Esperienza reale Paolo e Francesca - Dieci anni dopo

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Buona sera.
E' la mia prima "opera" di narrativa e spero possa piacervi.
Essa si basa su una serie di fatti e situazioni realmente accadute a me ed alla mia compagna, che sono state però distorte ed addomesticate allo scopo narrativo.
Ovviamente, nomi, situazioni, luoghi possono sembrare reali, ma sono stati modificati volutamente per cancellare ogni riferimento alla vita reale mia, della mia compagna e delle persone di cui ho narrato.
Anche talune situazioni che man mano illustrerò sono state cambiate ad uso della narrazione erotica, amplificando fatti e comportamenti altrimenti latenti e non così palesi

Posto qui i primi tre capitoli di un romanzo breve che a oggi è di circa 30.000 parole, 1.500 pagine kindle, suddiviso in vari episodi.
Evito di inviare il tutto perchè non so quanto possa essere gradito.
Allegherò un capitolo in formato PDF per ogni post.
Se lo desidererete, invierò anche gli altri.

Paolo.

P.S. Il post è stato inavvertitamente inserito nel subforum racconti fotografici. Me ne scuso, Chiedo all'admin di eliminarlo.

Cap. 1 - Prologo​

C’eravamo lasciati con la scoperta che Francesca, la mia prima moglie, timida e poco incline alla trasgressione, aveva stretto amicizia con la mia prima amante, Andrea, aggressiva, una tigre del materasso, una bisessualità esplicita tendente alla omosessualità. E andò a finire che, la timida Francesca e la aggressiva Andrea, si misero insieme e mi lasciarono.
Un ménage à trois diventato in breve un rapporto stretto ed esclusivamente femminino.
E rimasi da solo.
Sono passati dieci anni da quel giorno in cui le scoprii a baciarsi, i corpi nudi ed unti dall’olio abbronzante, i sessi depilati ed oscenamente rigonfi ed i seni con i capezzoli che si ergevano tesi a manifestare una selvaggia quanto primitiva eccitazione. Avrei dovuto capire che prima o poi il trio sarebbe diventato un duo e che sarei uscito perdente da quella relazione anomala.
Arrivò il giorno in cui trovai i miei abiti, le camicie con le cifre e le cravatte di Marinella, le giacche di cachemire e di fresco di lana, i miei preziosi computer con tutti i miei progetti, le mie carte, insomma, tutte le mie cose perfettamente ordinate e rigorosamente impacchettate, pronte ad essere portate via, maniacalmente impilate in garage.
Non una parola di preavviso, né una spiegazione.
“Da stasera non abiti più qui. Domani sarai contattato dall’avvocato Frescobaldi per la separazione. Sappi che voglio il divorzio. Non ti chiederò nulla di più della casa, dell’auto e dell’uso concordato della villa a Santo Stefano. Puoi tenere la multiproprietà in Sardegna, anche se me l’ha regalata mamma, ed usarla come vuoi, ma dovrai metterti d’accordo con i figli. Tanto lo sai che c’è spazio per dieci persone, non credo avrai problemi a convivere con i ragazzi ed i loro amici. Il cane lo tengo io fino a che non trovi un posto decente dove stare; poi, lo potrai prendere quando vuoi ma voglio poterla tenere almeno tre mesi all’anno. Quanto ai figli, sai che dovrai farti carico delle spese di istruzione e sanitarie, ma a Luca mancano solo sei esami alla laurea e Sophie sta finendo il master, già lavora ed è quasi autonoma. L’assicurazione sanitaria te la passa l’azienda, per cui direi che per questo non c’è problema. Non mi hai fatto nulla di male, non ti addebito nulla, ma non posso più rimanere legata a te con un vincolo legale. La mia vita è con Andrea.”
Non ebbi modo di controbattere, totalmente annichilito dalla notizia che mi era arrivata tra capo e collo.
Era un po’ di tempo che non eravamo più né coppia né trio. Ero stato estromesso dai loro giochi, complice un lieve infarto che mi aveva colpito due anni prima e che mi aveva fatto smettere, come suggerito dall’amico Prof. Paolo Ricagli, primario di Cardiologia al S. Andrea di Roma, tutti gli eccessi a cui ero abituato. Basta fumo, basta vino, niente più goccetto di Oban la sera, niente più Cialis per erezioni semi-perenni, niente più sesso sfrenato.
Ed un trasferimento temporaneo in Giappone a Tokyo, sede della Casa Madre dell’azienda di cui ero divenuto il direttore dei laboratori software di tutto il mondo, mi aveva obbligato ad un’assenza forzata per oltre sei mesi, lontano da casa, dalla famiglia e dalle amicizie. Non bastavano le lunghe ma non frequenti chiamate in videoconferenza con Skype, anche perché otto ore di fuso orario non facilitavano di certo la comunicazione: le otto di sera a Roma erano le quattro del mattino a Tokyo, troppo presto per svegliarmi tutti i giorni quando la sera chiudevo la luce alla mezzanotte locale e la mattina alle 8 dovevo essere in ufficio con l’autista che mi passava a prendere alle 6:30. Giusto la domenica pomeriggio potevo concedermi un po’ di tempo, quando a Roma erano le dieci di mattina ed ero certo di trovare qualcuno a casa, spesso ancora nel sonno.
Tornai da Tokyo con tanta stanchezza ma con una promessa da parte del management che non mi avrebbe più spostato se non per qualche breve trasferta a Londra, Monaco e Madrid, le altre sedi europee, oltre a Roma e Milano, dei laboratori di cui ero a capo. E con un aumento di stipendio vertiginoso, tale da tranquillizzarmi per il futuro mio e dei miei. E comunque, non è che avessi modo di usare tanta agiatezza: trasferte pagate, poco tempo libero per spendere, solo i costi di gestione delle abitazioni e l’argent de poche per i figli, peraltro lautamente sovvenzionati dai nonni materni e dalla mamma che non lesinavano loro un euro, visto che se li strameritavano per l’ottimo rendimento universitario e per il loro ammirevole spirito di iniziativa e desiderio di autonomia che li rendeva quasi autonomi economicamente; Luca aveva seguito le mie orme e sviluppava app di successo, Sophie aveva trovato lavoro in un’azienda di apparati radiologici e poteva permettersi quasi tutto ciò che desiderava con il suo stipendio e le provvigioni.
Tutto ciò avrebbe reso felice qualsiasi uomo: una moglie ricca di suo e brillante chirurgo estetico, due figli intelligenti, bravi, pieni di iniziativa e con un futuro radioso, un cane devoto, un’amante ex-top model condivisa con la moglie, assieme ad una posizione solida faticosamente e, immodestamente, raggiunta solo per meriti personali.
Ma ecco che il mio microcosmo all’improvviso crolla, si sfalda. Le certezze vengono meno, i punti di riferimento si fanno più labili, gli obiettivi sfuocati e, ad un tratto, lontani e irraggiungibili.
Occorre ricominciare da capo.

Cap. 2 - Una nuova vita​

Sono passati sei mesi dalla sentenza di separazione. Il mio avvocato, l’amico ed ex compagno di classe Dott. Steffani, mi ha sostenuto soprattutto moralmente visto che, dal punto di vista legale, c’erano solo da riempire pagine e pagine di accordi che rispettavano la totale consensualità della decisione e regolavano nel dettaglio una sostanza riassumibile in poche parole: non devo niente a mia moglie, se non la casa che abbiamo comperato assieme e la villa a Santo Stefano a cui ha contribuito, lasciandomi tutti gli altri asset: l’appartamentino al superattico ai Parioli con il triplo box associato, i due appartamenti a Vigna Clara ereditati dai miei ed affittati in attesa di donarli ai figli, le mie due auto storiche, una MG Midget del 1960 ed una Citroen DS Pallas del ’72, la mia collezione di stampe antiche del Pinelli assieme a tutti i miei amati libri di storia etrusca e romana, la mia raccolta di vinili d’epoca assieme allo stereo, la batteria Ludwig con piatti Zildjian e la chitarra Hofner. Quasi cinquant’anni di storia e di ricordi attraverso le mie passioni. Tutte, meno una: Francesca e Andrea.
Ho ripreso possesso del superattico ai Parioli, dopo averlo ristrutturato. Ho schiaffato in uno dei box batteria, stereo e dischi, e negli altri due le mie auto preferite. Ho ricavato una libreria a parete per riempirla dei volumi ingialliti e un po’ stantii, ho spostato gran parte dei computer e dei dati sul cloud, tenendomi solo il portatile ed un enorme monitor che campeggia sulla mia scrivania. Il resto dello spazio è diviso tra cucina a giorno, soggiorno ed un enorme letto ai cui piedi campeggia una sontuosa vasca da idromassaggio. Sistemata la logistica, ho cercato di rimettere insieme i cocci della mia vita spezzata.
Sono ormai vicino ai sessanta, ben portati solo grazie ad un ottimo patrimonio genetico che non mi ha fatto invecchiare e gli ultimi due anni di dieta e di sano esercizio fisico: un’ora al giorno di camminata veloce alternata a qualche corsetta mi hanno asciugato la pinguedine che si era appalesata sui fianchi e mi hanno fatto rassodare cosce, pancia e pettorali. Oggi dimostro almeno cinque anni di meno e, grazie al cielo, ho ancora tutti i capelli appena inframezzati da qualche spruzzo di grigio.
Credo di essere ancora una persona interessante, colto e amante della bellezza: posso ancora ritrovare il gusto per la vita.
Ho ristretto i rapporti di amicizia con i vecchi amici, ho ripreso ad uscire un po’ la sera e a frequentare qualche locale. Ma ho anche osato iscrivermi ad una chat, dietro suggerimento di un collega.
Mi sono connesso, ho cercato di capire come funzionasse, ho pagato l’abbonamento semestrale di prova con la Postepay attivata per l’occasione e ho iniziato a studiare l’ambiente.
Ovviamente, ho scartato subito l’idea di accalappiare le ninfette poco più che ventenni, troppo vicine all’età di mia figlia, e ho eliminato tutte le donne con meno di quarant’anni, perché troppo interessate a sistemarsi; scartate anche le over-60, di ben frollato mangio solo la chianina. Rimane solo l’intervallo tra 45 e 55 anni, di solito costituito da donne separate o vedove, spesso con figli grandi, storie più o meno spiacevoli alle spalle, interessate a rapporti non troppo intensi e comunque non impegnativi. Un insieme interessante e promettente.
Ho messo sul profilo una mia foto recente in barca, senza ritoccarla, se non offuscando appena il volto per non farmi riconoscere al primo sguardo. Devo dire che faccio la mia porca figura con il fisico asciutto ed abbronzato, e lo stare al timone di una barca a vela induce un senso di saldezza e di determinazione in chi ti guarda.
Dopo un paio di giorni ero stato già visitato da almeno venti signore, ricevendo apprezzamenti anche sfacciatamente esagerati, ma anche una fredda risposta da parte di uno dei miei primi contatti.
Viol@64, il suo nick, aveva un profilo scarno, solo l’età, desumibile dal suo pseudonimo, ed il suo stato civile, separata. Nulla più se non alcune foto bloccate e visibili solo ai suoi contatti. “Maleducati e presuntuosi, non faccio per voi. La chat è piena di donne, andate oltre”. Niente di più.
Avevo fatto un ping su questo profilo che avevo visto on line, frutto della prima ricerca limitata alle cinquantenni di Roma, sperando di poter scambiare qualche battuta, ma non avevo insistito più di tanto, limitandomi a lasciarle un messaggio privato.
“Mi piacerebbe poter scambiare qualche parola con lei. Non saprei dirle cosa mi ha colpito di lei, ma qualcosa mi ha spinto a contattarla. Se ha piacere, accetti la mia richiesta di amicizia”.
Un messaggio asettico, assolutamente casto e rispettoso. Eppure mi risponde seccamente:
“Cosa cerchi? Non me ne frega nulla se sei di 30 cm o sei più bello di Adone, non faccio sesso virtuale, non ho la cam, non ho il microfono”.
Una chiusura a priori, peraltro immotivata.
“Sono Paolo, ho sessant’anni, sono separato da poco e non so come si fa a ricominciare con le donne. Non pensavo di aver scritto qualcosa che potesse offenderla. Non cerco sesso virtuale, non mi interessa, potrei permettermi le escort reali ogni sera ma non mi va. Non ho proboscidi né fagiolini, né sono un Adone. Ma magari potrei piacerle per la mia bella testa e quel che c’è dentro. E parlo di quella che sta sul collo…” e clicco su invia. Sto per cancellare il suo contatto dalla lista degli interessi quando mi arriva l’avviso di una chat attiva.
“Scusa, ma mi devo difendere da un branco di deficienti allupati che fanno a gara a chi ce l’ha più lungo e non vedono l’ora di mostrarmelo. Sono Francesca, piacere.”
Ecco, contatto stabilito. Francesca. Ancora. Questo nome mi perseguita. Non so, sono perplesso, inizio a digitare ma cancello, ricomincio, cambio frase, non so cosa scrivere.
“Piacere mio. Posso darle del tu?”. Penoso, ma clicco lo stesso su invio.
“Certo, qui ci si dà del tu. Di dove sei?”
“Di Roma, tu?” Cretino, hai messo il filtro, lo sai già.
“Lo so, lo hai messo sul tuo profilo…intendo, di che parte di Roma?” Ecco, bella figura da idiota.
“Sto ai Parioli. Tu?”
“Quarticciolo. Conosci?”
Azz…Per chi non lo sapesse, il Quarticciolo era una delle zone di borgata più disagiate di Roma, un quartiere popolare costruito sotto il fascismo ed abitato oggi prevalentemente da extracomunitari e da ex-occupanti abusivi. Volendo fare il paragone, sta ai Parioli come gli slum di Johannesburg stanno agli Champs Elysees.
“Si, cioè, no, insomma, so all’incirca dov’è ma non ci sono mai stato.”
“Hai presente la Togliatti all’angolo della Prenestina? Ecco, proprio lì”. Non aggiunge nulla alla mia conoscenza, anzi, aumenta il mio disagio. È una zona molto popolare, lontana anni luce dal mio mondo. Un altro pianeta.
“Capito. Cioè, ho capito all’incirca, è una zona che non conosco affatto.”
“Tu invece stai un una bella zona. Mi piace molto. Un po’ meno le persone che ci abitano. Sono per lo più stronzi con la puzza sotto al naso. Certi mi paiono deficienti”. Come darle torto? Uno dei quartieri più in, frequentato da gente snob (sine nobilitate, direbbero i Romani), ricca e classista, tipicamente espressione della nuova borghesia dei nouveaux riches, cafoni arricchiti che usano il SUV per andare a fare la spesa o a comprare le sigarette e votano tipicamente a sinistra: una contraddizione continua vivente. Di certo non un bel biglietto di presentazione per una che vive in un quartiere popolare.
“Io non credo di essere deficiente. Vivo qui perché i miei nonni avevano una casa qui già ottant’anni fa”. In effetti, il palazzo è degli anni 30, tipico esempio di bell’architettura del ventennio. “E comunque, la casa non fa il monaco” parafrasando il proverbio.
“È vero. Anch’io in realtà vivo in un appartamento dei miei. Però non mi piace molto dove abito.” Ok. 1-1 palla al centro.
“Che fai nella vita?”
“Sono educatrice in una scuola e lavoro part-time in una casa famiglia che dirigo”. Per me è arabo, ma ho capito che si tratta di supporto ai disabili ed agli anziani non autosufficienti.
“Io invece mi interesso di software. Dirigo i laboratori di sviluppo della mia azienda in Europa”
“Ah, un pezzo grosso. Quindi ci capisci di computer?”
“Beh direi di si, un po’”
“Bene. Ho visto che sei separato da poco. Come mai?”
“È una lunga storia, un po’ troppo lunga da raccontare in chat”
“Corna?”
“In un certo senso si”
“Siete tutti uguali!”. Secca. Definitiva.
“No, che hai capito? Non io, io le ho …diciamo subite.”
“Ah. Lei ti ha messo le corna e tu l’hai scaricata, quindi…” Altra affermazione. Donna battagliera, un po’ di femminismo d’antan a protezione delle compagne di sventura.
“No, in realtà mi ha scaricato lei”
“Ah. Allora ti ha lasciato lei per un altro. E tu le hai concesso la separazione?”
“Si e no. Mi ha lasciato per un’altra, che però era la nostra comune amante. Complicato, lo so. Ma la vita è bella perché è varia, no?”
Silenzio. Nessuna azione, nessuna risposta. Gelo totale.
“Ci sei ancora? Lo so, è una storia un po’ strana. Però è così. Non posso cambiare la realtà delle cose.”
Ancora silenzio. Passano almeno altri due minuti senza risposta. Sono quasi certo che ha pensato che io sono un porco, una sorta di animale amante del sesso promiscuo e senza vergogna.
“Scusa, ma ho dovuto rispondere al telefono e nel frattempo si è impallato il computer. Quindi mi stai dicendo che tu e tua moglie avevate una amante in comune. E lei era consenziente. E ti ha lasciato per stare con l’amante. Mandandoti via. E chiedendo la separazione per stare con lei, giusto?”
“Esatto. Non avrei saputo sintetizzare meglio” affermo in risposta.
“Ed io ci dovrei credere?” Eccola là. Non ci crede. Pensa che sto trollando per fare colpo.
“Padrona di non crederci. Non posso obbligarti. Purtroppo è la realtà. Ma non rimpiango di averlo fatto. Nel senso che ho passato dieci anni stupendi. Ho anche due figli grandi che hanno accettato, in un modo o nell’altro, la situazione.”.
“E perché ti avrebbe lasciato, scusa? Ma sta ancora con la …” Si impunta. Non sa come definirla. Il cursore lampeggia…
“… con la tua ex, no, con la sua …compagna?” Si corregge, torna indietro, riscrive.
“Si, ha preferito lei a me. Dice che con lei si sente totalmente realizzata. E che non le piacciono più gli uomini. Che avrei dovuto fare?”
“Non so. Vi siete separati con quale motivazione? Davanti al giudice, intendo.” Ancora quell’indole protettiva verso le donne. Si preoccupa che io abbia addebitato alla mia ex la separazione per colpa.
“Consensuale. Dopo quasi trent’anni, un rapporto stanco. Niente liti, niente avvocati da ingrassare. Tutto facile e senza scontri o discussioni. E tu, invece?”
“Io pure separata, ma il mio ex-marito mi aveva messo troppe corna e io l’ho voluto ripagare con la stessa moneta, solo che poi mi sono stancata di queste ripicche continue e ho preferito chiudere. Però è un ottimo padre dei nostri figli ed io gli sono ancora grata per avermeli dati. Non lo odio, anche perché sono parecchi anni ormai che siamo separati, e tutto sommato non si è mai comportato male con me da quando ci siamo divisi. Anzi, stiamo meglio ora che prima.”
La conversazione scorre ora fluida, abbiamo rotto il ghiaccio. Il tempo vola, sono quasi due ore che sono in chat con lei. Mi pare già di conoscerla ed empaticamente mi inizia a piacere. Ci scambiamo i permessi di accesso alle foto dei nostri profili. Le mie sono a viso scoperto, foto in vacanza, in barca, o a Tokyo e a Londra, assieme a colleghi. Le sue invece sono scansioni di foto stampate, risalenti a qualche anno prima, almeno venti direi, dalla foggia dei vestiti.
“Le tue foto sono di almeno vent’anni fa, giusto?”
“Si, sei osservatore. Sono esattamente del 97, ottimo occhio.”
“Eri molto bella, ed immagino lo sia ancora. Avevi un fisico da modella, allora, e avevi … 33 anni, giusto?”
“Si esatto. Come hai fatto a indovinare?” mi risponde di getto.
“Beh, facile. Il tuo nick è Viol@64, il che potrebbe significare che sei nata nel 1964. E avresti quindi 54 anni, oggi” affermo con una certa sicurezza.
“Ci siamo già conosciuti, forse? Hai un altro nick?” mi chiede; intuisco una certa freddezza nel suo tono.
“No, mi sono iscritto solo due giorni fa, fino ad allora non conoscevo nemmeno l’esistenza di questa chat” le rispondo prontamente.
Mi arriva una segnalazione che Viol@/Francesca mi ha abilitato l’accesso ad un’altra galleria di immagini. Sono foto più recenti, la ritraggono in varie situazioni, intuisco in parte lavorative, in mezzo a persone in carrozzina e con bambini down, ed in parte al mare, in costume e di sera, vestita elegantemente. Una bella donna, dal fisico asciutto, longilineo, dalle giuste forme con vita scavata e seno piccolo ma bello tondo, come si intuisce da una foto che la ritrae in abito da sera con una scollatura molto profonda che ne evidenzia le forme. In una foto, decisamente casalinga, il suo viso è triste, segnato dal dolore e dal dispiacere, mentre abbraccia affettuosamente una persona anziana in gramaglie.
“In una foto stai abbracciando tua mamma, vero? Per curiosità, avevi perso tuo papà da poco, vero?” butto lì tirando ad indovinare.
“Ma tu, chi sei? Piantala di prendermi per il culo. Sei Antonio, vero? Falla finita con questi scherzi” mi risponde dopo un po’.
“No, ti giuro, sono Paolo. Se non mi credi, ti do il mio cellulare e mi chiami ora, così ti rendi conto che sono io” e le passo il mio numero.
“Ti chiamo” e dopo venti secondi squilla il mio cellulare.
“Sono Francesca” una voce un po’ roca, ma calda, forse da fumatrice.
“Sono Paolo, molto piacere. Hai una bella voce” le dico.
“Pure tu, anche la tua non scherza” mi risponde. “Ora mi spieghi come hai fatto a capire da quella foto che ero in lutto per mio padre.”
“Semplice” le dico “Tua mamma era vestita di nero e aveva due fedi alla mano sinistra. Sul tavolino a fianco a voi c’era una foto di una persona di una certa età e tu la stavi guardando. Avevi le occhiaie di chi ha pianto ed il gesto verso tua mamma era di protezione e di vicinanza. Lo so, sembra strano, ma sono molto empatico e riesco ad intuire cose solo dall’analisi dei particolari.”
“È vero, mio padre era morto da quattro giorni appena, e la foto l’abbiamo scattata il giorno del funerale. Ma chi sei? Sherlock Holmes?” mi dice.
“No, sono solo un osservatore attento delle cose che mi interessano.” rispondo di getto. E proseguo: “In effetti mi interessi. Non so perché né cosa mi abbia scatenato questo sentimento, ma ho la sensazione di doverti conoscere e che se non lo facessi, me ne pentirei. Credo molto al mio istinto, e mi sono sempre fidato di lui. Forse talvolta ho esagerato, ma alla fine mi è quasi sempre andata bene. E oggi il mio istinto mi dice che devo conoscerti.” e la butto lì, di getto: “Anche subito”.
Un momento di silenzio. Mi sembra di sentire il ronzio delle circonvoluzioni neuroniche in azione dall’altra parte della linea. “Sono quasi le otto, dammi un paio d’ore. Devo mettere in tavola per i figli e poi esco. Dove ci vediamo?”.
Accidenti, decisa la signora. Voglio favorirla, non mi va che si metta in mezzo al caos del traffico romano e una ricerca al volo su Google mi suggerisce un ristorantino sulla Prenestina, un po’ particolare ed alternativo. Un buchetto dove si mangia molto bene, un po’ stiloso ma abbastanza contestualizzato alla zona. A quell’ora della sera, potrebbe essere lì in meno di 20 minuti. Sufficiente per darle modo di scegliere cosa mettere, farsi una rapida messa in piega, insomma, darle il giusto tempo senza dover accampare scuse del tipo “non sono pronta, non so cosa mettermi”. O effettivamente, di mettere in tavola e di rigovernare la cucina, se ne avesse effettivamente la necessità.
“Allora alle 10 al Tavolo 27, in via Prenestina” e le leggo l’indirizzo corretto. “Te lo mando su Whatsapp, va bene?”
“Va bene. Allora a dopo. Ciao” e chiude la telefonata.
Immagino a questo punto il suo stato d’animo, i pensieri che le scorrono in testa che vanno dal cosa mi metto? al Sei una stupida, accettare un invito da un perfetto sconosciuto. E se fosse un sadico, un porco, uno stupratore?
Non è che io sia da meno. Anche nella mia testa scorrono pensieri del tipo “Ma sei scemo? Ma che ti aspetti? E poi, una che accetta tout-court un invito da un perfetto sconosciuto…”. Mi pare di sentire i pensieri di mia mamma quando le raccontavo delle ragazze con cui andavo in vacanza conosciute solo sei mesi prima…
Mi butto in doccia, mi faccio la barba e scelgo con accuratezza cosa mettermi. Camicia bianca, pantalone sportivo, scarpa comoda e giacchetto scamosciato. È fine ottobre, a Roma le temperature sono piacevoli ma la sera inizia a rinfrescare. Apro il cassetto della biancheria e ...accidenti, sono senza mutande pulite, sono stese ad asciugare ma non sono ancora pronte. Vabbè, chi se ne importa, andrò senza, tanto chi vuoi che se ne accorga. E poi mi fa piacere stare senza, è una sensazione stimolante e gradevole, alla fine.
Una spruzzata di profumo e sono pronto. Scelgo di andare con la Citroen, è tempo che non la uso e farle fare qualche chilometro non le farà male. E viste le buche di Roma, tutto sommato fa anche bene alla mia schiena.
Mi metto in moto per essere lì per tempo, in modo da cercare parcheggio in zona, cosa non facile vista l’ora e date le dimensioni della macchina. Prendo la tangenziale ed esco sulla Prenestina, la traversa del ristorante è lì pochi metri dopo la rampa. Sono quasi le nove e mezza e trovo posto proprio davanti al ristorante: diavolo, è giornata di chiusura! Non avevo controllato. Un attimo di panico. Che figura di merda!
Cerco su Google un alternativa, leggo i commenti su Tripadvisor ma non c’è nulla che mi attiri o che mi sembri adeguato alla circostanza. Non sono di zona e non ho idea di dove andare, potrei buttarmi su San Lorenzo che è lì vicino, o al Pineto, sempre a pochi passi, ma non conosco ristoranti carini e non impegnativi. Decido di contattare Francesca ed avvisarla dell’imprevisto per evitarle un giro a vuoto. Cavolo, non risponde. Le scrivo su Whatsapp e l’avviso del problema. Il messaggio parte ma non arriva a destinazione, rimane solo la spunta semplice. Aspetto, passano i minuti, sono quasi le 10 e ancora non risponde. Non posso fare nulla. Attendo che arrivi fermo davanti al locale. Uno squillo: “Sono Francesca, sono qui sulla Prenestina ma non trovo la strada per svoltare, la via del ristorante è a senso unico. È la seconda volta che faccio il giro…”
“Aspetta, il ristorante è chiuso per turno, non lo sapevo. Hai qualche indicazione? Senza doverci allontanare troppo”, le dico.
“Si, di locali ce ne sono tantissimi in zona. Dove sei?” mi chiede. “Sono proprio davanti al ristorante. Se mi dici dove sei e che macchina hai, ti raggiungo. Io sto su una vecchia DS, ti ricordi il “ferro da stiro”? “ le rispondo. “Si certo, io sono su una Clio grigia. Sono ferma poco prima della rampa delle tangenziale in direzione San Lorenzo”. “Ok, ti raggiungo, non attaccare”. Metto in moto la macchina e mi immetto sulla Prenestina. Vedo la sua macchina ferma con le quattro frecce e mi accosto dietro di lei. Scendo e …mi prende il panico. E ora che le dico? Improvviserò. Mi avvicino al suo finestrino e busso leggermente.
“Ciao!” mentre lei abbassa il finestrino e apre lo sportello. “Suppongo tu sia Francesca, giusto?” le dico. “E tu sei Paolo, immagino..”.
Francesca è una bella signora, non dimostra la sua età o meglio, è in quell’età di mezzo che per certe donne rappresenta il picco di femminilità, con quella bellezza senza età che si mantiene invariata per anni. È vestita informalmente, pantaloni neri aderenti ed una canottierina in seta dello stesso colore, una giacchina scura avvitata, un po’ black lady. Direi troppo informale per essere un outfit studiato. Direi una taglia 40 o 42 su un corpo da 1.60 per 50 chili, più o meno. Capelli castano scuri con riflessi ramati. Unghie abbastanza curate ma di certo non fresche di manicure. Occhi vivaci, vispi ma nel contempo profondi, intensi. Una bellezza mediterranea che forse non colpisce nell’immediato ma che non passa inosservata ad un’indagine più attenta. È… bella. Il mio cuore inizia a battere veloce, non lo controllo e non so perché. O meglio, credo di saperlo ma mento a me stesso: la chimica ha già colpito. I suoi feromoni sono perfettamente riconosciuti dai miei recettori che hanno scatenato scariche di adrenalina e attivato il rilascio di dosi massicce di dopamina. E inizio a sentir caldo dentro.
Ci stringiamo la mano e stiamo lì inebetiti o quasi. Rompo il ghiaccio e le dico “perché non lasci la tua macchina qui e andiamo con la mia?”. Ci pensa un attimo e risponde “Va bene, ma devo parcheggiare. Seguimi, cerco posto.” e accende il motore. Partiamo e giriamo un po’ alla ricerca del posto, missione complessa ma alla fine un colpo di fortuna, una vettura sta uscendo proprio davanti a lei. Parcheggia, chiude la portiera e sale in macchina. Si guarda intorno ammirata e mi dice “Bella, ne avevo anch’io una, è una Pallas, vero?”. Accidenti, preparata ed esperta. La conversazione corre leggera e banale, si sente un po’ di imbarazzo reciproco in aria. “Dove andiamo? Innanzitutto, hai fame o preferisci bere qualcosa?” le chiedo. “Non so, be. Io non avrei molta fame, non so tu. A me va benissimo bere qualcosa. Conosco un posticino qui vicino a San Lorenzo, solo che è un po’ difficile parcheggiare. Altrimenti, proviamo verso il Pineto ma pure lì è complicato” mi risponde.
Seguo le sue indicazioni ed alla fine troviamo un posto – altro colpo di fortuna – poco distante dal locale. Mi affianco a lei e mi faccio guidare per il dedalo di viuzze strette e già invase dalla movida serale. Entriamo nel locale e le faccio scegliere il tavolo: prende un tavolino riservato, all’angolo, in penombra. Ordiniamo, lei un caffè ed io una birretta. Chiedo di portarmi qualche patatina e salatino per non bere a stomaco vuoto. Si alza e mi dice che deve andare alla toilette: ne approfitto per dare una sbirciata al posteriore, ha un culo bello rotondo e assolutamente proporzionato, evidenziato dai pantaloni attillati che peraltro non mostrano alcun segno di biancheria sotto. Interessante...
Giocherello con il piattino delle patatine e attendo il suo ritorno per iniziare a bere. Passano due, tre, poi quattro minuti ed inizio a preoccuparmi. “Scusa, c’era molta fila per il bagno delle signore e non ho fatto in tempo ad andarci prima di uscire” si giustifica. Bah… non mi pare che il locale sia pieno, chissà.
Riprendiamo la conversazione, parliamo dei nostri rispettivi lavori e figli, iniziamo a cercare interessi comuni ed inevitabilmente, il discorso va a finire sulle nostre rispettive situazioni familiari.
Le narro a brevi linee la mia strana storia. “Mi sono sposato con Francesca (il caso!) che avevo trent’anni. È rimasta incinta subito di Sophia e poi di Luca a distanza di tre anni uno dall’altro. Voleva lavorare ma due gravidanze complicate glielo hanno impedito; poi, ha deciso che era meglio continuare gli studi interrotti, si è laureata in medicina e poi la specializzazione in chirurgia estetica, il lavoro un po’ a tempo perso in cliniche di lusso fino alla esplosione della sua carriera con una tecnica di modellazione delle masse grasse guidata tramite sistemi un sistema cartografico tridimensionale che indica istante per istante dove andare a togliere e quanto togliere, a cui ho dedicato anch’io un po’ di tempo per diletto. Poi la mia carriera, che ha preso a volare a cavallo dei 50, le mie assenze da casa, la scoperta dell’amante di mia moglie diventata anche la mia amante… e così via. “. Non volevo approfondire troppo, ma mi trovo a raccontarle le sensazioni contrastanti provate il giorno della scoperta, i problemi con i figli che hanno capito cosa stava succedendo, la discrezione assoluta con la quale portavamo avanti la relazione a tre, e così via.
Poi il dolore dell’abbandono, il senso di tradimento da parte delle mie due donne, i problemi con i figli che sono da un lato vicini alla madre e dall’altro increduli della situazione venutasi a creare, insomma, una panoramica dei miei ultimi due anni e dei problemi vissuti. In mezzo, un sostanziale disprezzo verso il genere femminile ed un totale disinteresse verso il sesso, sostituito dalla lettura, la musica, gli amici rigorosamente maschi.
Tocca a lei. “Mi sono sposata molto giovane e ho avuto dopo un po’ il primo figlio. Ero bellissima, piacevo da morire e mi piaceva piacere. “. Non fatico a crederle. “Mio marito era un farfallone, ma finché non c’era Claudio, facevamo una bella vita di coppia, movimentata, ricca di divertimento e di piacevolezze. Poi, con la gravidanza, nonostante cercata da entrambi, si è un po’ allontanato. Mi aveva già cornificato prima, forse anche appena sposata, ma ho sempre pensato che alla fine avrebbe scelto me proprio perché ero imparagonabile rispetto alle sue sciampiste (proprio così, con il massimo disprezzo per la tipologia, non per la categoria di lavoratrici). Ero sicura di me, e qualche volta glie l’ho resa con gli interessi, facendo in modo che sapesse che sapevo e che venisse a conoscenza che lo avevo ripagato. Poi, dopo il parto, la prima separazione. Me ne vado con mio figlio, sono autonoma lavorativamente e soprattutto, sostenuta dalla mia famiglia di origine che mi ha sempre facilitato nella gestione di Claudio piccolo lasciandomi piena libertà. Non avevo ancora trent’anni ed ero tornata la bella ragazza prima del parto, senza un filo di grasso o di cellulite. E piacevo agli uomini, giovani e meno giovani. Lavoravo, guadagnavo bene e, soprattutto, facevo le cose che mi piacevano. Ho fatto anche la modella per un famoso pittore, sai?” e non fatico a crederlo. Una bellezza particolare, non la classica bonazza un po’ volgare che di solito assoceresti al ruolo di modella di un pittore.
“Poi c’è stata una riappacificazione, siamo tornati assieme ed abbiamo messo in cantiere un altro figlio, sperando che potesse risolvere i nostri problemi di coppia. Fortemente voluto più da lui che da me, è nato Serse dopo quasi 11 anni. E credi che sia servito a qualcosa? No, lui sempre assente, impegnato dietro alle sue zoccole, ed io a gestire i figli ed il lavoro, mentre nel frattempo iniziavo ad avere problemi con la salute di mio padre. Ed alla fine ho detto basta e ho deciso di lasciarlo, chiedendo la separazione. È stata dura, ma sono contenta di averlo fatto. Ho ripreso in mano la mia vita, continuando a sbagliare con gli uomini anch’io ma senza dover chiedere nulla a nessuno.” Anche lei è un fiume, sembra che l’empatia spontanea ci faciliti le chiacchere, ci aiuti ad aprirci ed a spogliarci delle nostre scorze esterne, degli scudi alzati a protezione dei nostri ego feriti. È quasi l’una, Francesca guarda l’orologio e mi dice che deve rientrare, la mattina successiva deve alzarsi presto per portare il piccolo a scuola prima di andare a lavorare. Chiudiamo qui, l’accompagno alla macchina e mentre guido, mi avvicino al suo viso con una scusa banale e le sfioro le labbra con le mie. Un po’ sorpresa, non si tira subito indietro. Mi accosto alla sua macchina e prima che scenda, la saluto. Ma il saluto diventa un bacio appassionato, lunghissimo, a cui non si sottrae. Il tempo è tiranno però, e non possiamo trattenerci troppo. Passano altri quindici brevissimi ed intensi minuti prima di lasciarci con la promessa di risentirci l’indomani.
Aspetto che parta e la scorto per un po’. Poi, una lampeggiata di fari per salutarla, imbocco di nuovo la tangenziale e torno a casa. Mi spoglio, rapida doccia perché ho sudato, l’eccitazione mi fa puzzare come un ragazzino brufoloso, non son più abituato a controllare gli ormoni. Vado a letto stanco e un po’ eccitato. Il suo odore mi rimane appiccicato addosso, la memoria del gusto ricorda ancora perfettamente il sapore dei suoi baci, le mani la sericità della sua pelle. Sono ancora eccitato e provo sensazioni che credevo di aver rimosso nell’ultimo periodo.
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Paolo e Francesca - Dieci anni dopo

Cap. 3 - La prima uscita​

Sono passati alcuni giorni da quando ho incontrato e conosciuto Francesca. Il ricordo dei suoi baci è ancora vivido, impresso a fuoco, embossè. Ci siamo sentiti più volte, ma ancora non ci siamo rincontrati. I suoi orari non si sposano con i miei. Tra i suoi problemi a casa ed i miei, il calendario è scorso velocemente. Ho voglia di rivederla.
“Riesci a prenderti una giornata libera domani?” le butto lì su Whatsapp.
Una spunta, due, celeste. “…dipende… per fare che?” dopo qualche secondo dalla spunta blu. Ci sta pensando.
“Ti volevo proporre una cosa diversa”
“Tipo rinchiuderci tutto il giorno in albergo?” Diretta, schietta, immediata.
“No. Volevo proporti una giornata in una SPA, sai, idromassaggio, sauna, bagno turco, massaggi…”
“Ti propongo io un’altra idea”.
“Ok, dimmi”
“No, è una sorpresa. Portati un costume, un asciugamano ed un paio di ciabatte. Anzi se vieni in tuta è pure meglio…” Prendiamo appuntamento per l’indomani mattina presto. Devo passarla a prendere vicino casa, è momentaneamente senza macchina perché è dal meccanico. “Va bene. Giusto per sapere: è molto lontano dove dobbiamo andare?” “No, vicino Roma, tranquillo”. Visto che sono i primi di ottobre, il tempo è ancora mite e le previsioni sono ottime, mi va di andare con la Midget. Lo spider fa la sua porca figura…
Mi aspetta alla fermata del bus, una sacca sportiva accanto a lei, vestita in maniera molto informale, twin set crema su jeans skinny, stivaletto con tacco nemmeno troppo alto color tabacco ed una borsa di Fendi. Anche la sacca è griffata Fendi… Un rapido saluto dall’auto scoperta, uno sguardo sorpreso e poi un sorriso di contentezza. L’ho un po’ stupita…
Bacio fugace e casto sulle guance… butto la sacca dietro i sedili, le apro lo sportello da dentro e la faccio accomodare. Non è facile entrare se non si conoscono i trucchi: prima una gamba diritta, poi l’altra…
Si parte. “In che direzione?” “Prendi la Roma Civitavecchia ed esci a Civitavecchia Nord.”
“Mi sa che ho capito…” “Ah si? E dove andiamo allora?” “Alla Ficoncella!”
La Ficoncella è un insieme di pozze d’acqua termale costruite a valle dei ruderi delle Terme Taurine fatte edificare dall’imperatore Traiano nel secondo secolo. L’acqua è molto calda, ricchissima di zolfo che dopo un po’ precipita formando delle pellicole e delle masserelle che sembrano sporco, ma in realtà è un toccasana per una serie di malattie, dalle dermatiti alle affezioni sessuali, un rimedio naturale ben conosciuto dai locali che l’affollano anche di inverno, visto che le vasche sono anche a 80 gradi. C’ero stato da ragazzo con gli amici, poi vista la vicinanza con Porto Traiano, dove avevo la barca, avevamo provato una volta ad andarci dopo cena ma la folla lo aveva reso impossibile. E comunque avevo un ricordo un po’ naif di queste pozze e delle pellicine galleggianti.
La conversazione in uno spider degli anni 60 senza capote è virtualmente impossibile se si viaggia a più di settanta all’ora. Decido quindi di non prendere l’autostrada e di passare per l’Aurelia, tanto a bassa velocità ci si mette poco di più. Arriviamo dopo un’ora abbondante alle terme, paghiamo il biglietto (che poi è per il parcheggio) e spengo la macchina. Le chiedo se conosce il posto bene e come funziona.
“Possiamo prendere uno spogliatoio, ma forse è un po’ tardi. Vediamo cosa c’è.” e si reca al bar per informarsi. “C’è solo uno spogliatoio funzionante, per cui dobbiamo attendere il turno”.
Ci mettiamo a chiacchierare in attesa che le persone davanti a noi si cambino e ci lascino il posto; ma pare che le operazioni vadano a rilento… bimbi urlanti, madri ululanti, nonne e zie pedanti e mariti sbuffanti… è passata già una mezz’ora. Finalmente tocca a noi.
“Senti, entriamo assieme, ti va? Così facciamo prima” Figuriamoci, tra palestra e barca sono abituato ad esporre le mie nudità senza problemi, per cui va benissimo.
Lo spogliatoio è poco più di una cabina doccia… in due ci si entra a mala pena e ci sono appena una panchetta e due sedie. Guardo di sottecchi Francesca che apre la sacca, toglie la roba ed inizia a spogliarsi. Sfila il twin set, poi i jeans rimanendo in intimo, reggiseno nero e perizoma abbinato, assolutamente non volgare. Io non porto intimo, mi piace stare freeballing quando posso, per cui mi giro di spalle per rispetto nei suoi confronti, anche per concederle il modo di infilarsi il costume. Indosso il mio Speedo (demodè, ma va bene così) e mi giro. “Sono pronto” “Anch’io…”. È rimasta in intimo nero. Se non lo sapessi, direi che è un normale costume in microfibra. Si panneggia con un telo, infila le giapponesine ed apre la porta. La imito e la seguo.
Arriviamo alle vasche, quelle praticabili sono due o tre, più si scende a valle meno l’acqua è calda e ci si può immergere un po’ di più. Ovviamente, sono molto affollate. Ma per magia dopo una mezz’ora si svuotano e noi possiamo prendere possesso di quella un po’ più ampia assieme ad altre coppie. Passa il tempo, si chiacchera del più o del meno anche con le altre persone e faccio sfoggio della mia erudizione spiegando ad un grossetano con la sua signora le origini nobili del suo paese e la sua discendenza dagli Etruschi da me tanto amati. Francesca si fa stretta, mi abbraccia da dietro e si struscia un po’ su di me; appoggia le sue labbra all’orecchio e sussurra un “Andiamo” … In effetti è un bel po’ che siamo in acqua…
Rientriamo nello spogliatoio, mi sfilo il costume, apro la doccia per togliere un po’ di zolfo dalla pelle certo di essere spiato… Mi giro verso di lei nudo e un po’ “fluffy”. Sono tutto depilato e faccio una bella figura pur non essendo un superdotato. Anche lei si è sfilata l’intimo ed è nuda, totalmente depilata meno una piccola striscia sul pube, una “landing strip” ben curata. Reagisco con un ulteriore pulsione al basso ventre, ma mi rinfilo subito i pantaloni della tuta e la polo. Francesca entra sotto la doccia ed inizia a sciacquarsi dandomi le spalle. Ha un bel culo, sodo ed eretto. Da dietro sembra ancora una trentenne, senza un filo di cellulite o di grasso superfluo. “Mi passi il telo per favore?” mi chiede. Lo apro e anziché porgerglielo, la avvolgo con delicatezza chiudendolo sul davanti ma senza toccarle la pelle. Un rapido strofinio per asciugarle la schiena e le spalle e mi distacco da lei. “Ti aspetto di fuori” le dico, per evitare di saltarle addosso nello spogliatoio.
Non devo attendere molto. Dieci minuti, ed è fuori. Radiosa, si è cambiata. Non indossa più i pantaloni, ma una gonna plissè longuette con lo stesso twin set ed un paio di ballerine. Al collo, un giro di perle e due orecchini sempre con perle ai lobi. Un foulard buttato sulle spalle. È stupenda, semplice, un filo di trucco leggero e rossetto appena pronunciato. Porta i capelli sciolti, ancora umidi, ma sembra appena uscita dal parrucchiere. Le capacità miracolose di alcune donne di sapere sempre prima come vestirsi e cosa portarsi in ogni occasione mi stupisce!
Sono quasi le tre del pomeriggio, i ristoranti sono chiusi e forse possiamo trovare solo un po’ di pizza da Mastro Titta. Montiamo in macchina, la capote sempre abbassata, e via verso il mare. Francesca è languidamente distesa, per quanto le è permesso dallo schienale del sedile quasi verticale, visibilmente eccitata. I capezzoli spingono il leggero tessuto del twin-set, deduco che non si è rimessa il reggiseno bagnato. Non ha il seno di una ragazza, ma ci sono ragazze che pagherebbero per ricorrere al chirurgo per avere un seno come il suo. E visto che ha avuto due gravidanze e relativi allattamenti, direi che la natura l’ha aiutata molto, anzi…
Mangiamo un po’, dividiamo una birra piccola e risaliamo in macchina, direzione Roma.
 

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Paolo e Francesca - 10 anni dopo​

di Paolo Sfroza Cesarani

Ecco il quarto capitolo della storia, in cui Paolo e Francesca cercano di approfondire la loro conoscenza.


Cap. 4 - Un’occasione mancata​

Controllo nel cassettino della macchina, ci dovrebbero essere le chiavi del portello della barca che ho in società con gli amici, ormeggiata al Porto di Traiano; ci sono, abbiamo un posto dove stare un po’, se vuole.
Arrivo alla Marina e giro per il porto, dopo averle chiesto se le andava di accompagnarmi perché, visto che c’ero, volevo vedere se avevano completato i lavori di manutenzione.

“Perché, hai una barca?” mi chiede sorpresa.
“Beh, diciamo di si, in realtà è in società con alcuni amici e ce la dividiamo d’estate o facciamo qualche piccola crociera assieme” le rispondo.
“Ma non ti credere, è solo una barca a vela da quindici metri, grossa ma non enorme. Ci si entra in sette/otto, una sorta di grosso camper marino” preciso.

Acconsente senza problemi. Mi faccio riconoscere dalla guardia al passo carraio, scendo per parlare e attendo di poter entrare con la macchina. È ottobre, giorno feriale, c’è tutto il posto possibile anche all’interno del porto e parcheggio proprio di fronte alla barca, uno Swan 45 di sette anni fa, una bella barca veloce, quasi da regata, ma molto comoda e rifinita negli interni. La prendemmo da un fallimento pagandola cash un terzo del valore di mercato: un vero affare. Il problema sono i costi fissi, il porto, le tasse, la manutenzione… e da solo non ce l’avrei mai fatta, ma in quattro soci è gestibile.

“Vieni?” le dico scendendo dalla macchina. “Aspetta che metto la passerella, apro e ti faccio salire a bordo”.

Avvicino la barca al molo, serro un po’ gli ormeggi a poppa, salto a bordo e abbasso per prima cosa la passerella, dopodiché apro il portello del tambucio, scendo sottocoperta e apro il boccaporto di prua per arieggiare un po’. Risalgo a poppa e la vado a prendere.

“Ce la fai o vuoi una mano?” le chiedo.
La vedo un po’ impacciata, forse non è mai salita su una barca a vela e percorrere una passerella stretta trenta centimetri non è proprio agevole.
“Togliti le scarpe per favore prima di salire a bordo” le chiedo con gentilezza.
Si avvinghia con una mano al paterazzo mentre con l’altra si sfila elegantemente le ballerine, mostrando un filo di coscia.
Le vado incontro e la sorreggo per farle scendere il gradino che porta al pozzetto, poi decido di prenderla per la vita, sollevarla e poi adagiarla nel pozzetto stesso.
Nel prenderla la serro all’altezza delle chiappe, e la gonna leggera le sale scoprendole completamente le gambe.
La poggio delicatamente e le dico, sorridendo “Benvenuta a bordo!”.

La guido per la scaletta che porta in cabina, le mostro un po’ l’ambiente e, mentre le spiego un po’, apro i gavoni e gli stipetti per vedere se ci fosse qualcosa per bere o fare un caffè. Trovo una busta di capsule Nespresso, accendo la macchinetta e inizio a preparare.

Francesca si è fermata nella cabina di prua ad osservare qualche foto appesa alla parete accanto alla toilette.
“Posso andare un momento in bagno oppure???” immaginando che in porto non si possa andare in bagno.
Accendo le pompe dell’acqua e del WC chimico, sperando che ci sia acqua a sufficienza per lo sciacquone e per lavarsi.
Controllo al volo l’indicatore e verifico il tutto. Ok, ci sono 400 litri d’acqua, ci possiamo fare cinque docce…

Preparo il vassoietto con le due tazzine, le metto accanto zucchero e dolcificante: non so come lo prenda…

Sento la pompa che si attiva, ha tirato l’acqua e aperto il lavabo.
Mi aspetto a momenti di vederla uscire. Scatta il chiavistello e si apre la porta.
Dio che bella che è… una lama di luce che filtra dal boccaporto di prua rimbalza sul pavimento tirato a lucido e si riflette tra i suoi capelli e evidenzia in trasparenza le sue gambe.
È uno spettacolo. Inizio a sentire un certo movimento in mezzo alle gambe e mi rendo conto solo ora che diventa evidente visto che non porto biancheria e che i pantaloni della tuta sono abbastanza fascianti.

Le porgo il caffè e la invito a mettersi comoda alla dinette.
Per entrare dietro al tavolino, deve scorrere il divanetto e facendo questo movimento solleva la gonna scoprendo di nuovo le gambe fino quasi al fianco.

Un'altra morsa mi stringe l’inguine che inizia a crescere evidente in volume. Fortuna che sono in penombra e non può vedere bene… almeno spero.

Mi chiede di mettermi vicino a lei, battendo la mano sul divanetto della dinette.

“Mi è piaciuto molto stare con te. Anzi, mi piace molto. Mi piaci molto” mi dice con voce roca.
“Anche a me. Mi piaci molto, Francesca, sei una donna molto bella oltre che intelligente. Sei veramente una piacevolissima conoscenza, anche se io vorrei di più…”

Mi avvicino alle sue labbra ed inizio a baciarle delicatamente, stringendole tra le mie. Poi le passo un dito sulla bocca, lo appoggio in mezzo alle labbra e lei lo prende in bocca, succhiandolo con voluttà.

La porto a me ed inizio a baciarla con passione, sfiorandole il corpo con la mano, prima soffermandomi sul lato del seno e poi scendendo verso la coscia.
Ma è solo un attimo. La prendo per mano e la conduco in cabina a prua. Sono molto eccitato, il mio pene vuole bucare i pantaloni della tuta, sembra una tenda canadese.

“Ti va di far l’amore?” le chiedo, mentre la accarezzo i glutei attraverso la gonna ed infilo la mano sotto al pull sulla schiena, accarezzandola mentre continuiamo a baciarci con la passione di due adolescenti.

C’è nessuno a bordo? Dottò, so’ er meccanico. Ero ito a pijà i pezzi pe’r motore”…. Stramaledetto lui, il motore e chi ce lo ha chiamato.

“Ah, va bene… che le devo dire? Faccia quel che deve fare” mentre cerco disperatamente di far sgonfiare l’attrezzo e Francesca si rassetta il pull e si alliscia la gonna. Le basta un attimo ed è già perfetta.

La faccio salire davanti a me per la scaletta e approfitto per sollevarle un po’ la gonna da dietro… Cazzo… non porta gli slip! … Niente, non è giornata. Non me ne va bene una che fosse una.

Oramai è tardi, dobbiamo iniziare a rientrare a Roma. Rimontiamo in macchina e ripartiamo.

Approfitto dopo un po’ di chilometri per metterle una mano in grembo ed accarezzarle il pube.
Francesca mi facilita un po’ le cose allargando le cosce ed io ne approfitto per sollevarle la veste e sfiorarla dal vivo.
Sotto è tutta liscia, e si capisce che è visibilmente eccitata dall’umido tra le sue pliche.
Provo ad infilare un dito ma lei con fare deciso mi allontana la mano. “Pensa a guidare!” mi dice…

Ci riprovo dopo Cerveteri, stesso approccio, stesso obiettivo e, ahimè, stesso finale.
Niente da fare, non è cosa. Volevo fare l’amore, volevo stare con lei ma non è stato possibile.

“Ti riaccompagno, dove devo lasciarti?” le chiedo quando siamo sul Raccordo all’altezza della Roma-L’Aquila.
“Verso la Tuscolana, se non ti dispiace” mi risponde.
“Ma come, non stai al Quarticciolo?” le domando con aria indagatrice.
“Devo andare a casa da una persona che abita lì a Cinecittà, devo vederla per mia madre. È un medico”
“Ah, scusa, non sapevo. Ma come fai per tornare? Vuoi che ti aspetto?”.
“No no, non ti preoccupare, con il 451 sono a casa in 20 minuti.”
“Dai, non ti preoccupare. Ti aspetto e ti riporto a casa io”.
“Ti ho detto di no, non mi serve, grazie.” un po’ seccamente.
Da quel momento non le ho più parlato per almeno dieci minuti, fino a che non ho imboccato la Tuscolana dal Raccordo.

“Scusami Paolo, ma è una situazione un po’ complicata e non mi va di parlarne. Ti prego, non insistere.”
“Hai un altro, vero?” le chiedo, già immaginando la risposta.
“No, si, non in quel senso. Insomma, No.” Ecco, un po’ meno sicura.
Combattuta tra il dire ed il non dire, tra affermare e negare. L’eterna alternanza tra bene e male, tra buono e cattivo.

“Non andare, resta con me stasera” le dico.
“Non posso. Scusa.”
Siamo arrivati, scende dall’auto, prende la borsa e la sacca. Ecco perché aveva già i cambi pronti.

Ero rimasto in macchina, molto seccato della situazione, già pensando con fastidio alle cazzate che mi aveva propinato.
Si avvicina alla mia parte, si china e mentre mi prende con delicatezza la nuca mi avvicina alla sua bocca e mi bacia con molta dolcezza.
Un bacio profondo ed appassionato, che mi ha fatto sentire la scossa fin alla cima dei capelli.

“Ci sentiamo domani” mi dice con voce mielata mentre mi guarda negli occhi.
“Buona notte e grazie di tutto” aggiunge.
“Ciao” è stata la mia risposta, più simile ad una “Si, buonanotte a ‘sto cazzo…’sta stronza”.

Ingrano la prima e me ne vado senza guardare né dove fosse né dove andasse.
Mentre tornavo a casa mi davo del cretino per essermi esposto così, per esserci cascato, lamentando la mia cattiva sorte che continuava a perseguitarmi.

Prendo il telefono e provo a chiamarla: “l’utente da lei selezionato non è al momento raggiungibile: si prega di richiamare più tardi” è la risposta impietosa.

Va bene. È il momento di metterci una pietra sopra.
Chiamo allora un’amica della mia ex, che sapevo aveva litigato con lei ai tempi del divorzio e che mi aveva sempre offerto supporto morale e materiale: ovvero, un pasto completo ed una bella scopata.
“Giovanna, sono Paolo, che fai stasera? Ah, sei impegnata? Ah, ok… Domani? Beh, perché no… anche domani, si… nel pomeriggio dici? Va bene. Ti chiamo io dopo pranzo domani…”.
Fatto. L’indomani sarei andato a trovare Giovanna nel pomeriggio, sapendo già come sarebbe andata a finire.
Passo la sera col telefono in mano, in attesa di ricevere un messaggio, una chiamata, un SMS… niente. Muto.
Avrei voglia di sbatterlo al muro dalla rabbia.
Vado a letto, sperando che la notte porti consiglio.

Seguirà Cap. 5, se vorrete.
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Bellissimo racconto scrivi molto bene veramente piacevole
Grazie, molto cortese.
 

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Paolo e Francesca - Dieci anni dopo
di Paolo Sforza Cesarani

A voi il quinto capitolo, in cui Paolo e Francesca approfondiscono la loro conoscenza e gettano le basi per un incontro intimo.

Cap. 5 - Chi la fa l’aspetti​

Vado presto in ufficio. C’è poco da fare, il mio gruppo romano è ad una presentazione, il team di Milano è dietro due progetti in dirittura d’arrivo, con un mese di anticipo sulle scadenze. Qualche chiamata a Londra, Parigi, Madrid e Bucarest per fare il punto della situazione con i miei collaboratori ma non ci sono criticità.

Decido di uscire subito dopo pranzo e di passare prima da Giovanna.
La chiamo al telefono per sapere se stava a casa e mi risponde che no, non era ancora a casa e che non sarebbe rientrata prima delle 18.
Avevo fatto bene a contattarla visto che l’impegno che aveva preso in precedenza si stava protraendo più a lungo e anzi, se la raggiungevo era meglio.

Giovanna faceva la rappresentante di articoli di moda e vendeva ai buyer arabi, indiani e cinesi. Quel giorno era impegnata con una sfilata presso un noto albergo di Roma, accanto a casa mia ai Parioli. Decido di raggiungerla lì e poi di portarla a casa mia.

Mentre mi sposto in auto, mi squilla il telefono. È Francesca. Non rispondo, faccio cadere la chiamata. Non ho voglia di sentire le sue stupide scuse.
Proseguo per la mia strada, arrivo all’albergo e parcheggio. Mentre chiudo lo sportello risuona il telefono.
È ancora Francesca. Continuo a non rispondere, lasciando cadere la chiamata da sola.

Entro nella hall e mi dirigo verso le sale dell’evento di Giovanna. Faccio per prendere in mano il cellulare per chiamarla ed avvisarla ma il telefono risquilla: ancora lei, Francesca. Questa volta rifiuto la chiamata al secondo squillo. Vediamo se capisce. Metto il telefono in silenzioso, raggiungo Giovanna che nel frattempo mi è venuta incontro ed entro nella sala destinata a backstage delle modelle.

Giovanna mi fa fare il giro, mi presenta a destra e a sinistra, l’Ambasciatore Caio e sua moglie, il Prof. Tizio con la sua signora, il senatore Sempronio con la moglie (tutte ragazzette di non più di 27-28 anni… alla faccia delle mogli…). Dopo mezz’ora non ci capisco più nulla ma per fortuna inizia la sfilata e posso stare un momento tranquillo.

Prendo il telefono per fare un paio di foto da inviare agli amici: 29 diconsi 29 chiamate perse! E che è successo?

Una di Sophie, una di Luca, i miei figli, una del mio collaboratore di Madrid ed una della mia segretaria. E 25 di Francesca, una ogni cinque minuti circa.
Chiamo con calma i figli, la segretaria che voleva avvisarmi che Carlos mi stava cercando da Madrid ed infine Carlos che mi cercava per dirmi che l’indomani sarebbe stato in ferie…

Smarcate le telefonate, decido di affrontare il problema e di prendere il toro per le corna.
Chiamo Francesca: “Ho visto che mi hai cercato. Hai dimenticato qualcosa in macchina?” le dico.
“SEI UNO STRONZO. COME TI PERMETTI DI ATTACCARMI IL TELEFONO? DOVE SEI? DOVE SEI STATO?” mi si rivolge con timbro acuto e perentorio.
“Non capisco. Che sta succedendo?” le rispondo con tranquillità.
“Succede che è tutto il giorno che provo a chiamare e tu non rispondi o mi attacchi il telefono. NON LO DEVI FARE PIU’” mi ribadisce.

“Beh, mi spiace. Non credevo ti interessasse molto di quel che faccio… “ butto lì con molta acidità.
Mi sto prendendo una rivincita. “E poi, scusa, forse che stiamo insieme? Che ti importa di quel che faccio o con chi sto?” le dico.
“Mi interessa eccome. Ecco. Guai a te se me lo rifai!” ribatte.
Giuro, non la capisco.
“Mi dispiace per ieri sera, so di aver sbagliato, ma le cose non stanno come tu credi. Sono stata meravigliosamente bene ieri con te. È stato tutto perfetto, ma alla fine sapevo che la serata sarebbe stata uno schifo. Se ci vediamo stasera ti racconto tutto.” mi dice con fare accomodante.

“Stasera non posso, ho già preso un impegno con un’amica, semmai domani” le rispondo un po’ seccamente.
“Come un impegno con un’amica? Chi sarebbe? Dove sei? Ti raggiungo!” con voce gelosa, tono quasi imperioso, ma con un sottofondo implorante.
Le spiego che sto vicino casa, in un albergo a vedere una sfilata che termina a breve e che sono ospite di quest’amica che la organizza.
“Posso venire anch’io? Mi piacerebbe tanto” …parla da gattina…
Le dò appuntamento da lì ad un paio d’ore e le dico di prendere un tassì che poi la riporterò io a casa.
“Va bene. Allora a più tardi.” E chiude.

Avviso Giovanna del fatto che forse avremmo dovuto cambiare il programma e che ci avrebbe raggiunto da lì a breve un’amica.
“Come un’amica? E chi sarebbe costei?”
“Nulla, un’amica a cui tengo parecchio…” le rispondo.
“In che senso tieni? È la tua amante? Te la sei già scopata? Oppure non te l’ha data e allora mi hai cercato?”. Le donne, quando ci si mettono, sanno essere delle vere bastarde.
“Nel senso che è un’amica che ho conosciuto da poco e che mi interessa parecchio e, no, non me l’ha ancora data e, no, non ti ho cercato perché non me l’ha ancora data!” rispondo debolmente, senza troppa convinzione.
“E da dove viene questa tua amica?” rimarcando con il gesto delle virgolette la parola “amica” e assegnandole un senso denigratorio. Al ché le racconto come è iniziata la storia, di dove fosse, la scampagnata alla Ficoncella, ma omettendo il fatto di essere stato scaricato per un altro.
“Figurati, dal Quarticciolo… sai che bòra?” con quel tono snob da pariolina con la puzza sotto al naso.
“No, in realtà è una piacevolissima signora, molto in gamba, molto bella e molto piacevole. La conoscerai.”
“Vedremo” risponde con tono poco accomodante.

Inizia la sfilata, le modelle indossano capi leggeri, pieni di veli e trasparenze, con spacchi e scollature che poche possono permettersi. Pur non avendo particolare interesse per la moda, non resto insensibile alla bellezza ed in particolare, adoro il vedo/non vedo che trovo particolarmente intrigante.
Dopo una mezz’ora c’è un intervallo durante il quale la gente esce per fumare e per bere qualcosa tra quanto è predisposto sui tavoli fuori della sala. Mi appropinquo anch’io per prendere un bicchiere di prosecco salutando tra i tanti tutti coloro che mi conoscono e di cui io non ricordo minimamente il nome.
Passano un paio di minuti e sento un colpetto sulla spalla, mi giro ed è lei, Francesca, trafelata e sorridente. “Scusa, non trovavo un taxi e mi ha accompagnato mio figlio in moto. Devo andare in bagno a pettinarmi e a rimettermi un po’ a posto. Mi fai strada?” mi chiede?

Sono rimasto basito. Non era la Francesca che avevo visto fino ad oggi. Era una “sophisticated lady”, elegantissima in una tuta pantalone color sabbia, ampia e svolazzante, con profondo scollo che le arrivava in vita, fermato da una cintura gioiello, in un tessuto leggermente trasparente ma non tanto da essere volgare. Ai piedi, un paio di sandali con tacco altissimo, ad evidenziare piedi curatissimi. Uno scialle in tinta buttato sulle spalle a coprire lo scollo all’americana ed una pochette tenuta in mano con molta nonchalance. Mi avvicino per darle un bacio sulla guancia ma lei mi precede sfiorando le mie labbra con le sue. Nell’abbracciarla porto la mano sulla schiena ed apprezzo il fatto che essa è scoperta, assaggiando la sericità della sua pelle nuda.

“Hai fatto presto!” le dico un po’ impacciato e sorpreso.

“Perché, ti ho disturbato? Forse hai di meglio da fare?” mi dice, con tono gentile ma insinuante.

“Ma no, no, nulla da fare. È che ti aspettavo più tardi. Hai fatto una volata” le rispondo.

“Giusto il tempo di mettermi qualcosa addosso mentre chiamavo il tassì” ribatte. “Ma non l’ho trovato così ho chiesto a mio figlio Claudio di accompagnarmi. Lui ha preso la moto ed in quarto d’ora eccomi qui. Solo che ho bisogno di pettinarmi un po’ perché il casco mi ha schiacciato i capelli.”

Immagino la scena, con la sua sciarpa svolazzante ed i sandali a tacco alto sulla moto del figlio che svicola in mezzo al traffico caotico mentre lei gli urla nelle orecchie di andare piano e di stare attento. E nel contempo, immagino con una punta di gelosia gli sguardi allupati che si posano sulla sua schiena nuda e sulle cosce in mostra dagli spacchi laterali dei pantaloni ampi che noto solo ora mentre la guido verso le toilette.

“Fammi compagnia, non lasciarmi da sola” mi chiede.
“Ma veramente è la toilette delle signore” le dico.
“Ma mi devo solo truccare un momento. Anzi no, approfitto, devo andare un attimo in bagno. Tienimi la borsa, faccio in un momento, devo solo fare pipì” aggiunge con molta naturalezza e con un tono intimo e coinvolgente.
“Però devi aiutarmi, devi slacciare la tuta dal collo.” mi chiede.

Imbarazzato per la situazione, le scosto i capelli e slaccio il gancetto che chiude il cinturino attorno al collo e che trattiene il corpetto della tuta. Senza ritegno, questo cade giù mettendo in mostra il suo seno nudo. E mentre entra nel cubicolo del WC, si abbassa anche i pantaloni evidenziando l’assenza di qualsiasi altro indumento. “Wow!” me ne esco a mezza bocca, sorpreso e ammirato.

“Non avevo slip del colore giusto, solo bianchi o neri e non mi andava si vedessero in trasparenza, e ho deciso che era meglio non mettere nulla. Perché, sto male? Si vede qualcosa?” mi chiede mentre si siede sulla tazza senza nemmeno aver accostato la porta.
“Beh, adesso si vede tutto, non che non ne sia felice, sia chiaro!” butto lì a mo’ di complimento.
“E comunque no, non si vede nulla e stai benissimo. Complimenti”.

Sento rumori fuori della porta di ingresso e accosto la porta del cubicolo mettendomi all’angolo per far capire che sono in attesa. In quel momento entra Giovanna che mi stava cercando.
“Mi hanno detto che eri qui in compagnia di una bella signora” insinua. “Problemi?”
“No, nessun problema. Ho accompagnato Francesca alla toilette, aveva bisogno di aiuto. Anzi, visto che ci sei tu, io esco, aiutala tu per cortesia” le dico, e continuo “Francesca, qui fuori c’è Giovanna e ti aiuta lei a richiudere la tuta, se serve. Io sto qui fuori dal bagno, nell’androne.” ed esco senza attendere risposta.

Devo raccogliere le idee. Francesca è arrivata come un tornado ed ha spazzato via in un amen tutte le mie certezze ed il mio risentimento verso di lei.
Non solo, mi ha lasciato letteralmente senza parole per il suo look ed la sua apparente familiarità nei miei confronti.
Cosa vuole da me? Credevo avesse un altro e che non volesse ulteriori pensieri.
Pensavo che avesse fatto una scelta pentendosi di avermi frequentato un po’.
Però, il fatto che mi avesse cercato con tanta insistenza e la scenata di gelosia per telefono mi avevano fatto riflettere a lungo.
Alla fine, le domande erano: che cosa mi aspettavo da Francesca? E soprattutto, cosa provavo per lei?

Alla prima non avevo coraggio di rispondere. Alla seconda, replicava violentemente il mio corpo, vittima dei feromoni emanati da questa creatura pazzesca.
Evidentemente il mio corpo voleva ardentemente questa persona e lo starle vicino mi induceva un’eccitazione tremenda, sentivo il cuore battere forte, il sangue scorrere nelle vene assieme a violente scariche di adrenalina, il tutto accompagnato da una pulsione al basso ventre che prometteva erezioni potenti, se non mi calmavo.

Mentre pensavo a tutto questo, dalla porta escono Francesca e Giovanna, apparentemente in piacevole conversazione.

“Mi avevi parlato di Francesca, ma non mi avevi detto di quanto fosse bella e così naturalmente elegante!” mi dice Giovanna mentre prende sottobraccio la mia amica.
“Anche tu, Giovanna, sei una bellissima donna. E ti dirò, sono molto invidiosa del fatto che si vede che tra voi c’è molta intimità” replica Francesca ammiccando con l’occhio.
“Eh, Paolo è stata un’occasione persa, ahimè. L’ho conosciuto troppo tardi, altrimenti non si sarebbe sposato la sua ex” butta lì, ricordandomi quando c’eravamo conosciuti appena dopo essermi fidanzato con la mia ex moglie Francesca, sua intima amica. Rammento le battute e le scenate di gelosia da parte di Francesca perché mi ero permesso di fare il galante con Giovanna in sua presenza, e che ci fu un raffreddamento della frequentazione proprio a causa di questo piccolo battibecco.

“Beh, ora è libero, no? Intendo, è diventato terreno di caccia libera” butta lì, intendendo evidentemente segnalare che non voleva facilitare in alcun modo la concorrenza.

Ahi! In un attimo ho visto due donne misurarsi, tirare fuori gli artigli entrambe e l’una soccombere immediatamente alla nuova alfa. A sottolineare ciò, Francesca mi prende sottobraccio e si stringe a me segnalando che io ero di sua proprietà. Punto.

Cerco di smorzare la tensione prendendo con l’altro braccio Giovanna e conducendole entrambe verso la sala. “Andiamo, lo spettacolo sta per ricominciare e dobbiamo entrare” dico ad entrambe cercando di assumere il controllo momentaneo della situazione.

Entriamo nel locale della sfilata, Francesca ed io prendiamo posto in seconda fila nei posti a noi riservati e assistiamo allo spettacolo che per me, onestamente, aveva perso qualsiasi interesse preso com’ero a pensare a quanto stava accadendo.

Al termine della manifestazione ci ritroviamo nel fumoir mentre attendo che si unisca a noi Giovanna.
Solo due minuti e compare con un comune amico e ci dice: “Allora, abbiamo una prenotazione qui vicino. Dobbiamo chiamare per far aggiungere un posto per Francesca, sperando che abbia ancora disponibilità”.

“Alla peggio ci stringiamo un po’, dai, oppure cerchiamo un altro posto. No?” affermo speranzoso di stemperare un evidente attacco di gelosia.

“Vedremo. Certo che potevi avvisare prima, no?” mi rinfaccia con tono secco mentre scocca un’occhiata assassina a Francesca la quale risponde con altrettanta secchezza “Beh, se ci fosse un problema, possiamo sempre andare da un’altra parte noi due, no?” e mi guarda con occhio intrigante e foriero di promesse.

“Dai, non credo sia un problema. Dammi il numero che chiamo io” dico accomodante cercando di riprendere in mano la situazione che stava per uscire di controllo.

“Cercalo tu, io ora ho da fare” risponde sorridente ma abbastanza fredda. Si vede che nel frattempo ha maturato un risentimento verso di noi.
“Va bene, ora lo faccio. Fra, accompagnami fuori che c’è meno casino” mi rivolgo a Francesca prendendola sotto braccio e accompagnandola verso l’uscita.

“Sai che c’è? Fanculo il ristorante, Giovanna e tutti gli altri. Andiamo da me, ti preparo una cenetta coi fiocchi, se ti va. Devo solo passare un attimo al supermercato per prendere qualcosa di fresco." le dico mentre la guido fuori.
"Cosa preferisci, carne o pesce?” le chiedo.
“Ma dai, quel che vuoi. Mi va benissimo un’insalata!” mi risponde, accettando l’invito.
“Vada per l’insalata, allora!” le rispondo.

Arriviamo a piedi al supermercato, sono solo quattro passi. Prendo due buste d’insalata, una busta di uvetta, una scatola di ananas e delle noci sgusciate, poi mi fermo al bancone della carne e chiedo al macellaio di prepararmi mezzo chilo di corona di fassona macinato almeno tre volte. Metto nel carrello anche una scatola di uova, aceto balsamico, olio di semi, limoni e una bottiglia di Rosso di Montefalco.

Francesca mi guarda con aria interrogativa ma le dico di aspettare e vedere, e le chiedo: “Ti piace la carne? E la maionese? Sei allergica a qualcosa?” al che mi risponde che è allergica solo al lattosio e intollerante al glutine. Non ho preso né latte, né burro né pane o pasta per cui sto tranquillo. Non avrà crisi alimentari a causa mia, almeno stasera.

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Al prossimo capitolo 6
 

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Paolo e Francesca - Dieci anni dopo
di Paolo Sforza Cesarani

A voi il sesto capitolo, in cui Paolo e Francesca hanno il loro primo incontro intimo.

Cap. 6 - Insieme, a casa​

Giungiamo a casa mia e le mostro i vari ambienti. È molto colpita dalla luce e dalla vista. Si avvicina alla libreria e scorre con il dito i titoli dei volumi, alcuni dei quali in latino, e mi chiede se li abbia letti.
“Si, certo. Non è facile tradurre al volo ma con l’aiuto di google si trova sempre una soluzione, e poi mi basta intuire per poi approfondire quel che mi interessa. Nel frattempo mettiti comoda. Anzi, se ti va di preparare la tavola, è tutto lì negli stipetti accanto al tavolo” ed entro in cucina.
Preparo l’insalata mettendo tutti gli ingredienti nella ciotola e mescolando il tutto con le mani; dopodiché mi dedico alla preparazione della maionese: con il minipimer, è questione di cinque minuti ottenere una salsa densa e saporita.

“Vuoi mangiare ora o più tardi?” le chiedo.
“Ma, magari più tardi. Hai del vino in fresco?” mi chiede.
“Apri il frigo, ci dovrebbe essere una bottiglia di bianco aperta” mentre prendo due calici.
“Mettiamoci fuori in balcone, non fa troppo freddo e si sta bene” le dico, mentre apro la porta-finestra che dà sul terrazzo che circonda casa.
“Va bene, mi fa piacere” mi risponde seguendomi.
Le mostro il panorama, indicandole i vari riferimenti visibili.
Ci mettiamo seduti e sorseggiamo il vino freddo. La temperatura è fresca e forse Francesca è un po’ leggera, vedo che si è coperta le spalle con lo scialle.
“Vuoi rientrare?” le chiedo, avvicinandomi a lei.
“Magari dopo, se invece ora mi scaldi un po’…” e si accosta a me.
La prendo per le spalle e l’abbraccio cercando di scaldarla e di coprirla.
Alla fin fine, è ottobre pieno e la sera rinfresca un po’. L’abbigliamento di Francesca è forse un po’ troppo leggero per rimanere fuori.
Rientro dentro, il tempo di prendere un maglione e di fermarmi ad aprire l’acqua dell’idromassaggio… mi è venuta un’ideuzza…

“Dai, metti questo. Poi tra dieci minuti rientriamo, va bene?” le propongo.
“Va bene… Paolo, ti devo parlare.”
“Si Francesca, in realtà attendo una spiegazione da te. Anche se non se tenuta a darmela, in fin dei conti non c’è nulla di concreto tra noi, ma …” e lascio lì la frase incompleta, in attesa della sua risposta.
“Si, te lo devo. L’altro ieri sono stata meravigliosamente bene. Te ne sarai reso conto, avevo proprio piacere di stare con te e, se non fossimo stati interrotti, probabilmente avremmo finito per fare l’amore. Io ne avevo voglia, e credo, anzi, ne sono certa, anche tu.”
“Il fatto è che avevo una storia in piedi che si trascinava stancamente da un po’ di tempo. E l’altro ieri avevo promesso di chiudere. L’essere stati insieme tutto il giorno non ha cambiato nulla: ero già intenzionata a chiudere. Ma dovevo andare da lui. Lo so, non capisci e non riesci a comprendere, ma avevo promesso a me stessa che avrei chiuso con lui stando assieme a lui un’ultima sera. Non credere che mi abbia fatto piacere dirti di no e, in un certo senso, mentirti. Ci sono stata molto male.” prosegue. La sua voce è roca, le mani si stringono e si serrano l’una contro l’altra, il linguaggio del corpo è evidente: non sta mentendo, si è sentita in colpa ed in difficoltà verso di me.

“Però è finita. Per fortuna.” chiude così.
“Ci sono stato male pure io, non credi? Insomma, eravamo stati assieme tutto il giorno, mi avevi illuso, in un certo senso, mi avevi fatto capire che ti piacevo e che volevi stare con me” le dico con un fondo di amarezza in voce.
“Ma tu mi piaci! Perché altrimenti starei qui, ora? Di certo non per ripicca” mi interrompe, accalorata.
Le nostre teste si sono avvicinate, le bocce si toccano, iniziamo a baciarci con passione. La sento tremare, è il freddo o il piacere?
Decido di rientrare e di metterci comodi in soggiorno. È ancora presto, non voglio precorrere con i tempi.

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Al prossimo capitolo, il 7°, se vorrete.

“Dai, rientriamo, sento che hai freddo” le dico.
“Si, grazie, in effetti sono vestita un po’ troppo leggera, stasera” ribatte.

La faccio accomodare sul divano e le chiedo se ha fame o preferisce aspettare. Mi risponde facendo cenno di sedermi accanto a lei. Lo faccio, mi abbraccia e riprende a baciarmi con passione.
Si toglie il maglioncino che le avevo dato: ora ha la schiena nuda e posso ammirarla in tutta la sua bellezza.
“Ma sento rumore d’acqua che scorre: cos’è?” mi domanda.
Le prendo la mano, la tiro su dal divano e la guido verso la stanza da letto, dove c’è la vasca idromassaggio ormai riempita di acqua calda.
“Ti va di scaldarti un po’?” le chiedo, indicandole la vasca che è praticamente a filo pavimento.
“Perché no?” mi risponde. Si gira di spalle e mi chiede di aiutarla a slacciare di nuovo il top dietro al collo.

Ora si sfila il completo e rimane totalmente nuda. Si avvicina ed inizia a sbottonarmi la camicia dopo averla sfilata dai pantaloni. Poi mi slaccia la cinta, apre la zip dei pantaloni e me li abbassa. Nota con piacere che non porto intimo nemmeno io. Mi accarezza e rimarca il fatto che sono completamente depilato.
“Sai, sei il primo uomo che incontro totalmente depilato: mi piace molto” mentre mi accarezza il membro che si sta ingrossando.
Si inginocchia e lo prende in bocca fino alla radice, senza alcun verso o difficoltà: non sono superdotato, ma è la prima volta che subisco un deep-throat così profondo.
“Lo so, sono molto brava, ma è solo questione di tecnica: basta respirare con il naso anche se ti arriva in gola.” mentre lo lecca sulla cappella e poi su e giù sull’asta.

Le mie mani nel frattempo percorrono il suo corpo, soffermandosi sui capezzoli reattivi, che invitano ad essere strizzati, e poi scendono in mezzo alle gambe, alla ricerca del frutto succoso e carnoso in mezzo alle sue piccole labbra. Anche lei è completamente depilata e liscia, al di là della piccola strisciolina di pelo sopra il pube.
Entriamo nella vasca, l’acqua è calda ma non bollente, ed è piacevole stare immersi. Continuiamo a giocare con i nostri corpi. La metto seduta sul bordo e mi dedico a leccarla, dedicandomi con attenzione al clitoride che si nasconde ma che pian piano reagisce alla stimolazione.

Inizia ad ansimare ed a inarcare la schiena.

“Ti voglio, ora!” mi supplica. La penetro lì, sul bordo dell’idromassaggio, affondando dentro di lei con foga e passione. È stretta, ma si lubrifica presto.
Risponde alle sollecitazioni abbracciandomi stretto e capisco che è vicina all’orgasmo quando mi pianta le unghie sulla schiena e scossa da un tremito, lancia un urlo sommesso di piacere.
Io sono ancora lontano, e continuo a pompare dentro di lei. Il mio pube sbatte contro il suo, schizzi d’acqua si levano da ogni parte.
Mi giro e mi metto seduto sul gradino interno, la prendo e la faccio sedere sopra di me, penetrandola da dietro mentre con le mani le stimolo il clitoride e le accarezzo i seni, strizzandole i capezzoli sino a farle male.
“Si! Continua!” grida.
Continuiamo così, fino a raggiungere assieme l’orgasmo liberatorio, che entrambi evidenziamo con un ansimo forte e quasi urlato.
Rimaniamo avvinghiati per un po’, io ancora dentro di lei fino a che, venendo meno l’erezione, le scivolo fuori.

Esco dalla vasca e vado in bagno a prendere teli e accappatoi, oltre ad un paio di ciabatte da albergo, prese durante una delle mie infinite trasferte. Fanno comodo, sono nuove e morbide e si adattano bene anche al suo piede.
La asciugo con dolcezza con il telo e poi le infilo l’accappatoio, e quindi ci sistemiamo sopra il letto, abbracciati stretti stretti.
Mi accorgo che sta piangendo e le chiedo perché.
“È che era tempo che non provavo un orgasmo così intenso. Sei stato così dolce e nello stesso tempo così focoso! Mi hai fatto godere come non mi succedeva da tempo. È come se i nostri corpi si complementassero totalmente. In un certo senso, la mia patatina sembra fatta a posta per il tuo pisello.” risponde. E continua: “E poi, il fatto che tu mi abbia continuato a volere mi ha fatto capire quanto sono stata stupida, l’altro ieri. Mi spiace di averti fatto incacchiare.”
“Si, mi avevi proprio fatto incazzare.”

“Tu pure, però, che non hai risposto alle mie chiamate! Non lo fare più” e mi dà un buffetto sul petto.
“Dai, mangiamo qualcosa, ti va?” le propongo.
“Ok. Mangiamo.”
“Mettiti seduta e aspetta, ci penso io” le dico.

Riaccendo la piastra e dopo poco, butto il macinato in forma di hamburger bella spessa e ampia.
“La gradisci ben cotta o al sangue?” le chiedo.
“Al sangue va benissimo” risponde.
Pochi minuti di cottura, accendo la cappa aspirante che avevo fatto sovradimensionare all’architetto pur imponendo il massimo della silenziosità. Non un fumo o un odore ristagnava in cucina.
Un goccio di olio a crudo, una spruzzata di sale e di pepe macinato lì per lì e impiatto assieme ad un paio di foglie di lattuga e qualche pomodoro ciliegino.
Apro quindi la bottiglia di vino, avrei dovuto farlo prima per farlo respirare, ma spero che sia buono lo stesso.

Porto a tavola e la invito a sedersi.
Mentre mangiamo apprezza il cibo “ottima la carne, saporita e poi questa maionese è deliziosa!” mi dice.
Le verso del vino, “accompagna bene la carne” le dico.

Inizia a raccontarmi la sua storia appena conclusa.
“Era l’urologo che aveva in cura mio padre” mi dice.
“L’ho conosciuto in ospedale. Ha preteso che io andassi a letto con lui in cambio di un trattamento di favore per mio padre."
"Senza il suo intervento sarebbe rimasto in lista d’attesa chissà fino a quando, e non c’era disponibilità di ricovero se non privatamente ma in una clinica troppo costosa."
"Lì per lì ho accettato per disperazione, poi, in un certo senso, ho avuto paura di lui. Diciamo che mi ha schiavizzato."
"Il sesso con lui è stato sempre più oppressivo, quasi violento. Anzi, una volta mi ha proprio violentato. Mi ha legata a pancia in sotto al letto, mi ha messo un cuscino sotto la pancia e mi ha inculato a freddo. Così, senza preamboli e senza lubrificarmi nemmeno un po’. Poi, quando mi ha slegato, gli ho dato uno schiaffo e lui me lo ha restituito con violenza rompendomi un labbro. E mi ha minacciata più volte."
"Poi, un giorno è entrata nel suo studio sua moglie, proprio mentre mi stava prendendo da dietro a pecorina, e non ti dico il casino… Pensa che poi sono diventata amica della moglie, che sapeva come era fatto il marito. E mi ha raccontato delle cose pazzesche sul suo conto.”
“Ma perché lo hai continuato a vedere, scusa? Non mi sembri così remissiva…” la interrompo.
“Perché, mi chiedi? Perché… perché alla fine mi piaceva quando mi faceva male e quando mi possedeva con violenza.” risponde con un filo di voce.
“Alla fine, godevo di più quando mi faceva male che quando mi scopava normalmente."
"Il fatto è che mi ha schiavizzata sessualmente, me ne sono resa conto e ho deciso di darci un taglio. Prima aveva qualcosa su cui basare un ricatto, ora non più.” aggiunge con un sospiro.
“E poi, ora ci sei tu…” conclude con un sospiro.

Ci abbracciamo e rimaniamo così, avvinghiati l’uno all’altra, per qualche minuto, senza parlare.

Questa donna mi è entrata dentro ed ha preso possesso della mia anima. Non so cosa abbia, ma mi pare di conoscerla da una vita, di aver vissuto con lei e di conoscerla così profondamente che mi sembra impossibile non averla incontrata prima.
“Rimani con me, stanotte?” le chiedo.
“Mi piacerebbe, ma devo accompagnare il piccolo a scuola e parlare con la sua insegnante” mi risponde.
“E poi, sono senza macchina, se dovessi rimanere qui dovrei comunque uscire alle 6, andare a casa, svegliare tutti, cambiarmi e poi andare a scuola.” aggiunge, titubante e sinceramente dispiaciuta.
“Ma non mancherà occasione, no?” conclude.
“No, senz’altro” le rispondo.
Poi, preso da un momento di passione, la bacio e le apro l’accappatoio, massaggiandole i seni con entrambe le mani.
Ho ancora voglia di lei, e si nota subito. Slaccio anche il mio accappatoio ed il mio fratellone si mostra pronto sugli attenti.
E ricominciamo le danze.

La porto sul letto, la stendo sulla schiena e incomincio a leccarla con passione e con la massima dedizione alternando colpetti al clitoride con profonde inserzioni tra le piccole labbra e nella sua vagina, arrivando al rimming del suo stretto buchetto. È tutto talmente liscio, setoso, umido.
Francesca si bagna molto, è partecipe e mi spinge sempre più la testa verso di lei.
Tasto con le dita i suoi orifizi, prima davanti e poi dietro, e poi ancora davanti.
Prima un dito, poi due, poi ancora tre dita fino in fondo, a cercare con la punta la rugosità del suo punto G.
Lo trovo, ed inizio a scoparla con le dita, prima lentamente, poi sempre più velocemente, fino a quando l’orgasmo più potente che abbia mai visto la sconquassa facendola squirtare abbondantemente e lasciandola esausta, tremante con una mano serrata in mezzo alle cosce in mezzo al lago dei suoi umori.

“Scusami… io non volevo… io non sapevo… è la prima volta che mi succede…” mi dice con voce flebile e quasi strozzata.
Il suo viso è distrutto, i capelli appiccicati alla fronte. Sembra che abbia passato gli ultimi minuti in una sauna…

Il letto è un disastro. Anche per me è la prima volta che una donna viene in maniera così copiosa e intensa e soprattutto, così…bagnata. Inizio a disfarlo dopo che Francesca si è alzata per andare in bagno. La macchia è evidente, speriamo che non rimanga; la signora delle pulizie, domattina, potrebbe porsi qualche domanda di troppo e in questa casa, non c’è mai stata traccia di presenze femminili se non la sua o quella di mia figlia.

Francesca esce dal bagno in accappatoio, si è lavata, ha fatto anche lo shampoo ed i suoi capelli sono vaporosi come appena uscita dal coiffeur.
Vede il letto disfatto e subito si preoccupa “Mi spiace! Sono mortificata! Scusa!” visibilmente preoccupata.

“Ma lascia stare! Ma di che? Ora mi dai una mano a girarlo in verticale in modo che si asciughi prima. Poi lo metto io a posto.” le rispondo con la massima dolcezza.
“Ma la macchia? E se la vede qualcuno?”
“Tranquilla, ho rovesciato un bicchiere di vino sul letto…” e le faccio l’occhiolino.
“Sai, non mi era mai capitato prima d’ora di avere un orgasmo così … bagnato. Ad un certo momento credevo di aver perso la pipì, ma invece avevo questa spinta, questo desiderio di liberarmi, e più usciva e più ne veniva!” disse con aria tra il sorpreso ed il contrito.
“Sinceramente, nemmeno a me era mai capitato di assistere ad un orgasmo così. Si, forse ne ho visti su PornHub, ma pensavo fossero un trucco da porno. Invece, è tutto vero!”
“Intenderesti dire per caso che sono un attrice porno?” a metà tra lo scherzoso e lo scandalizzato.
“Assolutamente no. Tu sei meglio di tutte le attrici che ho visto!” le dico ridendo. Lei prende il cuscino che teneva tra le gambe e me lo sbatte in testa, ricambiando la risata.

Dio, inizio a provare qualcosa di grosso per questa donna. Un sentimento che non provavo da tempo.
“Asciughiamoci, ci beviamo un goccio e poi ti porto a casa”.
“Ok, grazie Paolo. Non vorrei fare troppo tardi, anche se non ti nascondo che mi piacerebbe dormire con te, stanotte.”
“Fallo!”
“No, impossibile. Non posso lasciare Serse da solo. E Claudio stasera si ferma a dormire dalla ragazza. Ma non mancherà occasione, tranquillo. Sempre che tu lo voglia ancora...”
“Io lo voglio già ora, figurati domani o dopo…”

La accompagnai a casa, vincendo la sua resistenza. Non voleva mostrarmi dove abitava “ma non perché non mi fidi, è perché mi vergogno un po’ della zona. E poi, sinceramente, c’è talmente tanta gente che mi conosce in giro per il quartiere fino a tardi, che mi scoccia farmi vedere con qualche forestiero. Il Quarticciolo è come un piccolo paese: si conoscono tutti, sanno tutto di tutti, parlano e sparlano di tutti. E non ti auguro di essere sulla bocca di certe commari che passano il tempo sedute fuori del portone a capare la cicoria o i fagiolini!” concluse.
La lasciai ad un centinaio di metri da casa, seguendola da lontano con lo sguardo, ma rimanendo in macchina con il motore acceso.
Squilla il telefono: è lei. “Sono arrivata al cancello, ora sono tranquilla. Ci sentiamo domattina. Buona notte e grazie di tutto. Anzi, grazie di esserci…” e chiude la chiamata.

Non ricordo che strada ho fatto per tornare a casa.
So solo che mi sono risvegliato la mattina dopo sul divano, con il collo disastrato per la postura sbagliata, un piacevole senso di appagamento sessuale ed un calore in petto che mi fece sorridere.
 

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Purtroppo per me è finita anche la seconda.
C'est la víe...
Però restano i ricordi, almeno finché il cervello non andrà in pappa.
"...E il naufragar m’è dolce in questo mare..."
Tranquilli, ne ho ancora tanti da raccontare, se vorrete.
"Paolo e Francesca - dieci anni dopo" si sviluppa in una dozzina di capitoli, ne ho pronti otto, due sedimentano per la correzione finale e due sono imbastiti.
Forse scriverò qualcosa sulla prima moglie, anch'ella Francesca (that is!), di cui un raccontino ho già pubblicato qui.
E poi... parecchie avventure, tutte tratte o ispirate da esperienze vere.
Come ho letto in queste pagine, il narrare di fatti realmente accaduti implica giocoforza il dover arricchire la trama di dettagli che costruiscono lo sfondo, l'ambientazione del racconto.
Tali elementi possono essere di fantasia, oppure tratti da esperienze fuori contesto ma, per quanto mi concerne, sono frutto della mia personale conoscenza diretta.
Pertanto, questo non significa aver inventato una storia. Ho solo aggiunto particolari, attingendo al mio patrimonio di esperienze reali.
Rende tutto ciò una storia inventata?
No, dal mio punto di vista no.
Raccontare un'avventura sessuale può essere sintetizzato in poche parole, pochi versi onomatopeici (cazz cazz fik fik pomp pomp come in certi fumetti di 40 anni fa).
Oppure ci si può scrivere un racconto, o grandi romanzi. La letteratura erotica è piena di bellissimi esempi, ove la forza della parola genera immagini più forti e sensazioni più vivide di tanti porno.
A me piace raccontare, non inventare.
E cerco di farlo al massimo delle mie modeste e limitate capacità.
Ma qualche regola di base del manuale del bravo scrittore l'ho imparata, anche se non le ho messe a frutto del tutto.
Una è la coerenza. Non puoi scrivere che sei giovane e poi vecchio, biondo e poi bruno, e così via.
Un altro è il dettaglio. Una storia credibile è fatta di dettagli precisi, verificabili. Non puoi scrivere che sei stato al Duomo di Roma, o che il Colosseo è a Tivoli. O che stai viaggiando sul Jumbo a velocità supersonica.
E poi il controllo della timeline. I viaggi nel tempo sono caratteristici della fantascienza, o figli dell'ignoranza. Non essendo uno scrittore di SF (ci vogliono enormi capacità e competenze!) e non essendo molto ignorante (solo un po'...) cerco di stare attento a quel che scrivo, a meno che non dichiari esplicitamente il flashback.
E rileggo.
E correggo.
E affino, senza dover andare a "risciacquare i panni in Arno".
Anche i primi capitoli di questo racconto, scritti tre anni fa, sono stati riletti e corretti più volte. L'ultima, addirittura nella fase di riformattazione del testo copiato all'interno del post.
Ecco perchè chiederò un po' di tempo per darvi gli altri capitoli.
Non sono un fautore degli "instant books", non ho orde di ghostwriters a correggere e completare le mie tracce.
E infine, non ho tutto il tempo che vorrei.
Spero che i miei lettori (?) mi capiranno e mi comprenderanno.
Per ora, vi ringrazio del vostro supporto. Fa molto piacere sentirsi apprezzati, sono carezze per l'anima che stimolano la fantasia e la voglia di fare.
A presto.
 
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