Racconto di fantasia A sexy horror story

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Ciao a tutti! Sto provando a scrivere una storia erotica un po' particolare, chiaramente di fantasia. E' un work in progress, spero possa piacere. Sono ben accetti pareri, anche negativi!

A sexy horror story

1.


La voce del tassista afferrò il giovane ingegnere per il colletto e lo tirò fuori dal pantano che era diventato quell’orrendo sogno. Quando si era addormentato?
Pochi dettagli confusi, residui maciullati di quell’illusione, gli attraversarono in un istante gli occhi annebbiati, per poi essere scacciati prontamente dall’improvvisa lucidità.

Marco allontanò di scatto la testa dal finestrino, come se questo fosse un orribile serpente che, da un momento all’altro, avrebbe potuto sferrare il suo micidiale e fulmineo attacco. Attraverso le righe lasciate dalle gocce di pioggia sul vetro, osservò la struttura nera scagliarsi contro la notte; si ergeva imponente come un patriarca che vegliava su una progenie non ancora nata: l’unico edificio del circondario. Il ragazzo pagò la corsa, abbandonò il tepore di quel rifugio temporaneo e s’addentrò nel freddo e nel buio, percorrendo lentamente il vialetto che l’avrebbe condotto all’ingresso dell’Hotel Mirafiori.

Guardò in alto, ammirando la costruzione. Da alcune finestre proveniva il bagliore di fioche luci, troppo poche, si disse, per un albergo di questa importanza. L’insegna al neon ronzava, inveendo e minacciando di spegnersi del tutto, una notte o l’altra. Richiuse l’ombrello, accertandosi di rimuovere le residue gocce di pioggia, e suonò il campanello per farsi aprire. Una debole scarica elettrica gli diede il permesso di addentrarsi nell’albergo.

Non era come l’aveva visto nel sito web: un pessimo odore di muffa e aria viziata inondava la hall, la tappezzeria alle pareti era logora e persino bucata in alcuni punti. Poche appliques, uniche sopravvissute in mezzo ai cadaveri delle compagne, illuminavano di biondo quella grande sala. Marco coprì a rapidi passi la distanza che lo separava dal bancone della reception, al momento priva del suo custode. Picchiò il dito contro l’ormai vetusto, seppur classico, campanellino, ma restò solo. Sospirò, sfilò gli occhiali, chiuse gli occhi per un attimo e li massaggiò, cercando di attenuare l’emicrania che era esplosa, come una mina, dopo aver attraversato la soglia dell’hotel.

- “Quindi? Chi sei?”

Quando era comparsa?

Di fronte a lui c’era una ragazza, non poteva avere più di venticinque anni. La targhetta appuntata sul petto gli comunicò il suo nome: Rebecca.

- “Signorina Rebecca…”

- “Chiamami Becca. Sei Marco, l’ingegnere, vero?”

Il ragazzo biasciò qualche parola, spiazzato, poi si rese conto che forse quella sera aspettavano solo lui. Come potevano sapere, altrimenti, chi fosse?

- “Sì, sono qui per una trasferta di lavoro e…”

- “Sappiamo già tutto!” replicò la ragazza.

Aprì un grosso libro e sfogliò le pagine. Marco la guardò, studiandone i movimenti felini e le lunghe dita affusolate. Si soffermò per un po’ su dettagli più carnali; ne ammirò il seno abbondante, le labbra carnose prive di rossetto e il collo sottile, rovinato da una lunga cicatrice che bivaccava perpendicolarmente alla sua base. Becca dovette accorgersi dello sguardo del ragazzo, perché si affrettò ad abbottonarsi il colletto, sorridendo. Le porse le sue scuse, ma lei gli disse di non preoccuparsi. La receptionist si voltò per recuperare la chiave della stanza, Marco quasi giurò di averla vista sfarfallare per un attimo e sparire dalla scena. Diede la colpa all’emicrania e, recuperati i tiranti che lo tenevano ancorato alla realtà, afferrò la chiave che Rebecca gli stava porgendo.

- “Ci sono tanti ospiti, stasera?”

- “I soliti… perché? Sei interessato a conoscere qualcuno… o qualcuna?” ammiccò, facendogli l’occhiolino e portando pollice e indice a slacciare l’ultimo bottone della blusa.

Marco fissò quel movimento, quasi ipnotizzato, e seguì con interesse quelli successivi. Il bottone poco più in alto imitò il compagno, quello successivo s’accordò con l’asola per una separazione consensuale. L’ombelico fece capolino, piccolo e poco profondo alla base di quello che sembrava essere un ventre snello e appena muscoloso.

- “Continuo? Ti vedo agitato.”

Effettivamente, era arrossito. Deglutì il nulla un paio di volte, la salivazione azzerata e la bocca secca gli impedirono di irrorare la gola.

- “N… no… ecco… ecco” balbettò, “… è che io non ho mai… cioè, non ho mai visto dal vivo…”

- “Lo so, sei vergine!”, affermò la receptionist.

- “Come lo sai?”

Sul serio aveva posto quella domanda? Il suo aspetto quasi parlava per lui: aveva ventisette anni, ma ne mostrava almeno una decina in piĂą. Era stempiato, grassoccio e flaccido. Soprattutto, era molto insicuro.

Si sfilò gli occhiali e iniziò a pulirli con un fazzoletto, evitando di guardare la ragazza negli occhi verdi e incredibilmente profondi.

- “Scusa, non dovevo fare quella domanda. Perché fai così?”, le domandò, continuando a evitare il suo sguardo, “Non penso di piacerti sul serio!”.

Rebecca sorrise, sganciò gli ultimi due bottoni e, togliendo la giacca, mise in mostra il seno prosperoso.

- “Ti piacciono?”

Effettivamente, gli piacevano. Provò l’irresistibile impulso di allungare le mani e tastarne, per la prima volta nella sua vita, la consistenza. Sentì il cazzo indurirsi sotto le mutande. Deglutì nuovamente, quasi gli parve di ingoiare sabbia, e per poco non svenne per la fitta alla tempia.

Le lampade si spensero di colpo, tutte tranne una, quella alle spalle della ragazza. Rebecca portò le dita alle labbra e gli intimò, con un gesto, di fare silenzio. Poi accadde qualcosa di insolito, qualcosa che gli fece dubitare della sua sanità mentale o, quantomeno, di trovarsi nella vita reale.

La voce della ragazza divenne fredda e gorgogliante, quasi non appartenesse a lei. Continuò a bisbigliare la stessa parola incomprensibile e a ripetere lo stesso movimento, la versione animata di un giradischi inceppato. Abbandonò la mano sul bancone e poi, di scatto, la riportò alle labbra. Guardò Marco con aria supplichevole. Abbassò nuovamente la mano per poi portarla di nuovo alla bocca, fulminea. Ed ecco ancora lo sguardo supplichevole e spaventato e quella parola incomprensibile gorgogliata in un sibilo.

Marco chiuse gli occhi, canticchiò tra sé e sé la filastrocca che era solito ripetersi nei momenti di panico e si picchiettò la gamba con il dito, per sette volte. Tutto questo solitamente lo calmava e infatti, quando riaprì gli occhi, notò che la stanza era nuovamente illuminata come prima e che Rebecca era tornata a parlare e comportarsi come una persona normale.

Era ancora di fronte a lui, a seno scoperto. Girò attorno al grande bancone e gli andò incontro, avvicinandoglisi furtiva e silenziosa, fiera. Era alta e leggiadra. Lo baciò sulle labbra, premendogli il seno contro il petto. In un riflesso condizionato, l’ingegnere le appoggiò goffamente le braccia sulla schiena e la cinse in un abbraccio impacciato. Quando la ragazza si separò da lui, lasciandogli un rivoletto di saliva lungo il mento, le sue mani ormai fuori dal suo controllo le planarono sul seno e iniziarono a stuzzicare i capezzoli già tumidi.

Si protese in avanti, bramoso di assaggiare quei piccoli doni, quando un colpo di tosse interruppe la magia del momento. Si voltò di scatto; una donna sulla quarantina stava osservando la scena, sdegnata.

Rebecca si scusò, prese immediatamente la chiave e la porse al ragazzo. Dopo averla afferrata timidamente dalle sue mani, Marco si diresse silenziosamente verso le scale. Un paio di secondi e pochi passi dopo, si voltò per osservare la receptionist un’altra volta.

Le due donne non erano più lì. La luce sfarfallò e, dopo aver sospirato, Marco iniziò a salire le scale che l’avrebbero condotto alla camera 17.
 
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PS: ho dimenticato di dire che è una prima stesura, in base a come andrà deciderò se farci un secondo giro per sistemare e raffinare certi passaggi, se non addirittura ampliarli.
Perciò, perdonate qualche ripetizione o piccolo errore di tanto in tanto!
 
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Bene, direi di archiviare questo tentativo come un esperimento fallito. Magari provo a scrivere una storia piĂą realistica.
Qualcuno sa come si chiude il thread o se è necessario chiuderlo?
 
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2.
Marco si trascinò su per le scale, maledicendo l’assenza dell’ascensore. L’emicrania sembrava aver appesantito la valigia, facendole raggiungere almeno il doppio del peso che aveva alla partenza. Superato l’ultimo gradino, si sentì come un atleta che aveva appena completato la maratona. Il vano scale dava su una piccola porta in metallo; la spinse con la spalla e si ritrovò nell’angusto corridoio del primo piano: le pareti, tappezzate con la stessa carta da parati della hall, permettevano a malapena il passaggio di due persone contemporaneamente.

L’ingegnere seguì i numeri incisi sulle targhette delle porte; superò l’uno, il due e anche il tre, svoltò a destra per raggiungere i successivi ma si dovette fermare subito perché una donna, poteva avere trenta o trentacinque anni al massimo, gli sbarrava il cammino.

Strabuzzò gli occhi alla vista di quella bellezza, di quel corpo vestito solamente di un completo intimo nero in pizzo e di una vestaglietta, anch’essa color del corvo, che più che un indumento sembrava un insieme di buchi tenuti su da qualche filo. Intravide i capezzoli attraverso il tessuto; lo chiamavano, lo desideravano. Lei lo fissò, decisa a non spostarsi dalla sua traiettoria. Esibì uno sguardo dolce e sensuale, ma tutto ciò che il ragazzo riuscì a percepire fu un profondo senso di perdizione e inquietudine. Gli occhi della donna, a prima vista vivaci ed espressivi, gli si rivelarono in realtà freddi e apatici; il sorriso, finto come un artefatto costruito apposta per mascherare la realtà, più che ammaliarlo riuscì solamente a metterlo a disagio.

Marco domandò permesso, ma quella non si mosse da lì, con le gambe divaricate e i piedi ben piantati a terra, al centro del corridoio.

- “Sei quello nuovo! Molto carino, davvero molto. Se avrai ancora delle energie quando lei avrà finito con te, passa a trovarmi, alloggio un paio di camere più in là, al numero quindici… oppure potrei trovarti prima io!” scherzò seriosa, ostentando una risata che nulla aveva di coinvolgente.

- “Quando lei avrà finito con me? Chi sarebbe lei?”, domandò l’ingegnere, dubbioso.

La donna gongolò, ancheggiando leggermente e mostrando le curve.

- “Sta’ attento a non farti sciupare troppo. Dopo di lei ci sono io, ricordalo!”.

Gli stampò un bacio sulla guancia lasciandogli l’orma sbiadita del rossetto e si avviò verso la camera numero quindici. Inebetito, Marco non riuscì a far altro che fissarla senza esprimere emozione, asciugandosi le mani sudate sui calzoni, poi la luce improvvisamente si spense e il corridoio fu ingurgitato dall’oscurità.

- “Dovrebbero co… controllare l’impianto elettrico, eh, signorina… Signorina? Signora? Come si chiama? Capita spesso che la luce vada via così all’improvviso?”

Quando la domanda incontrò la sua fine, le lampade tornarono in vita e illuminarono il corridoio. La donna era sparita.

Le persone di quest’albergo hanno il brutto vizio di correre via di fretta.

Archiviò la faccenda bizzarra e si ripromise di ragionarci a mente serena, non prima però di aver fatto una doccia calda ed essersi concesso un analgesico: il dolore stava diventando insopportabile.

Raggiunse la stanza e girò la chiave nella toppa; l’ingresso lo accolse con una folata d’aria gelida. Accese la luce ed entrò in quella che sarebbe stata la sua casa per le due settimane successive, abbandonò la valigia subito oltre la soglia e richiuse la porta alle sue spalle.

La camera era dotata appena dell’indispensabile: una classica stanza d’albergo asettica, priva di qualsiasi calore umano. Non c’era nessun quadro ad abbellire le pareti, né delle tende vivaci alle finestre o un televisore con cui tenersi ormeggiato al mondo esterno ed evitare di lasciarsi andare alla deriva. Tutto, lì dentro, era dozzinale: un paio di sedie traballanti, un insulso copriletto da quattro soldi, un anonimo armadio a due ante e un’ancor più anonima scrivania scheggiata lungo i bordi. Rimosse i vestiti e li poggiò sulla sedia, fissando per qualche secondo il grande telefono a cornetta, interamente colorato di rosso, che riposava sul tavolo.

La doccia fu corroborante, ma non riuscì a cancellare l’emicrania. Si asciugò, indossò il pigiama, ingerì l’analgesico e, recuperato un vecchio libro dalla valigia, iniziò a leggere senza particolare convinzione. La luce iniziò presto a comunicare in linguaggio Morse. Un tuono improvviso gli fece balzare il cuore in gola; la lampada entrò in sciopero e scagliò la camera nell’abisso dell’oscurità. Marco chiuse gli occhi, poggiò il libro sul comodino e si sdraiò, snervato, insultando mentalmente quegli incompetenti strapagati del servizio elettrico. Aspettò pazientemente che la corrente elettrica tornasse, riflettendo sull’importante riunione cui doveva partecipare e ripetendo a memoria il discorso che aveva diligentemente preparato, ma uno strano rumore, simile a un ràschio sordo, richiamò la sua attenzione.

Aprì il cassetto del comodino, alla ricerca di una torcia; la trovò, provò ad accenderla, ma quella decise di restare muta. Lanciò un’imprecazione e decise di cercare al buio la fonte di quello strano rumore: sembrava provenire da sotto il letto. Si chinò e spostò il copriletto per osservare la classica tana del mostro, ma non vide nulla che potesse causare quell’inquietante e fastidioso raschiare. Tastò il pavimento con la mano, quando una fitta lacerante gli esplose nel cervello. Si accovacciò a terra, chiuse gli occhi e iniziò a divincolarsi, gemendo. Sentì qualcosa di gelido accarezzargli il torace e proseguire, lento ma inesorabile, verso il collo.

Cercò di allontanare l’orrenda sensazione mulinando le braccia; incredibilmente parve funzionare: la fitta sparì di colpo e la luce ritornò nella stanza, ma non da sola. Di fronte a lui c’era Rebecca, la receptionist.

- “Co… come sei entrata?”

La ragazza non rispose, si limitò a osservarlo disteso a terra, quasi fosse una cosa normale sorprendere una persona in quello stato. Marco era confuso e agitato, non sapeva se essere adirato per quella violazione della sua privacy o contento, poiché era la prima volta che una ragazza in carne ed ossa entrava, di sua volontà, nella sua camera. Si rialzò, il cuore gli pulsava forte nelle tempie ma si sedette sul letto e cercò di calmarsi, regolando il respiro.

Rebecca gli si avvicinò silenziosamente, seguendo il ritmo lento ma coinvolgente di una ninna nanna che suonava nella sua mente e che, per qualche strano motivo, anche Marco riusciva appena a percepire nei recessi della memoria.

A pochi centimetri di distanza, con un cenno, gli fece capire che era arrivata l’ora di abbandonare i vestiti, che poteva finalmente liberare il suo desiderio di carnalità.

- “Sei… vuoi che io…”

- “Non parlare, spogliati!”, gli rispose decisa in un fil di voce.

Marco, eccitato per quello che stava per succedere, dimenticò istantaneamente il panico e il dolore provato pochi secondi prima e si tolse il pigiama; rimase in mutande, con una vigorosa erezione che faceva capolino sotto il tessuto. Aiutò la ragazza a rimuovere gli indumenti, le sbottonò e sfilò la blusa. Come già gli aveva mostrato nella hall, lei non indossava nulla sotto la giacca da lavoro. I capezzoli, rosei e ansimanti, erano ritti e richiamavano le sue labbra.

Cercò di capire quale fosse il passo successivo, le cinse i fianchi con le dita grassocce e sudate per l’emozione e le abbassò i pantaloni. Quasi non si stupì del fatto che, anche lì, la ragazza aveva deciso di non indossare l’intimo. Un piccolo ciuffetto color del faggio le sormontava la fica, ipnotizzandolo. Becca gli rivolse degli sguardi languidi, avvicinando ancor di più il viso al suo e stuzzicandogli la punta del naso con il proprio. Ansimò e si passò le dita tra i corti capelli castani, per redarguire un paio di ciocche ribelli e riportarle al loro posto.

Gli poggiò le mani sulle spalle, gli spinse la schiena contro il materasso e decise di sedersi su di lui; iniziò quindi a muoversi ritmicamente, massaggiandogli per qualche secondo il cazzo ancora nascosto dalle mutande.

- “Forse dovresti toglierle…”

Non aspettò che le rispondesse. Becca infilò le mani, gelide, dentro le mutande dell’ingegnere; quel tocco freddo sulla pelle calda lo fece sussultare. Marco percepì le dita della ragazza sostare in prossimità del suo cazzo e accarezzare una zona sensibile del pube, muoversi delicatamente lungo l’inguine e solleticargli i testicoli. Provò un brivido di piacere sfrecciargli verso il cuore l’istante in cui i polpastrelli sfiorarono l’asta e cercò, con tutte le sue forze, di non eiaculare ancor prima che tutto potesse avere inizio.

La receptionist gli sfilò gli slip e li lasciò cadere sul pavimento; osservò per qualche secondo l’erezione e continuò ciò che prima aveva interrotto. Gli accarezzò il cazzo dapprima con le mani, poi con la fica umida; si mosse ritmicamente, seguendo una canzone maledetta che risuonava nel suo cervello come una salmodia all’interno di una chiesa sconsacrata.

Evitò per un po’ di farlo entrare in lei, lo voleva cucinare a fuoco lento. Gli affondò le unghie sui pettorali flaccidi, causandogli un accenno di dolore. Marco resistette, stoicamente, e cercò di abbandonarsi a quella situazione insolita, a godere appieno di un’esperienza che tanto a lungo aveva sperato di poter vivere.

Provò ad avvicinare le labbra al seno della ragazza ma cambiò subito direzione, dirigendosi verso la bocca. Lei dapprima si ritrasse, poi decise di accontentarlo e lo baciò. Durò un secondo, ma gli parve di navigare nell’eternità.

Al risveglio da quel bacio, vide la luce di due fanali riflettersi nelle iridi verdi della receptionist. Sentì freddo, fu avvolto da un guanto gelido che gli premeva contro le viscere; avvertì le gocce di pioggia tamburellargli la pelle e martellargli il cranio. Chiuse gli occhi e scrollò il capo, bisbigliando la solita filastrocca, cercando di allontanare quell’allucinazione e di concentrarsi su Becca.

La ragazza si bloccò per qualche secondo, indecisa se continuare o no. Si accarezzò la cicatrice alla base del collo e una lacrima le rigò la guancia. Decise quindi di proseguire, di concedere al ragazzo la possibilità di proclamare la sua emancipazione dalla verginità. Marco stava per chiederle qualcosa, ma lei non gli permise di dar voce al pensiero che gli aveva appena letto nella mente.

- “No, non rischi di mettermi incinta.”

Gli afferrò il cazzo, inumidito abbondantemente dal succo che aveva generato, allargò le gambe e lo guidò dento di lei. Le mani dell’ingegnere si poggiarono sul seno della sua partner e ne stuzzicarono meccanicamente i capezzoli, seguendo istinti mai conosciuti e al contempo familiari. Il suo corpo si muoveva da solo poiché sensi e intelletto erano entrambi rivolti alla magnifica sensazione di avere il pene dentro una fica calda e umida.

Il tutto fu abbastanza veloce, pochi colpi ben assestati e il seme fuoriuscì copioso nella vagina della giovane. Becca rabbrividì di piacere e si sentì rinvigorita; Marco, al contrario, fu invaso da uno strano torpore. La guardò negli occhi e si addormentò di colpo, nudo ed esausto.

La receptionist estrasse il cazzo ormai flaccido dalla fica, si rivestì e uscì dalla stanza. Lei se ne sarebbe accorta? In cuor suo sperava di no. Sapeva di aver infranto le regole, ma non aveva scelta. Si diresse verso la sua camera, al terzo piano, quando un urlo silenzioso le lacerò l’animo e la costrinse a piegarsi in due per l’angoscia, la rabbia e la disperazione: lei l’aveva saputo.
 

Grandel

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Jerusalem’s Lot
La voglia e la curiosità del terzo capitolo ci sono...un racconto molto diverso da tutti quelli qui presenti è già questo non è poco...
Quell’hotel sorprende come sorprende Rebecca e le altre Donne finora citate.
Non lasciare mai a metà un’opera, sia quando la scrivi e sia quando la leggi. Buon proseguimento
 
OP
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Buonasera Grandel e grazie. Sono molto, molto indeciso se continuare a pubblicare su questo sito o no.

Non sono un maestro né un professionista, ma sinceramente rode parecchio spendere tempo e fatica a creare personaggi, relative personalità e back story, trama sensata e timeline, per poi vedere un altro racconto fare in un paio d'ore il triplo delle visualizzazioni, dei like e dei commenti raggiunti a fatica in due capitoli (e ti lascio immaginare lo stile di tale racconto... è più credibile il mio pur essendo taggato come racconto di fantasia).

Quindi boh, sto valutando...
 

Shamoan

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Che dire, ogni tanto un racconto diverso dal solito ci sta.
Inoltre è ben scritto, suscita interesse e curiosità, trasmette ciò che la tua mentre elabora, per cui direi che hai fatto centro.
Non star li ad arrovellarti il cervello, purtroppo qui la maggior parte degli utenti è affamata di "racconti reali" che di reale ha ben poco ed un racconto di pura fantasia viene sempre messo in secondo piano.
Rimango in attesa dei capitoli successivi ;)
 

timassaggio

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Buonasera Grandel e grazie. Sono molto, molto indeciso se continuare a pubblicare su questo sito o no.

Non sono un maestro né un professionista, ma sinceramente rode parecchio spendere tempo e fatica a creare personaggi, relative personalità e back story, trama sensata e timeline, per poi vedere un altro racconto fare in un paio d'ore il triplo delle visualizzazioni, dei like e dei commenti raggiunti a fatica in due capitoli (e ti lascio immaginare lo stile di tale racconto... è più credibile il mio pur essendo taggato come racconto di fantasia).

Quindi boh, sto valutando...
...e nun te fa' prega'... sibbono... 🤗
 

Shamoan

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Ma si infatti, che ti frega, anch'io ho avuto pochissimi riscontri con il mio racconto sulla mia prima esperienza con una Milf, ma se in un primo momento ho avuto un attimo di sconforto, i pochi commenti delle persone giuste mi hanno spinto a scrivere ancora senza curarmi di chi vuole solo prestazioni fantasmagoriche e storie al limite della realtĂ .
 
OP
nomdeplume

nomdeplume

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Grazie per i complimenti, ma sono arrivato alla conclusione che pubblicare qui è solo uno sforzo inutile.
Non voglio limitare i miei capitoli a non superare un certo numero di caratteri o al fatto che ognuno di essi debba contenere almeno una scena di sesso spinto, altrimenti non verranno letti (che poi vabbè, non vengono letti ugualmente, ma è un altro paio di maniche).
Soprattutto, non mi va di demoralizzarmi e pensare di non essere portato per la scrittura.

Io so scrivere, cazzo! Certo, ho ancora molto da imparare e devo sicuramente migliorare, ma continuare a pubblicare su questa merda di sito (@PhicaMaster sì, è una merda di sito) non è d'aiuto.

Io avvio la procedura di autodistruzione del profilo.
Sto sito mi sta facendo venire la nausea.
 

Shamoan

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Non voglio limitare i miei capitoli a non superare un certo numero di caratteri o al fatto che ognuno di essi debba contenere almeno una scena di sesso spinto, altrimenti non verranno letti (che poi vabbè, non vengono letti ugualmente, ma è un altro paio di maniche).
Soprattutto, non mi va di demoralizzarmi e pensare di non essere portato per la scrittura.

Io so scrivere, cazzo! Certo, ho ancora molto da imparare e devo sicuramente migliorare, ma continuare a pubblicare su questa merda di sito (@PhicaMaster sì, è una merda di sito) non è d'aiuto.

Io avvio la procedura di autodistruzione del profilo.
Sto sito mi sta facendo venire la nausea.
Se la metti così, ti dico che il sito sarà anche di merda, ma tutti quelli che hanno apprezzato la tua storia ed il tuo modo di scrivere si sentiranno offesi da questa tua sortita.
Ti stai ponendo allo stesso livello di chi stai disprezzando, facendo di tutta l'erba un fascio.
Dichiari di "saper scrivere", ma lo vedo semplicemente come un atto di auto convinzione, se permetti, a giudicare la tua esposizione dovrebbe essere chi realmente sa scrivere e sicuramente lo sa fare meglio di te.
Che poi tu non abbia piĂą voglia e stimolo per farlo non giustifica questo tuo comportamento infantile.
Detto ciò, visto che sei tanto convinto di "saper scrivere", attendo la pubblicazione da parte di qualche grossa casa editrice di un tuo "best seller", chissà che non mi verrà la voglia di comperare il tuo libro, ma probabilmente anche no...
 

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Non voglio limitare i miei capitoli a non superare un certo numero di caratteri o al fatto che ognuno di essi debba contenere almeno una scena di sesso spinto, altrimenti non verranno letti (che poi vabbè, non vengono letti ugualmente, ma è un altro paio di maniche).
Soprattutto, non mi va di demoralizzarmi e pensare di non essere portato per la scrittura.

Io so scrivere, cazzo! Certo, ho ancora molto da imparare e devo sicuramente migliorare, ma continuare a pubblicare su questa merda di sito (@PhicaMaster sì, è una merda di sito) non è d'aiuto.

Io avvio la procedura di autodistruzione del profilo.
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Atteggiamento sbagliato.
Pur comprendendo il tuo sfogo, non ne condivido lo scopo né l’utilità.
Ma “uniquique suum” e quindi, va bene così.
Per inciso, da dove deriva il limite dei caratteri nei post? Ho postato racconti di decine di cartelle word senza problemi…
 

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