metzenbaum
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Era la sera del lunedì di Pasqua quando nostro padre, non senza una certa… reticenza, dopo cena ci comunicò che dovevamo lasciare la città.
Io e mia sorella Claudia ci guardammo terrorizzati, poi guardammo lui, sempre più teso, e poi mamma, che sembrava sull’orlo delle lacrime.
“Ma… ancora? Perché?” riuscii solo a chiedere spezzando il silenzio pesante che era calato, ma lui tagliò corto.
“Sentite ragazzi” cominciò, “non ho voglia di… dare spiegazioni, conoscete il mio lavoro e sapevate che mi potevano trasferire, da un momento all’altro, non è la prima volta, e forse… non sarà anche l’ultima”
Non era incazzato con noi, era solo… scocciato di doversi giustificare, o forse era talmente affranto da quello che ci aveva appena detto che stava alzando lo scudo.
Sapeva perfettamente che cosa voleva dire per noi cambiare casa, cambiare città, passare un colpo di spugna sulle nostre amicizie, sulle relazioni, sulla scuola, sulle abitudini.
L’ultima volta che ci eravamo trasferiti io frequentavo la terza elementare e per me non era stato particolarmente difficile, Claudia è tre anni più grande di me ed era alle medie, e ne aveva sofferto di più perché le sue amicizie erano ben più durature rispetto alle mie che passavo quasi tutto il tempo in casa senza uscire.
E poi lei aveva il suo lavoro part-time in biblioteca, che le piaceva tantissimo, avrebbe dovuto mollare anche quello.
“Mi dispiace” continuò, “so che vi chiedo molto, ma non ci posso fare niente”
Lo ascoltavamo in silenzio, sbigottiti.
“Il mio lavoro è così” concluse, “se mi dicono che devo trasf…”
“Lavoro! Lavoro! LAVORO!” gridò allora Claudia, alzandosi in piedi ribaltando quasi il tavolino e tutto quello che c’era sopra, “Pensi solo a quel cazzo di lavoro! A quella merda di lavoro!”
La guardammo tutti stupiti, non era da lei reagire così violentemente.
“CLAUDIA!” la riprese papà dopo essersi… ripreso da quella sfuriata improvvisa, ma mia sorella continuò imperterrita a vomitargli addosso tutto quello che aveva dentro, tutta la rabbia e la frustrazione.
“Tanto… tanto che te ne frega di noi?” riprese, sull’orlo del pianto, “Che te ne frega se dobbiamo… mollare tutto, che te ne frega a te?”
“Claudia, Claudia, non fare così…” provò a calmarla mamma ma non ci fu niente da fare.
“NON TE NE FREGA UN CAZZO!” gridò ancora sporgendosi pericolosamente verso di lui, “TU… TU PENSI SOLO AL TUO LAVORO, ALLA TUA CAZZO DI CARRIERA!”
“CLAUDIA BASTA!” aveva gridato allora papà, ma Claudia sembrava volerlo attaccare, salvo poi fermarsi all’ultimo secondo.
Papà era paonazzo, mamma sbiancata, io ero pronto a bloccare eventuali… aggressioni fisiche ma non servì perché Claudia ci mollò lì da soli e salì di corsa le scale piangendo disperata.
Mamma fece per salire ma la fermai.
“Ci vado io” le dissi bloccandola per le spalle e passandole oltre, e mentre papà stava appoggiato alla parete cercando di recuperare la calma io salii le scale a due a due, arrivando davanti alla porta di camera sua, sentendo che stava piangendo.
Mi si spezzava il cuore, non sopportavo di vederla piangere.
Bussai ma non mi rispose, bussai nuovamente e le dissi “Sono io, aprimi…” e a quel punto la porta si aprì.
Mi si gettò al collo, piangendo disperata, la abbracciai e la strinsi forte, poi richiusi la porta e la tenni stretta a me accarezzandole la schiena con una mano e i capelli con l’altra, provando a farla calmare.
“Lo odio! Lo odio! Lo odio!” cominciò a dirmi con le parole soffocate dalla mia spalla, “Io lo odio, odio tutti!”
“Anche me?” le chiesi, “Odi anche me?”
Si staccò dalla mia spalla ed appoggiò la fronte alla mia, tirò su col naso e si sforzò di sorridermi.
“No” mugolò triste, “non ti odio, tu… tu sei la persona che amo di più al mondo…”
Le sorrisi e le posai un bacio sul naso, anche Claudia mi sorrise e poi tornò ad abbracciarmi strizzandomi le costole.
Nell’ora successiva cercai di tranquillizzarla e farla ragionare, le spiegai le ragioni di papà e di quanto fosse probabilmente più triste di noi, tirai in ballo anche mamma che non meritava di certo di stare così male dopo che aveva passato un brutto periodo ma fui in grado di non incolpare Claudia di nulla, feci un buon lavoro.
“Ma tu” mi disse ad un certo punto, “non… sei… incazzato con il mondo?”
“No…” le risposi scostandole una ciocca di capelli e fermandola dietro al suo orecchio, “non sono incazzato… solo… solo…” esitai cercando la parola giusta, e quando la trovai gliela dissi “…solo un po'… scoglionato!”
“S-scoglionato?” mi chiese, divertita, “Ma… che cazzo vuol dire scoglionato?”
“Annoiato…” le spiegai, stancamente, “il trasloco, ricominciare… cambiare scuola… rifare nuovi amici… nuove amiche…” aggiunsi prontamente ammiccando nei suoi confronti.
“Coglione” borbottò, “lo sappiamo tutti che non hai una ragazza, e che non ce l’hai mai avuta…”
“E questo cosa vuol dire?” provai ad obiettare, ma Claudia mi diede una pacca sul petto.
“Vuol dire che sei un verginello” sibilò, “e che non l’hai mai vista!”
Feci una smorfia e cercai le parole giuste da dire, e l’unica cosa che riuscii a replicare fu “…ho visto la tua…”
Sbuffò e mi liquidò con un’occhiata sdegnosa.
“Solo perché hai visto la figa di tua sorella… cosa vuoi dimostrare?” continuò, “Che sei un grande uomo?”
Sorrisi un po' amaro, il fatto che a diciotto anni non avessi mai avuto né una ragazza né un’esperienza per me era frustrante, anche se non l’avevo mai fatto trapelare ostentando indifferenza e tranquillità.
La realtà era un po' diversa.
Alzai le spalle e mi rifugiai in un sorrisetto timido, accettai altre sue battutine ma quando continuò a rimarcare la parola “verginello” provai a farle capire che non mi sentivo a mio agio, pur senza urtare la sua… ritrovata verve.
Rideva, e la cosa mi faceva stare bene, ma al tempo stesso mi ammazzava.
Se solo avesse saputo il perché non volevo… anzi, il perché non riuscivo ad “aprirmi” con le ragazze non so se avrebbe riso ancora.
Forse si sarebbe incazzata, che ne so, tanto era una cosa che doveva restare sepolta.
Ma Claudia era la persona che meglio mi conosceva al mondo, anche meglio di nostra madre: le bastò un’occhiata per capire, e smise di ridere.
“Oddio scusa…” mormorò, “scusa, scusami tesoro…” continuò, allungò una mano e mi accarezzò la guancia poi me la passò dietro al collo e mi tirò a sé, stringendomi.
“Scusami, non volevo farti del male…” aggiunse mentre mi accarezzava i capelli.
La sentii inspirare profondamente.
“Sei venuto da me a consolarmi e io… ti ho ferito” mi disse ancora triste, quasi sull’orlo delle lacrime, “sono una sorella orribile…”
Mi staccai da lei e le appoggiai la fronte alla sua, prendendole il viso tra le mie mani.
O suoi occhioni grigi erano tristi, le guance rigate di lacrime.
“Se ti sento dire ancora una volta che sei una sorella orribile, racconto a tutti che cosa ti ho visto fare l’anno scorso al mare” le sibilai.
Claudia non capì subito, ma quando lo intuì spalancò gli occhi.
Non le diedi il tempo di replicare, e restai estremamente serio.
“Quindi… vedi tu” continuai, “non me ne frega un cazzo se mi chiami verginello o… quello che vuoi tu, ma se ti sento dire ancora una volta che sei una persona orribile o che ti sminuisci davanti a me o davanti a qualcun altro… sta tranquilla che faccio vedere a tutti il video che ti ho fatto con il telefono, di quando ti sei messa dentr…”
Non riuscii a finire la frase perché Claudia mi aveva tappato la bocca con la mano spingendomi all’indietro e facendomi cadere di schiena sul pavimento, dove atterrai pesantemente con lei sopra.
“Tu… piccolo… pervertito” ringhiò furiosa, i suoi occhi sembravano tre volte più grandi da tanto erano aperti.
L’avevo fatta incazzare davvero…
“C-come ti permetti di…” ruggì, “chi ti ha dato il permesso di f-fare…”
La guardai negli occhi, perfettamente calmo, serafico.
“Brutto… pezzo di merda…” ringhiò ancora ma in un istante il suo tonò cambiò, gli occhi si addolcirono e il ghigno “cattivo” lasciò il posto ad un mezzo sorriso che poi si trasformò in una risatina imbarazzata.
Missione compiuta…
Cominciò a riempirmi di domandine scomode cercando di strapparmi le parole su come e quando avevo fatto il video, mi pizzicò ripetutamente e mi fece solletico per farmi cedere e solo quando si rese conto della posizione “scomoda” che aveva preso sopra di me si bloccò, recuperando il controllo.
Mi aveva fermato le mani con le sue, bloccandomele sul pavimento ed intrecciando le dita con le mie, e mi stava pericolosamente seduta sul cazzo sentendo probabilmente che qualcosa era cambiato nella… consistenza.
La vidi cambiare espressione, dalla sorpresa “allarmata” mutò in sorrisetto malizioso, e senza lasciarmi le mani si mise a strusciare su di me, massaggiandomi il cazzo con quello che aveva tra le gambe.
Ero io a quel punto ad avere gli occhi spalancati…
“Che c’è?” mi chiese sensuale, “Ti sta succedendo qualcosa?”
Non riuscii nemmeno a risponderle.
“Qualcosa di brutto o… di bello?” volle sapere mentre ancora faceva avanti ed indietro con il bacino misurandomi l’affare per tutta la sua lunghezza, dalle palle alla cappella.
Era la prima volta in assoluto (va bè, dai, la seconda in realtà…) che una ragazza mi regalava quel tipo di contatto.
“Qualcosa di bello?” aggiunse rispondendo per me, e socchiudendo gli occhi sembrò quasi abbandonarsi ad un suo piacere… sottile, privato.
Ormai ero duro come il marmo, non poteva di certo non sentirlo anche perché il nostro abbigliamento di sicuro non faceva da impedimento…
Volevo toccarla, entrarle sotto la maglietta e metterle le mani sulle tette, poi sulle chiappe e aprirgliele, volevo fare mille cose ma… non osavo, anche perché le mani ce le avevo bloccate dalle sue.
Bastò un’occhiata da parte sua per farmi capire che era meglio se le lasciavo dove si trovavano.
Si tirò su con la schiena ma continuò a muoversi sopra di me, e me la trovai troneggiante, alta fino al soffitto se la guardavo dal mio punto di vista, in posizione di assoluto dominio: non l’avevo mai vista così, non era più la solita sorella rompipalle e sbruffona che comunque amavo e ammiravo (e desideravo) da sempre, era una ragazza diversa, fatta di carne e… tutto il resto.
Non so quanto continuò a “muoversi” sopra di me, sicuramente cercava anche e soprattutto il suo piacere più che pensare al mio, aveva la bocca serrata e gli occhi socchiusi e sembrava una di quelle che vedevo nei video…
Ma bastò sentire i passi di papà salire le scale per farci balzare in piedi, allarmati, e sederci sul suo letto dichiaratamente colpevoli ma con l’atteggiamento dei perfetti innocenti.
Toc toc toc…
Claudia non rispose, risposi io, e papà entrò.
oleva parlare con lei, da solo, così le diedi un’ultima carezza sul viso e poi uscii, chiudendo la porta.
Scesi di sotto perché non volevo sentire né giudicare, raggiunsi mamma che provò a spiegarmi le motivazioni di papà e anche se non ce n’era bisogno le ascoltai, annuendo e basta, cercando però di perorare la causa di me e Claudia, che nuovamente venivamo strappati dalle nostre amicizie.
Mamma non sapeva che dire, anche lei subiva in un certo senso la decisione di papà che a sua volta doveva obbedire agli ordini di scuderia, quindi… tutti quanti eravamo fregati.
“E… dove andremo?” le chiesi, scoprendo che non ce l’avevano ancora detto.
Mamma abbassò lo sguardo.
Mi sedetti pesantemente sul divano, con gli occhi chiusi: ma perché, con tutto un’intera regione, proprio in un posto sperduto di montagna?
Mamma si mise a singhiozzare e così mi toccò consolare pure lei, papà tornò dopo qualche minuto e mi mise una mano sulla spalla.
“Fabio” mi disse, “tua sorella vuole te…”
Annuii, “cedendogli” mamma che lo abbracciò senza smettere di singhiozzare, li lasciai e feci per salire le scale ma papà mi fermò.
“Fabio” chiamò, mi fermai e mi voltai verso di lui.
Sorrise e annuì.
“Ti stai comportando da uomo” aggiunse, “sono molto orgoglioso di te”
Sorrisi, di rimando, annuii e salii le scale, orgoglioso di me stesso ma allo stesso tempo deluso.
Bussai alla porta di Claudia e entrai senza aspettare il suo “avanti”, e me la trovai davanti con addosso i soli pantaloncini mentre si stava mettendo una maglietta pulita pronta per andare a letto.
Ovviamente mi voltava la schiena…
“Oh, scusa…” riuscii solo a dire, al che lei si abbassò velocemente la maglietta e una volta ricoperta si voltò e aprì le braccia.
Non mi volle lasciar tornare in camera mia, nemmeno per cambiarmi, ci infilammo nel suo lettone (il suo era matrimoniale, il mio a una piazza) e in silenzio Claudia si addormentò addosso a me, che invece non riuscii a chiudere occhio.
Quella fu sicuramente la causa scatenante l’avvicinamento con Claudia, che nei giorni successivi diventò ancora più evidente.
Ci vollero tre settimane prima che arrivasse la conferma di trasferimento, e quando alla sera papà tornò scuro in volto… ecco, confermato.
Dalla comoda e confortevole città con tutti i divertimenti e le distrazioni ci trasferivamo in un’altra Provincia, in uno sperduto comune di montagna a quasi un’ora di corriera dalla città più vicina.
Mi sforzavo di non pensarci, sarebbe stato un disastro per me che avevo pochi amici e zero amiche, ma chi ne soffrì di più fu la mia adorato sorella: lei di amiche e amici ne aveva tanti, aveva colleghi di lavoro, forse anche un amico del cuore… tutto cancellato.
Le dovevo stare vicino, lo avevo promesso a mamma e papà e l’avevo anche promesso a me stesso.
Nei giorni immediatamente prima della partenza salutammo tutti gli amici di scuola, quelli del vicinato, quelli del gruppo sportivo e anche gente con cui in dieci anni avevo scambiato sì e no mezza parola.
Claudia era sempre più triste, a volte la sentivo piangere, a volte invece sembrava aver superato la cosa.
Preparammo tutto con calma e quando arrivò il giorno della partenza Claudia sembrò ormai distaccata, tanto che chiuse la porta di camera sua facendola sbattere e scese le scale inespressiva, mi sorrise e poi uscì senza nemmeno voltarsi indietro andando a sedersi in macchina, dalla parte opposta di quella rivolta alla casa.
Io invece mi feci l’ultimo giro con calma, “salutai” ogni angolo e quando uscii per l’ultima volta non seppi trattenere l’emozione.
Tre ore dopo, al termine di un viaggio cupo e silenzioso, eravamo nella nuova casa: per carità, bella, grande, spaziosa, in mezzo al verde, ma praticamente sulla luna se guardata con gli occhi di due ragazzi ventenni…
Quelle che seguirono furono ore… strane, nessuno parlava, lavoravamo e basta, ogni tanto provavo a “stuzzicare” Claudia ma in cambio ricevevo solo freddezza quindi lasciai perdere: la aiutai a portare di sopra le sue cose, a pulire, ad attaccare i suoi quadretti e i tanti specchi, e quando durante l’ennesimo trasporto feci cadere non ricordo bene che cosa la mia dolce sorellina andò su tutte le furie, sbattendomi fuori da camera sua.
Incrociai lo sguardo di mamma che mi implorava di non replicare… e di continuare a fare le mie cose, in pace, per il bene della famiglia.
E lo feci, mi dedicai finalmente alla mia camera (era quasi sera, dovevo ancora sistemare tutto, sapevo che avrei dormito tra gli scatoloni…) quando improvvisamente la mia porta si aprì e Claudia entrò dentro, abbracciandomi così forte da farmi male: restammo abbracciati in silenzio per non so quanto, forse dieci minuti, forse più, nessuno dei due voleva separarsi in quello che era il primo, vero momento fratello-sorella della nostra nuova vita.
Toccò a me fare il primo passo, mi staccai e la guardai negli occhi tirando un sospiro di sollievo perché aveva gli occhi asciutti.
Le baciai la fronte e di nuovo ricevetti un abbraccio strizza costole, e come spesso capitava nei momenti di crisi ci trovammo fronte contro fronte, con i nostri respiri mescolati.
E di nuovo in silenzio.
E di nuovo… c’era quella tensione, che forse sentivo solo io, e che mi sembrava prendermi le palle.
“Qui è un casino” mi disse, guardandosi attorno muovendo solo gli occhi, “dormi con me stanotte?”
“Sì, se vuoi” le risposi, e Claudia mi sorrise.
“Vuoi una mano a mettere via qualcosa?” mi chiese, amorevole e premurosa.
“No… non serve… tanto…” provai a dire, ma di nuovo Claudia diventò maliziosa.
“Hai paura che scopra i tuoi segretucci?” mugolò ridacchiando, “Qualche cosa di compromettente? Qualche giornalino sporco? Qualche foto di nudo?”
Sorrisi e scossi la testa.
“No, non c’è niente del genere” le risposi, e subito aggiunsi “non sono mica come te…”
Cambiò espressione.
“Cosa vorresti dire?” sibilò.
“Lo sai cosa voglio dire” le risposi sicuro di me, “io non faccio certe cos…” provai a concludere ma ancora una volta Claudia mi placcò, stavolta rovesciandomi sul mio letto schiacciando tutto quando c’era sopra.
“Smettila!” ringhiò, “Non voglio più sentirti tirare fuori quella… cosa”
Ero in vantaggio, e lo sfruttai.
“Coda di paglia?” le sussurrai ridacchiando, “Hai paura che lo faccia vedere a qualcuno quel video?”
E allora Claudia fece quella cosa che… non mi sarei mai aspettato che facesse, scattò e mi afferrò le palle, strizzandomele.
Saltai per la sorpresa (e anche per il dolore) ma Claudia non mi fece alzare bloccandomi con il suo peso e addirittura aumentando la forza con cui me le stingeva.
“Stai – zitto – non – ti – voglio – sentire – fiatare” ringhiò scandendo bene le parole, “e guai a te se parli ancora… di quella cosa, siamo intesi?”
Non risposi, e per rimarcare la minaccia facendola classificare nella mia testa come reale e critica… ecco un'altra bella stretta che mi fece mancare il fiato.
“Siamo intesi…?” ruggì, “Hai capito bene, sono stata chiara?”
“S-sì…” le risposi, a metà tra l’incazzato e lo spaventato.
“Se ne parli ancora, se solo tiri fuori l’argomento…” ricominciò, e strinse ancora.
“Sì, ok, ok, ok, ho capito” le dissi sofferente, arrendendomi, e solo allora Claudia mollò la presa sulle mie palle ma senza togliere la mano, anzi…
Mi guardò negli occhi e invece di lasciarmele andare semplicemente mosse la mano posandomela sul pacco e tastandomelo da sopra i pantaloncini, il tutto mentre mi teneva bloccato sul mio letto.
Ci guardavamo in silenzio, con i nostri respiri che si mescolavano.
Claudia non mollò la presa, anzi, continuò a toccarmi ancora più decisa anche perché ormai i contorni del mio affare erano ben… definiti, e la sua mano era tutt’altro che abituata regalarmi carezze affettuose!
“Che c’è?” mi sussurrò, senza smettere, “Hai qualche problema? Sei… strano, fratellino…”
Seguirono lunghi instanti di silenzio, poi Claudia si addolcì.
“È la prima volta che… qualcuna ti… fa così?” mi chiese.
Annuii debolmente.
Sperando che non volesse prendermi per il culo, non in un momento così… catartico!
Non smise di toccarmi il cazzo, nemmeno quando da fuori sentimmo mamma che ci chiamava.
“Ragazzi… dove siete?”
Le finestre erano aperte, non serviva affacciarci per rispondere.
“In camera…” rispose a voce alta Claudia.
“Papà e io stiamo andando giù in paese, al supermercato” ci disse ancora mamma, “volete venire?”
Claudia mi guardò dritta negli occhi.
Non avevo mai visto uno sguardo del genere in mia sorella…
“No” rispose senza distogliere quello sguardo, “dobbiamo finire di sistemare un paio di cose… qui…” aggiunse, rivolgendomi un sorrisetto strano che mi fece ghiacciare il sangue.
“Ok, ci vediamo più tardi…” concluse mamma, sentimmo il motore dell’auto accendersi e poi il rumore delle ruote sull’asfalto dissestato del vialetto e poi più nulla, a parte il cinguettare insistente di chissà quanti pennuti.
Una delle poche cose che avevo sistemato nella mia stanza era l’orologio con il logo BMW, una delle cose che gli amici di scuola mi avevano regalato per il mio diciottesimo compleanno lo scorso gennaio, segnava le cinque e venti.
Non mi dimenticherò mai più quell’orario…
Così come non dimenticherò cosa indossavo io, e cosa indossava lei.
Claudia aspettò forse un minuto per essere sicura che fossimo soli e poi… fece quello che aveva in programma di fare da chissà quanto tempo, mi abbassò tutto insieme, pantaloncini e boxer, facendolo uscire come una molla, sotto il suo sguardo… assassino.
Ero in apnea, con la schiena sudata e le gambe che mi tremavano.
Gli lanciò un sguardo furtivo ma poi i suoi occhi si incollarono nuovamente sui miei, e quando sentii la sua mano che me lo afferrava non riuscii a dominare la mia tensione e feci un sobbalzo.
“Ehi, calmo…” mi sussurrò mentre me lo teneva dritto, “tranquillo, non succede niente…”
Sorrideva, serena, ma forse solo esteriormente.
Me lo tenne dritto e poi cominciò a muovere la mano su e giù, prima solo accarezzandomelo e poi cominciando a scappellarlo, delicatamente ma anche con fermezza, e mentre la guardavo… allucinato si mise a segarmi.
La prima (e l’unica) ragazza che mi aveva toccato prima di lei era stata una tizia che di cui non ricordo nemmeno il nome, l’anno prima, al mare, durante una specie di gioco che andato oltre il consentito.
Ma non così, non fu un gesto così… completo, e così volontario come quello che stava facendo Claudia.
Chiusi gli occhi e riuscii a fare… il punto della situazione, forse perché ancora non ci credevo, ma c’era mia sorella che mi stava facendo una sega sul mio letto.
Me ne facevo due o anche tre al giorno, sapevo dosarmi e controllarmi, ma così… così non ci riuscii.
Strinsi le gambe e mi irrigidii per controllarmi meglio, Claudia se ne accorse e mi sussurrò “no, no, lasciati andare…”
Non servì che dicesse o facesse altro, mollai leggermente il freno ed eruttai tutta la mia gioventù: schizzai a mezzo metro di altezza strappandole un sorrisetto, schizzai ancora e poi ancora impiastricciandole le mani, e ricordo che la cosa che mi sconvolse di più era che non smetteva di scappellarmelo anche se stavo schizzando, cosa che invece io ero abituato a fare perché diventavo troppo sensibile.
Continuò a fare su e giù con la mano, tutta sorridente, incurante del mio respiro affannoso e delle gocce di sudore che mi avevano imperlato la fronte, alternò accelerate a leggere frenate mixando non so se volutamente le sensazioni che mi regalava, e portandomi inevitabilmente al secondo round.
Se ne accorse e accelerò, la vedevo eccitata, con il labbro inferiore stretto tra i denti bianchissimi, e quando sentii arrivare l’onda… be’, la lasciai arrivare, e sfogarsi.
“Mmm…” la sentii mugolare mentre schizzavo ancora, molto meno prepotentemente, “così, bravo…” sussurrò, smettendo di fare su e giù ma limitandosi a tenermelo dritto mentre le facevo colare altro liquido appiccicoso sulle mani, e quando proprio fui sopraffatto dallo sfinimento la lasciai andare sul letto, ansimante.
Claudia restò accanto a me, mi mollò il cazzo pulsante e dolorante e appoggiò entrambe le mani aperte sulla mia pancia, sollevandomi la maglietta e infilandosi sotto fino a raggiungere il petto, poi ridiscese.
Aveva uno sguardo strano, a metà tra il “adesso ti mangio vivo” e il materno, ma forse era solo una mia impressione, del resto non potevo dire di essere particolarmente lucido…
“Aspetta qui” mi disse improvvisamente alzandosi in piedi, si guardò attorno e trovò quello che cercava, un pacchettino di fazzoletti di carta, ne prese un paio e delicatamente cominciò a pulirmi la pancia e le palle, poi con due dita mi prese il cazzo che cominciava ad ammosciarsi e ripulì anche quello scappellandomelo un’altra volta e facendomi saltare, soprattutto quando mi “tamponò” la cappella ormai ultra sensibile con un fazzolettino troppo ruvido prima di lasciarmelo andare in appoggio sulla pancia.
“Adesso… ti lascio solo” mi disse accarezzandomi a mo’ di saluto una coscia, “riposati, recupera…” aggiunse divertita, “e poi rimettilo via!”
Chiusi gli occhi, sopraffatto dalle emozioni e dall’adrenalina.
“Lascia perdere tutto, qui” aggiunse prima di uscire dalla mia stanza, ferma sulla porta, “tanto stanotte dormi con me… nel mio letto”
E quest’ultima frase la disse in modo troppo… esplicito perché non la capissi, per quelle che erano le sue intenzioni.
Mi tirai su tutto e mi alzai, ero sudato fradicio, andai in bagno e mi lavai sommariamente nel lavandino rimandando la doccia a dopo che avevo finito di portare dentro scatoloni e altre cose, ma le gambe faticavano a reggermi e avevo la testa leggerissima, tanto che mi fermai in bagno con la testa chinata sul lavandino.
“Ehi” mi chiese da dietro, “ma… stai bene?”
Era divertita, ma forse anche un po’ preoccupata.
“Eh?” risposi, tirandomi su, “Sì, scusa, solo un po' di caldo… o stanco per il viaggio…”
Sbuffò roteando gli occhi, mi raggiunse e mi prese per mano portandomi sul suo letto, mi tolse la maglietta sudata (e fece una smorfia schifata) e la gettò via a terra, poi mi fece stendere e mi si mise accanto, sul fianco, come la Paolina Borghese del Canova.
Volevo tirami su ma me lo impedì e mettendomi la sua mano calda sul petto mi fece stendere.
“Dai, chiudi gli occhi” mugolò, “riposati un po', hai lavorato duro tutto il giorno, sarai stanchissimo…”, ma non accennò a quello che avevamo appena fatto.
“Recupera le energie…” mugolò, “sennò… come farai quando ti serviranno?”
La guardai negli occhi.
Sorrideva, complice, e sicura di sé.
E io mi sentivo come una mosca presa nella tela del ragno, solo che ci stavo così bene lì dentro… e non mi volevo liberare, né della tela né del ragno.
“Non vorrai mica deludere tua sorella, vero?” sussurrò, e facendo scendere la mano mi sfiorò ancora il pacco, arrivando alle palle, facendomi saltare ancora una volta.
“Abbiamo tante cose da fare…” sospirò, “tante cose da… provare… noi due…”
“E abbiamo così tanto tempo… per stare insieme…” aggiunse con una nota di tristezza, ma tornando a sorridere aggiunse “tantissimo tempo…”
Sentivo le tempie pulsare.
Mi guardava in un modo che… mi era sconosciuto, non sembrava nemmeno lei.
Poi… lo fece: si prese la maglietta da dietro la schiena e con un gesto rapido se la sfilò dalla testa lasciando fluire i capelli sulle spalle e mostrandomi quella meraviglia della natura che erano le sue belle tette, con i capezzoli piccoli e dritti, la pelle candida e con qualche lentiggine.
La guardavo sbigottito, stanco ma iper adrenalinico, gliele avevo già viste, ma non così da vicino.
Si lasciò ammirare e poi venne giù, accanto a me, appoggiò il seno sul mio petto e mi ricoprì con il suo corpo caldo e morbido, appoggiando la guancia alla mia.
“Adesso… riposiamo” sussurrò chiudendo gli occhi, “poi… poi giocheremo ancora, ok?”
“O-ok…” sussurrai, e lasciandomi andare finii per alzare gli occhi al soffitto, senza azzardare a chiuderli per la paura che tutto svanisse.
“Vuoi giocare ancora insieme a me?” sussurrò.
“S-sì…”
“Bene, bravo il mio fratellino…” mormorò, e poi… silenzio.
Fine prima parte.
Io e mia sorella Claudia ci guardammo terrorizzati, poi guardammo lui, sempre più teso, e poi mamma, che sembrava sull’orlo delle lacrime.
“Ma… ancora? Perché?” riuscii solo a chiedere spezzando il silenzio pesante che era calato, ma lui tagliò corto.
“Sentite ragazzi” cominciò, “non ho voglia di… dare spiegazioni, conoscete il mio lavoro e sapevate che mi potevano trasferire, da un momento all’altro, non è la prima volta, e forse… non sarà anche l’ultima”
Non era incazzato con noi, era solo… scocciato di doversi giustificare, o forse era talmente affranto da quello che ci aveva appena detto che stava alzando lo scudo.
Sapeva perfettamente che cosa voleva dire per noi cambiare casa, cambiare città, passare un colpo di spugna sulle nostre amicizie, sulle relazioni, sulla scuola, sulle abitudini.
L’ultima volta che ci eravamo trasferiti io frequentavo la terza elementare e per me non era stato particolarmente difficile, Claudia è tre anni più grande di me ed era alle medie, e ne aveva sofferto di più perché le sue amicizie erano ben più durature rispetto alle mie che passavo quasi tutto il tempo in casa senza uscire.
E poi lei aveva il suo lavoro part-time in biblioteca, che le piaceva tantissimo, avrebbe dovuto mollare anche quello.
“Mi dispiace” continuò, “so che vi chiedo molto, ma non ci posso fare niente”
Lo ascoltavamo in silenzio, sbigottiti.
“Il mio lavoro è così” concluse, “se mi dicono che devo trasf…”
“Lavoro! Lavoro! LAVORO!” gridò allora Claudia, alzandosi in piedi ribaltando quasi il tavolino e tutto quello che c’era sopra, “Pensi solo a quel cazzo di lavoro! A quella merda di lavoro!”
La guardammo tutti stupiti, non era da lei reagire così violentemente.
“CLAUDIA!” la riprese papà dopo essersi… ripreso da quella sfuriata improvvisa, ma mia sorella continuò imperterrita a vomitargli addosso tutto quello che aveva dentro, tutta la rabbia e la frustrazione.
“Tanto… tanto che te ne frega di noi?” riprese, sull’orlo del pianto, “Che te ne frega se dobbiamo… mollare tutto, che te ne frega a te?”
“Claudia, Claudia, non fare così…” provò a calmarla mamma ma non ci fu niente da fare.
“NON TE NE FREGA UN CAZZO!” gridò ancora sporgendosi pericolosamente verso di lui, “TU… TU PENSI SOLO AL TUO LAVORO, ALLA TUA CAZZO DI CARRIERA!”
“CLAUDIA BASTA!” aveva gridato allora papà, ma Claudia sembrava volerlo attaccare, salvo poi fermarsi all’ultimo secondo.
Papà era paonazzo, mamma sbiancata, io ero pronto a bloccare eventuali… aggressioni fisiche ma non servì perché Claudia ci mollò lì da soli e salì di corsa le scale piangendo disperata.
Mamma fece per salire ma la fermai.
“Ci vado io” le dissi bloccandola per le spalle e passandole oltre, e mentre papà stava appoggiato alla parete cercando di recuperare la calma io salii le scale a due a due, arrivando davanti alla porta di camera sua, sentendo che stava piangendo.
Mi si spezzava il cuore, non sopportavo di vederla piangere.
Bussai ma non mi rispose, bussai nuovamente e le dissi “Sono io, aprimi…” e a quel punto la porta si aprì.
Mi si gettò al collo, piangendo disperata, la abbracciai e la strinsi forte, poi richiusi la porta e la tenni stretta a me accarezzandole la schiena con una mano e i capelli con l’altra, provando a farla calmare.
“Lo odio! Lo odio! Lo odio!” cominciò a dirmi con le parole soffocate dalla mia spalla, “Io lo odio, odio tutti!”
“Anche me?” le chiesi, “Odi anche me?”
Si staccò dalla mia spalla ed appoggiò la fronte alla mia, tirò su col naso e si sforzò di sorridermi.
“No” mugolò triste, “non ti odio, tu… tu sei la persona che amo di più al mondo…”
Le sorrisi e le posai un bacio sul naso, anche Claudia mi sorrise e poi tornò ad abbracciarmi strizzandomi le costole.
Nell’ora successiva cercai di tranquillizzarla e farla ragionare, le spiegai le ragioni di papà e di quanto fosse probabilmente più triste di noi, tirai in ballo anche mamma che non meritava di certo di stare così male dopo che aveva passato un brutto periodo ma fui in grado di non incolpare Claudia di nulla, feci un buon lavoro.
“Ma tu” mi disse ad un certo punto, “non… sei… incazzato con il mondo?”
“No…” le risposi scostandole una ciocca di capelli e fermandola dietro al suo orecchio, “non sono incazzato… solo… solo…” esitai cercando la parola giusta, e quando la trovai gliela dissi “…solo un po'… scoglionato!”
“S-scoglionato?” mi chiese, divertita, “Ma… che cazzo vuol dire scoglionato?”
“Annoiato…” le spiegai, stancamente, “il trasloco, ricominciare… cambiare scuola… rifare nuovi amici… nuove amiche…” aggiunsi prontamente ammiccando nei suoi confronti.
“Coglione” borbottò, “lo sappiamo tutti che non hai una ragazza, e che non ce l’hai mai avuta…”
“E questo cosa vuol dire?” provai ad obiettare, ma Claudia mi diede una pacca sul petto.
“Vuol dire che sei un verginello” sibilò, “e che non l’hai mai vista!”
Feci una smorfia e cercai le parole giuste da dire, e l’unica cosa che riuscii a replicare fu “…ho visto la tua…”
Sbuffò e mi liquidò con un’occhiata sdegnosa.
“Solo perché hai visto la figa di tua sorella… cosa vuoi dimostrare?” continuò, “Che sei un grande uomo?”
Sorrisi un po' amaro, il fatto che a diciotto anni non avessi mai avuto né una ragazza né un’esperienza per me era frustrante, anche se non l’avevo mai fatto trapelare ostentando indifferenza e tranquillità.
La realtà era un po' diversa.
Alzai le spalle e mi rifugiai in un sorrisetto timido, accettai altre sue battutine ma quando continuò a rimarcare la parola “verginello” provai a farle capire che non mi sentivo a mio agio, pur senza urtare la sua… ritrovata verve.
Rideva, e la cosa mi faceva stare bene, ma al tempo stesso mi ammazzava.
Se solo avesse saputo il perché non volevo… anzi, il perché non riuscivo ad “aprirmi” con le ragazze non so se avrebbe riso ancora.
Forse si sarebbe incazzata, che ne so, tanto era una cosa che doveva restare sepolta.
Ma Claudia era la persona che meglio mi conosceva al mondo, anche meglio di nostra madre: le bastò un’occhiata per capire, e smise di ridere.
“Oddio scusa…” mormorò, “scusa, scusami tesoro…” continuò, allungò una mano e mi accarezzò la guancia poi me la passò dietro al collo e mi tirò a sé, stringendomi.
“Scusami, non volevo farti del male…” aggiunse mentre mi accarezzava i capelli.
La sentii inspirare profondamente.
“Sei venuto da me a consolarmi e io… ti ho ferito” mi disse ancora triste, quasi sull’orlo delle lacrime, “sono una sorella orribile…”
Mi staccai da lei e le appoggiai la fronte alla sua, prendendole il viso tra le mie mani.
O suoi occhioni grigi erano tristi, le guance rigate di lacrime.
“Se ti sento dire ancora una volta che sei una sorella orribile, racconto a tutti che cosa ti ho visto fare l’anno scorso al mare” le sibilai.
Claudia non capì subito, ma quando lo intuì spalancò gli occhi.
Non le diedi il tempo di replicare, e restai estremamente serio.
“Quindi… vedi tu” continuai, “non me ne frega un cazzo se mi chiami verginello o… quello che vuoi tu, ma se ti sento dire ancora una volta che sei una persona orribile o che ti sminuisci davanti a me o davanti a qualcun altro… sta tranquilla che faccio vedere a tutti il video che ti ho fatto con il telefono, di quando ti sei messa dentr…”
Non riuscii a finire la frase perché Claudia mi aveva tappato la bocca con la mano spingendomi all’indietro e facendomi cadere di schiena sul pavimento, dove atterrai pesantemente con lei sopra.
“Tu… piccolo… pervertito” ringhiò furiosa, i suoi occhi sembravano tre volte più grandi da tanto erano aperti.
L’avevo fatta incazzare davvero…
“C-come ti permetti di…” ruggì, “chi ti ha dato il permesso di f-fare…”
La guardai negli occhi, perfettamente calmo, serafico.
“Brutto… pezzo di merda…” ringhiò ancora ma in un istante il suo tonò cambiò, gli occhi si addolcirono e il ghigno “cattivo” lasciò il posto ad un mezzo sorriso che poi si trasformò in una risatina imbarazzata.
Missione compiuta…
Cominciò a riempirmi di domandine scomode cercando di strapparmi le parole su come e quando avevo fatto il video, mi pizzicò ripetutamente e mi fece solletico per farmi cedere e solo quando si rese conto della posizione “scomoda” che aveva preso sopra di me si bloccò, recuperando il controllo.
Mi aveva fermato le mani con le sue, bloccandomele sul pavimento ed intrecciando le dita con le mie, e mi stava pericolosamente seduta sul cazzo sentendo probabilmente che qualcosa era cambiato nella… consistenza.
La vidi cambiare espressione, dalla sorpresa “allarmata” mutò in sorrisetto malizioso, e senza lasciarmi le mani si mise a strusciare su di me, massaggiandomi il cazzo con quello che aveva tra le gambe.
Ero io a quel punto ad avere gli occhi spalancati…
“Che c’è?” mi chiese sensuale, “Ti sta succedendo qualcosa?”
Non riuscii nemmeno a risponderle.
“Qualcosa di brutto o… di bello?” volle sapere mentre ancora faceva avanti ed indietro con il bacino misurandomi l’affare per tutta la sua lunghezza, dalle palle alla cappella.
Era la prima volta in assoluto (va bè, dai, la seconda in realtà…) che una ragazza mi regalava quel tipo di contatto.
“Qualcosa di bello?” aggiunse rispondendo per me, e socchiudendo gli occhi sembrò quasi abbandonarsi ad un suo piacere… sottile, privato.
Ormai ero duro come il marmo, non poteva di certo non sentirlo anche perché il nostro abbigliamento di sicuro non faceva da impedimento…
Volevo toccarla, entrarle sotto la maglietta e metterle le mani sulle tette, poi sulle chiappe e aprirgliele, volevo fare mille cose ma… non osavo, anche perché le mani ce le avevo bloccate dalle sue.
Bastò un’occhiata da parte sua per farmi capire che era meglio se le lasciavo dove si trovavano.
Si tirò su con la schiena ma continuò a muoversi sopra di me, e me la trovai troneggiante, alta fino al soffitto se la guardavo dal mio punto di vista, in posizione di assoluto dominio: non l’avevo mai vista così, non era più la solita sorella rompipalle e sbruffona che comunque amavo e ammiravo (e desideravo) da sempre, era una ragazza diversa, fatta di carne e… tutto il resto.
Non so quanto continuò a “muoversi” sopra di me, sicuramente cercava anche e soprattutto il suo piacere più che pensare al mio, aveva la bocca serrata e gli occhi socchiusi e sembrava una di quelle che vedevo nei video…
Ma bastò sentire i passi di papà salire le scale per farci balzare in piedi, allarmati, e sederci sul suo letto dichiaratamente colpevoli ma con l’atteggiamento dei perfetti innocenti.
Toc toc toc…
Claudia non rispose, risposi io, e papà entrò.
oleva parlare con lei, da solo, così le diedi un’ultima carezza sul viso e poi uscii, chiudendo la porta.
Scesi di sotto perché non volevo sentire né giudicare, raggiunsi mamma che provò a spiegarmi le motivazioni di papà e anche se non ce n’era bisogno le ascoltai, annuendo e basta, cercando però di perorare la causa di me e Claudia, che nuovamente venivamo strappati dalle nostre amicizie.
Mamma non sapeva che dire, anche lei subiva in un certo senso la decisione di papà che a sua volta doveva obbedire agli ordini di scuderia, quindi… tutti quanti eravamo fregati.
“E… dove andremo?” le chiesi, scoprendo che non ce l’avevano ancora detto.
Mamma abbassò lo sguardo.
Mi sedetti pesantemente sul divano, con gli occhi chiusi: ma perché, con tutto un’intera regione, proprio in un posto sperduto di montagna?
Mamma si mise a singhiozzare e così mi toccò consolare pure lei, papà tornò dopo qualche minuto e mi mise una mano sulla spalla.
“Fabio” mi disse, “tua sorella vuole te…”
Annuii, “cedendogli” mamma che lo abbracciò senza smettere di singhiozzare, li lasciai e feci per salire le scale ma papà mi fermò.
“Fabio” chiamò, mi fermai e mi voltai verso di lui.
Sorrise e annuì.
“Ti stai comportando da uomo” aggiunse, “sono molto orgoglioso di te”
Sorrisi, di rimando, annuii e salii le scale, orgoglioso di me stesso ma allo stesso tempo deluso.
Bussai alla porta di Claudia e entrai senza aspettare il suo “avanti”, e me la trovai davanti con addosso i soli pantaloncini mentre si stava mettendo una maglietta pulita pronta per andare a letto.
Ovviamente mi voltava la schiena…
“Oh, scusa…” riuscii solo a dire, al che lei si abbassò velocemente la maglietta e una volta ricoperta si voltò e aprì le braccia.
Non mi volle lasciar tornare in camera mia, nemmeno per cambiarmi, ci infilammo nel suo lettone (il suo era matrimoniale, il mio a una piazza) e in silenzio Claudia si addormentò addosso a me, che invece non riuscii a chiudere occhio.
Quella fu sicuramente la causa scatenante l’avvicinamento con Claudia, che nei giorni successivi diventò ancora più evidente.
Ci vollero tre settimane prima che arrivasse la conferma di trasferimento, e quando alla sera papà tornò scuro in volto… ecco, confermato.
Dalla comoda e confortevole città con tutti i divertimenti e le distrazioni ci trasferivamo in un’altra Provincia, in uno sperduto comune di montagna a quasi un’ora di corriera dalla città più vicina.
Mi sforzavo di non pensarci, sarebbe stato un disastro per me che avevo pochi amici e zero amiche, ma chi ne soffrì di più fu la mia adorato sorella: lei di amiche e amici ne aveva tanti, aveva colleghi di lavoro, forse anche un amico del cuore… tutto cancellato.
Le dovevo stare vicino, lo avevo promesso a mamma e papà e l’avevo anche promesso a me stesso.
Nei giorni immediatamente prima della partenza salutammo tutti gli amici di scuola, quelli del vicinato, quelli del gruppo sportivo e anche gente con cui in dieci anni avevo scambiato sì e no mezza parola.
Claudia era sempre più triste, a volte la sentivo piangere, a volte invece sembrava aver superato la cosa.
Preparammo tutto con calma e quando arrivò il giorno della partenza Claudia sembrò ormai distaccata, tanto che chiuse la porta di camera sua facendola sbattere e scese le scale inespressiva, mi sorrise e poi uscì senza nemmeno voltarsi indietro andando a sedersi in macchina, dalla parte opposta di quella rivolta alla casa.
Io invece mi feci l’ultimo giro con calma, “salutai” ogni angolo e quando uscii per l’ultima volta non seppi trattenere l’emozione.
Tre ore dopo, al termine di un viaggio cupo e silenzioso, eravamo nella nuova casa: per carità, bella, grande, spaziosa, in mezzo al verde, ma praticamente sulla luna se guardata con gli occhi di due ragazzi ventenni…
Quelle che seguirono furono ore… strane, nessuno parlava, lavoravamo e basta, ogni tanto provavo a “stuzzicare” Claudia ma in cambio ricevevo solo freddezza quindi lasciai perdere: la aiutai a portare di sopra le sue cose, a pulire, ad attaccare i suoi quadretti e i tanti specchi, e quando durante l’ennesimo trasporto feci cadere non ricordo bene che cosa la mia dolce sorellina andò su tutte le furie, sbattendomi fuori da camera sua.
Incrociai lo sguardo di mamma che mi implorava di non replicare… e di continuare a fare le mie cose, in pace, per il bene della famiglia.
E lo feci, mi dedicai finalmente alla mia camera (era quasi sera, dovevo ancora sistemare tutto, sapevo che avrei dormito tra gli scatoloni…) quando improvvisamente la mia porta si aprì e Claudia entrò dentro, abbracciandomi così forte da farmi male: restammo abbracciati in silenzio per non so quanto, forse dieci minuti, forse più, nessuno dei due voleva separarsi in quello che era il primo, vero momento fratello-sorella della nostra nuova vita.
Toccò a me fare il primo passo, mi staccai e la guardai negli occhi tirando un sospiro di sollievo perché aveva gli occhi asciutti.
Le baciai la fronte e di nuovo ricevetti un abbraccio strizza costole, e come spesso capitava nei momenti di crisi ci trovammo fronte contro fronte, con i nostri respiri mescolati.
E di nuovo in silenzio.
E di nuovo… c’era quella tensione, che forse sentivo solo io, e che mi sembrava prendermi le palle.
“Qui è un casino” mi disse, guardandosi attorno muovendo solo gli occhi, “dormi con me stanotte?”
“Sì, se vuoi” le risposi, e Claudia mi sorrise.
“Vuoi una mano a mettere via qualcosa?” mi chiese, amorevole e premurosa.
“No… non serve… tanto…” provai a dire, ma di nuovo Claudia diventò maliziosa.
“Hai paura che scopra i tuoi segretucci?” mugolò ridacchiando, “Qualche cosa di compromettente? Qualche giornalino sporco? Qualche foto di nudo?”
Sorrisi e scossi la testa.
“No, non c’è niente del genere” le risposi, e subito aggiunsi “non sono mica come te…”
Cambiò espressione.
“Cosa vorresti dire?” sibilò.
“Lo sai cosa voglio dire” le risposi sicuro di me, “io non faccio certe cos…” provai a concludere ma ancora una volta Claudia mi placcò, stavolta rovesciandomi sul mio letto schiacciando tutto quando c’era sopra.
“Smettila!” ringhiò, “Non voglio più sentirti tirare fuori quella… cosa”
Ero in vantaggio, e lo sfruttai.
“Coda di paglia?” le sussurrai ridacchiando, “Hai paura che lo faccia vedere a qualcuno quel video?”
E allora Claudia fece quella cosa che… non mi sarei mai aspettato che facesse, scattò e mi afferrò le palle, strizzandomele.
Saltai per la sorpresa (e anche per il dolore) ma Claudia non mi fece alzare bloccandomi con il suo peso e addirittura aumentando la forza con cui me le stingeva.
“Stai – zitto – non – ti – voglio – sentire – fiatare” ringhiò scandendo bene le parole, “e guai a te se parli ancora… di quella cosa, siamo intesi?”
Non risposi, e per rimarcare la minaccia facendola classificare nella mia testa come reale e critica… ecco un'altra bella stretta che mi fece mancare il fiato.
“Siamo intesi…?” ruggì, “Hai capito bene, sono stata chiara?”
“S-sì…” le risposi, a metà tra l’incazzato e lo spaventato.
“Se ne parli ancora, se solo tiri fuori l’argomento…” ricominciò, e strinse ancora.
“Sì, ok, ok, ok, ho capito” le dissi sofferente, arrendendomi, e solo allora Claudia mollò la presa sulle mie palle ma senza togliere la mano, anzi…
Mi guardò negli occhi e invece di lasciarmele andare semplicemente mosse la mano posandomela sul pacco e tastandomelo da sopra i pantaloncini, il tutto mentre mi teneva bloccato sul mio letto.
Ci guardavamo in silenzio, con i nostri respiri che si mescolavano.
Claudia non mollò la presa, anzi, continuò a toccarmi ancora più decisa anche perché ormai i contorni del mio affare erano ben… definiti, e la sua mano era tutt’altro che abituata regalarmi carezze affettuose!
“Che c’è?” mi sussurrò, senza smettere, “Hai qualche problema? Sei… strano, fratellino…”
Seguirono lunghi instanti di silenzio, poi Claudia si addolcì.
“È la prima volta che… qualcuna ti… fa così?” mi chiese.
Annuii debolmente.
Sperando che non volesse prendermi per il culo, non in un momento così… catartico!
Non smise di toccarmi il cazzo, nemmeno quando da fuori sentimmo mamma che ci chiamava.
“Ragazzi… dove siete?”
Le finestre erano aperte, non serviva affacciarci per rispondere.
“In camera…” rispose a voce alta Claudia.
“Papà e io stiamo andando giù in paese, al supermercato” ci disse ancora mamma, “volete venire?”
Claudia mi guardò dritta negli occhi.
Non avevo mai visto uno sguardo del genere in mia sorella…
“No” rispose senza distogliere quello sguardo, “dobbiamo finire di sistemare un paio di cose… qui…” aggiunse, rivolgendomi un sorrisetto strano che mi fece ghiacciare il sangue.
“Ok, ci vediamo più tardi…” concluse mamma, sentimmo il motore dell’auto accendersi e poi il rumore delle ruote sull’asfalto dissestato del vialetto e poi più nulla, a parte il cinguettare insistente di chissà quanti pennuti.
Una delle poche cose che avevo sistemato nella mia stanza era l’orologio con il logo BMW, una delle cose che gli amici di scuola mi avevano regalato per il mio diciottesimo compleanno lo scorso gennaio, segnava le cinque e venti.
Non mi dimenticherò mai più quell’orario…
Così come non dimenticherò cosa indossavo io, e cosa indossava lei.
Claudia aspettò forse un minuto per essere sicura che fossimo soli e poi… fece quello che aveva in programma di fare da chissà quanto tempo, mi abbassò tutto insieme, pantaloncini e boxer, facendolo uscire come una molla, sotto il suo sguardo… assassino.
Ero in apnea, con la schiena sudata e le gambe che mi tremavano.
Gli lanciò un sguardo furtivo ma poi i suoi occhi si incollarono nuovamente sui miei, e quando sentii la sua mano che me lo afferrava non riuscii a dominare la mia tensione e feci un sobbalzo.
“Ehi, calmo…” mi sussurrò mentre me lo teneva dritto, “tranquillo, non succede niente…”
Sorrideva, serena, ma forse solo esteriormente.
Me lo tenne dritto e poi cominciò a muovere la mano su e giù, prima solo accarezzandomelo e poi cominciando a scappellarlo, delicatamente ma anche con fermezza, e mentre la guardavo… allucinato si mise a segarmi.
La prima (e l’unica) ragazza che mi aveva toccato prima di lei era stata una tizia che di cui non ricordo nemmeno il nome, l’anno prima, al mare, durante una specie di gioco che andato oltre il consentito.
Ma non così, non fu un gesto così… completo, e così volontario come quello che stava facendo Claudia.
Chiusi gli occhi e riuscii a fare… il punto della situazione, forse perché ancora non ci credevo, ma c’era mia sorella che mi stava facendo una sega sul mio letto.
Me ne facevo due o anche tre al giorno, sapevo dosarmi e controllarmi, ma così… così non ci riuscii.
Strinsi le gambe e mi irrigidii per controllarmi meglio, Claudia se ne accorse e mi sussurrò “no, no, lasciati andare…”
Non servì che dicesse o facesse altro, mollai leggermente il freno ed eruttai tutta la mia gioventù: schizzai a mezzo metro di altezza strappandole un sorrisetto, schizzai ancora e poi ancora impiastricciandole le mani, e ricordo che la cosa che mi sconvolse di più era che non smetteva di scappellarmelo anche se stavo schizzando, cosa che invece io ero abituato a fare perché diventavo troppo sensibile.
Continuò a fare su e giù con la mano, tutta sorridente, incurante del mio respiro affannoso e delle gocce di sudore che mi avevano imperlato la fronte, alternò accelerate a leggere frenate mixando non so se volutamente le sensazioni che mi regalava, e portandomi inevitabilmente al secondo round.
Se ne accorse e accelerò, la vedevo eccitata, con il labbro inferiore stretto tra i denti bianchissimi, e quando sentii arrivare l’onda… be’, la lasciai arrivare, e sfogarsi.
“Mmm…” la sentii mugolare mentre schizzavo ancora, molto meno prepotentemente, “così, bravo…” sussurrò, smettendo di fare su e giù ma limitandosi a tenermelo dritto mentre le facevo colare altro liquido appiccicoso sulle mani, e quando proprio fui sopraffatto dallo sfinimento la lasciai andare sul letto, ansimante.
Claudia restò accanto a me, mi mollò il cazzo pulsante e dolorante e appoggiò entrambe le mani aperte sulla mia pancia, sollevandomi la maglietta e infilandosi sotto fino a raggiungere il petto, poi ridiscese.
Aveva uno sguardo strano, a metà tra il “adesso ti mangio vivo” e il materno, ma forse era solo una mia impressione, del resto non potevo dire di essere particolarmente lucido…
“Aspetta qui” mi disse improvvisamente alzandosi in piedi, si guardò attorno e trovò quello che cercava, un pacchettino di fazzoletti di carta, ne prese un paio e delicatamente cominciò a pulirmi la pancia e le palle, poi con due dita mi prese il cazzo che cominciava ad ammosciarsi e ripulì anche quello scappellandomelo un’altra volta e facendomi saltare, soprattutto quando mi “tamponò” la cappella ormai ultra sensibile con un fazzolettino troppo ruvido prima di lasciarmelo andare in appoggio sulla pancia.
“Adesso… ti lascio solo” mi disse accarezzandomi a mo’ di saluto una coscia, “riposati, recupera…” aggiunse divertita, “e poi rimettilo via!”
Chiusi gli occhi, sopraffatto dalle emozioni e dall’adrenalina.
“Lascia perdere tutto, qui” aggiunse prima di uscire dalla mia stanza, ferma sulla porta, “tanto stanotte dormi con me… nel mio letto”
E quest’ultima frase la disse in modo troppo… esplicito perché non la capissi, per quelle che erano le sue intenzioni.
Mi tirai su tutto e mi alzai, ero sudato fradicio, andai in bagno e mi lavai sommariamente nel lavandino rimandando la doccia a dopo che avevo finito di portare dentro scatoloni e altre cose, ma le gambe faticavano a reggermi e avevo la testa leggerissima, tanto che mi fermai in bagno con la testa chinata sul lavandino.
“Ehi” mi chiese da dietro, “ma… stai bene?”
Era divertita, ma forse anche un po’ preoccupata.
“Eh?” risposi, tirandomi su, “Sì, scusa, solo un po' di caldo… o stanco per il viaggio…”
Sbuffò roteando gli occhi, mi raggiunse e mi prese per mano portandomi sul suo letto, mi tolse la maglietta sudata (e fece una smorfia schifata) e la gettò via a terra, poi mi fece stendere e mi si mise accanto, sul fianco, come la Paolina Borghese del Canova.
Volevo tirami su ma me lo impedì e mettendomi la sua mano calda sul petto mi fece stendere.
“Dai, chiudi gli occhi” mugolò, “riposati un po', hai lavorato duro tutto il giorno, sarai stanchissimo…”, ma non accennò a quello che avevamo appena fatto.
“Recupera le energie…” mugolò, “sennò… come farai quando ti serviranno?”
La guardai negli occhi.
Sorrideva, complice, e sicura di sé.
E io mi sentivo come una mosca presa nella tela del ragno, solo che ci stavo così bene lì dentro… e non mi volevo liberare, né della tela né del ragno.
“Non vorrai mica deludere tua sorella, vero?” sussurrò, e facendo scendere la mano mi sfiorò ancora il pacco, arrivando alle palle, facendomi saltare ancora una volta.
“Abbiamo tante cose da fare…” sospirò, “tante cose da… provare… noi due…”
“E abbiamo così tanto tempo… per stare insieme…” aggiunse con una nota di tristezza, ma tornando a sorridere aggiunse “tantissimo tempo…”
Sentivo le tempie pulsare.
Mi guardava in un modo che… mi era sconosciuto, non sembrava nemmeno lei.
Poi… lo fece: si prese la maglietta da dietro la schiena e con un gesto rapido se la sfilò dalla testa lasciando fluire i capelli sulle spalle e mostrandomi quella meraviglia della natura che erano le sue belle tette, con i capezzoli piccoli e dritti, la pelle candida e con qualche lentiggine.
La guardavo sbigottito, stanco ma iper adrenalinico, gliele avevo già viste, ma non così da vicino.
Si lasciò ammirare e poi venne giù, accanto a me, appoggiò il seno sul mio petto e mi ricoprì con il suo corpo caldo e morbido, appoggiando la guancia alla mia.
“Adesso… riposiamo” sussurrò chiudendo gli occhi, “poi… poi giocheremo ancora, ok?”
“O-ok…” sussurrai, e lasciandomi andare finii per alzare gli occhi al soffitto, senza azzardare a chiuderli per la paura che tutto svanisse.
“Vuoi giocare ancora insieme a me?” sussurrò.
“S-sì…”
“Bene, bravo il mio fratellino…” mormorò, e poi… silenzio.
Fine prima parte.