Esperienza reale C. e quindici anni di un legame indissolubile

Xerbo

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Non so perché ora, non so forse neanche perché e basta. Ma oggi è il giorno in cui passo dall'altra parte della barricata e per un momento smetto di leggere e inizio a scrivere.

- Preludio -

Sono J. ho 35 anni e nella vita sono un imprenditore, con tante e variegate passioni. Alcune delle quali mi hanno portato ad avere un trascorso di vita piuttosto variopinto, fatto di molti cambi di rotta, di tanti sbagli e delusioni, di altrettanti traguardi e di poche ma veramente poche costanti. Una delle quali però è sempre stata C.
Io e C. ci conosciamo da quando muovevamo i passi in questo mondo a gattoni. Il titolo rimanda invece all'arco di tempo in cui le cose hanno preso una piega molto più profonda e abbiamo finito per essere indissolubilmente legati.

Con tutta probabilità visto il tempo risicato questo primo post sarà soltanto un mero preludio, fatto di dettagli e informazioni per portarvi, se lo vorrete, alle porte del racconto vero e proprio che tenterà di coprire tutto l'arco temporale nella maniera più lineare possibile. Regolarmente, infatti, mi occupo anche di scrittura (pur sempre di bassa caratura, sia chiaro) e pertanto quasi tutte le mie energie in questo settore vanno per quello che mi porta un'entrata extra. Da estimatore del pensiero razionale cercherò comunque di mantenere una tabella di marcia quanto più regolare possibile.

Nella vita io e C. non siamo sposati, non saprei neanche azzardare se abbiamo mai avuto una vera relazione nel senso canonico del termine. Ma nella vita io e C. ci siamo amati, ci amiamo e ci ameremo. Lei è quella persona che trascende le etichette e tutto ciò che è iscrivibile in una casellina del grande e vasto disegno del mondo. Lei è, si può dire da tutta una vita, il mio punto di riferimento, il cancello di casa mia, la tazza preferita della colazione, quel punto laggiù in un paesaggio quotidiano a cui guardi sempre seppure tu ci passi dinanzi ogni giorno.
Io e C. nel corso degli anni siamo stati molte cose, e nessuna cosa. E questo racconto vuole avere la grande ambizione di potere mettere per iscritto almeno una parte di questa magia, di questa eccezionalità.
La sola premessa che voglio fare è che, pensando si sia capita la natura del racconto, saranno presenti varie sfacettature di quello che si può considerare un racconto erotico. Ci saranno molte parti piccanti, molto erotismo, ci saranno parti più sentimentali, ci saranno parti quasi puramente descrittive o argomentative e il filo conduttore di tutto questo sarà sempre la visione d'insieme: ovvero come tutte queste varie facce della medaglia hanno, col tempo, finito per disegnare un legame non ascrivibile in niente di standardizzabile.

Sono un grande amante del descrittivismo e dei particolari, in ogni aspetto della mia vita. E questa cosa si ripercuoterà inevitabilmente anche nel racconto. Come aggiunta a questa mia inclinazione, ho una memoria fotografica e una memoria di rievocazione particolarmente sviluppate che mi aiutano enormemente ad alimentare la mia inclinazione.

E a proposito di descrizioni, chiuderei questo primo abbozzo con dare qualche informazione in più su di me, e su di C. Ovviamente, con molta più attenzione a lei.
Sono castano, sia di capelli sia di occhi, un metro e novanta scarso. Sempre avuto un fisico tendente all'abbondante e tenuto a freno dalla mia passione per lo sport e per le camminate. Non mi sono mai impegnato a scolpire seriamente la mia fisicità e neppure l'ho mai lasciata allo sbando. Ho la propensione a definire molto in fretta la parte alta del corpo e le gambe, mentre l'addome anche complice la mia passione per il vino non è mai stato il mio punto forte. Di grazia alla mia altezza e alla stazza ho da sempre fatto buona impressione nonostante i saltuari chiletti di troppo.
Ho una barba folta e nel corso degli anni ho portato i più svariati tagli di capelli, dalle grandi lunghezze a delle rasature complete. Ho la pelle chiara, non mi depilo anche perché non sono eccessivamente peloso, il giusto per un uomo ritengo. Vesto quasi sempre elegante, sia per piacere personale che per esigenze di lavoro.

C. è bellissima. Volendo essere un po' più specifico, è castana anche lei di una tinta più tenue rispetto a me, di un leggero mosso naturale. Non ricordo abbia mai tagliato davvero i capelli, che porta lunghi fino al sedere. Oltre il metro e settanta, con un fisico slanciato e longilineo che però non dimentica le giuste forme. Ha occhi grandi, di un castano chiarissimo che d'estate sfuma verso qualche riflesso verde. Ha le fossette sulle guance e un sorriso simmetrico e ancora oggi di un bianco latte. A proposito di fossette, ha pronunciate anche le fossette di venere che delimitano come colonne d'Ercole una schiena sinuosa con uno dei pochi nei che ha sul corpo, nel lato sinistro. Il suo incarnato è candido, ma ha la fortuna di essere molto predisposta ad imbrunire col sole in maniera docile pertanto per buona parte dell'anno ha un colorito leggermente più marcato che le dona tantissimo. Ha le mani affusolate, con dita sottili e curate, solitamente non si fa le unghie che preferisce naturali. Porta una seconda abbondante di seno, di un'avvolgente forma piena, tondeggiante, che sul suo fisico slanciato risaltano moltissimo con areole piccole e capezzoli pronunciati di un caldo rosa che puntano leggermente all'insù. Complice anche l'enorme quantità di esercizio fisico che fa ha un sedere alto e molto sodo che completa benissimo il quadro che si delinea guardandola a partire dalle caviglie, esili e graziate, salendo per quelle gambe lunghe e toniche.
Non è un'amante del trucco, seppur molte volte per necessità lo porti. E quando lo fa, riesce a restare sempre molto naturale. Ha una capacità innata di vestire sempre bene, spazia molto tra gli stili e le mode anche se la sua assoluta preferenza è il vintage, il retrò. I tacchi li porta di rado e in genere per via di qualche occasione, il reggiseno invece non lo porta tranne in eventi eccezionali. Ama le calze, le gonne ma non le mini e gli intimi ricercati e sofisticati.

Questo racconto è per me, prima ancora che per voi. Ma spero possa risultare il qualche modo godibile almeno a cinque di voi (la modestia ce l'aveva pure Manzoni, non vedo perché debba mancare proprio a me!)
Il prossimo capitolo sarà il vero inizio dei fatti narrati, di come in qualche modo tutto era iniziato (anche se come detto, non fu mai un vero inizio conoscendoci noi da sempre) o meglio di come, a guardarmi indietro, noi eravamo diventati un qualcosa di indissolubile.
Per essere arrivati fin qui, grazie.
J.
 
OP
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Xerbo

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- Capitolo I -

L'inizio dell'inizio.
Io e C. siamo cresciuti, come già detto nel preludio, insieme pertanto non viene difficile pensare che situazioni intriganti o velatamente erotiche vi siano stati molteplici volte nel corso degli anni. Eppure fino a un certo punto niente è mai stato letto con quel tipo di chiave di lettura, né mai dopo si è più potuto fare a meno di eliminare quella componente intima creatasi.

L'inizio dell'inizio risale ad una sera come tante di quindici anni orsono.
Non di rado all'epoca C. ed io uscivamo con compagnie diverse, senza contare i periodi in cui uno dei due o entrambi eravamo legati sentimentalmente a qualcuno. E sempre non di rado le nostre serate finivano con l'uno a casa dell'altra o viceversa.

Quella sera io ero uscito con due amici, fratelli, di vecchia data trasferitisi da poco per farmi raccontare come andavano le cose nella loro nuova città. Un paio di birre vicino casa e il tempo che fluiva leggero. C. era andata a una serata d'arte invitata da un suo conoscente dichiaratamente interessato a lei verso cui lei però nutriva qualche perplessità.

A., uno dei fratelli si era appena allontanato per andare al bagno prima di prepararci a saldare il conto e andarcene quando mi arriva una telefonata da C.:
"J. che fai? Sei nei dintorni?"
"Hey C., sono al Puledro Impennato (nome di fantasia ovviamente). Stavo letteralmente per andarmene quando hai chiamato. La tua serata?"
"Strana. L'esibizione bella, molto. Il pubblico fuori luogo, V. (Il tizio che l'aveva invitata) fuori luogo. Ho finito per sentirmi fuori luogo anche io."
"Tu non saresti fuori luogo nemmeno se fossi una virgola in una poesia futurista."
"Oh in quel caso SÌ che sarei fuori luogo! Comunque è tutta la sera che mi sento così. Passi da me? Ho bisogno di sentirmi un po' me stessa"
"Arrivo, ti porto qualcosa?"
"No, sono appena rientrata. Mi tolgo le scarpe e preparo due gin. Quando arrivi sali, sono al primo"

C. viveva sola, in una piccola casetta a due piani, dove il primo piano era a una rampa di scale dal livello della strada. Per lei dirmi "sono al primo" significava dirmi che era nell'appartamento di sotto dei due.
La telefonata, i modi e l'invito a casa facevano parte della nostra quotidianità e non vi era niente di lontanamente romantico in ciò. Decine di serate erano iniziate e finite così.

Tempo di congedarmi dai miei amici e salgo in macchina per percorrere il breve tragitto fino a casa sua. Parcheggio dinanzi al portone, suono al citofono e spingo la maniglia: il solito vizio di C. di lasciare aperto se sa che deve arrivare qualcuno.
Tiro un urlo "C. sono io!" Mentre salgo le scale a passo veloce. Mi arriva nelle orecchie una leggera musica jazz, a volume troppo basso per i miei gusti.

Arrivo nel corridoio che porta alla zona giorno dell'appartamento e trovo C. con un bicchiere in mano davanti allo specchio ovale (C. ha letteralmente una collezione di specchi, non saprei dire quanti con esattezza ma penso almeno una quindicina di grandi dimensioni più vari specchietti disseminati per tutta casa).

"Sai che fa schifo sentirsi nel posto sbagliato anche se sai di essere in quello giusto?"
"Io conosco solo posti sbagliati, e casa tua." Le dico mentre la abbraccio da dietro e la bacio sulla guancia.
"E comunque sei troppo bella per finire in un posto sbagliato" concludo.
"Questo è tuo" mi dice porgendomi il bicchiere.

Ringrazio, prendo il gin e la seguo mentre va verso il salotto. Ha un vestito marroncino che le lascia scoperta la parte alta della schiena tra le scapole. Corto sopra in ginocchio, stretto ma non fasciante. Le fa risaltare il culo e i suoi capelli sono bellissimi. Li porta sciolti e a fine serata sono appena appena ribelli.

Ci sediamo sul divano e brindiamo in silenzio sbattendo i bicchieri tra loro. La musica qui è piacevole, abbastanza alta da sentirla distintamente, non troppo da rendere difficile ascoltarsi.
Mi racconta di come mai ha questa sensazione di stranezza stasera, parliamo dell'esibizione artistica (erano figuranti che interagivano col pubblico creando una storia narrata da una voce fuori campo), mi racconta dei comportamenti di V.
Ironizzo su di lui. Io nella vita so fare bene tre cose: ironizzare, scrivere e amare. E sulle ultime due sono ironico.
Mi dice di come lui abbia mantenuto un profilo discreto per buona parte della serata per poi farsi molto più insistente verso la fine ed averla pregata più volte di rincasare insieme.
"Ha qualcosa di interessante, non lo nego, però stasera forse ho capito che non mi interessa davvero scoprirlo. Mi ha chiesto di andare da lui e io riuscivo solo a pensare a quello che ti ho detto al telefono e a casa mia. A levarmi le scarpe e liberarmi di questa serata"
"E lui a levarti molto più delle scarpe, visioni diverse portano inevitabilmente a un conflitto. Come l'ha presa?"
"Male?"
"È una domanda o decido io?"
"È che non lo so, mi stavo concentrando sul fuori luogo. Penso ci sia rimasto male"

Stiamo in silenzio per un po', bevendo qualche sorso e ascoltando la musica.
"Ora stai meglio? Passata la sensazione di non essere dove volevi essere?"
"Molto meglio. In realtà ero dove volevo ma mi sembrava che non quadrasse qualcosa. Ora sta passando questa sensazione"
Appoggia la testa sulla mia spalla.
"Ci è rimasto male di sicuro, mi ha dato l'impressione che si aspettasse che andassi via con lui."
"Triste e solo a riflettere sul senso della vita e di ciò che gli è sfuggito tra le mani"
"Meno ironia che qui triste e sola ci sono anche io!"
"Ah non sapevo di essere intangibile come un fantasma!"
"Sessualmente triste e sola"
"Sessualmente intangibile, era meglio il fantasma!"

Scherzare su queste cose era da sempre la prassi, non erano mancate negli anni situazioni imbarazzanti, nudità, discorsi a profusione sulla sfera sessuale, battute piccanti e sfottò ambo i lati. Soltanto che quella sera, senza un motivo apparente qualcosa era diverso. Come un quadro che sta appeso una vita e poi, d'un tratto, cade giù diceva Baricco.

"Mi manca un po' di intimità come si deve. Forse è per questo che stasera ho rifiutato, troppa necessità non fa mai bene."
"Suona tanto come scusa. Addirittura siamo al troppa?"
"Era per dire."
"Certo, e infatti l'hai detto"

Scosta la testa, mi guarda mentre i capelli le ricadono sul viso.
"Come se non sapessi cosa significa"
"Lo so benissimo, quasi ci convivo. Non sai la fatica di vivere nella troppa necessità! Uno strazio trovare il tempo per l'autoerotismo giornaliero per non scavallare nel troppissimo"
"Troppissimo è la parola peggiore che ti ho mai sentito pronunciare"
"Sicuro di averne dette di peggio, molto sicuro"
"Comunque non mi prendere per il culo che fra i due quella disperata sono sempre io"
"Sono sicuro troverai una soluzione"

Ora il suo sguardo ha quella punta di stizza, affettuosa, di quando sto giocando troppo col sarcasmo. Prende il mio bicchiere con un goccio di gin ancora sul fondo:
"Come mandarti a casa presto così posso dedicarmi alle mie per te divertenti necessità"
"Detto così mi sembra più divertente per te."
"Si si continua a sfottere. Domani puoi continuare"
"Comunque stavo finendo di bere... un minuto lo potevi anche aspettare. Non è mai morto nessuno a posticipare un orgasmo"
"Sono convinta un sacco di gente sia morta per meno. Tieni, finisci così sei contento" dice sporgendomi il bicchiere che mi aveva appena tolto dalle mani.

"Magnanima"
"Non lo sarò ancora se non ti sbrighi"
"Se hai così fretta fai pure, io sono intangibile. Come i fantasmi. Asessuati. E morti, soprattutto"

Scoppiamo a ridere. Prima di allora queste battute erano normalissime, ma nel concreto il limite della nostra intimità era stato vederci nudi. Ridiamo a lungo, poi d'un tratto mi guarda fisso:
"Come se davvero fossi capace di restare mentre mi do piacere da sola"
"Nel senso che ritieni non sia interessato a guardare o troppo imbarazzato per farlo?"
"Entrambi" mi fa un sorrisetto "buonanotte J."
"Hai detto che potevo finire di bere prima" dico mentre scambio il mio bicchiere col suo che era appoggiato sul tavolino in vetro. Il suo per metà è intonso.
"Fanculo intendevo il tuo"
Bevo un sorso, le prendo la mano destra che ha appoggiato allo schienale del divano e portandomela vicino al volto la bacio sul dorso.
"Sai che mi piace farti arrabbiare, perdonami" sorrido e aggiungo "i fantasmi sanno essere proprio stronzi"

Mi guarda contrariata ma so che non ce l'ha davvero con me. Mi sopporta da sempre anche per questo mio lato pungente con lei, sa che è fatto con amore da tutta una vita.

"Va bene fantasmino spiritoso finisciti questo bicchiere e fluttua a casa. Vorrei un po' di intimità"
"Più intima che da sola con uno spirito etereo... fai un sacco di storie stasera. Tre sorsi e ti lascio libera di masturbarti"
"Volgare"
"Oggettivo. Toccarti, darti piacere, esplorarti oltre le mutandine. Più delicato?
"Decisamente. Meno chiacchiere e più sorsi così me le posso togliere sul serio 'ste mutandine"
"Mai visto un fantasma trattenere le mutande di nessuno"
"Alla prossima battuta giuro che me le levo così magari la smetti di perdere tempo"
"Un uomo entra in un caffè... splash." Sghignazzo mentre porto il bicchiere alla bocca e tiro un sorso lungo con l'intento di sbrigarmi per davvero a finire.
"Ora finisco, prima che ti tocca fare la dura e dare seguito alle tue minacce"
"Lo vedo che stai bevendo d'un fiato. Chi ha paura dell'imbarazzo delle mie minacce sei tu."

Stavo tirando l'ultimo grande sorso quando mi dice questo. Mi fermo, ancora col bicchiere alle labbra e lascio scivolare il gin che ho in bocca di nuovo nel bicchiere.
"Mannaggia mi sa che il bicchiere è ancora pieno. Vuoi che ti tenga io le mutande mentre ti godi il tuo momento?"
Dico allungando la mano e sorridendo.

Forse un po' ostentato, ma niente di veramente diverso dal nostro modo di essere e di vivere il nostro rapporto fino ad allora. Io che scherzo, insinuo, lancio frecciatine. Lei che non ci sta, risponde, scoccia le sue frecce. Amo la sua intelligenza e la sua sagacia, mi ha sempre stregato l'anima e la mente prima ancora che il cuore. Penso che se avessimo ripetuto questa serata cento volte, le altre novantanove avrei ricevuto una spintarella, un qualche dolce insulto e ci saremmo congedati come di consueto.
La centesima sera, quella sera, invece mi senti rispondere:
"Vediamo se fai ancora lo scemo con questo bicchiere o te ne vai dopo"
E scivolando leggermente dal divano si alzò il vestito quel tanto che bastava per sfilarsi un perizoma nero coi bordi in pizzo molto semplice ma al contempo elegante e sexy oltre l'immaginazione.

Non ebbi il tempo di reagire, di realizzare, che me lo porse in mano appallottolato. Non ero solito restare a corto di parole, ben che meno in una disputa verbale. Se ne rese conto.
"Soddisfatto? Te le regalo se vuoi, così ti ricordi che avevo ragione io su chi sarebbe stato in imbarazzo" disse mentre aveva abbandonato la testa sullo schienale del divano e ancora leggermente abbassata appariva quasi distesa e mi guardava di lato, reclinando la testa.

Fissai la mia mano col suo perizoma stretto tra le mie dita. Era la prima volta che tenevo il suo intimo in mano, posso forse averle sporto un cambio pulito mentre facevamo le valigie insieme? Non ne sarei nemmeno sicuro. Ma di certo non mutande appena indossate.
E anche riguardo alla nudità, mai era stata ricercata. Erano sempre state situazioni normali, di vita vissuta.
Così come era appoggiata al divano nulla mostrava di più dello stacco delle gambe che fuoriuscivano dal vestito ma entrambi sapevamo che quella era una nudità voluta e cercata. Scelta.

"Wow, finalmente un regalo diverso dal solito! Mi stavano iniziando a stufare i libri con dedica (siamo due lettori assidui e ci siamo regalati una miriade di libri, molti dei quali con dediche, appunti e pensieri)"
"Pensavo avessi perso la lingua, invece riesci ancora fare le tue battutine, sai parlare!"
"Quanto sarcasmo per una che mi ha appena regalato le sue mutandine!"

Si gira completamente verso di me,sempre abbandonata sul divano. Io seduto normalmente risulto di un paio di spanne più in alto di lei.
"Non te lo aspettavi, ammettilo"
"No, sincero. Proprio no, mi hai stordito per una frazione di secondo. E quando me le hai date pensavo volessi sul serio iniziare a toccarti siccome non me ne stavo andando"
"E te ne saresti andato?"
"Soltanto se me lo avessi chiesto seriamente"

Anche io mi volto verso di lei, giocando col bicchiere ruotandolo e facendo scorrere in senso circolare il poco gin rimasto.

C. allunga una mano, accarezza la mia che stringe il bicchiere. Poi lo prende e portandolo alla bocca lo beve tutto d'un fiato. Quello stesso gin che avevo fatto riscivolare nel bicchiere poco prima per la mia stupida battuta.
"Quanto tempo è che non dividiamo un drink?"
"A occhio e croce dalla terzo liceo, credo, spero."
"Mi è sempre piaciuto condividere le cose con te"
"Puoi stare attenta a quello che dici? Almeno finché ho le tue mutande in mano"

Non ho pensato nemmeno per un secondo a quanto fosse diverso dal solito tutto ciò. Per me C. era (e ancor è) sempre stata sinonimo di casa, di genuinità, di sentirsi al sicuro. E per quanto nuovo e diverso era quel momento al momento di viverlo mi parve semplicemente normale, come tutto con lei.

"Quanto vuoi ancora ricamare con le battute sulle mutande? Riprenditi, solo perché ti ho stupito! Se avessi fatto sul serio e mi fossi davvero toccata allora? Che avresti fatto?"
"Ti avrei chiesto di continuare"
"Scemo. Tu e le tue battute"
"Ma io non stavo scherzando" le dico prendendole il bicchiere di mano. E posandolo sul tavolino passo le mutande da una mano all'altra, per poi portarle alla mia tasca e infilarle.
"Non stavo scherzando, vorrei davvero che provassi piacere ora. Farebbe stare bene anche me"
"J. perché devi vincere sempre tu a parole?"
"Perché è l'unica cosa dove sono più bravo di te, lasciamela"

La mia mano le accarezzò il viso, mi insinuai fra i suoi folti capelli fino a lambirle il collo con le dita.
"Ti senti fuori luogo adesso?"
"Con te mai"
E mentre lo diceva le sue mani tiravano su il vestito fino all'ombelico lasciandola nuda davanti a me.
Io però stavo guardando i suoi occhi, che incontravano i miei.
La sua mano destra mi sfiorò il volto, passò sulle mie labbra. Poi si staccò. Un attimo dopo era tra le sue cosce.

Sentii lo scalino del primo respiro lungo quando finalmente incontrò il suo sesso, dopo un'attesa che dovette sembrarle infinita.
Si masturbava delicatamente, sentivo la spalla muoversi in maniera armoniosa e dettare il ritmo alla mano.
Era sicuramente bagnatisissima, potevo percepire distintamente i suoni che emetteva toccandosi.
Andava avanti così, ritmicamente e il fiato le si faceva via via più corto.
Le tirai la testa in avanti, fino ad appoggiare la sua fronte alla mia.
"Scusami se ci ho messo troppo a finire di bere" le dissi dopo un silenzio lungo tutta la masturbazione.
"Non hai manco finito, ci ho dovuto pensare io" mi rispose con il fiato corto
"Hai ragione. Mi merito lo stesso di poterti guardare mentre concludi?"
"Sì, solo che da sola ci metto sempre tanto"

A quelle parole come d'istinto lasciai la presa al collo e feci scorrere la mia mano lungo la sua spalla, giù fino al polso. Le accarezzai il dorso della mano con cui si stava toccando e la forzai a fare un po' più di forza contro il clitoride.
Emise un piccolo gemito, spingi la mia fronte contro la sua mentre la mia mano continuando ad accarezzare la sua scendeva di più fino a permettermi di penetrarla prima col medio, poi anche con l'indice.
Era un lago. Mi accorsi che per tutto il tempo si era solo toccata il clitoride e le pareti esterne. Ma a giudicare dalla reazione anche internamente le piaceva molto. Forse semplicemente non era avvezza a farlo.
Massaggiai con polso la sua vagina, di tanto in tanto spingendo le mie dita quanto più in fondo la posizione mi permetteva.
Lei con la sua mano stretta tra la mia e il suo pube continuava a toccarsi il clitoride con piccoli movimenti decisi.
Piantò la sua testa nell'incavo tra il divano e la mia testa e dopo qualche secondo venne copiamente con soffusi gemiti strozzati: si stava mordendo le labbra.
"Fammi sentire che godi, mi piace quando stai bene"
A quelle parole schiuse le labbra e si lasciò andare negli ultimi gemiti senza freni.

Ci abbandonammo sul divano. La mia mano fradicia di umori che accarezzava la sua adagiata sulla coscia. Per la prima volta mi girai a guardare le nostre mani vedendo così il suo pube, scorgendo la sua figa lucida di umori sotto la luce tenue delle lampade. Ordinata, quasi senza peli, la pelle chiara. Un corpo meraviglioso in tutti i dettagli che scorgevo.

Accavallò le gambe portando quella lontana sulle mie. Facendolo il suo ginocchio mi sfiorò il cazzo che mi era diventato durissimo già quando mi aveva sfidato dandomi le mutande e che da allora non aveva smesso di manifestare apprezzamento.
Se ne accorse e mi sorrise.

"Stai meglio ora?"
"Sì. Te l'ho detto che mi piace condividere le cose con te"

Le baciai la fronte. Sorrisi, col cuore e con l'anima. Dormimmo sul divano quella notte, così, raggomitolati. Io con le sue mutande in tasca e lei con le sue cosce nude sulle mie gambe.
Le teste appoggiate. La mia mano a tenerla per il braccio.
 

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