogliosa e irraggiungibile. Sentivo che non avrei potuto resistere più a lungo, rimaneva però un ultimo passaggio, fondamentale e desiderato. Mi anticipò, decisa e sicura.

- Non sborrare, inculami.
- Sì, certo… Andiamo di là…

Interrompemmo le danze per qualche minuto, il tempo di riprendere fiato, cercare di ricomporre silenziosamente corpo e anima, ma senza eccedere in autocontrollo. Si dispose a novanta gradi, io recuperai il lubrificante e lo spalmai sui glutei, dominando l’impazienza con il piacere visivo e tattile che l’esperienza mi procurava. Immensa la gioia di stare per varcare l’orifizio, pulito e profumato, con l’indice e il medio , onde ridurre l’attrito. Afferravo il seno, consistente ed esplosivo, da dietro, immaginandone dal tocco il ballo devastante.

- Sto per entrare.

Mi parve giusto avvisarla: avvicinai la punta all’apertura, lavorandola sempre con il dito, quindi con lentezza inesorabile la sodomizzazione ebbe luogo. Troppa l’emozione, troppo il senso di beatitudine che provavo nell’entrare senza indugio in quell’antro della meravigliosa cerbiatta, che in qualunque posizione si dimostrava abile a comandare il gioco, gestirlo, reggerlo.

- Lo senti in culo?
- Lo sento, lo sento!
- Te ne do ancora…
- Ancora di più…

Qualche minuto dopo, mi chiese di uscire e scoparla di nuovo in fica. Lì per lì non capii, ma non discussi e feci quanto mi chiedeva. Poi capii. Un orgasmo caldissimo investì la mia cappella, accompagnato da un grido possente e maturo, insolito per la sua verde età. Fu come la scintilla di un interruttore. Lei capì immediatamente e si voltò rapida, pronta per ricevere l’enorme quantità di sperma in gola. Lo afferrò in mano e, di fatto, lo ingerì, finché dalla base il fiume rovente iniziò a muoversi, per poi liberarsi in piena dentro la sua bocca. Fiotti bianchi colavano dallo splendido viso, ma non perse una goccia. Con mia somma sorpresa, dopo aver ripulito tutto, ricominciò a succhiare come se non fosse successo niente. Non avevo parole, eppure nell’arco di qualche minuto l’erezione tornò a farsi viva. Non ci fu tregua, non fu possibile fermarsi. Il furore di liquidi, ormoni, dita nelle labbra, lingue voraci e reciproci piaceri orali si protrasse per l’intera notte.

Mi risvegliai, piacevolmente stravolto, alle undici del giorno dopo. La luce filtrava dalla tenda, la dolce fatica mi rendeva leggermente spossato, ma soddisfatto e ancora inebriato del suo profumo. Realizzai, provai a capire e a ricostruire. Rividi la notte, la cercai, la chiamai. Ansioso, contento, soddisfatto, curioso, sognante. Dov’era? Non c’era più e non potevo sapere, in quel momento, che non l’avrei mai più rivista.
 

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