Racconto di fantasia Il mio "migliore" amico

Maxtree

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ma per favore, se scrivi per avere audience ecc lascia perdere. Io penso che un racconto vada scritto per condividere un qualcosa una fantasia un momento uno spaccato di vita e va scritto per la voglia di metterlo per iscritto per se stessi, poi se interessa bene diversamente ..va bene lo stesso.
 
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Gando94

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Parte 7

Gabriele si chiese quanto ancora ci volesse. Era l’una passata e ormai i genitori che ancora erano occupati con i colloqui erano davvero pochi. La porta dell’aula dove sedeva la professoressa di italiano era ancora chiusa e Gabriele non ne poteva più di aspettare. Decise di scrivere un messaggio a sua madre.

GABRIELE:
Quanto ci vuole ancora? Sei dentro da un’ora…

La risposta non tardò ad arrivare, anche se lui non poteva sapere che il cellulare di sua madre fosse nelle mani di Alex.

MAMMA:
Tesoro questa non mi molla più. Abbi un po’ di pazienza, tra poco esco.


GABRIELE:
Ok. Io vado un attimo in bagno. Se nel frattempo esci aspettami in portineria.

Gabriele rinfilò il cellulare in tasca e si diresse verso i bagni del primo piano. Aveva decisamente bisogno di rinfrescarsi: la polo era incollata alla schiena, madida di sudore, e il suo viso accaldato sembrava sul punto di sciogliersi. Era così caldo, lì dentro, che sembrava di respirare aria viziata, o peggio, di non respirare affatto.
Si chiuse la porta del bagno dei maschi alle spalle e si affrettò al lavandino. Aprì l’acqua, che inizialmente uscì bollente. Attese qualche secondo affinché l’acqua fresca uscisse finalmente dal rubinetto, poi ci infilò sotto la testa. Il getto gelido fu come una manna dal cielo. Improvvisamente gli parve di essere rinato.

***

«Sei sicuro che sia qui?»
Alex, appoggiato contro il vetro della finestra della camera di Gabriele, osservava Sonia di spalle e intenta a rovistare nella stanza. Notò il MacBook nuovo di zecca al centro della scrivania, chiedendosi da quanto Gabriele ce l’avesse. Era la prima volta che lo vedeva e l’amico non glielo aveva ancora detto, quindi immaginò che fosse un acquisto recente.
Una punta di fastidio gli pervase il petto: la situazione economica modesta della sua famiglia non gli avrebbe mai permesso di averne uno uguale, e anche se avesse iniziato a lavorare avrebbe dovuto risparmiare per almeno un anno prima di poterselo permettere. Gabriele, invece, non doveva mai fare alcuno sforzo per avere quello che voleva. Gli bastava chiedere, e Sonia e Giovanni si premuravano di far avere tutto a quel figlio così intelligente, così a modo, così perfetto… Alex sentì la rabbia montargli da dentro.
«Sì, sono sicuro», disse infine a labbra strette, con gli occhi fissi sul culo di Sonia.
«Be’, qui non c’è», rispose lei, aprendo per l’ennesima volta lo stesso cassetto. «Chissà dove l'avrà messo. È un bravo ragazzo, ma è così disordinato…»
Alex sorrise mentre seguiva con lo sguardo il leggero segno delle mutandine di pizzo sotto la gonna a tubino. Dio, quella donna lo eccitava fino a fargli perdere la ragione.
Ecco, forse era quella la sua rivincita. Magari non poteva avere computer da migliaia di euro come Gabriele, ma scoparsi sua madre sarebbe stato un buon compromesso.
A passo felpato si avvicinò a lei, che era ancora di spalle. La coda di capelli neri le accarezzava il collo mentre rovistava tra le cose del figlio.
Sonia non si accorse nemmeno che lui le era proprio dietro, così vicino che se si fosse voltata si sarebbe ritrovata le sue labbra addosso.
Alex chinò la testa su di lei, le labbra a pochi millimetri dalla pelle sensibile del suo collo. Respirò piano, e il suo alito caldo fece formicolare la pelle di Sonia.
Lei si bloccò sul posto, sorpresa da quella vicinanza inaspettata e da quell’improvviso calore sulla pelle.
Alex avvicinò le labbra al corpo di Sonia, poi fece scorrere la lingua dotata di piercing dietro l’orecchio di lei. Sonia sentì un brivido intenso e caldo scorrerle lungo la spina dorsale fino ad arrivare al suo sesso. Le mutandine di pizzo nere, quelle che le erano costate una fortuna ma che avevano il pregio di farla sentire più sensuale che mai, si inumidirono rapidamente.
«Cosa stai facendo?», strepitò in un istante di lucidità. Tentò di voltarsi, ma Alex le bloccò i polsi contro il piano della scrivania, facendola piegare in avanti. Ora il suo culo era proteso verso di lui, e lui ne approfittò per strusciare il suo uccello contro il corpo di lei.
Voleva scoparla subito, ferocemente, violentemente, ma allo stesso tempo voleva torturarla, farla impazzire, sentirla implorarlo di prenderla e farla sua.
Le sollevò la gonna. Sonia, ancora a novanta, si allungò sul pianale della scrivania, poggiando la guancia sul legno freddo.
«Alex, fermati», lo pregò, le gambe che tremavano per l’eccitamento.
«Vuoi che mi fermi?», rispose lui roco, mentre le sue dita correvano sotto la gonna.
«Sì», disse la donna. «Io… noi… non dobbiamo, è sbagliato…»
Lui ritrasse la mano da sotto la gonna di lei e sospirò. La prese per un braccio e la fece voltare, costringendola a guardarlo negli occhi.
Il suo viso era accaldato, le sue guance purpuree, le labbra gonfie di desiderio e le pupille dilatate fino a divorare le iridi azzurre.
«Vorresti dirmi che non vuoi?», le soffiò ad un palmo dal viso.
Nel bagno della scuola, a Gabriele non sfuggì il cigolio della porta alle sue spalle, nonostante avesse la testa ancora sotto il getto dell’acqua.
Ci fu un tonfo secco, come se la porta fosse stata chiusa con un calcio.
«Bene, bene, guarda un po’ chi c’è.»
Quella voce lo fece tremare. Sollevò la testa di scatto, sbattendo contro il rubinetto. Una fitta gli attraversò il cranio, mentre cercava di rimettersi in piedi.
Inquadrò due figure, Salvatore e Francesco, di fronte a lui. Gli occhi gli pizzicavano, e rivoli d’acqua fresca gli scivolavano sulle guance, ma li avrebbe riconosciuti anche a palpebre serrate. Il suo cuore affondò.
«Hey, sfigato», esclamò Francesco, incrociando le braccia al petto. «Credevi che te la saresti cavata tanto facilmente, l’altro giorno?»
L’altro scoppiò a ridere, una risata tonante e malvagia. «Sei scappato proprio come un povero coglione.»
«Lasciatemi in pace», disse Gabriele, fissando la porta dietro di loro. «Mia madre mi sta aspettando di sotto.»
Salvatore ridacchiò. «Ma sentilo, poverino, vuole correre dalla mammina!»
Ma Sonia era molto lontana da lì.


Continua....
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Parte 7

Gabriele si chiese quanto ancora ci volesse. Era l’una passata e ormai i genitori che ancora erano occupati con i colloqui erano davvero pochi. La porta dell’aula dove sedeva la professoressa di italiano era ancora chiusa e Gabriele non ne poteva più di aspettare. Decise di scrivere un messaggio a sua madre.

GABRIELE:
Quanto ci vuole ancora? Sei dentro da un’ora…

La risposta non tardò ad arrivare, anche se lui non poteva sapere che il cellulare di sua madre fosse nelle mani di Alex.

MAMMA:
Tesoro questa non mi molla più. Abbi un po’ di pazienza, tra poco esco.


GABRIELE:
Ok. Io vado un attimo in bagno. Se nel frattempo esci aspettami in portineria.

Gabriele rinfilò il cellulare in tasca e si diresse verso i bagni del primo piano. Aveva decisamente bisogno di rinfrescarsi: la polo era incollata alla schiena, madida di sudore, e il suo viso accaldato sembrava sul punto di sciogliersi. Era così caldo, lì dentro, che sembrava di respirare aria viziata, o peggio, di non respirare affatto.
Si chiuse la porta del bagno dei maschi alle spalle e si affrettò al lavandino. Aprì l’acqua, che inizialmente uscì bollente. Attese qualche secondo affinché l’acqua fresca uscisse finalmente dal rubinetto, poi ci infilò sotto la testa. Il getto gelido fu come una manna dal cielo. Improvvisamente gli parve di essere rinato.

***

«Sei sicuro che sia qui?»
Alex, appoggiato contro il vetro della finestra della camera di Gabriele, osservava Sonia di spalle e intenta a rovistare nella stanza. Notò il MacBook nuovo di zecca al centro della scrivania, chiedendosi da quanto Gabriele ce l’avesse. Era la prima volta che lo vedeva e l’amico non glielo aveva ancora detto, quindi immaginò che fosse un acquisto recente.
Una punta di fastidio gli pervase il petto: la situazione economica modesta della sua famiglia non gli avrebbe mai permesso di averne uno uguale, e anche se avesse iniziato a lavorare avrebbe dovuto risparmiare per almeno un anno prima di poterselo permettere. Gabriele, invece, non doveva mai fare alcuno sforzo per avere quello che voleva. Gli bastava chiedere, e Sonia e Giovanni si premuravano di far avere tutto a quel figlio così intelligente, così a modo, così perfetto… Alex sentì la rabbia montargli da dentro.
«Sì, sono sicuro», disse infine a labbra strette, con gli occhi fissi sul culo di Sonia.
«Be’, qui non c’è», rispose lei, aprendo per l’ennesima volta lo stesso cassetto. «Chissà dove l'avrà messo. È un bravo ragazzo, ma è così disordinato…»
Alex sorrise mentre seguiva con lo sguardo il leggero segno delle mutandine di pizzo sotto la gonna a tubino. Dio, quella donna lo eccitava fino a fargli perdere la ragione.
Ecco, forse era quella la sua rivincita. Magari non poteva avere computer da migliaia di euro come Gabriele, ma scoparsi sua madre sarebbe stato un buon compromesso.
A passo felpato si avvicinò a lei, che era ancora di spalle. La coda di capelli neri le accarezzava il collo mentre rovistava tra le cose del figlio.
Sonia non si accorse nemmeno che lui le era proprio dietro, così vicino che se si fosse voltata si sarebbe ritrovata le sue labbra addosso.
Alex chinò la testa su di lei, le labbra a pochi millimetri dalla pelle sensibile del suo collo. Respirò piano, e il suo alito caldo fece formicolare la pelle di Sonia.
Lei si bloccò sul posto, sorpresa da quella vicinanza inaspettata e da quell’improvviso calore sulla pelle.
Alex avvicinò le labbra al corpo di Sonia, poi fece scorrere la lingua dotata di piercing dietro l’orecchio di lei. Sonia sentì un brivido intenso e caldo scorrerle lungo la spina dorsale fino ad arrivare al suo sesso. Le mutandine di pizzo nere, quelle che le erano costate una fortuna ma che avevano il pregio di farla sentire più sensuale che mai, si inumidirono rapidamente.
«Cosa stai facendo?», strepitò in un istante di lucidità. Tentò di voltarsi, ma Alex le bloccò i polsi contro il piano della scrivania, facendola piegare in avanti. Ora il suo culo era proteso verso di lui, e lui ne approfittò per strusciare il suo uccello contro il corpo di lei.
Voleva scoparla subito, ferocemente, violentemente, ma allo stesso tempo voleva torturarla, farla impazzire, sentirla implorarlo di prenderla e farla sua.
Le sollevò la gonna. Sonia, ancora a novanta, si allungò sul pianale della scrivania, poggiando la guancia sul legno freddo.
«Alex, fermati», lo pregò, le gambe che tremavano per l’eccitamento.
«Vuoi che mi fermi?», rispose lui roco, mentre le sue dita correvano sotto la gonna.
«Sì», disse la donna. «Io… noi… non dobbiamo, è sbagliato…»
Lui ritrasse la mano da sotto la gonna di lei e sospirò. La prese per un braccio e la fece voltare, costringendola a guardarlo negli occhi.
Il suo viso era accaldato, le sue guance purpuree, le labbra gonfie di desiderio e le pupille dilatate fino a divorare le iridi azzurre.
«Vorresti dirmi che non vuoi?», le soffiò ad un palmo dal viso.
Nel bagno della scuola, a Gabriele non sfuggì il cigolio della porta alle sue spalle, nonostante avesse la testa ancora sotto il getto dell’acqua.
Ci fu un tonfo secco, come se la porta fosse stata chiusa con un calcio.
«Bene, bene, guarda un po’ chi c’è.»
Quella voce lo fece tremare. Sollevò la testa di scatto, sbattendo contro il rubinetto. Una fitta gli attraversò il cranio, mentre cercava di rimettersi in piedi.
Inquadrò due figure, Salvatore e Francesco, di fronte a lui. Gli occhi gli pizzicavano, e rivoli d’acqua fresca gli scivolavano sulle guance, ma li avrebbe riconosciuti anche a palpebre serrate. Il suo cuore affondò.
«Hey, sfigato», esclamò Francesco, incrociando le braccia al petto. «Credevi che te la saresti cavata tanto facilmente, l’altro giorno?»
L’altro scoppiò a ridere, una risata tonante e malvagia. «Sei scappato proprio come un povero coglione.»
«Lasciatemi in pace», disse Gabriele, fissando la porta dietro di loro. «Mia madre mi sta aspettando di sotto.»
Salvatore ridacchiò. «Ma sentilo, poverino, vuole correre dalla mammina!»
Ma Sonia era molto lontana da lì.


Continua....
 
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Parte 8

In quell’istante sentì il labbro inferiore tremare. Cercò di parlare, ma la voce le si spezzò in gola, le parole si persero e lei rimase a fissare Alex negli occhi.
«Io lo so che mi vuoi», seguitò Alex , suadente.
I suoi occhi chiari contrastavano la pelle d’ebano e la fecero fremere, desiderando cose proibite, cose che come donna sposata e madre non avrebbe dovuto bramare. Era disgustata da sé stessa per essere così bagnata davanti ad un ragazzo che avrebbe potuto benissimo essere suo figlio, ma allo stesso tempo quella situazione la eccitava ancora di più. Il motivo della sua vergogna era anche il motivo della sua eccitazione smisurata.
«E io voglio te, Sonia…», sussurrò Alex.
Lei tremò a quelle parole. Il suo cuore martellava nel petto, sotto i capezzoli turgidi e che gridavano una muta richiesta di essere liberati dal reggiseno.
Alex tentò di baciarla. Lei si ritrasse, premendo il sedere contro il bordo della scrivania.
«Non resistermi. Più mi resisti e più desidero farti mia.»
Le diede una spintarella verso la scrivania, e Sonia finì con il culo sopra il computer scintillante di Gabriele. Ci fu un leggero crac, ma nessuno dei due parve curarsene.
Alex la guardò negli occhi che brillavano di desiderio e ritentò con un altro bacio. Le labbra di lei erano serrate mentre combattevano nell’indecisione di seguire ciò che le diceva il cuore e ciò che le diceva la testa, ma quando percepì la lingua di lui leccarle la pelle non resistette più. Schiuse le labbra e lasciò che la lingua di lui cercasse la sua, rincorrendola nella sua bocca calda e umida.
Alex si staccò solo per togliersi la canotta, che lasciò cadere a terra, mettendo in mostra il suo fisico scultoreo. Mentre Sonia lo ammirava in tutta la sua bellezza, lui allungò la mano verso il fermaglio dei capelli di lei e lo aprì. Una nuvola di capelli neri si sciolse dalla coda e scivolò sulle spalle di Sonia, incorniciandole il viso accaldato.
Nonostante l’aria condizionata fosse al massimo, la donna si sentiva ribollire dall’interno.
Il fresco della stanza era in netto contrasto con l’afa e la puzza di piscio dei bagni della scuola. Gabriele andò nel panico. L’unica via di fuga era dietro le spalle dei due bulli, e per lui sarebbe stato impossibile raggiungerla senza finire nelle braccia dei suoi aguzzini. Era proprio nella merda.
Decise di fare la cosa più stupida che potesse fare, ma che gli avrebbe concesso un po’ di tempo. Scattò verso i cessi e si chiuse all’interno prima che i due riuscissero a raggiungerlo.
Dei pugni sbatterono contro la porta, facendo tremare tutta la struttura.
«Vieni fuori, verme! O giuro che butto giù la porta!»
Gabriele tentò di chiamare sua madre, ma al primo squillo partì la segreteria. Chiamò allora Alex e stavolta il telefono squillò a vuoto.
«Che c’è, la mammina non risponde?», lo canzonò Salvatore.
Gabriele, disperato, scrisse velocemente un messaggio ad Alex:

GABRIELE
Alex, aiutami. Sono nel bagno del primo piano.

ALEX
Non sono più a scuola, mia mamma si è sentita male.

Altri colpi contro la porta, così forti che a Gabriele scivolò il cellulare dalle mani. Lo recuperò velocemente, tremando come una foglia. Da accucciato riusciva a vedere le scarpe dei due.

GABRIELE
Cosa? E io che cazzo faccio? Loro sono in due.

Restò in attesa. Ogni secondo pareva un’eternità, mentre la struttura del bagno veniva percossa dai calci e dai pugno di Salvatore e Francesco. Gabriele immaginò tanta brutalità scagliata contro la sua carne e le sue deboli ossa. Deglutì. Di lui non sarebbe rimasta che poltiglia.
Il cellulare vibrò. Gabriele pregò che Alex potesse aiutarlo, ma le sue preghiere furono vane.

ALEX
Non rompere, fottiti.

Senza parole per quella risposta, tentò di chiamarlo di nuovo ma il cellulare risultò spento.
In casa, Alex rimise il cellulare in tasca. Sonia era così persa ed eccitata da non rendersi conto che Alex era improvvisamente tornato in possesso del suo cellulare, e che esso non era nelle mani di Gabriele come lui le aveva detto. Comunque, non le sarebbe importato. Non c’era spazio per la verità, in quel momento.
Con un gesto secco lui le divaricò le gambe e piazzò il suo corpo in mezzo, tenendola saldamente per le ginocchia. Il computer di Gabriele, sotto tutto quel peso, emanò un altro rumore di plastica che s’incrinava. Eppure Sonia non se ne accorse, troppo trasportata dalla situazione. Sembrava stregata.
Con una mano lui iniziò ad accarezzarle una coscia, sentendone le linee armoniose, poi si spostò verso l’interno e salì verso la sua intimità, lentamente. Per Sonia iniziava ad essere difficile distinguere il pavimento dal soffitto.
La mano di Alex si mosse lenta sotto la gonna, mentre continuava a baciarle il collo. Con la mano libera iniziò a sbottonarle la camicia; i bottoni si aprivano facilmente, agevolati dall’enorme seno al di sotto. Il tessuto e il colore austero della camicia lasciarono spazio al pizzo nero del reggiseno di alta sartoria, simile a quello che Alex le aveva visto addosso la settimana prima.
Alex si abbassò sul suo seno enorme, afferrò il bordo della coppa con i denti e tirò verso il basso. Le tette di Sonia saltarono fuori con facilità, in tutta la loro pienezza, con il reggiseno nero che restò inesorabilmente schiacciato al di sotto. Alex sentì l’uccello indurirsi a quella vista afrodisiaca. Con le labbra raggiunse il suo capezzolo scuro, lo succhiò e lo mordicchiò, facendola gemere.
«Oh… Alex», sussurrò lei in preda al piacere.
Quei gemiti lo fecero impazzire. S’inginocchiò davanti a lei, sorridendo furbamente, ed infilò la testa sotto la gonna. Il profumo della sua fica lo mandò in estasi.
Nei bagni, invece, Gabriele non sentiva altro che la puzza di piscio.
«Sai, sfigato, se c’è una cosa di te che non ho mai capito è perché i tuoi genitori ti abbiano iscritto a questa scuola», seguitò Francesco, premuto contro la porta.
Salvatore entrò nel bagno a fianco e salì in piedi sul water cercando un modo per acciuffare Gabriele, ma senza successo.
«Voglio dire, abitate nella zona più costosa di Napoli, tua madre indossa roba di marca, per non parlare della macchina…»
«Sì», esclamò Gabriele, tremando. «E allora?»
«E allora perché ti obbligano a venire in questa scuola malfamata del cazzo? Non hai detto a papino che qui ci sono i bulli cattivi che ti fanno i dispetti?»
Salvatore rise. «Evidentemente sua madre preferisce comprarsi le cinture di Gucci piuttosto che mandare il figliol prodigo in una scuola privata.»
«Già, peggio per lui!»
Gabriele digrignò i denti.

Cosa succederà a Gabriele?

Continua.....
 

dario912

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Mi piacerebbe conoscere (anche privatamente) chi immagina di essere il protagonista della storia, il figlio di una donna vittima di un bullo o amnte di un bullo
 

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