Esperienza reale Credete nel destino?

Tubamascherata

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Salve a tutti, torno con un nuovo racconto di un riavvicinamento avvenuto recentemente con la mia ex ragazza. Non sarà molto lungo ma, anche se per adesso le cose sembrano essersi fermate, non escludo totalmente ulteriori sviluppi nel prossimo futuro. Come di consueto, luoghi, oggetti e nomi sono stati modificati ed il racconto è stato romanzato a fini narrativi.



[Parte 1]

Credete nel destino?
Ma che cos’è, poi, il destino?
Un disegno già scritto per noi da Dio, da una divinità, da un essere superiore?
Un insieme scomposto di segni che interpretiamo a seconda di quello che vogliamo vedere?
Un sistema che crediamo di poter manipolare per illuderci di contare qualcosa in questo caotico universo?

Ho sempre pensato che Alba ed io fossimo stati messi insieme dal destino. Stesse iniziali di nome e cognome, A.C. Entrambi nati il giorno 3, anche se di diversi mesi, quando avremmo potuto metterci insieme se non a marzo, il terzo mese dell’anno?
La nostra storia è durata tre anni. Anzi, ad essere precisi, ci siamo lasciati esattamente tre giorni prima del nostro terzo anniversario. Se non è destino questo.
Non ho più rivisto Alba per circa sei anni (che, se vogliamo, è il doppio di tre) dalla fine della nostra storia. Fino all’altro giorno.

Passeggiavo distrattamente per la città, non prestando particolarmente attenzione a passanti o macchine.
Poi, come per magia, fui catturato dal rumore una macchina che arrivava in lontananza.
Una ragazza che aveva un che di familiare guidava una lucente 500 nera che sembrava nuova di zecca.
“È Alba!” - pensai immediatamente. Poi misi a fuoco che non era la sua solita Yaris grigia scolorita.
Seguii con lo sguardo l’avvicinarsi dell’auto, notando, man mano che si avvicinava, un paio di vistosi occhiali da sole specchiati. Ebbi un flash.

Era proprio Alba. E indossava gli occhiali da sole che le avevo regalato per l’ultimo San Valentino. Mi sentii scosso. Anche se mi faceva piacere l’idea che in qualche modo una parte di me era sempre stata con lei per tutti questi anni.
Lei si accorse di me solo quando mi aveva già sorpassato, girando lievemente il capo verso di me. Ma ormai era troppo tardi per scambiarsi anche un cenno di saluto, e tornare indietro appositamente sarebbe stato troppo imbarazzante, per entrambi.
“Non è destino.” – pensai rinnegando il mio credo decennale.

Ma quella notte la sognai. Un sogno estremamente realistico, un ricordo onirico della nostra ultima vacanza in Sardegna.
Davanti ai miei occhi c’era l’esatta sagoma del suo culo sodo che mi cavalcava. La forma perfettamente tondeggiante delle sue natiche invitava le mie mani a darle qualche schiaffetto di tanto in tanto.
Scivolavo in maniera piuttosto facile dentro e fuori di lei, eccitata come non mai.
Riuscivo persino a percepire nell’aria un vago profumo di pasta con le vongole mescolato con il tipico odore delle piante di mirto presenti nel giardino della nostra villetta.
La stanza, dipinta totalmente di bianco con motivi marini a righe blu, era una cornice perfetta dell’amplesso romantico che stavamo consumando.

“Secondo te ci sentono?” – mi domandava lei con un velo d’imbarazzo.
Io non le rispondevo ma le prendevo le mani per tranquillizzarla, mentre continuava imperterrita a saltellare sopra di me. I suoi capelli ondeggiavano al ritmo dei suoi movimenti di bacino.
Le lenzuola perfettamente candide profumavano di pulito. La luce del tramonto sardo iniziava a filtrare dalla finestra rendendo l’atmosfera leggermente ovattata.
Mi svegliai di soprassalto quasi al culmine dell’orgasmo. Ansimavo, di ansia ed eccitazione.

Ci misi qualche istante a riprendermi, poi volli finire il sogno che si era bruscamente interrotto. Infilai la mano dentro il mio logoro pigiama di flanella, cominciandomi a toccare.
Era inverno, avevo freddo. Sotto una spessa trapunta di lana, mi sembravano lontane ormai secoli quelle mattine d’estate in cui ci svegliavamo coperti solo da un lenzuolo leggero e da un amore pesante.
Senza badare a preservare le lenzuola, quei ricordi mi portarono in breve tempo all’apice del piacere; imbrattai con un’ampia macchia il tessuto color ruggine.
Mi alzai dal letto e misi a lavare le lenzuola, senza però riuscire a lavare dalla mia testa l’idea che invece, alla fine, era destino.
Ed era destino perché io avevo deciso che doveva essere così.
 
OP
Tubamascherata

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[PARTE 2]


Sentivo un bisogno fisico di incontrarla di nuovo, ma non potevo aspettare che il destino facesse tutto il lavoro al posto mio. Se avessi voluto vederla nuovamente a stretto giro, avrei dovuto aiutare il destino. Ma il destino mi diede una mano ed io presi l’occasione al volo.

Dopo qualche giorno, sarebbe stato il compleanno di una sua amica, Marta.
Marta era una tipa piuttosto tranquilla ed abitudinaria. Aveva la tradizione di festeggiare il suo compleanno sempre nello stesso locale ormai da anni, e niente lasciava pensare che non sarebbe stato lo stesso anche in quell’occasione. Convinsi i miei amici ad andare in quel locale, nonostante i loro tentativi di dissuadermi dal tentare qualsiasi riavvicinamento con Alba.

Quella sera diluviava. Arrivammo al pub e ci sedemmo al nostro tavolo. Di Marta, Alba e compagnia, neanche l’ombra. Ero nervoso e rimuginavo.
“Starò facendo la cosa giusta?” – pensai, mentre continuavo a ripetermi: “Probabilmente non verranno.”

E per più di un’ora non si vide nessuno. Avevo quasi perso le speranze quando, guardando verso la porta d’ingresso, cominciai a vedere una sfilata di ombrelli e stivali gocciolanti di pioggia. Alba entrò, seguita dalle sue amiche, sulle quali svettava per altezza e presenza.

Marta fu la prima ad adocchiarmi. Mi sorrise da lontano, poi si avvicinò per salutarmi.
“Ciao Marta, auguri!” – le dissi con un velo d’imbarazzo. Non vedevo neanche lei da diversi anni.
“Grazie, Ale!” – replicò lei, stringendomi in un abbraccio delicato, che mi imbarazzò ancora di più – “Volete unirvi a noi?”
Lanciai un’occhiata ai miei amici con un visibile impaccio, poi le risposi senza neanche consultarli: “Ti ringrazio, ma tra poco ce ne andiamo”.
Marta alzò le spalle e mi sorrise nuovamente. Io voltai lo sguardo in direzione di Alba che era subito dietro di lei. Le mie mani cominciarono a sudare. Mi alzai per andarle incontro e salutarla. I nostri occhi si incrociarono per la prima volta dopo anni. Ci sfiorammo le guance per salutarci con i consueti due bacetti.

Tornai a sedermi al tavolo visibilmente scosso. Provai a dissimulare ma i miei amici lo notarono comunque. Finalmente avevo quello che desideravo, avevo dato una mano al destino ed il destino aveva dato una mano a me. Ma mi fermai a pensare al senso di quello che stava succedendo ed al fatto di poter riuscire realmente a coronare il mio sogno.

Dopo neanche un minuto, mi recai in bagno per rinfrescarmi un po’ le idee. Il riflesso nello specchio mi guardava con occhi interrogativi, mentre mi sciacquavo il viso cercando di lavare via pensieri negativi e dubbi. D’altra parte, stava succedendo quello che volevo, anche se non avevo la minima idea della reazione che potesse avere Alba, né di cosa avrei potuto fare io di pratico. Intendiamoci, non sarebbe stata la prima volta che approcciavo una ragazza, ma si trattava di Alba. Non sapevo come fare. Essere esplicito? Ricordare i bei tempi andati? Flirtare come se fosse una qualsiasi ragazza appena conosciuta?

Mentre mi guardavo allo specchio cercando di dare un senso ai miei pensieri sconnessi la porta da saloon sbatté con un tonfo sordo e tra le due ante si fece spazio Alba.

“E che cazzo, ma allora lo fai apposta,” - pensai – “io cerco di mettere ordini miei pensieri e vieni di nuovo tu a scompigliarmi tutto”.
Nella concitazione del momento, vedendola ancora un po’ con i capelli bagnati dalla pioggia, dissi la frase più banale ma forse l’unica che in quel momento poteva rompere il ghiaccio.

“Bel tempo di merda, eh?”
Lei disse, sicuramente senza malizia, una frase che però mi accese all’istante.
“Eh già, mi sono bagnata tutta!”

Ci scambiammo uno sguardo di qualche secondo, poi Alba si mise ad asciugare le mani sotto il getto dell’aria calda. Mi chinai in avanti per raggiungere il dispender di carta assorbente, situato subito dopo l’asciugamani, e così facendo ci sfiorammo le cosce. Mi bloccai guardandola nuovamente fissa negli occhi. Sembrava che il tempo non fosse mai passato. Eravamo faccia a faccia a pochi centimetri di distanza e sentivo che stava per succedere qualcosa.

Bam!

La porta sbatté nuovamente ed interruppe quel momento. Mi ricomposi salutandola e lanciandole una battuta sulla festa di Marta.

Rimasi per circa altri venti minuti al tavolo, nei quali ogni tanto buttavo qualche occhiata ad Alba. Il suo sguardo era criptico. Lo conoscevo bene ma al contempo era diverso. Non era più lo sguardo dolce ed insicuro di un’universitaria diciannovenne, ma quello di una donna che sapeva il fatto suo, che aveva avuto ormai diverse esperienze. E la cosa da un lato mi eccitava e dall’altro quasi mi faceva ingelosire.

Andammo a pagare e salutai il loro gruppo. Marta si alzò per abbracciarmi nuovamente. Poi si alzò anche Alba, e nel salutarmi posò una mano dietro le mie spalle e me le accarezzò sfiorandomele. Io la strinsi per la vita.

Uscii dal locale e notai la sua macchina, la nuova 500 nera.
“Ha accompagnato lei le altre, allora.” - pensai.
Così, nella mia mente, si stava già delineando il piano d’azione. Forte anche del vantaggio su di lei, visto che il suo gruppo era arrivato da relativamente poco tempo al locale, accompagnai i miei amici e mi diressi sotto casa di Alba.

Aspettai una buona mezz’ora. Finalmente vidi la sua macchina arrivare e parcheggiare poco lontano. Poi la vidi correre, senza ombrello, verso il portone. Il cuore mi stava schizzando in gola. Ma decisi di agire senza rimuginarci troppo. Presi il mio ombrello ed uscii dalla macchina.

“Alba!” – urlai.
Lei interruppe la sua corsa e mi fissò, restando inerme sotto la pioggia che ticchettava sul suo giaccone. Le corsi incontro dicendole ironico: “Serve un passaggio?”
“Che ci fai qui?” - esclamò lei stupita ma piacevolmente sorpresa.
Non dissi niente. Parlare non era mai stato il mio forte. Mi limitai a farla accomodare sotto il mio ombrello sgangherato e stringerla nuovamente per la vita.
“Ale, io…”

Mi fiondai sulle sue labbra senza lasciarle il tempo di finire. O la va o la spacca, pensai. Rimasi una frazione di secondo senza ricevere alcun feedback dalle sue labbra; poi, finalmente, ricambiò il mio bacio. Ma solo per qualche secondo. Alba, infatti, si staccò e rimase in silenzio, guardando il terreno che rifletteva i palazzi grigi in una pozzanghera torbida.

Mi guardò. Vedevo la pioggia riflessa nei suoi occhi. Mi lanciai ancora verso le sue labbra che stavolta si lasciarono andare cercando insistentemente la mia lingua. Senza dire niente la presi per mano e la portai con me fino alla macchina. Lei entrò e ricominciò a baciarmi.
“Che stiamo facendo?” – disse poi interrompendoci.
“Mi sei mancata.” - mi limitai a rispondere.

Feci appena centro metri per stazionarmi in un parcheggio deserto poco distante, dove ricominciammo il nostro gioco di lingue. Tenni accesa la macchina per qualche minuto per scaldarci dato che eravamo zuppi di pioggia. Presi a baciare Alba sul collo, sapevo che la faceva impazzire. Chinò il capo all’indietro sul poggiatesta del sedile, e mi accarezzò una coscia.

Cominciai ad eccitarmi. Aveva un lungo di lana bordeaux che le arrivava poco sotto il ginocchio ed un paio di calze spesse. Mi infilai sotto il vestito cominciando a palparle le cosce, mentre sentivo sotto le labbra la pelle del suo collo farsi vermiglia e riscaldarsi. Lei avvicinò timidamente una mano alla patta dei miei pantaloni. Con l’indice cominciai a massaggiarle la zona pubica che, nonostante calze e mutande, cominciavo a sentire tiepida. Piano piano cercai di sfilarle le calze. Lei sollevò lievemente le anche per permettermi di calargliele almeno fino al ginocchio. Poi la mia mano tornò su, e le scansai di lato gli slip. Lei chiuse le gambe e si ritrasse.

“No, dai….”
Io continuai. Lei gemette sottovoce.
“Mmmh…”
Si morse leggermente il labbro inferiore.
Era in procinto di allungare anche lei la sua mano per affermare il mio sesso quando, non appena accostai il mio dito all’entrata delle sue labbra sentendole già umide, si ritrasse.

“Non possiamo, dai.” - mi disse stavolta con fermezza.
Io rimasi di gesso.
“Ma…” - provai debolmente a ribattere.
“Portami a casa, per favore.”

Forse avevo chiesto troppo al destino per quel giorno. Non volli insistere oltre. Mestamente, rimisi in moto e la accompagnai davanti al portone.
“Non sarebbe giusto…” - continuò lei.
“E perché?”
“Sono…fidanzata…” - replicò lei balbettando visibilmente in imbarazzo.

Tutti quegli sguardi, tutto quello che stava per succedere. Restai impalato.
“E da quanto?” - le chiesi.
“Qualche settimana.” - ribatté lei frettolosamente.

Altro che destino.

“Buonanotte.” – disse, continuando a guardarmi negli occhi. Io le presi la mano. Lei abbassò lo sguardo sulle nostre mani intrecciate, poi lo posò di nuovo su di me. Mi tirò ancora a sé mi diede un ultimo lungo bacio.

La guardai entrare nel portone dove centinaia di volte ero entrato anche io, immaginandomi un finale diverso.


[Continua...]
 

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