Esperienza reale PERCHÉ?

argo1

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Mi sembra un sogno: parole complete senza abbreviazioni, nessuna iniziale di nome col punto, il trattino prima di un discorso diretto e la punteggiatura...
addirittura l'interlinea tra un paragrafo e l'altro.
E poi finalmente un racconto che sia tale, descritto bene nei tempi e nei modi.

Grazie, solo per questo grazie.
 
OP
M

Minestra

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III

Il mio viaggio proseguiva verso l’albergo dove avrei trascorso la notte.
Sopra di me incombeva un enorme l’enorme punto di domanda giallo, era talmente grande, talmente evidente che forse potevano scorgerlo anche gli altri automobilisti sull’autostrada.
Anzi i punti interrogativi si moltiplicavano, tali da aggiungersi in coda alla mia auto per formare un treno di vagoni a forma di punti di domanda.

PERCHÉ?
Cosa vuole da me?
Sa benissimo che sono sposato, è persino venuta al mio matrimonio, con la sua mamma, quando era una adolescente!

Avrei potuto prendere sonno?
Avrei dovuto accettare l’invito a cena?
Avrei… ?
Avrei… ?
Con tutti gli uomini al mondo, piĂą giovani, liberi da impegni, ha scelto me?
Possibile? No non è possibile! Mi convincevo sempre più di avere fatto un sogno erotico da ragazzino di prima superiore.
Un pensiero si tuffava nell’altro. Mi ricordai d’improvviso che da ragazzino alle superiori ero un campione, anzi di più, campione mondiale nel non capire nulla. Quando una ragazza mostrava interesse per me, ero l’ultimo ad accorgersi e se per caso mi arrivava qualche segnale, mi convincevo di essermi sbagliato. Con il risultato che le ragazze se le pomiciavano gli altri.
No!
A 50 anni non mi sarebbe stato concesso di sbagliare!
I segnali c’erano, evidenti espliciti ed andavano captati, a costo di una colossale figura di merda.
Male che vada dirĂ  di no e riderĂ  di me con le sue amiche!

Presi possesso della mia camera, lunghissima doccia e poi cena.
Poco appetito.
Mi imposi di non pensare, di lasciare che gli accadimenti, se mai qualcosa sarebbe accaduto, mi travolgessero.
Dopo cena mi incamminai in una passeggiata ristoratrice e solitaria.
A dispetto dei timori, dormii di sasso fino alla sveglia del mattino successivo.
I punti di domanda sembravano essersi dissolti.

Mi dedicai al lavoro, pensando raramente al tragitto in auto della domenica precedente e all’invito a cena.
Ripensavo con distacco a quanto successo e nei rari casi lo vivevo come se fossi lo spettatore di un film.
Rientrai a senza passare da Genova e nelle settimane successive i miei affari non prevedevano il ritorno in Liguria.

Per prudenza avevo variato il nome in rubrica dal nome reale a Ditta Xyz inventando un nome di fantasia, nel caso fosse arrivato qualche messaggio o chiamata in momenti non opportuni.
Ma nulla, per due settimane: nulla.
A metĂ  della terza settimana, in orario mattutino insolito arriva un Whatsapp:
“Hai già dimenticato la tua promessa? Hai una missione: devi fare crescere l’autostima di una zitella!” Con un seguito di faccine e punti esclamativi.
Risposi laconico: “Ogni promessa è debito!” Con eguale seguito di faccine!

Passarono altre settimane di silenzio.
Nel frattempo la primavera aveva lasciato il passo al caldo estivo.
E arrivò il momento di telefonare ad alcuni clienti per fissare appuntamenti lavorativi nella zona di Genova.
In coda a questa serie di chiamate ne feci un’altra di ben diverso tenore.
-Devo mantenere fede ad una promessa, che ne dici di un invito a cena per domani sera?
-Si! Seguito da una risata che trasmetteva allegria. –Pensavo ti fossi dimenticato.
Alle 8 va bene?
-Si!

L’indomani giunsi a Genova di buon mattino.
Visitai i clienti prestabiliti fino al principio del pomeriggio.
Rientrai in albergo e mi riposai.
PiĂą tardi chiamai un taxi. Non mi andava di guidare ne avere problemi di parcheggio.
Mi feci portare da un fioraio.
Risalii sull’auto pubblica e indicai l’indirizzo dove si trovava il monolocale.
Dissi all’autista di aspettare e mi diressi verso l’androne.
La nota voce al citofono rispose –Scendo subito.

Mi riportai sul marciapiede in modo che l’autista potesse vedermi e a mia volta riuscissi a vedere l’ascensore dal quale sarebbe smontata.
L’autista aveva la testa china sul cellulare e sembrava non badare al via vai di inquilini del palazzo.
L’attesa si fece lunga ma alla fine si schiuse la porta dell’ascensore.
Una delle più belle visioni che improvvisamente illuminava di luce propria e trasformava lo squallido androne con le pareti ingrigite dal tempo e dall’incuria.
Un tubino nero accollatissimo, aderente e senza maniche che nulla lasciava all’immaginazione e disegnava perfettamente le forme sinuose.
Capelli raccolti castano chiaro, sandali neri con tacco vertiginoso e un filo di perle al collo.
Unghie delle mani e dei piedi perfettamente dipinte di un colore tenue, appena accennato.
Basta! Niente altro.
Porsi il braccio per aiutarla dato l’acciottolato sconnesso e distinsi uno scatto della testa dell’autista che evidentemente non si aspettava ciò che i suoi occhi stavano vedendo.
Lo chauffeur abbandonò il cellulare e con un balzo degno di una gazzella lascio il posto di guida per aprire lo sportello posteriore della vettura alla signora.

L’autista ci accompagnò davanti ad un ristorante dove ne lei ne io eravamo mai stai.
L’avevo cercato sulla famosa guida culinaria dalla copertina rossa.
Scesi dall’auto, pagai la corsa, porsi il mazzo di fiori alla mia ospite che sorrideva con occhi luminosissimi, ma con un sorriso più misurato, non la consueta risata fragorosa e contagiosa.
Ci fecero accomodare al nostro tavolo.
-Ad autostima come stiamo?
-Direi che può andare!
-Non sono mai stato a casa tua, immagino che avrai uno specchio, seppur piccolo?
-Si. Fece con sguardo preoccupato.
-Ecco, a te basterebbe specchiarti in un frammento di specchio per vederti così come sei stasera per avere la tua autostima al massimo!
Rise, pacatamente visibilmente soddisfatta.

La cena, ottima, trascorse in un battibaleno.
La bottiglia di vino si prosciugò ancora più velocemente.
Mai un attimo di silenzio o imbarazzo.
Il suo eloquio era diverso dalle volte precedenti, quella sera non avevo mai udito (o quasi mai) parolacce.
A metà della cena mi lasciò per brevi minuti, suppongo per mandare qualche messaggio in privato, non certo per risistemare il trucco che era perfetto.
Attraversò la sala in due direzioni, la prima per chiedere al Maitre dove fosse il servizio igienico la seconda per dirigersi al corridoio che portava alla toilette.
Non potei non notare con soddisfazione gli sguardi, specie maschili, degli avventori che la seguirono negli spostamenti e successivamente vigilare la parte della sala dove poco dopo sarebbe sbucata per seguire con gli occhi il ritorno al tavolo.
Chiesi il conto e feci chiamare un taxi.
Poco dopo fummo sotto casa sua.
-Sali da me?
Un cenno d’assenso e allungai una banconota al taxista.

Chiusa che fu la porta del piccolo monolocale dietro le nostre spalle, potei vedere un ambiente ordinato, grazioso che odorava di buono.
Non ci fu il tempo di altre considerazioni neppure di altre parole.
Un abbraccio fortissimo, i suoi seni che spingevano contro di me.
Le sue mani che percorrevano la mia schiena sopra stoffa della camicia fino quasi a lacerarla, le mie mani a stringere quei glutei generosi e perfetti.
Si divincolo improvvisamente e si girò porgendomi la schiena.
-La zip! Con tono imperioso.
Obbedii. E il tubino nero fu a terra.
Era rimasta in reggiseno di pizzo, perizoma neri e sandali.
La strinsi appoggiando la sua schiena al mio petto ed i suoi glutei al mio pube per significarle che anche piĂą in basso il mio corpo voleva contribuire alla sua autostima.
Si divincolò per la seconda volta.
Si slacciò il reggiseno, sganciò il filo di perle e le calzature altissime.
Si girò verso di me interdetto! Ma ancora un particolare mi stupì e fece schizzare alle stelle la mia eccitazione.
Il seno rotondo, pieno, morbido, materno, leggermente calato sul corpo ma che resisteva fieramente alla forza di gravità, era totalmente abbronzato; segno che abitualmente era esposto al sole senza l’ingombro di un costume da bagno.

Mi prese per mano, mi condusse nella camera e mi fece sedere sul letto.
Si piegò e lentamente principiò a slacciare i bottoni della camicia, poi la cintura e i bottoni dei pantaloni fino a sfilare dalle mutande l’asta turgidissima.
Si accovacciò e con la lingua inumidì il glande contemporaneamente la sua mano destra scorreva su e giù sull’asta.
La rialzai le sfilai il perizoma e mi appari il pube completamente depilato.
La trassi a me e con facilitĂ  e sommo piacere accolse il mio membro.
Fu l’inizio di un amplesso lungo e pieno di passione.

Continua…
 

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