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Buona sera.
E' la mia prima "opera" di narrativa e spero possa piacervi.
Essa si basa su una serie di fatti e situazioni realmente accadute a me ed alla mia compagna, che sono state però distorte ed addomesticate allo scopo narrativo.
Ovviamente, nomi, situazioni, luoghi possono sembrare reali, ma sono stati modificati volutamente per cancellare ogni riferimento alla vita reale mia, della mia compagna e delle persone di cui ho narrato.
Anche talune situazioni che man mano illustrerò sono state cambiate ad uso della narrazione erotica, amplificando fatti e comportamenti altrimenti latenti e non così palesi
Posto qui i primi tre capitoli di un romanzo breve che a oggi è di circa 30.000 parole, 1.500 pagine kindle, suddiviso in vari episodi.
Evito di inviare il tutto perchè non so quanto possa essere gradito.
Allegherò un capitolo in formato PDF per ogni post.
Se lo desidererete, invierò anche gli altri.
Paolo.
P.S. Il post è stato inavvertitamente inserito nel subforum racconti fotografici. Me ne scuso, Chiedo all'admin di eliminarlo.
Un ménage à trois diventato in breve un rapporto stretto ed esclusivamente femminino.
E rimasi da solo.
Sono passati dieci anni da quel giorno in cui le scoprii a baciarsi, i corpi nudi ed unti dall’olio abbronzante, i sessi depilati ed oscenamente rigonfi ed i seni con i capezzoli che si ergevano tesi a manifestare una selvaggia quanto primitiva eccitazione. Avrei dovuto capire che prima o poi il trio sarebbe diventato un duo e che sarei uscito perdente da quella relazione anomala.
Arrivò il giorno in cui trovai i miei abiti, le camicie con le cifre e le cravatte di Marinella, le giacche di cachemire e di fresco di lana, i miei preziosi computer con tutti i miei progetti, le mie carte, insomma, tutte le mie cose perfettamente ordinate e rigorosamente impacchettate, pronte ad essere portate via, maniacalmente impilate in garage.
Non una parola di preavviso, né una spiegazione.
“Da stasera non abiti più qui. Domani sarai contattato dall’avvocato Frescobaldi per la separazione. Sappi che voglio il divorzio. Non ti chiederò nulla di più della casa, dell’auto e dell’uso concordato della villa a Santo Stefano. Puoi tenere la multiproprietà in Sardegna, anche se me l’ha regalata mamma, ed usarla come vuoi, ma dovrai metterti d’accordo con i figli. Tanto lo sai che c’è spazio per dieci persone, non credo avrai problemi a convivere con i ragazzi ed i loro amici. Il cane lo tengo io fino a che non trovi un posto decente dove stare; poi, lo potrai prendere quando vuoi ma voglio poterla tenere almeno tre mesi all’anno. Quanto ai figli, sai che dovrai farti carico delle spese di istruzione e sanitarie, ma a Luca mancano solo sei esami alla laurea e Sophie sta finendo il master, già lavora ed è quasi autonoma. L’assicurazione sanitaria te la passa l’azienda, per cui direi che per questo non c’è problema. Non mi hai fatto nulla di male, non ti addebito nulla, ma non posso più rimanere legata a te con un vincolo legale. La mia vita è con Andrea.”
Non ebbi modo di controbattere, totalmente annichilito dalla notizia che mi era arrivata tra capo e collo.
Era un po’ di tempo che non eravamo più né coppia né trio. Ero stato estromesso dai loro giochi, complice un lieve infarto che mi aveva colpito due anni prima e che mi aveva fatto smettere, come suggerito dall’amico Prof. Paolo Ricagli, primario di Cardiologia al S. Andrea di Roma, tutti gli eccessi a cui ero abituato. Basta fumo, basta vino, niente più goccetto di Oban la sera, niente più Cialis per erezioni semi-perenni, niente più sesso sfrenato.
Ed un trasferimento temporaneo in Giappone a Tokyo, sede della Casa Madre dell’azienda di cui ero divenuto il direttore dei laboratori software di tutto il mondo, mi aveva obbligato ad un’assenza forzata per oltre sei mesi, lontano da casa, dalla famiglia e dalle amicizie. Non bastavano le lunghe ma non frequenti chiamate in videoconferenza con Skype, anche perché otto ore di fuso orario non facilitavano di certo la comunicazione: le otto di sera a Roma erano le quattro del mattino a Tokyo, troppo presto per svegliarmi tutti i giorni quando la sera chiudevo la luce alla mezzanotte locale e la mattina alle 8 dovevo essere in ufficio con l’autista che mi passava a prendere alle 6:30. Giusto la domenica pomeriggio potevo concedermi un po’ di tempo, quando a Roma erano le dieci di mattina ed ero certo di trovare qualcuno a casa, spesso ancora nel sonno.
Tornai da Tokyo con tanta stanchezza ma con una promessa da parte del management che non mi avrebbe più spostato se non per qualche breve trasferta a Londra, Monaco e Madrid, le altre sedi europee, oltre a Roma e Milano, dei laboratori di cui ero a capo. E con un aumento di stipendio vertiginoso, tale da tranquillizzarmi per il futuro mio e dei miei. E comunque, non è che avessi modo di usare tanta agiatezza: trasferte pagate, poco tempo libero per spendere, solo i costi di gestione delle abitazioni e l’argent de poche per i figli, peraltro lautamente sovvenzionati dai nonni materni e dalla mamma che non lesinavano loro un euro, visto che se li strameritavano per l’ottimo rendimento universitario e per il loro ammirevole spirito di iniziativa e desiderio di autonomia che li rendeva quasi autonomi economicamente; Luca aveva seguito le mie orme e sviluppava app di successo, Sophie aveva trovato lavoro in un’azienda di apparati radiologici e poteva permettersi quasi tutto ciò che desiderava con il suo stipendio e le provvigioni.
Tutto ciò avrebbe reso felice qualsiasi uomo: una moglie ricca di suo e brillante chirurgo estetico, due figli intelligenti, bravi, pieni di iniziativa e con un futuro radioso, un cane devoto, un’amante ex-top model condivisa con la moglie, assieme ad una posizione solida faticosamente e, immodestamente, raggiunta solo per meriti personali.
Ma ecco che il mio microcosmo all’improvviso crolla, si sfalda. Le certezze vengono meno, i punti di riferimento si fanno più labili, gli obiettivi sfuocati e, ad un tratto, lontani e irraggiungibili.
Occorre ricominciare da capo.
Ho ripreso possesso del superattico ai Parioli, dopo averlo ristrutturato. Ho schiaffato in uno dei box batteria, stereo e dischi, e negli altri due le mie auto preferite. Ho ricavato una libreria a parete per riempirla dei volumi ingialliti e un po’ stantii, ho spostato gran parte dei computer e dei dati sul cloud, tenendomi solo il portatile ed un enorme monitor che campeggia sulla mia scrivania. Il resto dello spazio è diviso tra cucina a giorno, soggiorno ed un enorme letto ai cui piedi campeggia una sontuosa vasca da idromassaggio. Sistemata la logistica, ho cercato di rimettere insieme i cocci della mia vita spezzata.
Sono ormai vicino ai sessanta, ben portati solo grazie ad un ottimo patrimonio genetico che non mi ha fatto invecchiare e gli ultimi due anni di dieta e di sano esercizio fisico: un’ora al giorno di camminata veloce alternata a qualche corsetta mi hanno asciugato la pinguedine che si era appalesata sui fianchi e mi hanno fatto rassodare cosce, pancia e pettorali. Oggi dimostro almeno cinque anni di meno e, grazie al cielo, ho ancora tutti i capelli appena inframezzati da qualche spruzzo di grigio.
Credo di essere ancora una persona interessante, colto e amante della bellezza: posso ancora ritrovare il gusto per la vita.
Ho ristretto i rapporti di amicizia con i vecchi amici, ho ripreso ad uscire un po’ la sera e a frequentare qualche locale. Ma ho anche osato iscrivermi ad una chat, dietro suggerimento di un collega.
Mi sono connesso, ho cercato di capire come funzionasse, ho pagato l’abbonamento semestrale di prova con la Postepay attivata per l’occasione e ho iniziato a studiare l’ambiente.
Ovviamente, ho scartato subito l’idea di accalappiare le ninfette poco più che ventenni, troppo vicine all’età di mia figlia, e ho eliminato tutte le donne con meno di quarant’anni, perché troppo interessate a sistemarsi; scartate anche le over-60, di ben frollato mangio solo la chianina. Rimane solo l’intervallo tra 45 e 55 anni, di solito costituito da donne separate o vedove, spesso con figli grandi, storie più o meno spiacevoli alle spalle, interessate a rapporti non troppo intensi e comunque non impegnativi. Un insieme interessante e promettente.
Ho messo sul profilo una mia foto recente in barca, senza ritoccarla, se non offuscando appena il volto per non farmi riconoscere al primo sguardo. Devo dire che faccio la mia porca figura con il fisico asciutto ed abbronzato, e lo stare al timone di una barca a vela induce un senso di saldezza e di determinazione in chi ti guarda.
Dopo un paio di giorni ero stato già visitato da almeno venti signore, ricevendo apprezzamenti anche sfacciatamente esagerati, ma anche una fredda risposta da parte di uno dei miei primi contatti.
Viol@64, il suo nick, aveva un profilo scarno, solo l’età, desumibile dal suo pseudonimo, ed il suo stato civile, separata. Nulla più se non alcune foto bloccate e visibili solo ai suoi contatti. “Maleducati e presuntuosi, non faccio per voi. La chat è piena di donne, andate oltre”. Niente di più.
Avevo fatto un ping su questo profilo che avevo visto on line, frutto della prima ricerca limitata alle cinquantenni di Roma, sperando di poter scambiare qualche battuta, ma non avevo insistito più di tanto, limitandomi a lasciarle un messaggio privato.
“Mi piacerebbe poter scambiare qualche parola con lei. Non saprei dirle cosa mi ha colpito di lei, ma qualcosa mi ha spinto a contattarla. Se ha piacere, accetti la mia richiesta di amicizia”.
Un messaggio asettico, assolutamente casto e rispettoso. Eppure mi risponde seccamente:
“Cosa cerchi? Non me ne frega nulla se sei di 30 cm o sei più bello di Adone, non faccio sesso virtuale, non ho la cam, non ho il microfono”.
Una chiusura a priori, peraltro immotivata.
“Sono Paolo, ho sessant’anni, sono separato da poco e non so come si fa a ricominciare con le donne. Non pensavo di aver scritto qualcosa che potesse offenderla. Non cerco sesso virtuale, non mi interessa, potrei permettermi le escort reali ogni sera ma non mi va. Non ho proboscidi né fagiolini, né sono un Adone. Ma magari potrei piacerle per la mia bella testa e quel che c’è dentro. E parlo di quella che sta sul collo…” e clicco su invia. Sto per cancellare il suo contatto dalla lista degli interessi quando mi arriva l’avviso di una chat attiva.
“Scusa, ma mi devo difendere da un branco di deficienti allupati che fanno a gara a chi ce l’ha più lungo e non vedono l’ora di mostrarmelo. Sono Francesca, piacere.”
Ecco, contatto stabilito. Francesca. Ancora. Questo nome mi perseguita. Non so, sono perplesso, inizio a digitare ma cancello, ricomincio, cambio frase, non so cosa scrivere.
“Piacere mio. Posso darle del tu?”. Penoso, ma clicco lo stesso su invio.
“Certo, qui ci si dà del tu. Di dove sei?”
“Di Roma, tu?” Cretino, hai messo il filtro, lo sai già.
“Lo so, lo hai messo sul tuo profilo…intendo, di che parte di Roma?” Ecco, bella figura da idiota.
“Sto ai Parioli. Tu?”
“Quarticciolo. Conosci?”
Azz…Per chi non lo sapesse, il Quarticciolo era una delle zone di borgata più disagiate di Roma, un quartiere popolare costruito sotto il fascismo ed abitato oggi prevalentemente da extracomunitari e da ex-occupanti abusivi. Volendo fare il paragone, sta ai Parioli come gli slum di Johannesburg stanno agli Champs Elysees.
“Si, cioè, no, insomma, so all’incirca dov’è ma non ci sono mai stato.”
“Hai presente la Togliatti all’angolo della Prenestina? Ecco, proprio lì”. Non aggiunge nulla alla mia conoscenza, anzi, aumenta il mio disagio. È una zona molto popolare, lontana anni luce dal mio mondo. Un altro pianeta.
“Capito. Cioè, ho capito all’incirca, è una zona che non conosco affatto.”
“Tu invece stai un una bella zona. Mi piace molto. Un po’ meno le persone che ci abitano. Sono per lo più stronzi con la puzza sotto al naso. Certi mi paiono deficienti”. Come darle torto? Uno dei quartieri più in, frequentato da gente snob (sine nobilitate, direbbero i Romani), ricca e classista, tipicamente espressione della nuova borghesia dei nouveaux riches, cafoni arricchiti che usano il SUV per andare a fare la spesa o a comprare le sigarette e votano tipicamente a sinistra: una contraddizione continua vivente. Di certo non un bel biglietto di presentazione per una che vive in un quartiere popolare.
“Io non credo di essere deficiente. Vivo qui perché i miei nonni avevano una casa qui già ottant’anni fa”. In effetti, il palazzo è degli anni 30, tipico esempio di bell’architettura del ventennio. “E comunque, la casa non fa il monaco” parafrasando il proverbio.
“È vero. Anch’io in realtà vivo in un appartamento dei miei. Però non mi piace molto dove abito.” Ok. 1-1 palla al centro.
“Che fai nella vita?”
“Sono educatrice in una scuola e lavoro part-time in una casa famiglia che dirigo”. Per me è arabo, ma ho capito che si tratta di supporto ai disabili ed agli anziani non autosufficienti.
“Io invece mi interesso di software. Dirigo i laboratori di sviluppo della mia azienda in Europa”
“Ah, un pezzo grosso. Quindi ci capisci di computer?”
“Beh direi di si, un po’”
“Bene. Ho visto che sei separato da poco. Come mai?”
“È una lunga storia, un po’ troppo lunga da raccontare in chat”
“Corna?”
“In un certo senso si”
“Siete tutti uguali!”. Secca. Definitiva.
“No, che hai capito? Non io, io le ho …diciamo subite.”
“Ah. Lei ti ha messo le corna e tu l’hai scaricata, quindi…” Altra affermazione. Donna battagliera, un po’ di femminismo d’antan a protezione delle compagne di sventura.
“No, in realtà mi ha scaricato lei”
“Ah. Allora ti ha lasciato lei per un altro. E tu le hai concesso la separazione?”
“Si e no. Mi ha lasciato per un’altra, che però era la nostra comune amante. Complicato, lo so. Ma la vita è bella perché è varia, no?”
Silenzio. Nessuna azione, nessuna risposta. Gelo totale.
“Ci sei ancora? Lo so, è una storia un po’ strana. Però è così. Non posso cambiare la realtà delle cose.”
Ancora silenzio. Passano almeno altri due minuti senza risposta. Sono quasi certo che ha pensato che io sono un porco, una sorta di animale amante del sesso promiscuo e senza vergogna.
“Scusa, ma ho dovuto rispondere al telefono e nel frattempo si è impallato il computer. Quindi mi stai dicendo che tu e tua moglie avevate una amante in comune. E lei era consenziente. E ti ha lasciato per stare con l’amante. Mandandoti via. E chiedendo la separazione per stare con lei, giusto?”
“Esatto. Non avrei saputo sintetizzare meglio” affermo in risposta.
“Ed io ci dovrei credere?” Eccola là. Non ci crede. Pensa che sto trollando per fare colpo.
“Padrona di non crederci. Non posso obbligarti. Purtroppo è la realtà. Ma non rimpiango di averlo fatto. Nel senso che ho passato dieci anni stupendi. Ho anche due figli grandi che hanno accettato, in un modo o nell’altro, la situazione.”.
“E perché ti avrebbe lasciato, scusa? Ma sta ancora con la …” Si impunta. Non sa come definirla. Il cursore lampeggia…
“… con la tua ex, no, con la sua …compagna?” Si corregge, torna indietro, riscrive.
“Si, ha preferito lei a me. Dice che con lei si sente totalmente realizzata. E che non le piacciono più gli uomini. Che avrei dovuto fare?”
“Non so. Vi siete separati con quale motivazione? Davanti al giudice, intendo.” Ancora quell’indole protettiva verso le donne. Si preoccupa che io abbia addebitato alla mia ex la separazione per colpa.
“Consensuale. Dopo quasi trent’anni, un rapporto stanco. Niente liti, niente avvocati da ingrassare. Tutto facile e senza scontri o discussioni. E tu, invece?”
“Io pure separata, ma il mio ex-marito mi aveva messo troppe corna e io l’ho voluto ripagare con la stessa moneta, solo che poi mi sono stancata di queste ripicche continue e ho preferito chiudere. Però è un ottimo padre dei nostri figli ed io gli sono ancora grata per avermeli dati. Non lo odio, anche perché sono parecchi anni ormai che siamo separati, e tutto sommato non si è mai comportato male con me da quando ci siamo divisi. Anzi, stiamo meglio ora che prima.”
La conversazione scorre ora fluida, abbiamo rotto il ghiaccio. Il tempo vola, sono quasi due ore che sono in chat con lei. Mi pare già di conoscerla ed empaticamente mi inizia a piacere. Ci scambiamo i permessi di accesso alle foto dei nostri profili. Le mie sono a viso scoperto, foto in vacanza, in barca, o a Tokyo e a Londra, assieme a colleghi. Le sue invece sono scansioni di foto stampate, risalenti a qualche anno prima, almeno venti direi, dalla foggia dei vestiti.
“Le tue foto sono di almeno vent’anni fa, giusto?”
“Si, sei osservatore. Sono esattamente del 97, ottimo occhio.”
“Eri molto bella, ed immagino lo sia ancora. Avevi un fisico da modella, allora, e avevi … 33 anni, giusto?”
“Si esatto. Come hai fatto a indovinare?” mi risponde di getto.
“Beh, facile. Il tuo nick è Viol@64, il che potrebbe significare che sei nata nel 1964. E avresti quindi 54 anni, oggi” affermo con una certa sicurezza.
“Ci siamo già conosciuti, forse? Hai un altro nick?” mi chiede; intuisco una certa freddezza nel suo tono.
“No, mi sono iscritto solo due giorni fa, fino ad allora non conoscevo nemmeno l’esistenza di questa chat” le rispondo prontamente.
Mi arriva una segnalazione che Viol@/Francesca mi ha abilitato l’accesso ad un’altra galleria di immagini. Sono foto più recenti, la ritraggono in varie situazioni, intuisco in parte lavorative, in mezzo a persone in carrozzina e con bambini down, ed in parte al mare, in costume e di sera, vestita elegantemente. Una bella donna, dal fisico asciutto, longilineo, dalle giuste forme con vita scavata e seno piccolo ma bello tondo, come si intuisce da una foto che la ritrae in abito da sera con una scollatura molto profonda che ne evidenzia le forme. In una foto, decisamente casalinga, il suo viso è triste, segnato dal dolore e dal dispiacere, mentre abbraccia affettuosamente una persona anziana in gramaglie.
“In una foto stai abbracciando tua mamma, vero? Per curiosità, avevi perso tuo papà da poco, vero?” butto lì tirando ad indovinare.
“Ma tu, chi sei? Piantala di prendermi per il culo. Sei Antonio, vero? Falla finita con questi scherzi” mi risponde dopo un po’.
“No, ti giuro, sono Paolo. Se non mi credi, ti do il mio cellulare e mi chiami ora, così ti rendi conto che sono io” e le passo il mio numero.
“Ti chiamo” e dopo venti secondi squilla il mio cellulare.
“Sono Francesca” una voce un po’ roca, ma calda, forse da fumatrice.
“Sono Paolo, molto piacere. Hai una bella voce” le dico.
“Pure tu, anche la tua non scherza” mi risponde. “Ora mi spieghi come hai fatto a capire da quella foto che ero in lutto per mio padre.”
“Semplice” le dico “Tua mamma era vestita di nero e aveva due fedi alla mano sinistra. Sul tavolino a fianco a voi c’era una foto di una persona di una certa età e tu la stavi guardando. Avevi le occhiaie di chi ha pianto ed il gesto verso tua mamma era di protezione e di vicinanza. Lo so, sembra strano, ma sono molto empatico e riesco ad intuire cose solo dall’analisi dei particolari.”
“È vero, mio padre era morto da quattro giorni appena, e la foto l’abbiamo scattata il giorno del funerale. Ma chi sei? Sherlock Holmes?” mi dice.
“No, sono solo un osservatore attento delle cose che mi interessano.” rispondo di getto. E proseguo: “In effetti mi interessi. Non so perché né cosa mi abbia scatenato questo sentimento, ma ho la sensazione di doverti conoscere e che se non lo facessi, me ne pentirei. Credo molto al mio istinto, e mi sono sempre fidato di lui. Forse talvolta ho esagerato, ma alla fine mi è quasi sempre andata bene. E oggi il mio istinto mi dice che devo conoscerti.” e la butto lì, di getto: “Anche subito”.
Un momento di silenzio. Mi sembra di sentire il ronzio delle circonvoluzioni neuroniche in azione dall’altra parte della linea. “Sono quasi le otto, dammi un paio d’ore. Devo mettere in tavola per i figli e poi esco. Dove ci vediamo?”.
Accidenti, decisa la signora. Voglio favorirla, non mi va che si metta in mezzo al caos del traffico romano e una ricerca al volo su Google mi suggerisce un ristorantino sulla Prenestina, un po’ particolare ed alternativo. Un buchetto dove si mangia molto bene, un po’ stiloso ma abbastanza contestualizzato alla zona. A quell’ora della sera, potrebbe essere lì in meno di 20 minuti. Sufficiente per darle modo di scegliere cosa mettere, farsi una rapida messa in piega, insomma, darle il giusto tempo senza dover accampare scuse del tipo “non sono pronta, non so cosa mettermi”. O effettivamente, di mettere in tavola e di rigovernare la cucina, se ne avesse effettivamente la necessità.
“Allora alle 10 al Tavolo 27, in via Prenestina” e le leggo l’indirizzo corretto. “Te lo mando su Whatsapp, va bene?”
“Va bene. Allora a dopo. Ciao” e chiude la telefonata.
Immagino a questo punto il suo stato d’animo, i pensieri che le scorrono in testa che vanno dal cosa mi metto? al Sei una stupida, accettare un invito da un perfetto sconosciuto. E se fosse un sadico, un porco, uno stupratore?
Non è che io sia da meno. Anche nella mia testa scorrono pensieri del tipo “Ma sei scemo? Ma che ti aspetti? E poi, una che accetta tout-court un invito da un perfetto sconosciuto…”. Mi pare di sentire i pensieri di mia mamma quando le raccontavo delle ragazze con cui andavo in vacanza conosciute solo sei mesi prima…
Mi butto in doccia, mi faccio la barba e scelgo con accuratezza cosa mettermi. Camicia bianca, pantalone sportivo, scarpa comoda e giacchetto scamosciato. È fine ottobre, a Roma le temperature sono piacevoli ma la sera inizia a rinfrescare. Apro il cassetto della biancheria e ...accidenti, sono senza mutande pulite, sono stese ad asciugare ma non sono ancora pronte. Vabbè, chi se ne importa, andrò senza, tanto chi vuoi che se ne accorga. E poi mi fa piacere stare senza, è una sensazione stimolante e gradevole, alla fine.
Una spruzzata di profumo e sono pronto. Scelgo di andare con la Citroen, è tempo che non la uso e farle fare qualche chilometro non le farà male. E viste le buche di Roma, tutto sommato fa anche bene alla mia schiena.
Mi metto in moto per essere lì per tempo, in modo da cercare parcheggio in zona, cosa non facile vista l’ora e date le dimensioni della macchina. Prendo la tangenziale ed esco sulla Prenestina, la traversa del ristorante è lì pochi metri dopo la rampa. Sono quasi le nove e mezza e trovo posto proprio davanti al ristorante: diavolo, è giornata di chiusura! Non avevo controllato. Un attimo di panico. Che figura di merda!
Cerco su Google un alternativa, leggo i commenti su Tripadvisor ma non c’è nulla che mi attiri o che mi sembri adeguato alla circostanza. Non sono di zona e non ho idea di dove andare, potrei buttarmi su San Lorenzo che è lì vicino, o al Pineto, sempre a pochi passi, ma non conosco ristoranti carini e non impegnativi. Decido di contattare Francesca ed avvisarla dell’imprevisto per evitarle un giro a vuoto. Cavolo, non risponde. Le scrivo su Whatsapp e l’avviso del problema. Il messaggio parte ma non arriva a destinazione, rimane solo la spunta semplice. Aspetto, passano i minuti, sono quasi le 10 e ancora non risponde. Non posso fare nulla. Attendo che arrivi fermo davanti al locale. Uno squillo: “Sono Francesca, sono qui sulla Prenestina ma non trovo la strada per svoltare, la via del ristorante è a senso unico. È la seconda volta che faccio il giro…”
“Aspetta, il ristorante è chiuso per turno, non lo sapevo. Hai qualche indicazione? Senza doverci allontanare troppo”, le dico.
“Si, di locali ce ne sono tantissimi in zona. Dove sei?” mi chiede. “Sono proprio davanti al ristorante. Se mi dici dove sei e che macchina hai, ti raggiungo. Io sto su una vecchia DS, ti ricordi il “ferro da stiro”? “ le rispondo. “Si certo, io sono su una Clio grigia. Sono ferma poco prima della rampa delle tangenziale in direzione San Lorenzo”. “Ok, ti raggiungo, non attaccare”. Metto in moto la macchina e mi immetto sulla Prenestina. Vedo la sua macchina ferma con le quattro frecce e mi accosto dietro di lei. Scendo e …mi prende il panico. E ora che le dico? Improvviserò. Mi avvicino al suo finestrino e busso leggermente.
“Ciao!” mentre lei abbassa il finestrino e apre lo sportello. “Suppongo tu sia Francesca, giusto?” le dico. “E tu sei Paolo, immagino..”.
Francesca è una bella signora, non dimostra la sua età o meglio, è in quell’età di mezzo che per certe donne rappresenta il picco di femminilità, con quella bellezza senza età che si mantiene invariata per anni. È vestita informalmente, pantaloni neri aderenti ed una canottierina in seta dello stesso colore, una giacchina scura avvitata, un po’ black lady. Direi troppo informale per essere un outfit studiato. Direi una taglia 40 o 42 su un corpo da 1.60 per 50 chili, più o meno. Capelli castano scuri con riflessi ramati. Unghie abbastanza curate ma di certo non fresche di manicure. Occhi vivaci, vispi ma nel contempo profondi, intensi. Una bellezza mediterranea che forse non colpisce nell’immediato ma che non passa inosservata ad un’indagine più attenta. È… bella. Il mio cuore inizia a battere veloce, non lo controllo e non so perché. O meglio, credo di saperlo ma mento a me stesso: la chimica ha già colpito. I suoi feromoni sono perfettamente riconosciuti dai miei recettori che hanno scatenato scariche di adrenalina e attivato il rilascio di dosi massicce di dopamina. E inizio a sentir caldo dentro.
Ci stringiamo la mano e stiamo lì inebetiti o quasi. Rompo il ghiaccio e le dico “perché non lasci la tua macchina qui e andiamo con la mia?”. Ci pensa un attimo e risponde “Va bene, ma devo parcheggiare. Seguimi, cerco posto.” e accende il motore. Partiamo e giriamo un po’ alla ricerca del posto, missione complessa ma alla fine un colpo di fortuna, una vettura sta uscendo proprio davanti a lei. Parcheggia, chiude la portiera e sale in macchina. Si guarda intorno ammirata e mi dice “Bella, ne avevo anch’io una, è una Pallas, vero?”. Accidenti, preparata ed esperta. La conversazione corre leggera e banale, si sente un po’ di imbarazzo reciproco in aria. “Dove andiamo? Innanzitutto, hai fame o preferisci bere qualcosa?” le chiedo. “Non so, be. Io non avrei molta fame, non so tu. A me va benissimo bere qualcosa. Conosco un posticino qui vicino a San Lorenzo, solo che è un po’ difficile parcheggiare. Altrimenti, proviamo verso il Pineto ma pure lì è complicato” mi risponde.
Seguo le sue indicazioni ed alla fine troviamo un posto – altro colpo di fortuna – poco distante dal locale. Mi affianco a lei e mi faccio guidare per il dedalo di viuzze strette e già invase dalla movida serale. Entriamo nel locale e le faccio scegliere il tavolo: prende un tavolino riservato, all’angolo, in penombra. Ordiniamo, lei un caffè ed io una birretta. Chiedo di portarmi qualche patatina e salatino per non bere a stomaco vuoto. Si alza e mi dice che deve andare alla toilette: ne approfitto per dare una sbirciata al posteriore, ha un culo bello rotondo e assolutamente proporzionato, evidenziato dai pantaloni attillati che peraltro non mostrano alcun segno di biancheria sotto. Interessante...
Giocherello con il piattino delle patatine e attendo il suo ritorno per iniziare a bere. Passano due, tre, poi quattro minuti ed inizio a preoccuparmi. “Scusa, c’era molta fila per il bagno delle signore e non ho fatto in tempo ad andarci prima di uscire” si giustifica. Bah… non mi pare che il locale sia pieno, chissà.
Riprendiamo la conversazione, parliamo dei nostri rispettivi lavori e figli, iniziamo a cercare interessi comuni ed inevitabilmente, il discorso va a finire sulle nostre rispettive situazioni familiari.
Le narro a brevi linee la mia strana storia. “Mi sono sposato con Francesca (il caso!) che avevo trent’anni. È rimasta incinta subito di Sophia e poi di Luca a distanza di tre anni uno dall’altro. Voleva lavorare ma due gravidanze complicate glielo hanno impedito; poi, ha deciso che era meglio continuare gli studi interrotti, si è laureata in medicina e poi la specializzazione in chirurgia estetica, il lavoro un po’ a tempo perso in cliniche di lusso fino alla esplosione della sua carriera con una tecnica di modellazione delle masse grasse guidata tramite sistemi un sistema cartografico tridimensionale che indica istante per istante dove andare a togliere e quanto togliere, a cui ho dedicato anch’io un po’ di tempo per diletto. Poi la mia carriera, che ha preso a volare a cavallo dei 50, le mie assenze da casa, la scoperta dell’amante di mia moglie diventata anche la mia amante… e così via. “. Non volevo approfondire troppo, ma mi trovo a raccontarle le sensazioni contrastanti provate il giorno della scoperta, i problemi con i figli che hanno capito cosa stava succedendo, la discrezione assoluta con la quale portavamo avanti la relazione a tre, e così via.
Poi il dolore dell’abbandono, il senso di tradimento da parte delle mie due donne, i problemi con i figli che sono da un lato vicini alla madre e dall’altro increduli della situazione venutasi a creare, insomma, una panoramica dei miei ultimi due anni e dei problemi vissuti. In mezzo, un sostanziale disprezzo verso il genere femminile ed un totale disinteresse verso il sesso, sostituito dalla lettura, la musica, gli amici rigorosamente maschi.
Tocca a lei. “Mi sono sposata molto giovane e ho avuto dopo un po’ il primo figlio. Ero bellissima, piacevo da morire e mi piaceva piacere. “. Non fatico a crederle. “Mio marito era un farfallone, ma finché non c’era Claudio, facevamo una bella vita di coppia, movimentata, ricca di divertimento e di piacevolezze. Poi, con la gravidanza, nonostante cercata da entrambi, si è un po’ allontanato. Mi aveva già cornificato prima, forse anche appena sposata, ma ho sempre pensato che alla fine avrebbe scelto me proprio perché ero imparagonabile rispetto alle sue sciampiste (proprio così, con il massimo disprezzo per la tipologia, non per la categoria di lavoratrici). Ero sicura di me, e qualche volta glie l’ho resa con gli interessi, facendo in modo che sapesse che sapevo e che venisse a conoscenza che lo avevo ripagato. Poi, dopo il parto, la prima separazione. Me ne vado con mio figlio, sono autonoma lavorativamente e soprattutto, sostenuta dalla mia famiglia di origine che mi ha sempre facilitato nella gestione di Claudio piccolo lasciandomi piena libertà. Non avevo ancora trent’anni ed ero tornata la bella ragazza prima del parto, senza un filo di grasso o di cellulite. E piacevo agli uomini, giovani e meno giovani. Lavoravo, guadagnavo bene e, soprattutto, facevo le cose che mi piacevano. Ho fatto anche la modella per un famoso pittore, sai?” e non fatico a crederlo. Una bellezza particolare, non la classica bonazza un po’ volgare che di solito assoceresti al ruolo di modella di un pittore.
“Poi c’è stata una riappacificazione, siamo tornati assieme ed abbiamo messo in cantiere un altro figlio, sperando che potesse risolvere i nostri problemi di coppia. Fortemente voluto più da lui che da me, è nato Serse dopo quasi 11 anni. E credi che sia servito a qualcosa? No, lui sempre assente, impegnato dietro alle sue zoccole, ed io a gestire i figli ed il lavoro, mentre nel frattempo iniziavo ad avere problemi con la salute di mio padre. Ed alla fine ho detto basta e ho deciso di lasciarlo, chiedendo la separazione. È stata dura, ma sono contenta di averlo fatto. Ho ripreso in mano la mia vita, continuando a sbagliare con gli uomini anch’io ma senza dover chiedere nulla a nessuno.” Anche lei è un fiume, sembra che l’empatia spontanea ci faciliti le chiacchere, ci aiuti ad aprirci ed a spogliarci delle nostre scorze esterne, degli scudi alzati a protezione dei nostri ego feriti. È quasi l’una, Francesca guarda l’orologio e mi dice che deve rientrare, la mattina successiva deve alzarsi presto per portare il piccolo a scuola prima di andare a lavorare. Chiudiamo qui, l’accompagno alla macchina e mentre guido, mi avvicino al suo viso con una scusa banale e le sfioro le labbra con le mie. Un po’ sorpresa, non si tira subito indietro. Mi accosto alla sua macchina e prima che scenda, la saluto. Ma il saluto diventa un bacio appassionato, lunghissimo, a cui non si sottrae. Il tempo è tiranno però, e non possiamo trattenerci troppo. Passano altri quindici brevissimi ed intensi minuti prima di lasciarci con la promessa di risentirci l’indomani.
Aspetto che parta e la scorto per un po’. Poi, una lampeggiata di fari per salutarla, imbocco di nuovo la tangenziale e torno a casa. Mi spoglio, rapida doccia perché ho sudato, l’eccitazione mi fa puzzare come un ragazzino brufoloso, non son più abituato a controllare gli ormoni. Vado a letto stanco e un po’ eccitato. Il suo odore mi rimane appiccicato addosso, la memoria del gusto ricorda ancora perfettamente il sapore dei suoi baci, le mani la sericità della sua pelle. Sono ancora eccitato e provo sensazioni che credevo di aver rimosso nell’ultimo periodo.
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Paolo e Francesca - Dieci anni dopo
“Riesci a prenderti una giornata libera domani?” le butto lì su Whatsapp.
Una spunta, due, celeste. “…dipende… per fare che?” dopo qualche secondo dalla spunta blu. Ci sta pensando.
“Ti volevo proporre una cosa diversa”
“Tipo rinchiuderci tutto il giorno in albergo?” Diretta, schietta, immediata.
“No. Volevo proporti una giornata in una SPA, sai, idromassaggio, sauna, bagno turco, massaggi…”
“Ti propongo io un’altra idea”.
“Ok, dimmi”
“No, è una sorpresa. Portati un costume, un asciugamano ed un paio di ciabatte. Anzi se vieni in tuta è pure meglio…” Prendiamo appuntamento per l’indomani mattina presto. Devo passarla a prendere vicino casa, è momentaneamente senza macchina perché è dal meccanico. “Va bene. Giusto per sapere: è molto lontano dove dobbiamo andare?” “No, vicino Roma, tranquillo”. Visto che sono i primi di ottobre, il tempo è ancora mite e le previsioni sono ottime, mi va di andare con la Midget. Lo spider fa la sua porca figura…
Mi aspetta alla fermata del bus, una sacca sportiva accanto a lei, vestita in maniera molto informale, twin set crema su jeans skinny, stivaletto con tacco nemmeno troppo alto color tabacco ed una borsa di Fendi. Anche la sacca è griffata Fendi… Un rapido saluto dall’auto scoperta, uno sguardo sorpreso e poi un sorriso di contentezza. L’ho un po’ stupita…
Bacio fugace e casto sulle guance… butto la sacca dietro i sedili, le apro lo sportello da dentro e la faccio accomodare. Non è facile entrare se non si conoscono i trucchi: prima una gamba diritta, poi l’altra…
Si parte. “In che direzione?” “Prendi la Roma Civitavecchia ed esci a Civitavecchia Nord.”
“Mi sa che ho capito…” “Ah si? E dove andiamo allora?” “Alla Ficoncella!”
La Ficoncella è un insieme di pozze d’acqua termale costruite a valle dei ruderi delle Terme Taurine fatte edificare dall’imperatore Traiano nel secondo secolo. L’acqua è molto calda, ricchissima di zolfo che dopo un po’ precipita formando delle pellicole e delle masserelle che sembrano sporco, ma in realtà è un toccasana per una serie di malattie, dalle dermatiti alle affezioni sessuali, un rimedio naturale ben conosciuto dai locali che l’affollano anche di inverno, visto che le vasche sono anche a 80 gradi. C’ero stato da ragazzo con gli amici, poi vista la vicinanza con Porto Traiano, dove avevo la barca, avevamo provato una volta ad andarci dopo cena ma la folla lo aveva reso impossibile. E comunque avevo un ricordo un po’ naif di queste pozze e delle pellicine galleggianti.
La conversazione in uno spider degli anni 60 senza capote è virtualmente impossibile se si viaggia a più di settanta all’ora. Decido quindi di non prendere l’autostrada e di passare per l’Aurelia, tanto a bassa velocità ci si mette poco di più. Arriviamo dopo un’ora abbondante alle terme, paghiamo il biglietto (che poi è per il parcheggio) e spengo la macchina. Le chiedo se conosce il posto bene e come funziona.
“Possiamo prendere uno spogliatoio, ma forse è un po’ tardi. Vediamo cosa c’è.” e si reca al bar per informarsi. “C’è solo uno spogliatoio funzionante, per cui dobbiamo attendere il turno”.
Ci mettiamo a chiacchierare in attesa che le persone davanti a noi si cambino e ci lascino il posto; ma pare che le operazioni vadano a rilento… bimbi urlanti, madri ululanti, nonne e zie pedanti e mariti sbuffanti… è passata già una mezz’ora. Finalmente tocca a noi.
“Senti, entriamo assieme, ti va? Così facciamo prima” Figuriamoci, tra palestra e barca sono abituato ad esporre le mie nudità senza problemi, per cui va benissimo.
Lo spogliatoio è poco più di una cabina doccia… in due ci si entra a mala pena e ci sono appena una panchetta e due sedie. Guardo di sottecchi Francesca che apre la sacca, toglie la roba ed inizia a spogliarsi. Sfila il twin set, poi i jeans rimanendo in intimo, reggiseno nero e perizoma abbinato, assolutamente non volgare. Io non porto intimo, mi piace stare freeballing quando posso, per cui mi giro di spalle per rispetto nei suoi confronti, anche per concederle il modo di infilarsi il costume. Indosso il mio Speedo (demodè, ma va bene così) e mi giro. “Sono pronto” “Anch’io…”. È rimasta in intimo nero. Se non lo sapessi, direi che è un normale costume in microfibra. Si panneggia con un telo, infila le giapponesine ed apre la porta. La imito e la seguo.
Arriviamo alle vasche, quelle praticabili sono due o tre, più si scende a valle meno l’acqua è calda e ci si può immergere un po’ di più. Ovviamente, sono molto affollate. Ma per magia dopo una mezz’ora si svuotano e noi possiamo prendere possesso di quella un po’ più ampia assieme ad altre coppie. Passa il tempo, si chiacchera del più o del meno anche con le altre persone e faccio sfoggio della mia erudizione spiegando ad un grossetano con la sua signora le origini nobili del suo paese e la sua discendenza dagli Etruschi da me tanto amati. Francesca si fa stretta, mi abbraccia da dietro e si struscia un po’ su di me; appoggia le sue labbra all’orecchio e sussurra un “Andiamo” … In effetti è un bel po’ che siamo in acqua…
Rientriamo nello spogliatoio, mi sfilo il costume, apro la doccia per togliere un po’ di zolfo dalla pelle certo di essere spiato… Mi giro verso di lei nudo e un po’ “fluffy”. Sono tutto depilato e faccio una bella figura pur non essendo un superdotato. Anche lei si è sfilata l’intimo ed è nuda, totalmente depilata meno una piccola striscia sul pube, una “landing strip” ben curata. Reagisco con un ulteriore pulsione al basso ventre, ma mi rinfilo subito i pantaloni della tuta e la polo. Francesca entra sotto la doccia ed inizia a sciacquarsi dandomi le spalle. Ha un bel culo, sodo ed eretto. Da dietro sembra ancora una trentenne, senza un filo di cellulite o di grasso superfluo. “Mi passi il telo per favore?” mi chiede. Lo apro e anziché porgerglielo, la avvolgo con delicatezza chiudendolo sul davanti ma senza toccarle la pelle. Un rapido strofinio per asciugarle la schiena e le spalle e mi distacco da lei. “Ti aspetto di fuori” le dico, per evitare di saltarle addosso nello spogliatoio.
Non devo attendere molto. Dieci minuti, ed è fuori. Radiosa, si è cambiata. Non indossa più i pantaloni, ma una gonna plissè longuette con lo stesso twin set ed un paio di ballerine. Al collo, un giro di perle e due orecchini sempre con perle ai lobi. Un foulard buttato sulle spalle. È stupenda, semplice, un filo di trucco leggero e rossetto appena pronunciato. Porta i capelli sciolti, ancora umidi, ma sembra appena uscita dal parrucchiere. Le capacità miracolose di alcune donne di sapere sempre prima come vestirsi e cosa portarsi in ogni occasione mi stupisce!
Sono quasi le tre del pomeriggio, i ristoranti sono chiusi e forse possiamo trovare solo un po’ di pizza da Mastro Titta. Montiamo in macchina, la capote sempre abbassata, e via verso il mare. Francesca è languidamente distesa, per quanto le è permesso dallo schienale del sedile quasi verticale, visibilmente eccitata. I capezzoli spingono il leggero tessuto del twin-set, deduco che non si è rimessa il reggiseno bagnato. Non ha il seno di una ragazza, ma ci sono ragazze che pagherebbero per ricorrere al chirurgo per avere un seno come il suo. E visto che ha avuto due gravidanze e relativi allattamenti, direi che la natura l’ha aiutata molto, anzi…
Mangiamo un po’, dividiamo una birra piccola e risaliamo in macchina, direzione Roma.
E' la mia prima "opera" di narrativa e spero possa piacervi.
Essa si basa su una serie di fatti e situazioni realmente accadute a me ed alla mia compagna, che sono state però distorte ed addomesticate allo scopo narrativo.
Ovviamente, nomi, situazioni, luoghi possono sembrare reali, ma sono stati modificati volutamente per cancellare ogni riferimento alla vita reale mia, della mia compagna e delle persone di cui ho narrato.
Anche talune situazioni che man mano illustrerò sono state cambiate ad uso della narrazione erotica, amplificando fatti e comportamenti altrimenti latenti e non così palesi
Posto qui i primi tre capitoli di un romanzo breve che a oggi è di circa 30.000 parole, 1.500 pagine kindle, suddiviso in vari episodi.
Evito di inviare il tutto perchè non so quanto possa essere gradito.
Allegherò un capitolo in formato PDF per ogni post.
Se lo desidererete, invierò anche gli altri.
Paolo.
P.S. Il post è stato inavvertitamente inserito nel subforum racconti fotografici. Me ne scuso, Chiedo all'admin di eliminarlo.
Cap. 1 - Prologo
C’eravamo lasciati con la scoperta che Francesca, la mia prima moglie, timida e poco incline alla trasgressione, aveva stretto amicizia con la mia prima amante, Andrea, aggressiva, una tigre del materasso, una bisessualità esplicita tendente alla omosessualità. E andò a finire che, la timida Francesca e la aggressiva Andrea, si misero insieme e mi lasciarono.Un ménage à trois diventato in breve un rapporto stretto ed esclusivamente femminino.
E rimasi da solo.
Sono passati dieci anni da quel giorno in cui le scoprii a baciarsi, i corpi nudi ed unti dall’olio abbronzante, i sessi depilati ed oscenamente rigonfi ed i seni con i capezzoli che si ergevano tesi a manifestare una selvaggia quanto primitiva eccitazione. Avrei dovuto capire che prima o poi il trio sarebbe diventato un duo e che sarei uscito perdente da quella relazione anomala.
Arrivò il giorno in cui trovai i miei abiti, le camicie con le cifre e le cravatte di Marinella, le giacche di cachemire e di fresco di lana, i miei preziosi computer con tutti i miei progetti, le mie carte, insomma, tutte le mie cose perfettamente ordinate e rigorosamente impacchettate, pronte ad essere portate via, maniacalmente impilate in garage.
Non una parola di preavviso, né una spiegazione.
“Da stasera non abiti più qui. Domani sarai contattato dall’avvocato Frescobaldi per la separazione. Sappi che voglio il divorzio. Non ti chiederò nulla di più della casa, dell’auto e dell’uso concordato della villa a Santo Stefano. Puoi tenere la multiproprietà in Sardegna, anche se me l’ha regalata mamma, ed usarla come vuoi, ma dovrai metterti d’accordo con i figli. Tanto lo sai che c’è spazio per dieci persone, non credo avrai problemi a convivere con i ragazzi ed i loro amici. Il cane lo tengo io fino a che non trovi un posto decente dove stare; poi, lo potrai prendere quando vuoi ma voglio poterla tenere almeno tre mesi all’anno. Quanto ai figli, sai che dovrai farti carico delle spese di istruzione e sanitarie, ma a Luca mancano solo sei esami alla laurea e Sophie sta finendo il master, già lavora ed è quasi autonoma. L’assicurazione sanitaria te la passa l’azienda, per cui direi che per questo non c’è problema. Non mi hai fatto nulla di male, non ti addebito nulla, ma non posso più rimanere legata a te con un vincolo legale. La mia vita è con Andrea.”
Non ebbi modo di controbattere, totalmente annichilito dalla notizia che mi era arrivata tra capo e collo.
Era un po’ di tempo che non eravamo più né coppia né trio. Ero stato estromesso dai loro giochi, complice un lieve infarto che mi aveva colpito due anni prima e che mi aveva fatto smettere, come suggerito dall’amico Prof. Paolo Ricagli, primario di Cardiologia al S. Andrea di Roma, tutti gli eccessi a cui ero abituato. Basta fumo, basta vino, niente più goccetto di Oban la sera, niente più Cialis per erezioni semi-perenni, niente più sesso sfrenato.
Ed un trasferimento temporaneo in Giappone a Tokyo, sede della Casa Madre dell’azienda di cui ero divenuto il direttore dei laboratori software di tutto il mondo, mi aveva obbligato ad un’assenza forzata per oltre sei mesi, lontano da casa, dalla famiglia e dalle amicizie. Non bastavano le lunghe ma non frequenti chiamate in videoconferenza con Skype, anche perché otto ore di fuso orario non facilitavano di certo la comunicazione: le otto di sera a Roma erano le quattro del mattino a Tokyo, troppo presto per svegliarmi tutti i giorni quando la sera chiudevo la luce alla mezzanotte locale e la mattina alle 8 dovevo essere in ufficio con l’autista che mi passava a prendere alle 6:30. Giusto la domenica pomeriggio potevo concedermi un po’ di tempo, quando a Roma erano le dieci di mattina ed ero certo di trovare qualcuno a casa, spesso ancora nel sonno.
Tornai da Tokyo con tanta stanchezza ma con una promessa da parte del management che non mi avrebbe più spostato se non per qualche breve trasferta a Londra, Monaco e Madrid, le altre sedi europee, oltre a Roma e Milano, dei laboratori di cui ero a capo. E con un aumento di stipendio vertiginoso, tale da tranquillizzarmi per il futuro mio e dei miei. E comunque, non è che avessi modo di usare tanta agiatezza: trasferte pagate, poco tempo libero per spendere, solo i costi di gestione delle abitazioni e l’argent de poche per i figli, peraltro lautamente sovvenzionati dai nonni materni e dalla mamma che non lesinavano loro un euro, visto che se li strameritavano per l’ottimo rendimento universitario e per il loro ammirevole spirito di iniziativa e desiderio di autonomia che li rendeva quasi autonomi economicamente; Luca aveva seguito le mie orme e sviluppava app di successo, Sophie aveva trovato lavoro in un’azienda di apparati radiologici e poteva permettersi quasi tutto ciò che desiderava con il suo stipendio e le provvigioni.
Tutto ciò avrebbe reso felice qualsiasi uomo: una moglie ricca di suo e brillante chirurgo estetico, due figli intelligenti, bravi, pieni di iniziativa e con un futuro radioso, un cane devoto, un’amante ex-top model condivisa con la moglie, assieme ad una posizione solida faticosamente e, immodestamente, raggiunta solo per meriti personali.
Ma ecco che il mio microcosmo all’improvviso crolla, si sfalda. Le certezze vengono meno, i punti di riferimento si fanno più labili, gli obiettivi sfuocati e, ad un tratto, lontani e irraggiungibili.
Occorre ricominciare da capo.
Cap. 2 - Una nuova vita
Sono passati sei mesi dalla sentenza di separazione. Il mio avvocato, l’amico ed ex compagno di classe Dott. Steffani, mi ha sostenuto soprattutto moralmente visto che, dal punto di vista legale, c’erano solo da riempire pagine e pagine di accordi che rispettavano la totale consensualità della decisione e regolavano nel dettaglio una sostanza riassumibile in poche parole: non devo niente a mia moglie, se non la casa che abbiamo comperato assieme e la villa a Santo Stefano a cui ha contribuito, lasciandomi tutti gli altri asset: l’appartamentino al superattico ai Parioli con il triplo box associato, i due appartamenti a Vigna Clara ereditati dai miei ed affittati in attesa di donarli ai figli, le mie due auto storiche, una MG Midget del 1960 ed una Citroen DS Pallas del ’72, la mia collezione di stampe antiche del Pinelli assieme a tutti i miei amati libri di storia etrusca e romana, la mia raccolta di vinili d’epoca assieme allo stereo, la batteria Ludwig con piatti Zildjian e la chitarra Hofner. Quasi cinquant’anni di storia e di ricordi attraverso le mie passioni. Tutte, meno una: Francesca e Andrea.Ho ripreso possesso del superattico ai Parioli, dopo averlo ristrutturato. Ho schiaffato in uno dei box batteria, stereo e dischi, e negli altri due le mie auto preferite. Ho ricavato una libreria a parete per riempirla dei volumi ingialliti e un po’ stantii, ho spostato gran parte dei computer e dei dati sul cloud, tenendomi solo il portatile ed un enorme monitor che campeggia sulla mia scrivania. Il resto dello spazio è diviso tra cucina a giorno, soggiorno ed un enorme letto ai cui piedi campeggia una sontuosa vasca da idromassaggio. Sistemata la logistica, ho cercato di rimettere insieme i cocci della mia vita spezzata.
Sono ormai vicino ai sessanta, ben portati solo grazie ad un ottimo patrimonio genetico che non mi ha fatto invecchiare e gli ultimi due anni di dieta e di sano esercizio fisico: un’ora al giorno di camminata veloce alternata a qualche corsetta mi hanno asciugato la pinguedine che si era appalesata sui fianchi e mi hanno fatto rassodare cosce, pancia e pettorali. Oggi dimostro almeno cinque anni di meno e, grazie al cielo, ho ancora tutti i capelli appena inframezzati da qualche spruzzo di grigio.
Credo di essere ancora una persona interessante, colto e amante della bellezza: posso ancora ritrovare il gusto per la vita.
Ho ristretto i rapporti di amicizia con i vecchi amici, ho ripreso ad uscire un po’ la sera e a frequentare qualche locale. Ma ho anche osato iscrivermi ad una chat, dietro suggerimento di un collega.
Mi sono connesso, ho cercato di capire come funzionasse, ho pagato l’abbonamento semestrale di prova con la Postepay attivata per l’occasione e ho iniziato a studiare l’ambiente.
Ovviamente, ho scartato subito l’idea di accalappiare le ninfette poco più che ventenni, troppo vicine all’età di mia figlia, e ho eliminato tutte le donne con meno di quarant’anni, perché troppo interessate a sistemarsi; scartate anche le over-60, di ben frollato mangio solo la chianina. Rimane solo l’intervallo tra 45 e 55 anni, di solito costituito da donne separate o vedove, spesso con figli grandi, storie più o meno spiacevoli alle spalle, interessate a rapporti non troppo intensi e comunque non impegnativi. Un insieme interessante e promettente.
Ho messo sul profilo una mia foto recente in barca, senza ritoccarla, se non offuscando appena il volto per non farmi riconoscere al primo sguardo. Devo dire che faccio la mia porca figura con il fisico asciutto ed abbronzato, e lo stare al timone di una barca a vela induce un senso di saldezza e di determinazione in chi ti guarda.
Dopo un paio di giorni ero stato già visitato da almeno venti signore, ricevendo apprezzamenti anche sfacciatamente esagerati, ma anche una fredda risposta da parte di uno dei miei primi contatti.
Viol@64, il suo nick, aveva un profilo scarno, solo l’età, desumibile dal suo pseudonimo, ed il suo stato civile, separata. Nulla più se non alcune foto bloccate e visibili solo ai suoi contatti. “Maleducati e presuntuosi, non faccio per voi. La chat è piena di donne, andate oltre”. Niente di più.
Avevo fatto un ping su questo profilo che avevo visto on line, frutto della prima ricerca limitata alle cinquantenni di Roma, sperando di poter scambiare qualche battuta, ma non avevo insistito più di tanto, limitandomi a lasciarle un messaggio privato.
“Mi piacerebbe poter scambiare qualche parola con lei. Non saprei dirle cosa mi ha colpito di lei, ma qualcosa mi ha spinto a contattarla. Se ha piacere, accetti la mia richiesta di amicizia”.
Un messaggio asettico, assolutamente casto e rispettoso. Eppure mi risponde seccamente:
“Cosa cerchi? Non me ne frega nulla se sei di 30 cm o sei più bello di Adone, non faccio sesso virtuale, non ho la cam, non ho il microfono”.
Una chiusura a priori, peraltro immotivata.
“Sono Paolo, ho sessant’anni, sono separato da poco e non so come si fa a ricominciare con le donne. Non pensavo di aver scritto qualcosa che potesse offenderla. Non cerco sesso virtuale, non mi interessa, potrei permettermi le escort reali ogni sera ma non mi va. Non ho proboscidi né fagiolini, né sono un Adone. Ma magari potrei piacerle per la mia bella testa e quel che c’è dentro. E parlo di quella che sta sul collo…” e clicco su invia. Sto per cancellare il suo contatto dalla lista degli interessi quando mi arriva l’avviso di una chat attiva.
“Scusa, ma mi devo difendere da un branco di deficienti allupati che fanno a gara a chi ce l’ha più lungo e non vedono l’ora di mostrarmelo. Sono Francesca, piacere.”
Ecco, contatto stabilito. Francesca. Ancora. Questo nome mi perseguita. Non so, sono perplesso, inizio a digitare ma cancello, ricomincio, cambio frase, non so cosa scrivere.
“Piacere mio. Posso darle del tu?”. Penoso, ma clicco lo stesso su invio.
“Certo, qui ci si dà del tu. Di dove sei?”
“Di Roma, tu?” Cretino, hai messo il filtro, lo sai già.
“Lo so, lo hai messo sul tuo profilo…intendo, di che parte di Roma?” Ecco, bella figura da idiota.
“Sto ai Parioli. Tu?”
“Quarticciolo. Conosci?”
Azz…Per chi non lo sapesse, il Quarticciolo era una delle zone di borgata più disagiate di Roma, un quartiere popolare costruito sotto il fascismo ed abitato oggi prevalentemente da extracomunitari e da ex-occupanti abusivi. Volendo fare il paragone, sta ai Parioli come gli slum di Johannesburg stanno agli Champs Elysees.
“Si, cioè, no, insomma, so all’incirca dov’è ma non ci sono mai stato.”
“Hai presente la Togliatti all’angolo della Prenestina? Ecco, proprio lì”. Non aggiunge nulla alla mia conoscenza, anzi, aumenta il mio disagio. È una zona molto popolare, lontana anni luce dal mio mondo. Un altro pianeta.
“Capito. Cioè, ho capito all’incirca, è una zona che non conosco affatto.”
“Tu invece stai un una bella zona. Mi piace molto. Un po’ meno le persone che ci abitano. Sono per lo più stronzi con la puzza sotto al naso. Certi mi paiono deficienti”. Come darle torto? Uno dei quartieri più in, frequentato da gente snob (sine nobilitate, direbbero i Romani), ricca e classista, tipicamente espressione della nuova borghesia dei nouveaux riches, cafoni arricchiti che usano il SUV per andare a fare la spesa o a comprare le sigarette e votano tipicamente a sinistra: una contraddizione continua vivente. Di certo non un bel biglietto di presentazione per una che vive in un quartiere popolare.
“Io non credo di essere deficiente. Vivo qui perché i miei nonni avevano una casa qui già ottant’anni fa”. In effetti, il palazzo è degli anni 30, tipico esempio di bell’architettura del ventennio. “E comunque, la casa non fa il monaco” parafrasando il proverbio.
“È vero. Anch’io in realtà vivo in un appartamento dei miei. Però non mi piace molto dove abito.” Ok. 1-1 palla al centro.
“Che fai nella vita?”
“Sono educatrice in una scuola e lavoro part-time in una casa famiglia che dirigo”. Per me è arabo, ma ho capito che si tratta di supporto ai disabili ed agli anziani non autosufficienti.
“Io invece mi interesso di software. Dirigo i laboratori di sviluppo della mia azienda in Europa”
“Ah, un pezzo grosso. Quindi ci capisci di computer?”
“Beh direi di si, un po’”
“Bene. Ho visto che sei separato da poco. Come mai?”
“È una lunga storia, un po’ troppo lunga da raccontare in chat”
“Corna?”
“In un certo senso si”
“Siete tutti uguali!”. Secca. Definitiva.
“No, che hai capito? Non io, io le ho …diciamo subite.”
“Ah. Lei ti ha messo le corna e tu l’hai scaricata, quindi…” Altra affermazione. Donna battagliera, un po’ di femminismo d’antan a protezione delle compagne di sventura.
“No, in realtà mi ha scaricato lei”
“Ah. Allora ti ha lasciato lei per un altro. E tu le hai concesso la separazione?”
“Si e no. Mi ha lasciato per un’altra, che però era la nostra comune amante. Complicato, lo so. Ma la vita è bella perché è varia, no?”
Silenzio. Nessuna azione, nessuna risposta. Gelo totale.
“Ci sei ancora? Lo so, è una storia un po’ strana. Però è così. Non posso cambiare la realtà delle cose.”
Ancora silenzio. Passano almeno altri due minuti senza risposta. Sono quasi certo che ha pensato che io sono un porco, una sorta di animale amante del sesso promiscuo e senza vergogna.
“Scusa, ma ho dovuto rispondere al telefono e nel frattempo si è impallato il computer. Quindi mi stai dicendo che tu e tua moglie avevate una amante in comune. E lei era consenziente. E ti ha lasciato per stare con l’amante. Mandandoti via. E chiedendo la separazione per stare con lei, giusto?”
“Esatto. Non avrei saputo sintetizzare meglio” affermo in risposta.
“Ed io ci dovrei credere?” Eccola là. Non ci crede. Pensa che sto trollando per fare colpo.
“Padrona di non crederci. Non posso obbligarti. Purtroppo è la realtà. Ma non rimpiango di averlo fatto. Nel senso che ho passato dieci anni stupendi. Ho anche due figli grandi che hanno accettato, in un modo o nell’altro, la situazione.”.
“E perché ti avrebbe lasciato, scusa? Ma sta ancora con la …” Si impunta. Non sa come definirla. Il cursore lampeggia…
“… con la tua ex, no, con la sua …compagna?” Si corregge, torna indietro, riscrive.
“Si, ha preferito lei a me. Dice che con lei si sente totalmente realizzata. E che non le piacciono più gli uomini. Che avrei dovuto fare?”
“Non so. Vi siete separati con quale motivazione? Davanti al giudice, intendo.” Ancora quell’indole protettiva verso le donne. Si preoccupa che io abbia addebitato alla mia ex la separazione per colpa.
“Consensuale. Dopo quasi trent’anni, un rapporto stanco. Niente liti, niente avvocati da ingrassare. Tutto facile e senza scontri o discussioni. E tu, invece?”
“Io pure separata, ma il mio ex-marito mi aveva messo troppe corna e io l’ho voluto ripagare con la stessa moneta, solo che poi mi sono stancata di queste ripicche continue e ho preferito chiudere. Però è un ottimo padre dei nostri figli ed io gli sono ancora grata per avermeli dati. Non lo odio, anche perché sono parecchi anni ormai che siamo separati, e tutto sommato non si è mai comportato male con me da quando ci siamo divisi. Anzi, stiamo meglio ora che prima.”
La conversazione scorre ora fluida, abbiamo rotto il ghiaccio. Il tempo vola, sono quasi due ore che sono in chat con lei. Mi pare già di conoscerla ed empaticamente mi inizia a piacere. Ci scambiamo i permessi di accesso alle foto dei nostri profili. Le mie sono a viso scoperto, foto in vacanza, in barca, o a Tokyo e a Londra, assieme a colleghi. Le sue invece sono scansioni di foto stampate, risalenti a qualche anno prima, almeno venti direi, dalla foggia dei vestiti.
“Le tue foto sono di almeno vent’anni fa, giusto?”
“Si, sei osservatore. Sono esattamente del 97, ottimo occhio.”
“Eri molto bella, ed immagino lo sia ancora. Avevi un fisico da modella, allora, e avevi … 33 anni, giusto?”
“Si esatto. Come hai fatto a indovinare?” mi risponde di getto.
“Beh, facile. Il tuo nick è Viol@64, il che potrebbe significare che sei nata nel 1964. E avresti quindi 54 anni, oggi” affermo con una certa sicurezza.
“Ci siamo già conosciuti, forse? Hai un altro nick?” mi chiede; intuisco una certa freddezza nel suo tono.
“No, mi sono iscritto solo due giorni fa, fino ad allora non conoscevo nemmeno l’esistenza di questa chat” le rispondo prontamente.
Mi arriva una segnalazione che Viol@/Francesca mi ha abilitato l’accesso ad un’altra galleria di immagini. Sono foto più recenti, la ritraggono in varie situazioni, intuisco in parte lavorative, in mezzo a persone in carrozzina e con bambini down, ed in parte al mare, in costume e di sera, vestita elegantemente. Una bella donna, dal fisico asciutto, longilineo, dalle giuste forme con vita scavata e seno piccolo ma bello tondo, come si intuisce da una foto che la ritrae in abito da sera con una scollatura molto profonda che ne evidenzia le forme. In una foto, decisamente casalinga, il suo viso è triste, segnato dal dolore e dal dispiacere, mentre abbraccia affettuosamente una persona anziana in gramaglie.
“In una foto stai abbracciando tua mamma, vero? Per curiosità, avevi perso tuo papà da poco, vero?” butto lì tirando ad indovinare.
“Ma tu, chi sei? Piantala di prendermi per il culo. Sei Antonio, vero? Falla finita con questi scherzi” mi risponde dopo un po’.
“No, ti giuro, sono Paolo. Se non mi credi, ti do il mio cellulare e mi chiami ora, così ti rendi conto che sono io” e le passo il mio numero.
“Ti chiamo” e dopo venti secondi squilla il mio cellulare.
“Sono Francesca” una voce un po’ roca, ma calda, forse da fumatrice.
“Sono Paolo, molto piacere. Hai una bella voce” le dico.
“Pure tu, anche la tua non scherza” mi risponde. “Ora mi spieghi come hai fatto a capire da quella foto che ero in lutto per mio padre.”
“Semplice” le dico “Tua mamma era vestita di nero e aveva due fedi alla mano sinistra. Sul tavolino a fianco a voi c’era una foto di una persona di una certa età e tu la stavi guardando. Avevi le occhiaie di chi ha pianto ed il gesto verso tua mamma era di protezione e di vicinanza. Lo so, sembra strano, ma sono molto empatico e riesco ad intuire cose solo dall’analisi dei particolari.”
“È vero, mio padre era morto da quattro giorni appena, e la foto l’abbiamo scattata il giorno del funerale. Ma chi sei? Sherlock Holmes?” mi dice.
“No, sono solo un osservatore attento delle cose che mi interessano.” rispondo di getto. E proseguo: “In effetti mi interessi. Non so perché né cosa mi abbia scatenato questo sentimento, ma ho la sensazione di doverti conoscere e che se non lo facessi, me ne pentirei. Credo molto al mio istinto, e mi sono sempre fidato di lui. Forse talvolta ho esagerato, ma alla fine mi è quasi sempre andata bene. E oggi il mio istinto mi dice che devo conoscerti.” e la butto lì, di getto: “Anche subito”.
Un momento di silenzio. Mi sembra di sentire il ronzio delle circonvoluzioni neuroniche in azione dall’altra parte della linea. “Sono quasi le otto, dammi un paio d’ore. Devo mettere in tavola per i figli e poi esco. Dove ci vediamo?”.
Accidenti, decisa la signora. Voglio favorirla, non mi va che si metta in mezzo al caos del traffico romano e una ricerca al volo su Google mi suggerisce un ristorantino sulla Prenestina, un po’ particolare ed alternativo. Un buchetto dove si mangia molto bene, un po’ stiloso ma abbastanza contestualizzato alla zona. A quell’ora della sera, potrebbe essere lì in meno di 20 minuti. Sufficiente per darle modo di scegliere cosa mettere, farsi una rapida messa in piega, insomma, darle il giusto tempo senza dover accampare scuse del tipo “non sono pronta, non so cosa mettermi”. O effettivamente, di mettere in tavola e di rigovernare la cucina, se ne avesse effettivamente la necessità.
“Allora alle 10 al Tavolo 27, in via Prenestina” e le leggo l’indirizzo corretto. “Te lo mando su Whatsapp, va bene?”
“Va bene. Allora a dopo. Ciao” e chiude la telefonata.
Immagino a questo punto il suo stato d’animo, i pensieri che le scorrono in testa che vanno dal cosa mi metto? al Sei una stupida, accettare un invito da un perfetto sconosciuto. E se fosse un sadico, un porco, uno stupratore?
Non è che io sia da meno. Anche nella mia testa scorrono pensieri del tipo “Ma sei scemo? Ma che ti aspetti? E poi, una che accetta tout-court un invito da un perfetto sconosciuto…”. Mi pare di sentire i pensieri di mia mamma quando le raccontavo delle ragazze con cui andavo in vacanza conosciute solo sei mesi prima…
Mi butto in doccia, mi faccio la barba e scelgo con accuratezza cosa mettermi. Camicia bianca, pantalone sportivo, scarpa comoda e giacchetto scamosciato. È fine ottobre, a Roma le temperature sono piacevoli ma la sera inizia a rinfrescare. Apro il cassetto della biancheria e ...accidenti, sono senza mutande pulite, sono stese ad asciugare ma non sono ancora pronte. Vabbè, chi se ne importa, andrò senza, tanto chi vuoi che se ne accorga. E poi mi fa piacere stare senza, è una sensazione stimolante e gradevole, alla fine.
Una spruzzata di profumo e sono pronto. Scelgo di andare con la Citroen, è tempo che non la uso e farle fare qualche chilometro non le farà male. E viste le buche di Roma, tutto sommato fa anche bene alla mia schiena.
Mi metto in moto per essere lì per tempo, in modo da cercare parcheggio in zona, cosa non facile vista l’ora e date le dimensioni della macchina. Prendo la tangenziale ed esco sulla Prenestina, la traversa del ristorante è lì pochi metri dopo la rampa. Sono quasi le nove e mezza e trovo posto proprio davanti al ristorante: diavolo, è giornata di chiusura! Non avevo controllato. Un attimo di panico. Che figura di merda!
Cerco su Google un alternativa, leggo i commenti su Tripadvisor ma non c’è nulla che mi attiri o che mi sembri adeguato alla circostanza. Non sono di zona e non ho idea di dove andare, potrei buttarmi su San Lorenzo che è lì vicino, o al Pineto, sempre a pochi passi, ma non conosco ristoranti carini e non impegnativi. Decido di contattare Francesca ed avvisarla dell’imprevisto per evitarle un giro a vuoto. Cavolo, non risponde. Le scrivo su Whatsapp e l’avviso del problema. Il messaggio parte ma non arriva a destinazione, rimane solo la spunta semplice. Aspetto, passano i minuti, sono quasi le 10 e ancora non risponde. Non posso fare nulla. Attendo che arrivi fermo davanti al locale. Uno squillo: “Sono Francesca, sono qui sulla Prenestina ma non trovo la strada per svoltare, la via del ristorante è a senso unico. È la seconda volta che faccio il giro…”
“Aspetta, il ristorante è chiuso per turno, non lo sapevo. Hai qualche indicazione? Senza doverci allontanare troppo”, le dico.
“Si, di locali ce ne sono tantissimi in zona. Dove sei?” mi chiede. “Sono proprio davanti al ristorante. Se mi dici dove sei e che macchina hai, ti raggiungo. Io sto su una vecchia DS, ti ricordi il “ferro da stiro”? “ le rispondo. “Si certo, io sono su una Clio grigia. Sono ferma poco prima della rampa delle tangenziale in direzione San Lorenzo”. “Ok, ti raggiungo, non attaccare”. Metto in moto la macchina e mi immetto sulla Prenestina. Vedo la sua macchina ferma con le quattro frecce e mi accosto dietro di lei. Scendo e …mi prende il panico. E ora che le dico? Improvviserò. Mi avvicino al suo finestrino e busso leggermente.
“Ciao!” mentre lei abbassa il finestrino e apre lo sportello. “Suppongo tu sia Francesca, giusto?” le dico. “E tu sei Paolo, immagino..”.
Francesca è una bella signora, non dimostra la sua età o meglio, è in quell’età di mezzo che per certe donne rappresenta il picco di femminilità, con quella bellezza senza età che si mantiene invariata per anni. È vestita informalmente, pantaloni neri aderenti ed una canottierina in seta dello stesso colore, una giacchina scura avvitata, un po’ black lady. Direi troppo informale per essere un outfit studiato. Direi una taglia 40 o 42 su un corpo da 1.60 per 50 chili, più o meno. Capelli castano scuri con riflessi ramati. Unghie abbastanza curate ma di certo non fresche di manicure. Occhi vivaci, vispi ma nel contempo profondi, intensi. Una bellezza mediterranea che forse non colpisce nell’immediato ma che non passa inosservata ad un’indagine più attenta. È… bella. Il mio cuore inizia a battere veloce, non lo controllo e non so perché. O meglio, credo di saperlo ma mento a me stesso: la chimica ha già colpito. I suoi feromoni sono perfettamente riconosciuti dai miei recettori che hanno scatenato scariche di adrenalina e attivato il rilascio di dosi massicce di dopamina. E inizio a sentir caldo dentro.
Ci stringiamo la mano e stiamo lì inebetiti o quasi. Rompo il ghiaccio e le dico “perché non lasci la tua macchina qui e andiamo con la mia?”. Ci pensa un attimo e risponde “Va bene, ma devo parcheggiare. Seguimi, cerco posto.” e accende il motore. Partiamo e giriamo un po’ alla ricerca del posto, missione complessa ma alla fine un colpo di fortuna, una vettura sta uscendo proprio davanti a lei. Parcheggia, chiude la portiera e sale in macchina. Si guarda intorno ammirata e mi dice “Bella, ne avevo anch’io una, è una Pallas, vero?”. Accidenti, preparata ed esperta. La conversazione corre leggera e banale, si sente un po’ di imbarazzo reciproco in aria. “Dove andiamo? Innanzitutto, hai fame o preferisci bere qualcosa?” le chiedo. “Non so, be. Io non avrei molta fame, non so tu. A me va benissimo bere qualcosa. Conosco un posticino qui vicino a San Lorenzo, solo che è un po’ difficile parcheggiare. Altrimenti, proviamo verso il Pineto ma pure lì è complicato” mi risponde.
Seguo le sue indicazioni ed alla fine troviamo un posto – altro colpo di fortuna – poco distante dal locale. Mi affianco a lei e mi faccio guidare per il dedalo di viuzze strette e già invase dalla movida serale. Entriamo nel locale e le faccio scegliere il tavolo: prende un tavolino riservato, all’angolo, in penombra. Ordiniamo, lei un caffè ed io una birretta. Chiedo di portarmi qualche patatina e salatino per non bere a stomaco vuoto. Si alza e mi dice che deve andare alla toilette: ne approfitto per dare una sbirciata al posteriore, ha un culo bello rotondo e assolutamente proporzionato, evidenziato dai pantaloni attillati che peraltro non mostrano alcun segno di biancheria sotto. Interessante...
Giocherello con il piattino delle patatine e attendo il suo ritorno per iniziare a bere. Passano due, tre, poi quattro minuti ed inizio a preoccuparmi. “Scusa, c’era molta fila per il bagno delle signore e non ho fatto in tempo ad andarci prima di uscire” si giustifica. Bah… non mi pare che il locale sia pieno, chissà.
Riprendiamo la conversazione, parliamo dei nostri rispettivi lavori e figli, iniziamo a cercare interessi comuni ed inevitabilmente, il discorso va a finire sulle nostre rispettive situazioni familiari.
Le narro a brevi linee la mia strana storia. “Mi sono sposato con Francesca (il caso!) che avevo trent’anni. È rimasta incinta subito di Sophia e poi di Luca a distanza di tre anni uno dall’altro. Voleva lavorare ma due gravidanze complicate glielo hanno impedito; poi, ha deciso che era meglio continuare gli studi interrotti, si è laureata in medicina e poi la specializzazione in chirurgia estetica, il lavoro un po’ a tempo perso in cliniche di lusso fino alla esplosione della sua carriera con una tecnica di modellazione delle masse grasse guidata tramite sistemi un sistema cartografico tridimensionale che indica istante per istante dove andare a togliere e quanto togliere, a cui ho dedicato anch’io un po’ di tempo per diletto. Poi la mia carriera, che ha preso a volare a cavallo dei 50, le mie assenze da casa, la scoperta dell’amante di mia moglie diventata anche la mia amante… e così via. “. Non volevo approfondire troppo, ma mi trovo a raccontarle le sensazioni contrastanti provate il giorno della scoperta, i problemi con i figli che hanno capito cosa stava succedendo, la discrezione assoluta con la quale portavamo avanti la relazione a tre, e così via.
Poi il dolore dell’abbandono, il senso di tradimento da parte delle mie due donne, i problemi con i figli che sono da un lato vicini alla madre e dall’altro increduli della situazione venutasi a creare, insomma, una panoramica dei miei ultimi due anni e dei problemi vissuti. In mezzo, un sostanziale disprezzo verso il genere femminile ed un totale disinteresse verso il sesso, sostituito dalla lettura, la musica, gli amici rigorosamente maschi.
Tocca a lei. “Mi sono sposata molto giovane e ho avuto dopo un po’ il primo figlio. Ero bellissima, piacevo da morire e mi piaceva piacere. “. Non fatico a crederle. “Mio marito era un farfallone, ma finché non c’era Claudio, facevamo una bella vita di coppia, movimentata, ricca di divertimento e di piacevolezze. Poi, con la gravidanza, nonostante cercata da entrambi, si è un po’ allontanato. Mi aveva già cornificato prima, forse anche appena sposata, ma ho sempre pensato che alla fine avrebbe scelto me proprio perché ero imparagonabile rispetto alle sue sciampiste (proprio così, con il massimo disprezzo per la tipologia, non per la categoria di lavoratrici). Ero sicura di me, e qualche volta glie l’ho resa con gli interessi, facendo in modo che sapesse che sapevo e che venisse a conoscenza che lo avevo ripagato. Poi, dopo il parto, la prima separazione. Me ne vado con mio figlio, sono autonoma lavorativamente e soprattutto, sostenuta dalla mia famiglia di origine che mi ha sempre facilitato nella gestione di Claudio piccolo lasciandomi piena libertà. Non avevo ancora trent’anni ed ero tornata la bella ragazza prima del parto, senza un filo di grasso o di cellulite. E piacevo agli uomini, giovani e meno giovani. Lavoravo, guadagnavo bene e, soprattutto, facevo le cose che mi piacevano. Ho fatto anche la modella per un famoso pittore, sai?” e non fatico a crederlo. Una bellezza particolare, non la classica bonazza un po’ volgare che di solito assoceresti al ruolo di modella di un pittore.
“Poi c’è stata una riappacificazione, siamo tornati assieme ed abbiamo messo in cantiere un altro figlio, sperando che potesse risolvere i nostri problemi di coppia. Fortemente voluto più da lui che da me, è nato Serse dopo quasi 11 anni. E credi che sia servito a qualcosa? No, lui sempre assente, impegnato dietro alle sue zoccole, ed io a gestire i figli ed il lavoro, mentre nel frattempo iniziavo ad avere problemi con la salute di mio padre. Ed alla fine ho detto basta e ho deciso di lasciarlo, chiedendo la separazione. È stata dura, ma sono contenta di averlo fatto. Ho ripreso in mano la mia vita, continuando a sbagliare con gli uomini anch’io ma senza dover chiedere nulla a nessuno.” Anche lei è un fiume, sembra che l’empatia spontanea ci faciliti le chiacchere, ci aiuti ad aprirci ed a spogliarci delle nostre scorze esterne, degli scudi alzati a protezione dei nostri ego feriti. È quasi l’una, Francesca guarda l’orologio e mi dice che deve rientrare, la mattina successiva deve alzarsi presto per portare il piccolo a scuola prima di andare a lavorare. Chiudiamo qui, l’accompagno alla macchina e mentre guido, mi avvicino al suo viso con una scusa banale e le sfioro le labbra con le mie. Un po’ sorpresa, non si tira subito indietro. Mi accosto alla sua macchina e prima che scenda, la saluto. Ma il saluto diventa un bacio appassionato, lunghissimo, a cui non si sottrae. Il tempo è tiranno però, e non possiamo trattenerci troppo. Passano altri quindici brevissimi ed intensi minuti prima di lasciarci con la promessa di risentirci l’indomani.
Aspetto che parta e la scorto per un po’. Poi, una lampeggiata di fari per salutarla, imbocco di nuovo la tangenziale e torno a casa. Mi spoglio, rapida doccia perché ho sudato, l’eccitazione mi fa puzzare come un ragazzino brufoloso, non son più abituato a controllare gli ormoni. Vado a letto stanco e un po’ eccitato. Il suo odore mi rimane appiccicato addosso, la memoria del gusto ricorda ancora perfettamente il sapore dei suoi baci, le mani la sericità della sua pelle. Sono ancora eccitato e provo sensazioni che credevo di aver rimosso nell’ultimo periodo.
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Paolo e Francesca - Dieci anni dopo
Cap. 3 - La prima uscita
Sono passati alcuni giorni da quando ho incontrato e conosciuto Francesca. Il ricordo dei suoi baci è ancora vivido, impresso a fuoco, embossè. Ci siamo sentiti più volte, ma ancora non ci siamo rincontrati. I suoi orari non si sposano con i miei. Tra i suoi problemi a casa ed i miei, il calendario è scorso velocemente. Ho voglia di rivederla.“Riesci a prenderti una giornata libera domani?” le butto lì su Whatsapp.
Una spunta, due, celeste. “…dipende… per fare che?” dopo qualche secondo dalla spunta blu. Ci sta pensando.
“Ti volevo proporre una cosa diversa”
“Tipo rinchiuderci tutto il giorno in albergo?” Diretta, schietta, immediata.
“No. Volevo proporti una giornata in una SPA, sai, idromassaggio, sauna, bagno turco, massaggi…”
“Ti propongo io un’altra idea”.
“Ok, dimmi”
“No, è una sorpresa. Portati un costume, un asciugamano ed un paio di ciabatte. Anzi se vieni in tuta è pure meglio…” Prendiamo appuntamento per l’indomani mattina presto. Devo passarla a prendere vicino casa, è momentaneamente senza macchina perché è dal meccanico. “Va bene. Giusto per sapere: è molto lontano dove dobbiamo andare?” “No, vicino Roma, tranquillo”. Visto che sono i primi di ottobre, il tempo è ancora mite e le previsioni sono ottime, mi va di andare con la Midget. Lo spider fa la sua porca figura…
Mi aspetta alla fermata del bus, una sacca sportiva accanto a lei, vestita in maniera molto informale, twin set crema su jeans skinny, stivaletto con tacco nemmeno troppo alto color tabacco ed una borsa di Fendi. Anche la sacca è griffata Fendi… Un rapido saluto dall’auto scoperta, uno sguardo sorpreso e poi un sorriso di contentezza. L’ho un po’ stupita…
Bacio fugace e casto sulle guance… butto la sacca dietro i sedili, le apro lo sportello da dentro e la faccio accomodare. Non è facile entrare se non si conoscono i trucchi: prima una gamba diritta, poi l’altra…
Si parte. “In che direzione?” “Prendi la Roma Civitavecchia ed esci a Civitavecchia Nord.”
“Mi sa che ho capito…” “Ah si? E dove andiamo allora?” “Alla Ficoncella!”
La Ficoncella è un insieme di pozze d’acqua termale costruite a valle dei ruderi delle Terme Taurine fatte edificare dall’imperatore Traiano nel secondo secolo. L’acqua è molto calda, ricchissima di zolfo che dopo un po’ precipita formando delle pellicole e delle masserelle che sembrano sporco, ma in realtà è un toccasana per una serie di malattie, dalle dermatiti alle affezioni sessuali, un rimedio naturale ben conosciuto dai locali che l’affollano anche di inverno, visto che le vasche sono anche a 80 gradi. C’ero stato da ragazzo con gli amici, poi vista la vicinanza con Porto Traiano, dove avevo la barca, avevamo provato una volta ad andarci dopo cena ma la folla lo aveva reso impossibile. E comunque avevo un ricordo un po’ naif di queste pozze e delle pellicine galleggianti.
La conversazione in uno spider degli anni 60 senza capote è virtualmente impossibile se si viaggia a più di settanta all’ora. Decido quindi di non prendere l’autostrada e di passare per l’Aurelia, tanto a bassa velocità ci si mette poco di più. Arriviamo dopo un’ora abbondante alle terme, paghiamo il biglietto (che poi è per il parcheggio) e spengo la macchina. Le chiedo se conosce il posto bene e come funziona.
“Possiamo prendere uno spogliatoio, ma forse è un po’ tardi. Vediamo cosa c’è.” e si reca al bar per informarsi. “C’è solo uno spogliatoio funzionante, per cui dobbiamo attendere il turno”.
Ci mettiamo a chiacchierare in attesa che le persone davanti a noi si cambino e ci lascino il posto; ma pare che le operazioni vadano a rilento… bimbi urlanti, madri ululanti, nonne e zie pedanti e mariti sbuffanti… è passata già una mezz’ora. Finalmente tocca a noi.
“Senti, entriamo assieme, ti va? Così facciamo prima” Figuriamoci, tra palestra e barca sono abituato ad esporre le mie nudità senza problemi, per cui va benissimo.
Lo spogliatoio è poco più di una cabina doccia… in due ci si entra a mala pena e ci sono appena una panchetta e due sedie. Guardo di sottecchi Francesca che apre la sacca, toglie la roba ed inizia a spogliarsi. Sfila il twin set, poi i jeans rimanendo in intimo, reggiseno nero e perizoma abbinato, assolutamente non volgare. Io non porto intimo, mi piace stare freeballing quando posso, per cui mi giro di spalle per rispetto nei suoi confronti, anche per concederle il modo di infilarsi il costume. Indosso il mio Speedo (demodè, ma va bene così) e mi giro. “Sono pronto” “Anch’io…”. È rimasta in intimo nero. Se non lo sapessi, direi che è un normale costume in microfibra. Si panneggia con un telo, infila le giapponesine ed apre la porta. La imito e la seguo.
Arriviamo alle vasche, quelle praticabili sono due o tre, più si scende a valle meno l’acqua è calda e ci si può immergere un po’ di più. Ovviamente, sono molto affollate. Ma per magia dopo una mezz’ora si svuotano e noi possiamo prendere possesso di quella un po’ più ampia assieme ad altre coppie. Passa il tempo, si chiacchera del più o del meno anche con le altre persone e faccio sfoggio della mia erudizione spiegando ad un grossetano con la sua signora le origini nobili del suo paese e la sua discendenza dagli Etruschi da me tanto amati. Francesca si fa stretta, mi abbraccia da dietro e si struscia un po’ su di me; appoggia le sue labbra all’orecchio e sussurra un “Andiamo” … In effetti è un bel po’ che siamo in acqua…
Rientriamo nello spogliatoio, mi sfilo il costume, apro la doccia per togliere un po’ di zolfo dalla pelle certo di essere spiato… Mi giro verso di lei nudo e un po’ “fluffy”. Sono tutto depilato e faccio una bella figura pur non essendo un superdotato. Anche lei si è sfilata l’intimo ed è nuda, totalmente depilata meno una piccola striscia sul pube, una “landing strip” ben curata. Reagisco con un ulteriore pulsione al basso ventre, ma mi rinfilo subito i pantaloni della tuta e la polo. Francesca entra sotto la doccia ed inizia a sciacquarsi dandomi le spalle. Ha un bel culo, sodo ed eretto. Da dietro sembra ancora una trentenne, senza un filo di cellulite o di grasso superfluo. “Mi passi il telo per favore?” mi chiede. Lo apro e anziché porgerglielo, la avvolgo con delicatezza chiudendolo sul davanti ma senza toccarle la pelle. Un rapido strofinio per asciugarle la schiena e le spalle e mi distacco da lei. “Ti aspetto di fuori” le dico, per evitare di saltarle addosso nello spogliatoio.
Non devo attendere molto. Dieci minuti, ed è fuori. Radiosa, si è cambiata. Non indossa più i pantaloni, ma una gonna plissè longuette con lo stesso twin set ed un paio di ballerine. Al collo, un giro di perle e due orecchini sempre con perle ai lobi. Un foulard buttato sulle spalle. È stupenda, semplice, un filo di trucco leggero e rossetto appena pronunciato. Porta i capelli sciolti, ancora umidi, ma sembra appena uscita dal parrucchiere. Le capacità miracolose di alcune donne di sapere sempre prima come vestirsi e cosa portarsi in ogni occasione mi stupisce!
Sono quasi le tre del pomeriggio, i ristoranti sono chiusi e forse possiamo trovare solo un po’ di pizza da Mastro Titta. Montiamo in macchina, la capote sempre abbassata, e via verso il mare. Francesca è languidamente distesa, per quanto le è permesso dallo schienale del sedile quasi verticale, visibilmente eccitata. I capezzoli spingono il leggero tessuto del twin-set, deduco che non si è rimessa il reggiseno bagnato. Non ha il seno di una ragazza, ma ci sono ragazze che pagherebbero per ricorrere al chirurgo per avere un seno come il suo. E visto che ha avuto due gravidanze e relativi allattamenti, direi che la natura l’ha aiutata molto, anzi…
Mangiamo un po’, dividiamo una birra piccola e risaliamo in macchina, direzione Roma.