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Era tempo che non postavo un racconto. Avevo deciso di astenermi, ma la lettura del thread relativo alle saune ha aperto un cassetto della memoria che non ricordavo. Potenza dei ricordi!
Spero che apprezzerete lo sforzo.
More solito, lo scritto è a metà vero e a metà romanzato. Ho cambiato un po' di cose, non ho fatto nomi ma la storia è veramente accaduta parecchi anni fa tra le colline Taunus, per inciso, uno dei posti più belli che ho mai visitato. Per chi conosce, è una Fiuggi in Germania, molto, ma molto più bella e curata. Non per niente, Bad Homburg è stata la capitale della regione dell'Assia e vanta una storia millenaria. Nulla in confronto ad altre cittadine tedesche, ancor meno rispetto ad uno qualsiasi dei nostri borghi medievali, ma gente, quelli erano barbari a cui Roma donò 2100 anni fa la civiltà. Ricordiamoci che andavano a cavallo coprendo la groppa con una coperta sotto la quale mettevano la carne di bue muschiato ad essiccare mentre i nostri costruivano ed usavano tutti i giorni le terme con l'acqua calda corrente...
Buona lettura.



La collega​

Giorno 1 - In albergo​

Era aprile del 2009.
L’azienda mi mandò per lavoro in Assia, a Bad Homburg, nel bel mezzo delle colline Taunus, immersa in boschi rigogliosi e circondata di prati verdi e curati.
L’albergo che ci ospitava aveva un piccolo centro benessere nel seminterrato, e dopo il primo giorno di lavoro particolarmente stressante e faticoso assieme ad una collega decidemmo di provare a stemperare le tensioni accumulate.

La spa offriva una sauna, un bagno turco, una vasca idromassaggio ed una serie di docce “cromatiche” oltre ad una sala relax con qualche chaise-longue e le immancabili tisane. Ovviamente, c’era lo spogliatoio.
Lo spogliatoio. Si, unico. Un solo locale per uomini e donne.
La mia collega ed io (nessuna relazione, nessun reciproco interesse) eravamo già in accappatoio con il costume da bagno, opportunamente messo in valigia perché nell’albergo c’era disponibile anche una piscina coperta, per cui non avemmo troppe remore ad entrare ed a scoprirci. Lasciammo quindi gli accappatoi nello spogliatoio ed entrammo con le ciabattine da piscina nel locale spa. All’ingresso trovammo una serie di pittogrammi che indicavano chiaramente, a prescindere dalla presenza delle scritte in tedesco, in inglese ed in francese, quali fossero le prescrizioni: obbligo di lavarsi i piedi nella vaschetta all’ingresso, divieto di girare con le proprie ciabatte ed obbligo di indossare le pattine messe a disposizione, divieto di usare cellulari e macchine fotografiche, divieto di indossare costumi.
Si, c’era un cartello con il pittogramma di un uomo ed una donna in costume da bagno sbarrati con una croce. «Bitte beachten Sie, dass Badeanzüge im Wellnesscenter nicht gestattet sind», seguito da un più chiaro avviso in inglese «Please note that swimsuits are not allowed in the wellness centre».
La mia collega ed io ci guardammo sorpresi.
“Che facciamo?” le chiesi:
“Io nulla, vado a farmi una nuotata. Io nuda non mi ci metto di certo” rispose un po’ piccata.
“Io invece mi sa che entro” le dissi.
Mi guardò con un‘aria un po’ perplessa ed un po’ di riprovazione, ma decisi di tenere il punto.
“Capisco che ti possa vergognare, e sotto un certo punto di vista ti capisco. E ti dirò che il fatto che tu non voglia mi tranquillizza. Avessi accettato, sarei stato in imbarazzo” ammisi con la massima sincerità.
Per un attimo vidi nei suoi occhi un lampo quasi maligno, poi scosse la testa e mi rispose: “Allora vai, buon divertimento. Poi mi racconti, eh?”
“Eh no, cara mia, se vuoi sapere devi entrare e vedere con i tuoi occhi”.
“Pensi che non ne abbia il coraggio?”
“No…”
Lei mi scostò dalla porta a vetri, entrò nella vaschetta, si sciacquò i piedi e si immise nella sala nella quale affacciavano sauna, bagno turco e docce ed al centro della quale troneggiava la vasca Saun. Con sua grande delusione, il centro era vuoto, non c’era nessuno.
“Ma… è vuoto! Allora ci fermiamo!” mi disse.
“Si, ma dobbiamo comunque toglierci il costume. Hai letto il cartello?” mi rispose.
Avevo già avuto un paio di esperienze in una SPA mista in Alto Adige ed immaginavo che con grande probabilità sarebbe passato un controllo. Non volevo farmi rimproverare dal crucco di turno e quindi la avvisai che mi sarei tolto comunque il costume, ma mi sarei coperto con uno dei teli piccoli messi a disposizione. Era il massimo che ero disposto a concederle visto che, mentre in Sud-Tiröl ero tra sconosciuti e la mia vena esibizionista poteva essere acquietata senza rischi, lì, in quella situazione, a fianco di una collega per la quale non provavo alcuna simpatia nemmeno lavorativa, non mi sentivo assolutamente a mio agio.
Lei nicchiò, disse “No, allora vai tu, io vado in piscina, ci vediamo a cena”, uscì dalla sala chiudendo la porta alle spalle ma poi, dopo pochi istanti, tornò indietro dicendomi: “Ok, resto, però non voglio vederti nudo, ok?” quasi volessi a tutti i costi mostrarle il mio birillo. “Machittesencula!” pensai tra me e me ma poi, preso da un palpito “politically correct” le risposi “Mia cara, non ho alcuna intenzione di mostrarmi nudo a te. Mi rendo conto che la mia nudità possa darti fastidio, ma mi piace seguire le regole. Tu peraltro puoi non accettare e andartene quando vuoi. Nessuno ti trattiene, sia chiaro.”
Politically correct, ma anche abbastanza polemico da risultare antipatico pure a me stesso.
“E poi” aggiunsi “ricordati che devi toglierti il costume anche tu!”
“Sei matto? Al massimo tolgo le spalline e lo nascondo sotto il telo”
“Fa come ti pare!” le risposi mentre uscivo dallo stanzone per rientrare nello spogliatoio a togliermi il costume: Volevo evitare di farlo davanti a lei.
“Dove vai, scusa?” mi chiese.
“A togliermi il costume. Non vorrai che lo faccia qui davanti a te, no?” le risposi piccato dopo essermi voltato ad osservarla con un’espressione seccata.
Arrossì ed annuì.
Tornai in sala indossando un telo, troppo piccolo per coprirmi tutto, che avevo serrato in vita. Mi arrivava appena a metà coscia, quando camminavo si apriva di lato e quando mi fossi seduto di certo avrei mostrato un po’ troppo, ma non avevo trovato altro oltre ad un telo da bagno lungo fino alle caviglie: troppo.
La collega mi dette il cambio entrando a sua volta nello spogliatoio. Capii che era entrata nel bagno e di certo ne approfittò perché sentii lo sciacquone. Dopo un paio di minuti ritornò con il telo da bagno che la copriva dalle ascelle alle caviglie. Le spalline del costume intero erano sparite, ma una rapida occhiata mi permise di capire che lo indossava ancora sotto il telo.
Entrammo in sauna. Io mi sedetti nella panca bassa, lontano dal braciere per gli Aufguss, ad un lato del locale, lei invece dalla parte opposta, sullo scalino più alto, quasi di fronte alla porta. Mi distesi sul telo che avevo preso e che avevo steso sulla panca, cercando di non mostrare nulla. Nella posizione in cui mi trovavo, poteva solo notare il bozzo del pube, ma cercai di minimizzare piegando la gamba in modo da nasconderle dietro di essa la mia zona genitale.
La sauna era regolata a 75 gradi, non eccessivamente alta, e dove ero io la temperatura era forse più bassa. Lei invece si trovava nella zona più calda e dopo qualche minuto la sentii sbuffare. Con la coda dell’occhio la osservai aprire il telo all’altezza dello stomaco e della pancia e cercare di staccare dalla pelle il tessuto del costume. In quel momento si aprì la porta della sauna ed apparse la Saunameisterin. Osservò prima me, che mi ero appena tirato su per vedere chi fosse, e poi la collega che era rimasta bloccata dalla sorpresa.
Disse quindi qualcosa con “Fraulein”, “nicht” e “Verboten” ma né la mia collega né io capimmo.
Sorry, I didn’t understand what you said. In English, please” le disse.
Madam, you can’t wear the bathsuite in the wellness center. It’s strictly forbidden” le rispose in un inglese pieno di Z e di dentali dure.

Rimase un paio di secondi scioccata, e stava per rispondere con il dito alzato quando l’addetta la prevenne ribadendo: “Vietato kostume in zauna” in uno stentatissimo italiano, per poi indicare me.
Per favore mostra me tu non porta costume”.
Rimasi perplesso sul da farsi, era davanti a me e mi copriva dalla vista della collega per cui scostai un po’ un lembo del telo mostrandole il mio pisello.
Ach, danke.”
Poi mi chiese se gradivo ricevere un Aufguss. Le chiesi quando e lei mi indicò una tabella nella quale erano indicati gli orari dell’attività. Ne era previsto uno dopo un’oretta circa.
Tornò quindi dalla mia collega che nel frattempo non aveva ancora metabolizzato la cosa, la prese per mano per aiutarla ad alzarsi e la invitò ad uscire.
Lei si scrollò di dosso la mano e borbottò “Non capisco il perché di queste porcate. Poi però lei è vestita!”.
“Guarda che lo fanno per motivi sanitari. I tessuti sintetici alle alte temperature favoriscono la proliferazione dei batteri.
It depends on bacteria in synthetic fabrics at high temperatures, isn’t?” dissi rivolgendomi alla meisterin.
Ja, it’s correct.”
“E perchè ora è vestita qui?” chiese la collega.
“Perché questa tuta è in cotone” rispose in inglese.
“Anche l’intimo?” ribadì.
I don’t wear anything under. And the Aufguss will be provided naked” rispose.
La collega si alzò, uscì senza salutare e tornò nello spogliatoio.
Io approfittai della sua assenza per uscire e farmi una doccia nudo. Poi presi il telo e mi asciugai senza coprirmi, mentre la meisterin stava chiudendo in un sacco i teli usati che erano dentro un contenitore. Poi venne da me, mi prese di mano il mio bagnato e mi indicò la catasta di teli asciutti accanto al bagno turco.
Questo è sporco, ora. No güt.”

Ringraziai ed entrai nel bagno turco che era pieno di una nebbia densa ed aromatizzata. Presi la doccetta, sciacquai il posto sotto di me e mi sedetti quasi in fondo.
Dopo qualche minuto si aprì la porta ed una figura si stagliò in controluce, seguita immediatamente da un’altra. Una volta entrati, si palesarono essere un uomo ed una donna, entrambi nudi, che dopo aver sciacquato il proprio sedile si disposero uno di fronte all’altro, a fianco a me. Altri secondi e la porta si aprì un’altra volta.
“Paolo?” sentii chiamare. Era la mia collega che mi cercava. Quando si accorse che non ero solo fece come un gesto di ritrosia, poi focalizzò meglio e si accorse che eravamo tutti nudi. Notai che ora indossava un telo un po’ più grande di quello che io avevo indossato fino a poco prima, chiuso al seno, che però le scopriva un’ampia porzione delle cosce arrivandole a coprire malamente i glutei.
Chiese permesso e si sedette davanti a me.
“Dovresti sciacquare la seduta con la doccetta” le dissi.
“Ma poi mi bagno il telo!”
“Non dovresti indossarlo, infatti.”
“Ma sono nuda, sotto!”
“Perché, noi come stiamo?” le rispose la ragazza accanto a me. “Non si preoccupi, signora, dopo un po’ qui ci si fa l’abitudine, e poi qui tra buio e nebbia non ci si vede nulla!”.
Io mi ero comunque coperto con la mano accavallando le gambe per limitare al massimo la mia nudità, ma dopo un po’ dovetti accomodarmi meglio. Inoltre avevo un gran caldo e avevo necessità di bagnarmi con la doccetta. Presi il coraggio a quattro mani, mi alzai di fronte a lei e mi bagnai. Era impossibile che non avesse notato che ero nudo, tantomeno che ero depilato, ed infatti la pizzicai a sbirciare attentamente.
Dietro il mio esempio, anche l’altra coppia si alzò e si bagnò con la doccetta.
Lei rimase coperta, le gambe accavallate ed il busto piegato in avanti, ma dopo un po’ dovette cedere e si tolse il telo, mostrando un seno un po’ cadente, la pancia con qualche rotolino di troppo e le cosce tutt’altro che tornite.
No, decisamente non era particolarmente bella, nuda. Diciamo che il costume adamitico le si addiceva meno che all’altra ragazza che era con noi.

Dopo qualche minuto le proposi di uscire e di andare nell’idromassaggio. Lei accettò. Credo che ne avesse abbastanza del bagno turco.
Anche l’altra coppia seguì il nostro esempio e ci raggiunse nella vasca.
Avevo già sbirciato la mia collega ed avevo notato che il suo inguine non era assolutamente curato, mostrando un pelo nero, folto e riccioluto che le copriva tutto il pube.
L’altra coppia era invece atletica, abbronzata, senza segni di costumi e anch’essi totalmente depilati.

Ci presentammo per nome, chiedemmo l’uno all’altro perché eravamo lì, di dove eravamo, ecc.
La mia collega si era rilassata un po’ perché le bolle coprivano le sue intimità e le sue forme, e partecipò alla conversazione. Arrivò di nuovo la meisterin che ci invitò in sauna per l’Aufguss.
Io accettai e mi alzai senza coprirmi, mostrando tutta la mia mercanzia alla collega. Altrettanto fece l’altra coppia.
Nel frattempo l’addetta era entrata in sauna con la sola parte di sopra della sua tuta. Si chinò per raccogliere un telo che le era caduto mostrando i suoi glutei nudi ed un bel tribale sul fondo schiena.
Poi si girò e fu chiaro che aveva uno strano piercing formato da due catenelle che partivano dall’ombelico e terminavano attaccati alle grandi labbra. Infine si tolse anche la parte di sopra della divisa e mostrò i capezzoli attraversati da una barretta.

La mia collega mi guardò sorpresa e quasi disgustata, quasi volesse incolparmi di quel che aveva appena visto. Si era rimessa il telo coprendosi fino al seno, ma sedendosi sulla panca le si era inavvertitamente aperto mostrando il suo pube “nature”. La aufgussmeisterin suggerì a tutti di toglierci i teli, di alzarci in piedi ed avvicinarci per poter godere delle intense gettate di vapore che aveva iniziato a provocare gettando dell’acqua aromatizzata all’eucalipto e al mentolo sulle pietre roventi della stufa e indirizzando servendosi dell’asciugamano verso ciascuno di noi. Fui il primo a godere di quel trattamento che respirai a pieni polmoni. L’immissione di aria carica di vapore, unitamente all’eucaliptolo usato come aroma mi provocò l’effetto Vicks Vaporub nel naso: si stapparono contemporaneamente entrambe le narici e sentii come se qualcosa mi stesse aspirando il muco dai seni frontali e dai turbinati.

Fu la volta della coppia di ragazzi: anche essi ricevettero una sventagliata di vapore con la stessa acqua aromatizzata, che provocò alla lei una serie di violenti starnuti accompagnati da uno scoppio di risate da parte di lui quando l’ennesimo starnuto provocò una rumorosa flatulenza. Inutile dire che la ragazza, arrossita fino alla cima dei capelli, chiese scusa per l’imbarazzante avvenimento. Ridacchiai anch’io facendo un gesto con la mano della serie “nessun problema!”, aggiungendo a bassa voce “tanto con tutto questo odore di eucaliptolo nel naso non sentiamo nulla…”.
Toccò infine alla collega la quale, pur mantenendo una pudica mano sul pube ed un braccio a coprire entrambi i seni, decise di avvicinarsi e di collaborare.
La aufgussmeisterin la prese per un braccio e la avvicinò a se; poi prese una boccetta dal contenitore che aveva con sé e ne versò qualche goccia nel secondo mastello dell’acqua. Immediatamente si sparse per l’aria un profumo di lavanda, fienagione e cannella che coprì ed annullò il precedente. Prese quindi il mastello e versò una mestolata d’acqua sulla pila di rocce che nel frattempo avevano ripreso un colore rosso intenso. Subito si creò una nuvola di vapore che indirizzò verso di lei sventolando il telo, mentre diceva ad alta voce “Atme! Respira!”. La collega aspirò con la bocca a pieni polmoni ma fu presa da un parossismo di tosse che la fece cadere a gambe larghe sulla panca, mettendo in mostra il suo sesso completamente ricoperto da un’impressionante foresta di peli neri.
Un sorriso di scherno comparve sulla bocca della operatrice, quasi a voler sottolineare l’inadeguatezza della donna.
Dopo questo raccolse le sue cose e ci suggerì di rimanere altri cinque minuti in sauna e poi di gettarci sotto la doccia fredda. Poi, sempre nuda, fece un inchino, salutò, si girò ed uscì dalla sauna con passo quasi militare.
Io provai a seguire il suo consiglio ma la reazione era troppo violenta: il getto d’acqua gelata che mi colpì fu come uno schiaffo che mi lasciò senza fiato, e non ebbi il coraggio di rimanervi sotto per cui mi gettai verso il telo per asciugarmi e riscaldarmi. La mia collega invece era andata direttamente alle docce cromatiche, questa volta stranamente senza mettere l’asciugamano per coprirsi. L’altra coppia invece rientrò dentro la vasca idromassaggio.

Andai nella sala relax e mi sdraiai su una chaise longue dopo aver preso una tisana alle erbe ed un altro telo per riscaldarmi un po’. Stavo pensando ai casi miei quando mi sentii battere sulla spalla. Mi girai e vidi la mia collega, bagnata grondante e con un piccolo telo a tenuto di fronte ma più per asciugarsi che per coprirsi.
“Paolo, io andrei in camera ad asciugarmi i capelli e a vestirmi. Andiamo a cena assieme o hai altri appuntamenti?” mi chiese con tono gentile e cordiale, l’opposto di come era stata fino a poco prima.
“Va bene, vai pure. Io vado su tra un po’. Ci vediamo alle 19:30 al bar fuori la sala da pranzo” le risposi. Volevo offrirle un aperitivo come gesto distensivo, considerato anche il malumore e la scarsa tolleranza reciproca che aveva caratterizzato la giornata lavorativa.

La osservai tornare verso lo spogliatoio, il culo completamente scoperto. La sua figura non era curata, i fianchi larghi, le culottes de cheval e la cellulite non la rendevano particolarmente apprezzabile. Anche il seno, che avevo avuto modo di osservare in precedenza, era appesantito e gravava quasi sullo stomaco, i capezzoli scuri e spessi rivolti verso il basso. Si, nel complesso non era una bella figura e forse la sua ritrosia a mostrarsi era dovuta proprio alla sua scarsa avvenenza.

Mi riscossi comunque dai pensieri e mi alzai per tornare nello spogliatoio ove mi infilai ciabatte e accappatoio.
Arrivai all’ascensore ed attesi che arrivasse al piano. Entrai e premetti il tasto del secondo piano.
Si fermò però al piano terra. Le porte si aprirono ed entrò la mia collega, entrambi sorpresi di esserci incontrati.
“Credevo fossi già salita in stanza” le dissi.
“No, mi sono fermata alla reception per chiedere un’informazione.” rispose un po’ vaga.
“Che tipo di informazione?” mi trovai a chiedere quasi contro la mia volontà. “No, scusa, sono affari tuoi, perdonami!” aggiunsi immediatamente.
“Niente di che, chiedevo se avevano anche servizi di estetica qui. Se faccio in tempo, domattina mi presento alle 8 prima di andare in sede” aggiunse.
“Ho un problema ad un unghia del piede” disse dopo una breve esitazione, sollevando leggermente in piede destro e mostrando le unghie poco curate e con lo smalto totalmente distrutto.
Sciatta anche in questo”, pensai.
Annuii e stavo per ribattere quando si aprì la porta del mio piano.
Uscii dall’ascensore e, tenendo con una mano la porta aperta, le ricordai “Allora alle 19:30 al bar”.
“Si, grazie. A dopo” rispose con tono decisamente più cortese.

Mi ero seduto al bancone del bar in attesa della mia collega. Mi ero asciugato e fatto la barba, passato un abbondante dose di dopobarba e vestito in maniera sportiva ma abbastanza elegante: giacca blu, maglione dolcevita azzurro, pantalone grigio, mocassino nero. Stavo giocherellando con la carta dei servizi quando sentii appoggiare una mano sulla spalla.
“Paolo, scusa il ritardo, ma mia figlia ha avuto un piccolo problema” mi disse scusandosi del quarto d’ora di attesa.
“Anzi, volevo chiederti un parere. Le si è fermata la macchina di botto e non riparte più. Mi ha detto che c’è stata una grande fumata, si sono accese tutte le spie e poi si è bloccato il motore facendo slittare le ruote. Sembra come se qualcuno l’avesse trattenuta con una catena. E poi il motorino non gira più”.
Sapevo della sua unica figlia, circa coetanea della mia, che passava gran parte del tempo con il padre e qualche settimana all’anno con la mamma.
“Ma le luci rimangono accese?” le chiesi, per capire se non fosse stato un problema elettrico.
“Dice di sì, funziona tutto. Ma il motorino non gira.”
Intuii che aveva subito un grave danno al motore, un grippaggio, o la rottura della catena o della cinghia di distribuzione, o la rottura di una biella, comunque qualcosa di meccanicamente importante.
“Ma ora dove sta?” le chiesi.
“Sul carro attrezzi, la stanno riportando verso l’officina meccanica convenzionata”.
“Ma che macchina è?” le chiesi.
“È la mia 500 aziendale”.
“È diesel, giusto?”
“Si!”
“Chiedile se ha fatto rifornimento”
La chiamò al telefono e le chiese avanti a me “Tesoro, che hai fatto rifornimento, oggi?”
Sentii che le rispondeva affermativamente.
“Chiedile se lo ha fatto lei e cosa ha messo”
Sentii la risposta quasi dal vivo.
“Si, ha fatto il pieno di benzina”.
Appunto.

“Dille di stare tranquilla e di farsi accompagnare da un tassì a casa tua. Domani chiami e ti fai dare una macchina sostitutiva. Quella che hai è da buttare.”
“Ma come? È quasi nuova! Ha meno di 10.000 km.” rispose quasi scandalizzata.
“Se va bene, la riparazione costerà non meno di 7.000€. E non credo che la compagnia di leasing accetterà di pagare una simile cifra. Verrà venduta come rottame. Preparati a pagare 250€ di franchigia, il danno è dovuto alla tua negligenza” le aggiunsi, spiegandole che mandare a benzina un motore diesel lo fa esplodere in poco tempo, e che il danno non può essere riconosciuto come accidentale.

La serata non era iniziata nel migliore dei modi, per lei.
Peccato, perché riconobbi la sua buona volontà nel volersi mostrare un po’ meno pallosa anche nel vestirsi. Aveva indossato infatti una gonna sopra il ginocchio color verdone, una camicetta bianca accollata, un bolerino alto in vita ed un paio di scarpe con tacco moderatamente alto.
L’opposto di come si presentava di solito in ufficio, sempre in pantaloni ampi, scarpe basse, maglioni ampi e colori scuri.
Un piccolo inciso sulla mia collega. Pur dimostrandone qualcuno di più, era una donna di meno di cinquant’anni, laureata in matematica alla Scuola Normale di Pisa ed esperta di programmazione lineare. Era infatti stata chiamata per partecipare al gruppo di lavoro che doveva fissare le specifiche di progettazione di un sistema informatico di gestione delle risorse tecniche e logistiche per una nota multinazionale tedesca produttrice di automobili che aveva chiesto alla nostra azienda, anch’essa multinazionale, di studiare un sistema in grado di pianificare ed ottimizzare i lavori di manutenzione presso la rete delle sue officine specializzate.
Dopo un matrimonio andato a rotoli a causa delle corna che le aveva messo il marito con la sua migliore amica, si era lasciata andare dedicandosi solo al lavoro ed ai suoi tre gatti, uno più grosso dell’altro, visto che la figlia aveva preferito stare con il padre.
Inoltre, la sua disavventura coniugale l’aveva resa sospettosa e guardinga nei confronti dell’altro sesso, facendole assumere atteggiamenti di rigetto verso gli uomini che doveva frequentare, nella fattispecie i colleghi, che di certo non la rendevano più attraente e piacevole da frequentare.
Tutto ciò, unitamente ad una sciatteria e trasandatezza che probabilmente le era un po’ connaturata, aveva generato un’aura di antipatia generalizzata.
In ufficio era quasi sempre da sola, consumava il suo pasto sulla scrivania, leggendo qualcosa sul computer, per poi rituffarsi nell’attività di analisi e progettazione in cui peraltro eccelleva.
Solo una volta sembrò prendersi una cotta per un ragazzetto molto più giovane di lei con il quale era stata destinata a collaborare per un progetto molto importante. Qualcuno raccontò di fugaci incontri clandestini, di una trasferta a Verona in stanze comunicanti, ma successivamente il ragazzo dette le dimissioni e sparì dalla circolazione.

Tornando al momento, la mia collega si era intristita ed innervosita per la problematica.
Mosso da sincero dispiacere, le proposi di aiutarla facendomi dare i dati da comunicare a suo nome alla Direzione del Personale ove potevo contare su un’amica fidata e particolarmente gentile, e ad organizzare il prelievo della macchina sostitutiva per sua figlia in attesa del suo rientro.
Mi ringraziò con un sorriso sincero e, visibilmente sollevata all’idea di avere un uomo accanto che potesse aiutarla, si rilassò e gradì lo spritz Hugo che le avevo fatto preparare.
L’atmosfera si sciolse e ci spostammo al tavolo dove nel frattempo fummo raggiunti da altri colleghi.
Buttai lì casualmente il fatto che in albergo ci fosse un centro Wellness ben attrezzato, e che avevamo goduto di un piacevolissimo Aufguss in sauna.
Credevo che avrei sorpreso gli altri miei colleghi (due donne ed un uomo) i quali invece mi parlarono di una stupenda struttura poco distante dal centro del paese, che aveva una dozzina di sale per bagno turco e più di una ventina di saune a tutte le temperature, una piscina parzialmente dentro e parzialmente fuori la struttura, attraverso la quale si poteva andare all’aperto e poi rientrare senza dover uscire dall’acqua.
E poi magnificarono le piacevolissime strutture relax, il ristorante, la palestra… insomma, mi scatenarono la curiosità di andare a vedere questo posto.
“Paolo, sono curiosa anch’io di vedere: ci andiamo assieme?” mi chiese la mia collega, stupendomi.
“Si, certamente, perché no! Allora ti è piaciuto, eh?” le chiesi facendole l’occhiolino.
Lei arrossì e annuì con la testa.
Il suo gesto non sfuggì agli altri i quali non persero tempo a stimolarla a raccontare.
“Nooo, devi raccontarci. Cosa hai fatto? Cosa hai visto?” la tampinarono.
“Nulla, non ero preparata al fatto che qui alla SPA si sta in totale nudità. Dapprima credevo che non sarei riuscita, poi alla fine mi sono resa conto che è tutto abbastanza naturale e che dopo un po’ non ci si fa caso. Beh, quasi…” concluse abbassando inavvertitamente lo sguardo verso il mio inguine.
Hai capito la collega… allora aveva guardato bene cosa avevo tra le gambe.

La serata scorse tranquilla e verso le dieci ci salutammo ritirandoci nelle nostre camere.
Ero a letto a leggere qualcosa quando suonò il telefono.

Hallo? Who’s speaking?” dissi senza pensare.
“Paolo, sono io. Scusa se ti disturbo, volevo sapere se potevi coprirmi per qualche minuto in più domattina. Avrei una necessità personale che dovrebbe portarmi via un’oretta. Pensi di potermi aiutare?” mi chiese.
“Ma si, certamente. Ricordati di darmi i dati che servono, oppure tieni a portata di mano il cellulare se dovesse servirmi di chiamarti!” le risposi.
Ci salutammo e ci augurammo la buona notte.

Giorno 2 – In albergo​

La mattina dopo mi svegliai abbastanza presto, infilai una felpa ed un paio di calzoncini da palestra e mi recai in palestra per fare un po’ di esercizi. Non trovai nessuno e potei completare il mio solito piano di allenamento senza dover cambiare le sequenze alle macchine.
Tornai in stanza, mi gettai dentro la doccia e feci appena in tempo ad uscire quando sentii bussare alla porta.
Mi ero appena legato in vita l’asciugamano ed avevo metà viso coperto dalla schiuma da barba.
“Chi è?” chiesi da dietro la porta.
“Paolo, sono io, ho provato a chiamarti ma non rispondevi e per questo sono passata a bussarti alla porta” mi rispose la mia collega.
“Sono mezzo nudo, aspetta che mi copro un momento” le risposi.
“Ma se ti ho visto nudo per mezza giornata, ieri… pensi che possa scandalizzare?” ribatté ridacchiando.
Aprii la porta e la trovai in accappatoio ed in pantofole, cellulare e chiavi della camera in mano.
“Ma dove vai ancora in accappatoio? Non avevi un appuntamento dalla pedicure?” le chiesi.
“Si ma non solo. Vabbè, te lo spiego dopo. Volevo darti questo” e tirò fuori dalla tasca un foglietto di carta con i suoi dati, quelli della figlia, indirizzo di casa, numero della patente sua e della figlia, codice fiscale, ecc.
“Nel caso te li chiedessero” mi disse.
Sorrisi, le feci un occhiolino e ci salutammo.
“A più tardi. Mi raccomando, non esagerare!” le dissi.
“In che senso?”
“Non farti fare troppo bella. Guarda che poi è un casino…” le dissi guardandola di sottecchi.
Mi sorrise, arrossì come una liceale, si girò e scappò via sorridente.

Fatta colazione, chiamai in ufficio e chiesi della mia amica al Personale. Le spiegai la situazione e la pregai di aiutarmi a darle una mano.
La mia amica, particolarmente protettiva nei miei confronti, mi chiese il motivo per quell’interessamento.
Le risposi che la collega mi faceva quasi pena, avevo capito la sua anima e volevo sinceramente aiutarla e farla sorridere.
“Di certo non lo fai per sesso, vero?” mi chiese con tono quasi inquisitorio.
“A parte che non sarebbero affari tuoi!” le ribattei “e comunque, no, non lo faccio per sesso. Non è il tipo di donna che mi può affascinare. E poi è nulla in confronto a te!” le dissi, riferendomi al periodo da scopamici che avevamo passato qualche tempo prima.
Lei rise di gusto e poi mi disse: “Saresti capace di scoparti chiunque, con quel modo di fare. Anche un cesso bisognoso di affetto.” Immaginai che non dovesse correre buon sangue tra le due.
“Comunque tranquillizzala, dille che chiamo subito per la macchina sostitutiva e che per domani dovrebbe averla. Dille anche che la chiamo nel pomeriggio” aggiunse.
“Non credo che riuscirai a parlarle oggi pomeriggio. Almeno, non dopo le 17:00. Abbiamo un incontro in sede.” mentii. Avevo in un attimo pianificato una visita a quel megacentro benessere di cui avevo avuto notizia la sera prima a cena. Ed avevo intenzione di portare con me la mia collega.

Uscii dall’albergo e mi recai a piedi verso la sede dell’azienda.

Giorno 2 – In ufficio​

Il management locale ci aveva riservato una sala riunione annessa alla quale c’era una sorta di cucina attrezzata con macchine per il caffè alla americana, caffè espresso, succo di frutta, the, succo di arancia ed un vassoio di brioches e di torte locali.
Riempii una mug di caffè all’americana nel quale versai ben cinque confezioni di crema di latte. In sostanza, avevo fatto un caffellatte con la panna.
Iniziammo la riunione ed i colleghi tedeschi e inglesi mi chiesero dove fosse la collega. Spiegai loro che la figlia aveva avuto un incidente con la sua auto a Roma e che era stata trattenuta in albergo per gestire la cosa, ma che ci avrebbe raggiunto quanto prima.
I colleghi accettarono la spiegazione ed iniziammo la riunione, affrontando nel frattempo una serie di tematiche sistemistiche e di servizio, non collegate direttamente alla parte di sviluppo.
In qualità di responsabile del team italiano e della gestione dei progetti speciali, ero l’autorità sul campo con il grado più elevato e dovetti condurre la riunione, discutendo su chi facesse cosa e sui costi interni da addebitare. Scoprii che le tariffe interne dei tedeschi erano circa il doppio delle nostre e quelle degli inglesi quasi il triplo. Fu faticoso trovare una quadra visto che il fatturato era stato diviso equamente tra le tre country e che a causa delle nostre tariffe, sarebbe stato molto più conveniente che all’Italia fosse assegnato molto più di un terzo. Alla fine riuscii a spuntarla grazie all’intervento del responsabile tedesco che convenne che la nostra proposta era decisamente più competitiva.
Nel frattempo ci raggiunse la mia collega.
Confesso che feci quasi fatica a riconoscerla. Si era sistemata i capelli, indossava stivali sopra il ginocchio nuovi di pacca, un pullover su calze coprenti stretto in vita da una cintura alta tre dita e, soprattutto, era truccata in maniera eccellente.
Sembrava un’altra persona, tanto era cambiata. E se ne accorsero anche i colleghi. C’era un francese in carico alla locale filiale che si alzò e la salutò con il baciamano. Il mio omologo tedesco spostò la poltrona dal tavolo per farla sedere e poi la riaccomodò verso il tavolo.
Io rimasi fermo, seduto, e feci uno sforzo per simulare disinteresse.
Più tardi mi alzai per rifornire la mia mug di caffè e ne approfittai per chiederle: “Vuoi anche tu una tazza di caffè?”
“Come il tuo, grazie!”
Non capivo cosa intendesse, sta di fatto che le preparai una tazzona di caffè con molta crema, come piaceva a me. Le misi vicino alcuni pasticcini locali come stuzzichino, e le aggiunsi una bustina/stick di zucchero. Mi riaccomodai accanto a lei e le porsi la tazza. Lei si girò verso di me e mi ringraziò con un sorriso largo, sincero, che però faceva trasparire altro.

Dopo ancora un paio d’ore di aspre discussioni su chi faceva cosa, e dopo aver parlato ancora dei massimi sistemi, ci spostammo nella sala da pranzo attigua dove avevano preparato un brunch in piedi.
Approfittai per chiedere alla mia collega se c’erano state novità.
“Vorrei ringraziarti per il tuo intervento. Hanno chiamato mia figlia dalla centrale di noleggio e le hanno detto che nel pomeriggio le consegnano un’auto sostitutiva. È una Panda a benzina, ma va bene lo stesso. Basta che possa venirmi a prendere venerdì in aeroporto”
“Guarda che se hai bisogno, ti accompagno io…” le dissi.
“No, figurati, credo che incontrerò anche il padre, visto che arriva anche lui all’aeroporto circa alla stessa ora” mi spiegò.

Mangiammo tutti assieme e cercammo di creare un minimo di spirito di squadra per poter iniziare a costruire un team costituito da persone così disparate e diverse tra loro.

Proposi di andare la sera stessa a mangiare tutti assieme in birreria. I colleghi inglesi accettarono, i tedeschi declinarono quasi tutti perché abitando in zona avevano da rientrare in famiglia.
Nel pomeriggio affrontammo le tematiche relative allo sviluppo del software e la mia collega illustrò la struttura dell’applicazione ed i punti salienti da coprire.
Fu un momento abbastanza faticoso perché gli argomenti erano diventati tediosi e ed erano intervenute divergenze di opinione sugli strumenti da utilizzare, con i tedeschi e gli inglesi spreconi nel voler acquisire pacchi di licenze di prodotti software e noi a spingere per l’adozione di piattaforme il più possibile open-source. Alla fine, dopo un’opera di mediazione svolta soprattutto dalla mia collega, giungemmo ad una scelta di compromesso che accontentava un po’ tutti, salvaguardando i grandi numeri da un lato e la semplicità e concretezza dell’ambiente applicativo dall’altra.

Alle cinque del pomeriggio sciogliemmo la riunione e ci demmo appuntamento per le otto e mezza in una birreria in centro dove la locale segreteria aveva prenotato un tavolo per noi.

Mentre tornavamo verso l’albergo mi rivolsi alla collega e le dissi: “Senti, volevo proporti una cosa.”
“Anch’io!” mi rispose.
“E allora dimmi tu”.
“Ti andrebbe di accompagnarmi a vedere quell’altro centro benessere di cui hanno parlato gli altri ieri?” mi chiese.
“E’ esattamente ciò che volevo proporti” le dissi sorridendo.
“Allora andiamo!” propose.
“Subito? Così? Perchè no!” risposi.
“Aspetta però” disse.
“Cosa?”
“Non dovremmo passare a prendere qualcosa in albergo? Costumi, accappatoi… che ne so.”
“Non hai capito? Qui nei centri il costume è vietato. Per i teli e gli accapatoi, te li danno loro. Sono compresi nel biglietto di ingresso” le spiegai.
“Ma quindi, nudi nudi come ieri?” chiese.
“Si. Ma nelle saune è proprio vietato coprirsi. Nei bagni turchi il telo è inutile perché si fradicia, in piscina si va nudi e al bar… pure”.
“Vabbè. Sono curiosa. Però un po’ mi vergogno.”
“Non ti devi vergognare. Vedrai, ti ci abituerai”.
Nel frattempo feci cenno ad un tassì che si fermò accanto a noi. Feci entrare la collega e chiesi all’autista di portarci alle terme Taunus.

Giorno 2 – Alle terme​

Fu una breve corsa, meno di cinque minuti.
Arrivati all’ingresso, pagammo il biglietto e ci consegnarono un bracciale con la chiave elettronica abilitata alla apertura e chiusura dello stipetto nello spogliatoio, per l’erogazione dei servizi accessori e per le consumazioni al bar. Ci indirizzarono verso gli spogliatoi che erano separati per uomo e donna.
Mi spogliai e in un primo momento mi avvolsi nel telo, poi vidi altre persone che si muovevano in totale nudità con il telo portato sotto braccio o appoggiato sulle spalle.
Aprii con il bracciale la serratura della porta di accesso alla struttura ed entrai.
Inutile dire che rimasi esterrefatto dalle dimensioni dell’ambiente. Era un padiglione alto oltre dieci metri e lungo almeno cinquanta, con grandi finestre che portavano la luce esterna all’interno. Gente, tantissima gente, tutti rigorosamente nudi.

Incontrai una famigliola composta dai nonni, una coppia di genitori ed i loro ragazzi. Poi una signora anziana con il deambulatore sostenuta dalla figlia e dalla nipote. Tante coppie di ragazzi e ragazze, gruppi di ragazzi, amanti, amici. Tutti rigorosamente nudi.
Tette e pubi di tutte le dimensioni. Con pelo, senza pelo, con la striscia, con il piercing. Tatuati, glabri. Seni cadenti, perfetti, rifatti. Gonfi, sgonfi, con le areole grosse, piccole, scure, chiare.
E peni. Piselli di tutte le taglie. Lunghi, corti, grossi, piccoli. Mai visti tanti piercing Prince Albert sulla cappella… Attesi che si presentasse la mia collega quando mi toccò con una mano sulla spalla. Mi girai, era lei, completamente nuda, questa volta senza asciugamano. Le sorrisi e lo sguardo mi cadde sul suo pube, ora completamente liscio e depilato, e sulle unghie dei piedi, perfettamente curate.

Mi prese lo sghiribizzo di chinarmi per darle un bacio sulla guancia di saluto, ma lei si girò all’improvviso e le mie labbra si posarono sulle sue. Fu un attimo, ma sentimmo entrambi una scossa elettrica, al punto da portarci entrambi la mano alle labbra.

“Scusa!” le dissi.
“Scusami tu” mi rispose.
“Volevo solo salutarti” ribadii.
“Eh sì, era tanto tempo che non ci vedevamo!” disse ridendo. “Comunque, volevo salutarti anch’io” aggiunse, guardando ora in basso verso il mio pene.
“Noto che sei passata dall’estetista”, le dissi. “Allora era quello che ti stavi apprestando a fare, stamattina! Una seduta dall’estetista!”
“Si, ma hai visto? Ero indecente. Credo fossero due anni che non mi depilavo. Non hai idea di quanto ho sofferto. Volevo tenere qualcosa qui” disse indicando il pube “ma non sono riuscita a spiegarmi. Va bene, tanto ricrescono!” concluse.
“No, dovresti curarti sempre. Oggi quando sei entrata in ufficio quasi non ti riconoscevo. Sei un’altra, e questo cambiamento ha fatto bene anche al tuo umore!” ribattei.
Lei annuì e mi prese il braccio.
“Andiamo, voglio fare una sauna. E anche un coso, quello con il vapore!”
Aufguss. Si chiama Aufguss” le dissi.
“Si, quello” confermò.
“Vuoi fare prima una sauna o un bagno turco?” le chiesi.
“Che cosa mi consigli?”
“Io ti suggerisco di iniziare con il Tepidarium, che è un bagno di vapore a 45/50 gradi, poi con il Calidarium, sempre con il vapore ma a 65/70 gradi. Poi doccia fredda e andiamo in sauna a 70° gradi per iniziare.
Poi vediamo” le spiegai
“Va bene, ti seguo.”
Seguii le indicazioni per andare verso il tepidarium. Era una struttura molto grande, tutta piastrellata. Al centro della stanza c’era una fontana che buttava piccoli getti di acqua fredda e, montate lungo le panche, una quantità di doccette. Entrammo e ci sedemmo in uno spazio libero tra una famiglia ed un paio di maschi vistosamente gay. Di fronte a noi, una teoria di persone distribuite lungo il lato curvo della struttura.
La mia collega cercava di non far caso alla nudità talvolta imbarazzante tutto attorno a lei, ma notavo che ogni tanto si fissava su qualche particolare, mentre si stuzzicava le labbra con la lingua. Dopo un poco una coppia si alzò da dove era seduta e venne a sistemarsi proprio accanto a noi, tra la mia collega e la famiglia.
Osservai attentamente le due persone e devo dire che non avevo mai visto un pisello così lungo e sottile né un piercing così elaborato attaccato ad una vagina. Il pene dell’uomo arrivava a riposo quasi a metà coscia ma era così sottile da ricordare una di quelle salsicce di luganega arrotolate a spirale. La donna invece indossava un’elaborata combinazione di catenelle e ganci attaccati a degli anelli che erano attaccati alle sue grandi labbra, che partivano da una serie di barrette sotto pelle sul pube. Entrambi avevano numerosi tatuaggi su tutto il corpo.
La mia collega era probabilmente particolarmente incuriosita, perché la vidi più volte ad osservare soprattutto la ragazza.
“Vuoi farlo anche tu?” le chiesi scherzando.
“Ma che sei matto? Potrei morire dal dolore! Naa, non è roba per me. Io ho paura degli aghi, figurati per questa roba!” rispose a bassa voce.
Poi si accostò al mio orecchio e sussurrò: “Ma hai visto che lui ha anche il coso tatuato? Ma non gli fa male?” mi chiese.
Mi voltai a mia volta verso l’orecchio per risponderle. “Non saprei, non ho idea. L’unico tatuaggio è quello che vedi qui sul mio avambraccio” e le mostrai il tattoo che feci ai tempi dell’Accademia Navale con il simbolo del mio corso.
“Ma lì… deve fare un male cane!” sussurrò indicando con il dito il mio pene.
“Ti dirò: ho fatto recentemente una iniezione nei corpi cavernosi per provocare un’erezione per poter fare una ecografia al pene” le spiegai.
“Perché, stai male?” mi chiese.
“No, beh, insomma, soffro di una patologia che si chiama sindrome di La Peironye o Induratio Penis Plastica.”
“E che cosa comporta?”
“Che quando mi si drizza, mi si storce.”
“Ah, e fa male?”
“No, di solito no, ma a lungo andare potrei andare incontro a problemi di impotenza o di disfunzione erettile”.
“Ah, ma allora …hai problemi?” mi chiese, lo sguardo fisso ad osservare l’oggetto della conversazione.
“No, giusto un po’ storto. Ma niente di grave”
“Ma storto come?”. Iniziava ad essere un po’ troppo insistente ed io non avevo piacere ad approfondire. La mia patologia, che nel tempo sarebbe diventata più impattante al punto di dover ricorrere a cure specifiche, era un qualcosa che mi provocava fastidio psicologico. Dall’altra, stavo iniziando a capire che la mia collega non aveva più alcun ritegno. Era come se si fosse rotta una diga e l’acqua stesse tracimando senza ostacoli.
“Storto a banana. Con la punta che va in su” e le feci il gesto piegando le falangi distali dell’indice e del medio ad uncino. Mi resi subito conto di ciò che il gesto poteva significare ed immediatamente intervenni spiegando “Si, insomma, come una banana un po’ più curva”.
“Capisco…”, che non era un’interiezione di compatimento, ma una affermazione programmatica. La pronunciò infatti continuando ad osservare il mio pene che nel frattempo, oggetto di attenzione inaspettata, aveva iniziato a vivere di vita autonoma ed a rispondere alla curiosità.
Mi alzai allora per andare a prendere la doccetta per raffreddare qualsiasi mio bollente spirito.
“Me ne metti un po’ addosso?” mi chiese. Il tubo era sufficientemente lungo e la bagnai sulla schiena e sul petto. Lei prese la mia mano ed indirizzò il getto verso il suo sesso, mentre apriva le gambe fino ad allora tenute serrate. Notai che si era eccitata in quanto le grandi labbra erano decisamente più gonfie e le piccole labbra stavano schiudendosi come i petali di un bocciuolo.
Durò un attimo perché con l’acqua fredda si spensero anche i bollori mentali.
“Che dici, passiamo alla prossima?” le chiesi.
“Si, va bene” rispose annuendo.
Uscimmo dalla sala e mi spostai verso le docce che erano fuori, dietro la costruzione del bagno turco.
Attesi che una coppia liberasse i getti e mi buttai sotto, sciacquandomi dal sudore il petto, la pancia, le cosce. Poi allungai le mani per sciacquarmi la schiena ed i glutei, e alla fine, decisi di strofinarmi il pene ed i testicoli proprio mentre la mia collega si girava verso di me.
Immediatamente staccai le mani e chiusi l’acqua, girandomi a recuperare il telo che avevo appeso ai ganci lì accanto; mi asciugai e mi frizionai cercando di non pensare e di disinteressarmi a ciò che sapevo stava accadendo alle mie spalle.
Alla fine mi girai e notai come la mia collega avesse i capezzoli particolarmente eretti e duri. Non avrei saputo dire se fosse dipeso dall’acqua fredda o dall’eccitazione, ma di certo non era la loro dimensione “naturale”.

La guidai con una mano sulla spalla come si fa con una bambina verso il Calidarium.
Il locale era grande circa come il Tepidarium, ma era molto meno frequentato, almeno a vedere la quantità di ciabatte ed i teli appesi fuori dell’ingresso. A mio parere c’erano al massimo quattro o cinque persone oltre a noi. Il problema era dato da una nebbia così fitta da sembrare impenetrabile. Facevo fatica a vedere dove stavo andando e fino a che gli occhi non si abituarono a quella oscurità preferii fermarmi per evitare di sbattere contro qualcosa o qualcuno. Dopo qualche secondo, riguadagnata la vista, dissi alla mia collega di avvicinarci alla panca che si trovava circa a tre metri dall’ingresso, quasi di fronte ad una delle bocche di emissione del vapore. Presi la doccetta e sciacquai la panca per lei e per me.
“Ecco, puoi sederti” e spinsi quello che credevo essere un braccio. Mi resi subito conto che era invece il suo seno.
“Scusami! Non volevo!” le dissi imbarazzato.
“Non ti scusare, con tutto questo vapore e questo buio” e alzò le braccia per indicare quel che c’era intorno e nel farlo, sfiorò con la mano il mio pisello.
“Appunto!” e sbottammo a ridere.
“Shhh” disse uno dei presenti.
“Sorry” risposi a bassa voce.
Ci sedemmo ed aspettammo di scaldarci.
“Posso chiederti una cosa?” mi chiese la collega.
“A che riguardo?”
“Alla tua… malattia”
“Non è una malattia, ma comunque, dimmi.”
“Ma ti si rizza ancora?”
“Certo che sì. Anzi, ti dirò che con quella curva funziona pure meglio perché va a stimolare la zona del punto G e sembra pure più grosso quando entra” le spiegai, volutamente fornendole particolari intimi sperando di fermare quella sorta di ossessionato interesse che sembrava stesse sviluppando nei miei confronti. Sembrò funzionare perché per i successivi cinque minuti rimanemmo in silenzio.
“Paolo, io ho molto caldo e inizio a respirare male. Usciamo?” mi chiese.
“Ok, usciamo” e mi alzai andando verso la porta, illuminata solo da una fioca luce rossa dietro il cartello con la scritta “Ausgang”.
Aprii la porta e fui quasi accecato dalla luce esterna. Grondante di sudore e di vapore, presi il telo ed andai di nuovo verso la doccia per sciacquarmi, seguito dalla mia collega.
Ci lavammo ed asciugammo in silenzio.
“Ti va una birra, o un qualcosa da bere?” le chiesi.
Le annuì, rimanendo in silenzio, e mi seguì mentre mi spostavo verso il bar.
C’era molta fila e le proposi di andare a cercare un tavolo mentre aspettavo di poter arrivare ad ordinare.
“Come la vuoi la birra? Media, piccola, grande, chiara, scura, weiß, lager…”
“Una weiß media, grazie. Anzi no, una scura media.” mi rispose, prime parole dopo qualche minuto di silenzio.
“Ok. Cerca un tavolo” e mi misi in fila. Lei partì alla ricerca di un posto libero. Guardandola da dietro notai che probabilmente, con dieci chili di meno, sarebbe stata una piacevole signora con la quale intrattenere gradevoli attività ricreative. Ma mi resi anche conto che era particolarmente interessata dalla quantità di membri maschili che incontrava, visto che spesso si girava ad osservare con attenzione quelli meritevoli di una seconda occhiata.
La persi di vista quando la coda fece una piccola curva a gomito in direzione della cassa. Mi concentrai però sull’ordine da fare al quale aggiunsi un paio di pretzel. Presi quindi i due boccali ed il piatto con i due pani e mi misi alla ricerca della collega.
Fu lei che mi intercettò. La vidi infatti sbracciarsi da dove aveva trovato posto. La raggiunsi e ci mettemmo a sedere dopo aver messo il telo sulla sedia.
“Uh che bella idea! Adoro i pretzel! Grazie! Quanto ti devo?” mi disse.
“Nulla, sei mia ospite. Ho pensato che bere alcol a stomaco vuoto potrebbe essere negativo”
“Ma la birra è poco alcolica” rispose.
“Si, ma ne bevi quasi mezzo litro. Con la debita proporzione, è come se bevessi mezza bottiglia di vino o un bicchierino di whiskey, per l’alcol che ingerisci”
“Hai ragione, non ci avevo pensato. Il vino ha 12 gradi, la birra rossa 6 o 7. Solo che di birra te ne bevi mezzo litro” concordò con me.

Chiacchierammo del più e del meno, alternando argomenti lavorativi a temi familiari, o ai problemi cogenti tipo la sua auto.
Terminate le birre ed il pretzel, mi alzai e le dissi “Dai, andiamo a fare la sauna con l’aufguss. Ce ne è uno tra dieci minuti qui accanto!”. La presi per mano e la guidai verso la costruzione accanto al bar. Ci accodammo al gruppo in attesa di entrare, composto da gente di tutti i tipi: mamme con figli, nonni, una coppia di gay ed una di lesbiche, un gruppo di olandesi mezzi ubriachi, dei russi completamente sbronzi.
Ero certo che avrebbero selezionato all’ingresso tutta quella gente, l’aufguss non è pratica da fare ubriachi.
Chiesi alla collega se se la sentiva, visto che aveva bevuto una birra abbastanza alcolica.
“Si, credo di si. Se mi dovessi sentire male, tanto, ci sei tu, no?” e mi prese di nuovo sottobraccio chiudendosi con il seno sul mio avanbraccio.
“Sempre che non sparino anche a me per averti portato!” le risposi scherzando. Non spostai il braccio, il calore del suo seno era gradevole e irradiava un altro tipo di calore al basso ventre.
Venne il nostro turno di entrare, l’aufgussmeister ci chiese cosa avessimo bevuto e gli risposi “eine bier! We only had one beer each!”.
Only one?” ci disse ma ci fece passare sorridendo.
Ci sistemammo negli unici posti liberi sulle panche basse disponibili, quelli più vicini alla porta. Gli altri erano tutti occupati e avremmo dovuto andare al livello superiore, troppo scomodo da raggiungere per noi che nonostante tutto, iniziavamo a sentire il peso della bevuta.
Attendemmo che la sala si riempisse; poi suonò la campana ed il Meister gettò sull’enorme braciere centrale una quantità di acqua che si convertì immediatamente in vapore che sventolò proprio ad iniziare da noi. Un intenso profumo di agrumi ci avvolse. Respirammo a pieni polmoni quel vapore saturo una, due, tre volte, scandite dalla sala che contava ad alta voce “ein, zwei, drei!”.
La mia collega al terzo respiro trascolorò e si accasciò su di me. Subito la presi sottobraccio e la portai fuori, accompagnato da un inserviente che era lì ad aiutare il Meister nelle sventolate.
La mettemmo subito sotto la doccia che aprii mentre la sostenevo aiutandomi con il mio corpo e prendendola da sotto le ascelle. L’acqua gelida la fece rinvenire quasi istantaneamente, ed altrettanto istantaneamente dette di stomaco rigettando tutta la birra che aveva bevuto.
Accorsero immediatamente altri inservienti armati di secchi, spazzoloni e disinfettanti a pulire lo sporco lasciato.
Presi la mia collega, le misi il telo sulle spalle e la strinsi a me per non farla scivolare. Poi la condussi in una sala relax che avevo adocchiato a pochi passi. Era costituita da una sorta di bozzoli di tessuto all’interno dei quali c’era un materassino. Presi il primo disponibile, con l’apertura opposta all’ingresso, e ve la adagiai.
Infine mi misi seduto accanto a lei, le gambe conserte mentre la osservavo riprendere colore. Potevo osservare anche il suo sesso, visto che teneva le gambe aperte senza alcun cenno di pudore.
“Paolo, mi spiace. Non so cosa mi sia successo. Credo che mi abbia fatto male la birra” mi spiegò.
“Probabile. Ma credo che tu abbia un’avversione per gli aufguss. Anche ieri hai avuto una sorta di mancamento” le ricordai.
“Si, ma perché avevo tossito perché mi aveva dato fastidio il vapore caldo in gola!”
“E adesso come ti senti?”
“Ho freddo”
Le detti il mio asciugamano per coprirla, poi mi alzai ed uscii da quella sorta di bozzolo.
“Dove vei?”
“A cercare un altro telo, ho freddo anch’io”
“Vieni vicino a me, ci scaldiamo assieme”
Lì per lì non feci caso alle possibili conseguenze della proposta, che con il senno di poi avrei dovuto rifiutare.
Rientrai nel bozzolo e mi avvicinai a lei.
“Potresti abbracciarmi? Ho freddo. Per favore!”
Mi stesi dietro di lei, coprii al meglio lei e me con i due teli umidicci e la strinsi a me passandole le braccia sulla sua pancia.
“Grazie! Così è perfetto!” disse con tono gratificato. Nel frattempo sposò il suo sedere verso il mio inguine che avevo cercato di tenere staccato.
“Ehm, ricordati che sono nudo”
“Lo sento!” rispose.
“…e?”
“E non ti preoccupare. Io sono una donna, tu sei un uomo, siamo nudi. Se ti ecciti, lo sento, ma è naturale. Credi che non abbia mai visto un cazzo eretto in vita mia?” mi rispose con tono un po’ di sfida, e si appoggiò ancor di più, muovendosi un po’.
“Ferma! Non mi pare il caso!” le dissi in un orecchio.
Per tutta risposta allungò la mano dietro di sé e me lo iniziò ad accarezzare.
Il mio corpo rispose in maniera automatica, troppo stimolato da quel contatto, con un’erezione immediata e sostanziosa.
Lei lo prese alla base e cercò di guidarlo dentro di sè.
“Sei pazza?” le dissi. “Non si può fare qui. È vietato. Se ci beccano ci denunciano!”
“Ma chi vuoi che ci veda?”
“E secondo te, quelle telecamere che sono agli angoli di tutte le sale, a cosa servono?”

A queste parole lei mollò la presa e si girò verso di me.
“Io ti voglio. Secondo te, perché sono andata dall’estetista? Ho voglia di scoparti. È da ieri che ci penso, stanotte mi sono masturbata almeno tre volte pensando a te. Senti!” e prese la mia mano e se la passò in mezzo alle gambe. La ritrassi immediatamente, le dita bagnate di una secrezione densa e filamentosa, e non ero nemmeno entrato dentro! Immaginai cosa dovesse essere la sua vagina.
“Hai sentito?” e partì di nuovo all’assalto del mio membro che era sempre sull’attenti.
“Ti prego!”
“Non qui. Andiamo. Stai benissimo, mi pare” le dissi un po’ freddamente.
Lei si avvicinò con le labbra e le posò sulle mie, poi sussurrò “Non ti bacio perché ho la bocca cattiva, ma aspetta che arriviamo in albergo…”

Ci vestimmo, ci ritrovammo davanti all’ingresso in attesa del tassì che avevo chiamato. Erano quasi le sette e di lì a poco saremmo dovuti andare a cena con i colleghi inglesi.
Salimmo sul tassì e la mia collega mi prese la mano e se la portò alle labbra, baciandomela.
“Grazie. Ti sono veramente grata”.
Non ebbi il coraggio di toglierla, anche se la mia parte razionale urlava nella mente “Leva quella mano! Staccati! Dille che non te la senti!”. Fortunatamente arrivò in soccorso l’autista del tassì che ci disse che a causa di un guasto non poteva portarci all’albergo e che saremmo dovuti andare a piedi, circa cinque minuti di passeggiata. Ci indicò la strada e non volle essere pagato.

La mia collega mi prese sottobraccio e ci incamminammo come una coppia di innamorati, lei appoggiata a me, io che la guardavo ogni tanto per capire che cosa mi stesse turbando al punto da rendere gradevole la vicinanza di una donna per la quale non avevo mai provato alcun sentimento se non di velata antipatia.

Non parlammo, arrivammo in albergo e chiedemmo le nostre chiavi. Andammo verso l’ascensore, attendemmo che arrivasse ed entrammo.
Spinsi il tasto del secondo piano e prenotai quello del quarto per lei.
Rimanemmo in silenzio, senza guardarci, per quei quindici secondi di tempo per arrivare al mio piano.
Come il giorno prima, tenni la porta aperta con la mano e le dissi: “Allora ci vediamo giù. Ti aspetto assieme agli altri, va bene?” e mi girai volgendole le spalle con ostentazione.
Stavo cercando di far prevalere la mia parte razionale sull’assurdità della situazione che si era venuta a creare.

[HEADING=3Giorno 2 – Al ristorante[/HEADING]
Raggiunsi i colleghi alla reception dopo che la receptionist mi aveva avvisato che mi stavano attendendo di sotto. Mi ero messo le stesse cose che avevo indossato la sera prima, tranne il pull a collo alto, sostituito da una camicia azzura button-down.

Certo che non sarebbe stato molto caldo al ritorno, presi il soprabito e lo misi sul braccio in attesa di infilarlo prima di uscire.
Il locale non era particolarmente lontano e potevamo raggiungerlo a piedi senza problemi. Eravamo un gruppetto di sette persone, tre italiani, tre inglesi ed una francese. Quattro donne e tre uomini, di cui due italiani.
La mia collega non si era ancora presentata e le inglesi iniziavano a rumoreggiare.
Chiesi alla receptionist di chiamare la stanza. Il telefono squillò a lungo senza risposta. Decisi di andare di persona a sentire cosa fosse successo.
Chiamai l’ascensore ma quando si aprì la porta, apparve la mia collega se possibile in forma ancor migliore rispetto alla mattina. Il maglione alla coscia aveva lasciato lo spazio ad un abitino leggero, il pantacollant ad un paio di calze con riga, gli stivali a delle eleganti scarpe con tacco. Uno spolverino gettato con nonchalance sulle spalle completava l’abbigliamento. Trucco e parrucco quasi sofisticati, roba da lasciare di stucco, visto come era fino al giorno prima.
Mi guardò con un sorriso a piena bocca: “Stavi venendo da me?”.
“Si, stavo per salire da te per capire perché non rispondevi al telefono.”
“L’ho sentito mentre ero in corridoio, ma mi son detta che era inutile rispondere, sapevo di essere in ritardo ed ero certo fossi tu!”
“Va bene, muoviamoci, ci stanno aspettando”.

Mi prese il braccio sinistro infilandovi il suo ed in questo modo facemmo la nostra apparizione di fronte ai colleghi in attesa.
Wow! Amazing? Are you sure you are our collegue? Please tell us if you killed her!” le disse il collega inglese. Anche il nostro collega di Milano, avvezzo a lavorarci assieme, le rivolse un complimento. “Non ti ho mai vista così. Non sei tu. Dove hai nascosto l’altra?”.
Lei si schernì e strinse ancor più la presa sul mio braccio.
“Paolo, digli qualcosa! Non è giusto che mi prendano in giro così!”
“E cosa dovrei dir loro? Hanno detto la verità, io pure faccio fatica a riconoscerti!” mentre la facevo uscire davanti a me cedendole il passo.

Anche la collega francese le disse che stava molto bene così vestita, e che avrebbe dovuto usare quel look sempre.
Credevo che si sarebbe accodata al gruppetto ed invece preferì rimanere al mio fianco, il suo braccio destro al mio sinistro, la borsa sulla sua sinistra, camminando fianco a fianco.
“Paolo, volevo scusarmi con te. Credo che la birra abbia fatto uno strano effetto su di me. Di solito non succede, ma non ero io”.
“Beh, non ti preoccupare. Non è successo nulla. Magari avremmo potuto passare un guaio se …” le dissi riferendomi a quanto successo nell’area relax.
“Si, hai ragione. Dovrei scusarmi anche per… averti fatto sentire la mia …eccitazione” aggiunse, “ma non ho intenzione di farlo.”
“Come? In che senso?”
“Nel senso che non mi devo vergognare di nulla. Siamo due adulti consenzienti, tu sei separato, io sono separata, non abbiamo compagni, avevo voglia di te e te l’ho fatto capire. E ho ancora voglia di te, e stasera te lo farò capire ancora” mi disse rivolgendomi un sorrisetto malizioso.
“Beh, diciamo che la cosa mi era abbastanza chiara. Ma vorrei esser chiaro con te: io non cerco relazioni né a breve né a medio termine. Il mio rapporto erotico con le donne è solo di tipo mordi e fuggi. Oggi si scopa, domani no. Dopodomani chissà. A maggior ragione se si è colleghi di lavoro. Lavoro e sesso non vanno mai d’accordo. Mai.” e mi tornarono in mente quelle Relazioni Pericolose che mi provocarono ferite dalle quali non mi ero ancora ripreso del tutto.
“Comunque, cara, non voglio che i nostri colleghi possano pensare troppo male di noi. Andiamo a raggiungerli e facciamo finta di nulla” suggerii. Allungai il passo e mi ritrovai alle spalle delle due inglesi e della francesina che stavano parlando tra loro.
Stavo per interromperle quando udii la parola “Paolo”. Cercai di capire cosa si stessero dicendo e, dallo spezzone di conversazione che riuscii a carpire, compresi che stavano parlando di me e del possibile rapporto con la mia collega.
“Che poi, mi sa che è piena di cellulite” disse una.
“Si… e poi avete visto che ha le tette scese?” disse l’altra.
“E le rughe? Ma quanti anni ha? Sessanta?” aggiunse la terza.
Ahem, girls, what are you talking about?” mi intromisi fingendo di averle appena raggiunte e di non aver assistito a parte delle loro chiacchiere.
“Oh, nulla, parlavamo del tempo…” disse una.
“Si, proprio del tempo” aggiunse l’altra ridacchiando. Poi si guardarono tutte e tre e sbottarono a ridere.
“Cosa c’è che vi fa ridere tanto sul tempo?” chiesi loro.
“No Paolo, scusa, ma stavamo ridendo sul fatto che oggi in palestra uno c’ha provato con tutte e tre assieme. Voleva che lo accompagnassimo in camera sua…” inventò la francese, probabilmente la più scafata.
Lasciai perdere, era meglio far finta di nulla e fare molta attenzione.
Entrammo nel locale dove ci fecero sistemare al nostro tavolo. Non volevo stare vicino alla mia collega, anche per smorzare eventuali chiacchiere, ma riuscii solo a farla mettere di fronte a me, accanto al collega italiano da un lato ed alla francese dall’altro. Io invece ero seduto tra una delle due inglesi ed il collega britannico. Quando ci sedemmo notai che la ragazza alla mia destra indossava una gonna cortissima senza calze, che nel sedersi le era salita scoprendole del tutto l’inguine coperto solo da uno slip in pizzo nero. La mia collega, seduta dirimpetto, se ne accorse e mi fulminò con uno sguardo. Mi ritrovai a ridacchiare tra me e me: ero riuscito a far ingelosire una donna senza aver alcun tipo di relazione con lei.

La birra scorse a fiumi e mi trovai a dovermi alzare per andare al bagno. Chiesi pertanto al collega alla mia sinistra di lasciarmi passare. Lui si alzò e mi dette una pacca sulle spalle. “Prostata ingrossata?” mi chiese pensando di fare una battuta.
“No, coglioni sfranti e troppa birra!” risposi un po’ acido. Si rese conto di aver detto una cazzata e mi chiese scusa. Feci un cenno con la mano come per dire “Va tutto bene, tranquillo”.
Mi avviai verso le toilette che erano dietro una unica porta che ammetteva al locale con antibagno comune per uomini e donne. Dovetti attendere che il bagno degli uomini si liberasse.
Dopo un ulteriore minuto abbondante di attesa bussai alla porta e ricevetti una risposta abbastanza seccata: “Einen Moment bitte!”.
Me la stavo facendo sotto ed iniziavo a sentire i brividini di quando uno non riesce più a trattenere. Preso dal parossismo entrai nella porta a fianco, la toilette delle signore, e urinai attento a non sporcare nulla. Dopo una liberatoria, lunga minzione mi pulii, rimisi il pisello dentro i pantaloni e tirai su la cerniera. Mi sciacquai appena le dita ed uscii di fretta dal bagno, con la paura di essere sorpreso da una donna con l’inevitabile figuraccia e… troppo tardi! Aprii la porta e mi trovai di fronte la mia collega che stava aspettando che si liberasse la toilette.
“Paolo, ma che ci fai nel bagno delle signore?” mi chiese.
“Eh nulla, il bagno degli uomini è occupato da un’ora e me la stavo facendo sotto. Tranquilla, sono stato molto attento a non sporcare…” le dissi per tranquillizzarla ed un po’ per scusarmi.
Lei fece un gesto con la mano come per dire “Lascia perdere”, poi prese la mia mano e se la portò sotto il vestito.
“Senti? Lo senti come sono bagnata? È tutta colpa tua…” mi disse mentre si strusciava le mie dita contro la sua vagina nuda.
“Non potevo mettere le mutandine, le avrei bagnate tutte. Pensa che ho macchiato il cuscino della sedia!” mentre la mia mano iniziava ad accarezzarla.
Sentimmo il rumore del chiavistello della porta che si apriva e ci ricomponemmo. Un odore atroce di escrementi uscì dal bagno assieme ad un omone che si sistemava i pantaloni e che a mala pena si sciacquò le dita della mano dopo essersele odorate. Che schifo!
Uscimmo di corsa quasi boccheggiando. L’odore nauseabondo aveva appestato tutto l’antibagno e sarebbe presto filtrato dalla porta.
Tornai al tavolo e bloccai il mio collega che voleva anche lui andare al bagno. “Lascia perdere. Se non hai la maschera antigas non entri. C’è uno dentro che si deve essere cacato l’anima dopo dieci anni che non si esprimeva. Guarda!” e gli feci notare l’uomo che usciva camminando con passo malfermo ondeggiando da una gamba all’altra per quanto erano grosse.
Un altro signore si avvicinò per andare al bagno, aprì la porta dell’antibagno ma la richiuse immediatamente con una smorfia di disgusto.
“Hai visto? Lascia perdere” e lo feci sedere.
Anche le ragazze si erano alzate per andare al bagno, ma furono sconsigliate dalla mia collega che nel frattempo stava raccontando a cosa aveva assistito, Anche loro ebbero uno sguardo di disgusto quando raccontò il particolare dell’odorarsi le dita.
Chiamai il cameriere e gli spiegai che cosa era successo e che sarebbe stato opportuno prendere provvedimenti prima che gli altri avventori se ne accorgessero. Mi chiese chi era il maleducato che aveva combinato il disastro e gli indicai la persona che era seduta da sola ad un tavolo dalla parte opposta del locale.
Proprio in quel momento arrivò il maître che disse qualcosa all’orecchio del cameriere il quale annuì e rispose che era stato appena avvisato dell’accaduto.

Chiesi il conto, nessuno di noi aveva piacere di chiudere la serata con un tanfo così nelle narici dopo avere mangiato e bevuto piacevolmente.

La mia collega apprezzò la mia iniziativa allungando il piede nudo verso il mio inguine e dandogli una bella scrollata. Capii che la birra le aveva sciolto le inibizioni, ma fui sorpreso dalla risposta del mio membro che subito si eresse a mala pena contenuto dai pantaloni.
Mi alzai e mi allontanai dal tavolo andando a recuperare i soprabiti mio e della collega. Poi tornai indietro e glielo misi sulle spalle con un gesto protettivo. Lei mi guardò con uno sguardo languido ma all’ultimo momento decise di evitare di baciarmi, come invece avevo immaginato volesse fare.

Pagammo ed uscimmo dal locale per tornare in albergo.
La mia collega fu presa sotto braccio dal nostro collega italiano e dall’inglese mentre io facevo il cretino con le tre ragazze, raccontando loro quanto avevo visto e cercando di imitare la camminata di quell’omone, cosa che provocò la loro ilarità al punto quasi da “scompisciarsi dalle risate”.

Giorno 3 – in albergo​

Giungemmo all’albergo che era ormai mezzanotte e chiedemmo le nostre chiavi al concierge. Salutai tutta la compagnia baciando sulle guance le ragazze ed augurando loro la buona notte. Presi quindi la mano della mia collega e la baciai portandola alla bocca in un baciamano tutt’altro che formale; poi, sempre tenendole la mano, la abbracciai stretta e la baciai sull’orecchio sussurrandole “Magari ci vediamo più tardi”.
Lei annuì sorridendo e si staccò da me. Ero certo di averle provocato un’ulteriore scarica di ormoni.
Presi l’ascensore e mi fermai in camera, andai in bagno e mi misi sotto la doccia per cercare di togliermi dal naso quell’odore schifoso che era rimasto scolpito nella memoria olfattiva e che credevo ancora di sentire. Mi asciugai, mi tolsi l’asciugamano che avevo ai fianchi per rivestirmi quando sentii bussare delicatamente alla porta.
“Paolo, sono io. Apri!” mi disse la mia collega.
Aprii la porta e me la ritrovai davanti chiusa in una vestaglia di raso di seta lunga fino ai piedi, che indossavano un paio di vezzose pantofoline en pendant con la vestaglia.

Mi misi dietro la porta per farla passare. Ero nudo, senza difese.
Lei mi abbracciò e mi baciò. La sua bocca sapeva di fresco, le sue labbra erano morbide e setose, la sua lingua esplorava la mia bocca e si attorcigliava alla mia.
Ci staccammo e dopo aver chiuso la porta a chiave, la condussi sul mio letto. La sdraiai e le sciolsi la vestaglia, la aprii e scoprii che sotto non indossava nulla se non le calze autoreggenti che aveva prima. Mi chinai su sul suo sesso e lo leccai. Divaricai le piccole labbra all’altezza del suo clitoride ed iniziai a suggerlo. Sentii i suoi mugolii di piacere mentre con le mani mi spingeva la testa verso il suo sesso, pregandomi muta di continuare. Inserii prima un dito, poi un altro nella sua vagina, trovandola fradicia di umori e scivolosa. Iniziai a fare avanti e indietro dentro di lei, cercando la rugosità del suo punto-G. Quando lo trovai, ebbe uno scatto all’indietro, quasi fosse stata fulminata da una scarica di piacere.

Mi concentrai quindi sul farla godere fino a quando non le provocai un orgasmo estremamente bagnato. Non fui sorpreso della cosa, se non per il fatto che non fece nulla per evitarlo quasi fosse abituata a godere così.
Ripresi ad accarezzarla ed a masturbarla mentre aumentava i mugolii di piacere. Per tacitarla, la baciai mettendole la mia lingua in bocca e cercando di silenziarla. Un’altra scarica la scosse, seguita da un’altra massiva emissione di liquido che aveva già formato una pozzetta sulla moquette ai piedi del letto.

Al terzo assalto tolse la mia mano e mi fece sdraiare sulla schiena. Si tolse la vestaglia e si inginocchiò su di me, si chinò e mi prese in bocca, prima la sola cappella, poi tutta l’asta fino alla radice, alternando così leccate, succhiate e deep throat.
Quando stavo quasi per venire, si staccò da me e mi montò sopra, prese la mia asta e se la infilò dentro di sé. La sua vagina era stretta, e faticò non poco ad accogliermi nonostante la abbondantissima lubrificazione. Poi però trovò la posizione e sfruttò la mia malformazione per stimolarsi internamente. Con la cappella sentivo quella piccola rugosità, quell’ispessimento che sapevo nascondeva milioni di terminazioni nervose la cui stimolazione la portò ad un altro rumoroso e bagnatissimo orgasmo. Continuai a penetrarla, e decisi di girarla e prenderla da dietro.
La misi in ginocchio sul letto, le feci divaricare i glutei e la penetrai da dietro. Era ancora molto stretta ma anche molto bagnata. Il mio membro scivolava dentro e fuori senza ostacoli e apparentemente privo di attrito. Il mio pollice dispettoso andò ad infilarsi nell’altro pertugio, che trovai tutto sommato pervio.
La mia collega ebbe un movimento a ritrarsi, ma poi accettò l’intrusione. Poi, al posto del pollice infilai prima l’indice e poi anche il medio, lentamente, dando modo allo sfintere di allargarsi senza traumi. Quando mi ritrovai con le dita a fondo corsa, iniziai a fare lentamente un movimento di penetrazione coordinato a quello del mio pene nella sua vagina. Dentro lui, fuori le mie dita, dentro le dita fuori il mio pene. I suoi mugolii erano sempre più alti ed intensi. Spinse la testa sul letto cercando di tapparsi la bocca mentre le sue mani artigliavano le coperte in uno spasimo di piacere.
“Ho deciso che userò il mio cazzo al posto delle dita. Preparati che ti sfondo il culo” le dissi in un accesso di libidine.
“Si… ti prego, fallo. Sfondami!” mi rispose.
Tolsi le dita ed approfittai dello stato beante del suo sfintere già rilassato per infilare il mio glande, un pezzetto alla volta.
L’operazione le provocò senz’altro fastidio perché iniziai a sentire la stretta della muscolatura attorno alla piccola porzione inserita. Mi fermai e le chiesi se stesse soffrendo.
“Ma perché ti sei fermato? SFONDAMI! ENTRAMI DENTRO! DAI!” mi rispose.
Non me lo feci ripetere. Forzai l’introduzione con una spinta continua e decisa fino a quando, superata la resistenza, mi trovai inserito fino alla radice.

Iniziai a fare su e giù dentro il suo retto, provocandole intenso piacere che esplicitava con incitamenti a continuare e ad essere anche più incisivo.
Alla fine cedetti e le venni copiosamente dentro. Lei ebbe a sua volta l’ennesimo orgasmo quando sentì le mie scariche dentro di sé.

Mi sfilai ed osservai il suo sfintere grottescamente dilatato come una bocca sorpresa, da cui colava il mio sperma non più candido.
Andai in bagno a lavarmi, poi presi della carta igienica e gliela portai, aiutandola a pulirsi.
Lei si alzò e andò a sua volta a lavarsi.
Quando tornò, era sfatta. Il trucco era colato, i capelli erano spettinati, le gote erano ancora rosse, ma gli occhi tradivano il piacere intenso a cui l’avevo sottoposta.
Mi ero disteso sul letto e lei mi raggiunse. Si chinò su di me e mi baciò dolcemente.
Poi si mise accanto a me e mi chiese “Posso dormire con te, stanotte?”
Le dissi di sì, la abbracciai stretta a me e prendemmo sonno l’uno nelle braccia dell’altro.
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Paolo Sforza Cesarani - 2023
 

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Era tempo che non postavo un racconto. Avevo deciso di astenermi, ma la lettura del thread relativo alle saune ha aperto un cassetto della memoria che non ricordavo. Potenza dei ricordi!
Spero che apprezzerete lo sforzo.
More solito, lo scritto è a metà vero e a metà romanzato. Ho cambiato un po' di cose, non ho fatto nomi ma la storia è veramente accaduta parecchi anni fa tra le colline Taunus, per inciso, uno dei posti più belli che ho mai visitato. Per chi conosce, è una Fiuggi in Germania, molto, ma molto più bella e curata. Non per niente, Bad Homburg è stata la capitale della regione dell'Assia e vanta una storia millenaria. Nulla in confronto ad altre cittadine tedesche, ancor meno rispetto ad uno qualsiasi dei nostri borghi medievali, ma gente, quelli erano barbari a cui Roma donò 2100 anni fa la civiltà. Ricordiamoci che andavano a cavallo coprendo la groppa con una coperta sotto la quale mettevano la carne di bue muschiato ad essiccare mentre i nostri costruivano ed usavano tutti i giorni le terme con l'acqua calda corrente...
Buona lettura.



La collega​

Giorno 1 - In albergo​

Era aprile del 2009.
L’azienda mi mandò per lavoro in Assia, a Bad Homburg, nel bel mezzo delle colline Taunus, immersa in boschi rigogliosi e circondata di prati verdi e curati.
L’albergo che ci ospitava aveva un piccolo centro benessere nel seminterrato, e dopo il primo giorno di lavoro particolarmente stressante e faticoso assieme ad una collega decidemmo di provare a stemperare le tensioni accumulate.

La spa offriva una sauna, un bagno turco, una vasca idromassaggio ed una serie di docce “cromatiche” oltre ad una sala relax con qualche chaise-longue e le immancabili tisane. Ovviamente, c’era lo spogliatoio.
Lo spogliatoio. Si, unico. Un solo locale per uomini e donne.
La mia collega ed io (nessuna relazione, nessun reciproco interesse) eravamo già in accappatoio con il costume da bagno, opportunamente messo in valigia perché nell’albergo c’era disponibile anche una piscina coperta, per cui non avemmo troppe remore ad entrare ed a scoprirci. Lasciammo quindi gli accappatoi nello spogliatoio ed entrammo con le ciabattine da piscina nel locale spa. All’ingresso trovammo una serie di pittogrammi che indicavano chiaramente, a prescindere dalla presenza delle scritte in tedesco, in inglese ed in francese, quali fossero le prescrizioni: obbligo di lavarsi i piedi nella vaschetta all’ingresso, divieto di girare con le proprie ciabatte ed obbligo di indossare le pattine messe a disposizione, divieto di usare cellulari e macchine fotografiche, divieto di indossare costumi.
Si, c’era un cartello con il pittogramma di un uomo ed una donna in costume da bagno sbarrati con una croce. «Bitte beachten Sie, dass Badeanzüge im Wellnesscenter nicht gestattet sind», seguito da un più chiaro avviso in inglese «Please note that swimsuits are not allowed in the wellness centre».
La mia collega ed io ci guardammo sorpresi.
“Che facciamo?” le chiesi:
“Io nulla, vado a farmi una nuotata. Io nuda non mi ci metto di certo” rispose un po’ piccata.
“Io invece mi sa che entro” le dissi.
Mi guardò con un‘aria un po’ perplessa ed un po’ di riprovazione, ma decisi di tenere il punto.
“Capisco che ti possa vergognare, e sotto un certo punto di vista ti capisco. E ti dirò che il fatto che tu non voglia mi tranquillizza. Avessi accettato, sarei stato in imbarazzo” ammisi con la massima sincerità.
Per un attimo vidi nei suoi occhi un lampo quasi maligno, poi scosse la testa e mi rispose: “Allora vai, buon divertimento. Poi mi racconti, eh?”
“Eh no, cara mia, se vuoi sapere devi entrare e vedere con i tuoi occhi”.
“Pensi che non ne abbia il coraggio?”
“No…”
Lei mi scostò dalla porta a vetri, entrò nella vaschetta, si sciacquò i piedi e si immise nella sala nella quale affacciavano sauna, bagno turco e docce ed al centro della quale troneggiava la vasca Saun. Con sua grande delusione, il centro era vuoto, non c’era nessuno.
“Ma… è vuoto! Allora ci fermiamo!” mi disse.
“Si, ma dobbiamo comunque toglierci il costume. Hai letto il cartello?” mi rispose.
Avevo già avuto un paio di esperienze in una SPA mista in Alto Adige ed immaginavo che con grande probabilità sarebbe passato un controllo. Non volevo farmi rimproverare dal crucco di turno e quindi la avvisai che mi sarei tolto comunque il costume, ma mi sarei coperto con uno dei teli piccoli messi a disposizione. Era il massimo che ero disposto a concederle visto che, mentre in Sud-Tiröl ero tra sconosciuti e la mia vena esibizionista poteva essere acquietata senza rischi, lì, in quella situazione, a fianco di una collega per la quale non provavo alcuna simpatia nemmeno lavorativa, non mi sentivo assolutamente a mio agio.
Lei nicchiò, disse “No, allora vai tu, io vado in piscina, ci vediamo a cena”, uscì dalla sala chiudendo la porta alle spalle ma poi, dopo pochi istanti, tornò indietro dicendomi: “Ok, resto, però non voglio vederti nudo, ok?” quasi volessi a tutti i costi mostrarle il mio birillo. “Machittesencula!” pensai tra me e me ma poi, preso da un palpito “politically correct” le risposi “Mia cara, non ho alcuna intenzione di mostrarmi nudo a te. Mi rendo conto che la mia nudità possa darti fastidio, ma mi piace seguire le regole. Tu peraltro puoi non accettare e andartene quando vuoi. Nessuno ti trattiene, sia chiaro.”
Politically correct, ma anche abbastanza polemico da risultare antipatico pure a me stesso.
“E poi” aggiunsi “ricordati che devi toglierti il costume anche tu!”
“Sei matto? Al massimo tolgo le spalline e lo nascondo sotto il telo”
“Fa come ti pare!” le risposi mentre uscivo dallo stanzone per rientrare nello spogliatoio a togliermi il costume: Volevo evitare di farlo davanti a lei.
“Dove vai, scusa?” mi chiese.
“A togliermi il costume. Non vorrai che lo faccia qui davanti a te, no?” le risposi piccato dopo essermi voltato ad osservarla con un’espressione seccata.
Arrossì ed annuì.
Tornai in sala indossando un telo, troppo piccolo per coprirmi tutto, che avevo serrato in vita. Mi arrivava appena a metà coscia, quando camminavo si apriva di lato e quando mi fossi seduto di certo avrei mostrato un po’ troppo, ma non avevo trovato altro oltre ad un telo da bagno lungo fino alle caviglie: troppo.
La collega mi dette il cambio entrando a sua volta nello spogliatoio. Capii che era entrata nel bagno e di certo ne approfittò perché sentii lo sciacquone. Dopo un paio di minuti ritornò con il telo da bagno che la copriva dalle ascelle alle caviglie. Le spalline del costume intero erano sparite, ma una rapida occhiata mi permise di capire che lo indossava ancora sotto il telo.
Entrammo in sauna. Io mi sedetti nella panca bassa, lontano dal braciere per gli Aufguss, ad un lato del locale, lei invece dalla parte opposta, sullo scalino più alto, quasi di fronte alla porta. Mi distesi sul telo che avevo preso e che avevo steso sulla panca, cercando di non mostrare nulla. Nella posizione in cui mi trovavo, poteva solo notare il bozzo del pube, ma cercai di minimizzare piegando la gamba in modo da nasconderle dietro di essa la mia zona genitale.
La sauna era regolata a 75 gradi, non eccessivamente alta, e dove ero io la temperatura era forse più bassa. Lei invece si trovava nella zona più calda e dopo qualche minuto la sentii sbuffare. Con la coda dell’occhio la osservai aprire il telo all’altezza dello stomaco e della pancia e cercare di staccare dalla pelle il tessuto del costume. In quel momento si aprì la porta della sauna ed apparse la Saunameisterin. Osservò prima me, che mi ero appena tirato su per vedere chi fosse, e poi la collega che era rimasta bloccata dalla sorpresa.
Disse quindi qualcosa con “Fraulein”, “nicht” e “Verboten” ma né la mia collega né io capimmo.
Sorry, I didn’t understand what you said. In English, please” le disse.
Madam, you can’t wear the bathsuite in the wellness center. It’s strictly forbidden” le rispose in un inglese pieno di Z e di dentali dure.

Rimase un paio di secondi scioccata, e stava per rispondere con il dito alzato quando l’addetta la prevenne ribadendo: “Vietato kostume in zauna” in uno stentatissimo italiano, per poi indicare me.
Per favore mostra me tu non porta costume”.
Rimasi perplesso sul da farsi, era davanti a me e mi copriva dalla vista della collega per cui scostai un po’ un lembo del telo mostrandole il mio pisello.
Ach, danke.”
Poi mi chiese se gradivo ricevere un Aufguss. Le chiesi quando e lei mi indicò una tabella nella quale erano indicati gli orari dell’attività. Ne era previsto uno dopo un’oretta circa.
Tornò quindi dalla mia collega che nel frattempo non aveva ancora metabolizzato la cosa, la prese per mano per aiutarla ad alzarsi e la invitò ad uscire.
Lei si scrollò di dosso la mano e borbottò “Non capisco il perché di queste porcate. Poi però lei è vestita!”.
“Guarda che lo fanno per motivi sanitari. I tessuti sintetici alle alte temperature favoriscono la proliferazione dei batteri.
It depends on bacteria in synthetic fabrics at high temperatures, isn’t?” dissi rivolgendomi alla meisterin.
Ja, it’s correct.”
“E perchè ora è vestita qui?” chiese la collega.
“Perché questa tuta è in cotone” rispose in inglese.
“Anche l’intimo?” ribadì.
I don’t wear anything under. And the Aufguss will be provided naked” rispose.
La collega si alzò, uscì senza salutare e tornò nello spogliatoio.
Io approfittai della sua assenza per uscire e farmi una doccia nudo. Poi presi il telo e mi asciugai senza coprirmi, mentre la meisterin stava chiudendo in un sacco i teli usati che erano dentro un contenitore. Poi venne da me, mi prese di mano il mio bagnato e mi indicò la catasta di teli asciutti accanto al bagno turco.
Questo è sporco, ora. No güt.”

Ringraziai ed entrai nel bagno turco che era pieno di una nebbia densa ed aromatizzata. Presi la doccetta, sciacquai il posto sotto di me e mi sedetti quasi in fondo.
Dopo qualche minuto si aprì la porta ed una figura si stagliò in controluce, seguita immediatamente da un’altra. Una volta entrati, si palesarono essere un uomo ed una donna, entrambi nudi, che dopo aver sciacquato il proprio sedile si disposero uno di fronte all’altro, a fianco a me. Altri secondi e la porta si aprì un’altra volta.
“Paolo?” sentii chiamare. Era la mia collega che mi cercava. Quando si accorse che non ero solo fece come un gesto di ritrosia, poi focalizzò meglio e si accorse che eravamo tutti nudi. Notai che ora indossava un telo un po’ più grande di quello che io avevo indossato fino a poco prima, chiuso al seno, che però le scopriva un’ampia porzione delle cosce arrivandole a coprire malamente i glutei.
Chiese permesso e si sedette davanti a me.
“Dovresti sciacquare la seduta con la doccetta” le dissi.
“Ma poi mi bagno il telo!”
“Non dovresti indossarlo, infatti.”
“Ma sono nuda, sotto!”
“Perché, noi come stiamo?” le rispose la ragazza accanto a me. “Non si preoccupi, signora, dopo un po’ qui ci si fa l’abitudine, e poi qui tra buio e nebbia non ci si vede nulla!”.
Io mi ero comunque coperto con la mano accavallando le gambe per limitare al massimo la mia nudità, ma dopo un po’ dovetti accomodarmi meglio. Inoltre avevo un gran caldo e avevo necessità di bagnarmi con la doccetta. Presi il coraggio a quattro mani, mi alzai di fronte a lei e mi bagnai. Era impossibile che non avesse notato che ero nudo, tantomeno che ero depilato, ed infatti la pizzicai a sbirciare attentamente.
Dietro il mio esempio, anche l’altra coppia si alzò e si bagnò con la doccetta.
Lei rimase coperta, le gambe accavallate ed il busto piegato in avanti, ma dopo un po’ dovette cedere e si tolse il telo, mostrando un seno un po’ cadente, la pancia con qualche rotolino di troppo e le cosce tutt’altro che tornite.
No, decisamente non era particolarmente bella, nuda. Diciamo che il costume adamitico le si addiceva meno che all’altra ragazza che era con noi.

Dopo qualche minuto le proposi di uscire e di andare nell’idromassaggio. Lei accettò. Credo che ne avesse abbastanza del bagno turco.
Anche l’altra coppia seguì il nostro esempio e ci raggiunse nella vasca.
Avevo già sbirciato la mia collega ed avevo notato che il suo inguine non era assolutamente curato, mostrando un pelo nero, folto e riccioluto che le copriva tutto il pube.
L’altra coppia era invece atletica, abbronzata, senza segni di costumi e anch’essi totalmente depilati.

Ci presentammo per nome, chiedemmo l’uno all’altro perché eravamo lì, di dove eravamo, ecc.
La mia collega si era rilassata un po’ perché le bolle coprivano le sue intimità e le sue forme, e partecipò alla conversazione. Arrivò di nuovo la meisterin che ci invitò in sauna per l’Aufguss.
Io accettai e mi alzai senza coprirmi, mostrando tutta la mia mercanzia alla collega. Altrettanto fece l’altra coppia.
Nel frattempo l’addetta era entrata in sauna con la sola parte di sopra della sua tuta. Si chinò per raccogliere un telo che le era caduto mostrando i suoi glutei nudi ed un bel tribale sul fondo schiena.
Poi si girò e fu chiaro che aveva uno strano piercing formato da due catenelle che partivano dall’ombelico e terminavano attaccati alle grandi labbra. Infine si tolse anche la parte di sopra della divisa e mostrò i capezzoli attraversati da una barretta.

La mia collega mi guardò sorpresa e quasi disgustata, quasi volesse incolparmi di quel che aveva appena visto. Si era rimessa il telo coprendosi fino al seno, ma sedendosi sulla panca le si era inavvertitamente aperto mostrando il suo pube “nature”. La aufgussmeisterin suggerì a tutti di toglierci i teli, di alzarci in piedi ed avvicinarci per poter godere delle intense gettate di vapore che aveva iniziato a provocare gettando dell’acqua aromatizzata all’eucalipto e al mentolo sulle pietre roventi della stufa e indirizzando servendosi dell’asciugamano verso ciascuno di noi. Fui il primo a godere di quel trattamento che respirai a pieni polmoni. L’immissione di aria carica di vapore, unitamente all’eucaliptolo usato come aroma mi provocò l’effetto Vicks Vaporub nel naso: si stapparono contemporaneamente entrambe le narici e sentii come se qualcosa mi stesse aspirando il muco dai seni frontali e dai turbinati.

Fu la volta della coppia di ragazzi: anche essi ricevettero una sventagliata di vapore con la stessa acqua aromatizzata, che provocò alla lei una serie di violenti starnuti accompagnati da uno scoppio di risate da parte di lui quando l’ennesimo starnuto provocò una rumorosa flatulenza. Inutile dire che la ragazza, arrossita fino alla cima dei capelli, chiese scusa per l’imbarazzante avvenimento. Ridacchiai anch’io facendo un gesto con la mano della serie “nessun problema!”, aggiungendo a bassa voce “tanto con tutto questo odore di eucaliptolo nel naso non sentiamo nulla…”.
Toccò infine alla collega la quale, pur mantenendo una pudica mano sul pube ed un braccio a coprire entrambi i seni, decise di avvicinarsi e di collaborare.
La aufgussmeisterin la prese per un braccio e la avvicinò a se; poi prese una boccetta dal contenitore che aveva con sé e ne versò qualche goccia nel secondo mastello dell’acqua. Immediatamente si sparse per l’aria un profumo di lavanda, fienagione e cannella che coprì ed annullò il precedente. Prese quindi il mastello e versò una mestolata d’acqua sulla pila di rocce che nel frattempo avevano ripreso un colore rosso intenso. Subito si creò una nuvola di vapore che indirizzò verso di lei sventolando il telo, mentre diceva ad alta voce “Atme! Respira!”. La collega aspirò con la bocca a pieni polmoni ma fu presa da un parossismo di tosse che la fece cadere a gambe larghe sulla panca, mettendo in mostra il suo sesso completamente ricoperto da un’impressionante foresta di peli neri.
Un sorriso di scherno comparve sulla bocca della operatrice, quasi a voler sottolineare l’inadeguatezza della donna.
Dopo questo raccolse le sue cose e ci suggerì di rimanere altri cinque minuti in sauna e poi di gettarci sotto la doccia fredda. Poi, sempre nuda, fece un inchino, salutò, si girò ed uscì dalla sauna con passo quasi militare.
Io provai a seguire il suo consiglio ma la reazione era troppo violenta: il getto d’acqua gelata che mi colpì fu come uno schiaffo che mi lasciò senza fiato, e non ebbi il coraggio di rimanervi sotto per cui mi gettai verso il telo per asciugarmi e riscaldarmi. La mia collega invece era andata direttamente alle docce cromatiche, questa volta stranamente senza mettere l’asciugamano per coprirsi. L’altra coppia invece rientrò dentro la vasca idromassaggio.

Andai nella sala relax e mi sdraiai su una chaise longue dopo aver preso una tisana alle erbe ed un altro telo per riscaldarmi un po’. Stavo pensando ai casi miei quando mi sentii battere sulla spalla. Mi girai e vidi la mia collega, bagnata grondante e con un piccolo telo a tenuto di fronte ma più per asciugarsi che per coprirsi.
“Paolo, io andrei in camera ad asciugarmi i capelli e a vestirmi. Andiamo a cena assieme o hai altri appuntamenti?” mi chiese con tono gentile e cordiale, l’opposto di come era stata fino a poco prima.
“Va bene, vai pure. Io vado su tra un po’. Ci vediamo alle 19:30 al bar fuori la sala da pranzo” le risposi. Volevo offrirle un aperitivo come gesto distensivo, considerato anche il malumore e la scarsa tolleranza reciproca che aveva caratterizzato la giornata lavorativa.

La osservai tornare verso lo spogliatoio, il culo completamente scoperto. La sua figura non era curata, i fianchi larghi, le culottes de cheval e la cellulite non la rendevano particolarmente apprezzabile. Anche il seno, che avevo avuto modo di osservare in precedenza, era appesantito e gravava quasi sullo stomaco, i capezzoli scuri e spessi rivolti verso il basso. Si, nel complesso non era una bella figura e forse la sua ritrosia a mostrarsi era dovuta proprio alla sua scarsa avvenenza.

Mi riscossi comunque dai pensieri e mi alzai per tornare nello spogliatoio ove mi infilai ciabatte e accappatoio.
Arrivai all’ascensore ed attesi che arrivasse al piano. Entrai e premetti il tasto del secondo piano.
Si fermò però al piano terra. Le porte si aprirono ed entrò la mia collega, entrambi sorpresi di esserci incontrati.
“Credevo fossi già salita in stanza” le dissi.
“No, mi sono fermata alla reception per chiedere un’informazione.” rispose un po’ vaga.
“Che tipo di informazione?” mi trovai a chiedere quasi contro la mia volontà. “No, scusa, sono affari tuoi, perdonami!” aggiunsi immediatamente.
“Niente di che, chiedevo se avevano anche servizi di estetica qui. Se faccio in tempo, domattina mi presento alle 8 prima di andare in sede” aggiunse.
“Ho un problema ad un unghia del piede” disse dopo una breve esitazione, sollevando leggermente in piede destro e mostrando le unghie poco curate e con lo smalto totalmente distrutto.
Sciatta anche in questo”, pensai.
Annuii e stavo per ribattere quando si aprì la porta del mio piano.
Uscii dall’ascensore e, tenendo con una mano la porta aperta, le ricordai “Allora alle 19:30 al bar”.
“Si, grazie. A dopo” rispose con tono decisamente più cortese.

Mi ero seduto al bancone del bar in attesa della mia collega. Mi ero asciugato e fatto la barba, passato un abbondante dose di dopobarba e vestito in maniera sportiva ma abbastanza elegante: giacca blu, maglione dolcevita azzurro, pantalone grigio, mocassino nero. Stavo giocherellando con la carta dei servizi quando sentii appoggiare una mano sulla spalla.
“Paolo, scusa il ritardo, ma mia figlia ha avuto un piccolo problema” mi disse scusandosi del quarto d’ora di attesa.
“Anzi, volevo chiederti un parere. Le si è fermata la macchina di botto e non riparte più. Mi ha detto che c’è stata una grande fumata, si sono accese tutte le spie e poi si è bloccato il motore facendo slittare le ruote. Sembra come se qualcuno l’avesse trattenuta con una catena. E poi il motorino non gira più”.
Sapevo della sua unica figlia, circa coetanea della mia, che passava gran parte del tempo con il padre e qualche settimana all’anno con la mamma.
“Ma le luci rimangono accese?” le chiesi, per capire se non fosse stato un problema elettrico.
“Dice di sì, funziona tutto. Ma il motorino non gira.”
Intuii che aveva subito un grave danno al motore, un grippaggio, o la rottura della catena o della cinghia di distribuzione, o la rottura di una biella, comunque qualcosa di meccanicamente importante.
“Ma ora dove sta?” le chiesi.
“Sul carro attrezzi, la stanno riportando verso l’officina meccanica convenzionata”.
“Ma che macchina è?” le chiesi.
“È la mia 500 aziendale”.
“È diesel, giusto?”
“Si!”
“Chiedile se ha fatto rifornimento”
La chiamò al telefono e le chiese avanti a me “Tesoro, che hai fatto rifornimento, oggi?”
Sentii che le rispondeva affermativamente.
“Chiedile se lo ha fatto lei e cosa ha messo”
Sentii la risposta quasi dal vivo.
“Si, ha fatto il pieno di benzina”.
Appunto.

“Dille di stare tranquilla e di farsi accompagnare da un tassì a casa tua. Domani chiami e ti fai dare una macchina sostitutiva. Quella che hai è da buttare.”
“Ma come? È quasi nuova! Ha meno di 10.000 km.” rispose quasi scandalizzata.
“Se va bene, la riparazione costerà non meno di 7.000€. E non credo che la compagnia di leasing accetterà di pagare una simile cifra. Verrà venduta come rottame. Preparati a pagare 250€ di franchigia, il danno è dovuto alla tua negligenza” le aggiunsi, spiegandole che mandare a benzina un motore diesel lo fa esplodere in poco tempo, e che il danno non può essere riconosciuto come accidentale.

La serata non era iniziata nel migliore dei modi, per lei.
Peccato, perché riconobbi la sua buona volontà nel volersi mostrare un po’ meno pallosa anche nel vestirsi. Aveva indossato infatti una gonna sopra il ginocchio color verdone, una camicetta bianca accollata, un bolerino alto in vita ed un paio di scarpe con tacco moderatamente alto.
L’opposto di come si presentava di solito in ufficio, sempre in pantaloni ampi, scarpe basse, maglioni ampi e colori scuri.
Un piccolo inciso sulla mia collega. Pur dimostrandone qualcuno di più, era una donna di meno di cinquant’anni, laureata in matematica alla Scuola Normale di Pisa ed esperta di programmazione lineare. Era infatti stata chiamata per partecipare al gruppo di lavoro che doveva fissare le specifiche di progettazione di un sistema informatico di gestione delle risorse tecniche e logistiche per una nota multinazionale tedesca produttrice di automobili che aveva chiesto alla nostra azienda, anch’essa multinazionale, di studiare un sistema in grado di pianificare ed ottimizzare i lavori di manutenzione presso la rete delle sue officine specializzate.
Dopo un matrimonio andato a rotoli a causa delle corna che le aveva messo il marito con la sua migliore amica, si era lasciata andare dedicandosi solo al lavoro ed ai suoi tre gatti, uno più grosso dell’altro, visto che la figlia aveva preferito stare con il padre.
Inoltre, la sua disavventura coniugale l’aveva resa sospettosa e guardinga nei confronti dell’altro sesso, facendole assumere atteggiamenti di rigetto verso gli uomini che doveva frequentare, nella fattispecie i colleghi, che di certo non la rendevano più attraente e piacevole da frequentare.
Tutto ciò, unitamente ad una sciatteria e trasandatezza che probabilmente le era un po’ connaturata, aveva generato un’aura di antipatia generalizzata.
In ufficio era quasi sempre da sola, consumava il suo pasto sulla scrivania, leggendo qualcosa sul computer, per poi rituffarsi nell’attività di analisi e progettazione in cui peraltro eccelleva.
Solo una volta sembrò prendersi una cotta per un ragazzetto molto più giovane di lei con il quale era stata destinata a collaborare per un progetto molto importante. Qualcuno raccontò di fugaci incontri clandestini, di una trasferta a Verona in stanze comunicanti, ma successivamente il ragazzo dette le dimissioni e sparì dalla circolazione.

Tornando al momento, la mia collega si era intristita ed innervosita per la problematica.
Mosso da sincero dispiacere, le proposi di aiutarla facendomi dare i dati da comunicare a suo nome alla Direzione del Personale ove potevo contare su un’amica fidata e particolarmente gentile, e ad organizzare il prelievo della macchina sostitutiva per sua figlia in attesa del suo rientro.
Mi ringraziò con un sorriso sincero e, visibilmente sollevata all’idea di avere un uomo accanto che potesse aiutarla, si rilassò e gradì lo spritz Hugo che le avevo fatto preparare.
L’atmosfera si sciolse e ci spostammo al tavolo dove nel frattempo fummo raggiunti da altri colleghi.
Buttai lì casualmente il fatto che in albergo ci fosse un centro Wellness ben attrezzato, e che avevamo goduto di un piacevolissimo Aufguss in sauna.
Credevo che avrei sorpreso gli altri miei colleghi (due donne ed un uomo) i quali invece mi parlarono di una stupenda struttura poco distante dal centro del paese, che aveva una dozzina di sale per bagno turco e più di una ventina di saune a tutte le temperature, una piscina parzialmente dentro e parzialmente fuori la struttura, attraverso la quale si poteva andare all’aperto e poi rientrare senza dover uscire dall’acqua.
E poi magnificarono le piacevolissime strutture relax, il ristorante, la palestra… insomma, mi scatenarono la curiosità di andare a vedere questo posto.
“Paolo, sono curiosa anch’io di vedere: ci andiamo assieme?” mi chiese la mia collega, stupendomi.
“Si, certamente, perché no! Allora ti è piaciuto, eh?” le chiesi facendole l’occhiolino.
Lei arrossì e annuì con la testa.
Il suo gesto non sfuggì agli altri i quali non persero tempo a stimolarla a raccontare.
“Nooo, devi raccontarci. Cosa hai fatto? Cosa hai visto?” la tampinarono.
“Nulla, non ero preparata al fatto che qui alla SPA si sta in totale nudità. Dapprima credevo che non sarei riuscita, poi alla fine mi sono resa conto che è tutto abbastanza naturale e che dopo un po’ non ci si fa caso. Beh, quasi…” concluse abbassando inavvertitamente lo sguardo verso il mio inguine.
Hai capito la collega… allora aveva guardato bene cosa avevo tra le gambe.

La serata scorse tranquilla e verso le dieci ci salutammo ritirandoci nelle nostre camere.
Ero a letto a leggere qualcosa quando suonò il telefono.

Hallo? Who’s speaking?” dissi senza pensare.
“Paolo, sono io. Scusa se ti disturbo, volevo sapere se potevi coprirmi per qualche minuto in più domattina. Avrei una necessità personale che dovrebbe portarmi via un’oretta. Pensi di potermi aiutare?” mi chiese.
“Ma si, certamente. Ricordati di darmi i dati che servono, oppure tieni a portata di mano il cellulare se dovesse servirmi di chiamarti!” le risposi.
Ci salutammo e ci augurammo la buona notte.

Giorno 2 – In albergo​

La mattina dopo mi svegliai abbastanza presto, infilai una felpa ed un paio di calzoncini da palestra e mi recai in palestra per fare un po’ di esercizi. Non trovai nessuno e potei completare il mio solito piano di allenamento senza dover cambiare le sequenze alle macchine.
Tornai in stanza, mi gettai dentro la doccia e feci appena in tempo ad uscire quando sentii bussare alla porta.
Mi ero appena legato in vita l’asciugamano ed avevo metà viso coperto dalla schiuma da barba.
“Chi è?” chiesi da dietro la porta.
“Paolo, sono io, ho provato a chiamarti ma non rispondevi e per questo sono passata a bussarti alla porta” mi rispose la mia collega.
“Sono mezzo nudo, aspetta che mi copro un momento” le risposi.
“Ma se ti ho visto nudo per mezza giornata, ieri… pensi che possa scandalizzare?” ribatté ridacchiando.
Aprii la porta e la trovai in accappatoio ed in pantofole, cellulare e chiavi della camera in mano.
“Ma dove vai ancora in accappatoio? Non avevi un appuntamento dalla pedicure?” le chiesi.
“Si ma non solo. Vabbè, te lo spiego dopo. Volevo darti questo” e tirò fuori dalla tasca un foglietto di carta con i suoi dati, quelli della figlia, indirizzo di casa, numero della patente sua e della figlia, codice fiscale, ecc.
“Nel caso te li chiedessero” mi disse.
Sorrisi, le feci un occhiolino e ci salutammo.
“A più tardi. Mi raccomando, non esagerare!” le dissi.
“In che senso?”
“Non farti fare troppo bella. Guarda che poi è un casino…” le dissi guardandola di sottecchi.
Mi sorrise, arrossì come una liceale, si girò e scappò via sorridente.

Fatta colazione, chiamai in ufficio e chiesi della mia amica al Personale. Le spiegai la situazione e la pregai di aiutarmi a darle una mano.
La mia amica, particolarmente protettiva nei miei confronti, mi chiese il motivo per quell’interessamento.
Le risposi che la collega mi faceva quasi pena, avevo capito la sua anima e volevo sinceramente aiutarla e farla sorridere.
“Di certo non lo fai per sesso, vero?” mi chiese con tono quasi inquisitorio.
“A parte che non sarebbero affari tuoi!” le ribattei “e comunque, no, non lo faccio per sesso. Non è il tipo di donna che mi può affascinare. E poi è nulla in confronto a te!” le dissi, riferendomi al periodo da scopamici che avevamo passato qualche tempo prima.
Lei rise di gusto e poi mi disse: “Saresti capace di scoparti chiunque, con quel modo di fare. Anche un cesso bisognoso di affetto.” Immaginai che non dovesse correre buon sangue tra le due.
“Comunque tranquillizzala, dille che chiamo subito per la macchina sostitutiva e che per domani dovrebbe averla. Dille anche che la chiamo nel pomeriggio” aggiunse.
“Non credo che riuscirai a parlarle oggi pomeriggio. Almeno, non dopo le 17:00. Abbiamo un incontro in sede.” mentii. Avevo in un attimo pianificato una visita a quel megacentro benessere di cui avevo avuto notizia la sera prima a cena. Ed avevo intenzione di portare con me la mia collega.

Uscii dall’albergo e mi recai a piedi verso la sede dell’azienda.

Giorno 2 – In ufficio​

Il management locale ci aveva riservato una sala riunione annessa alla quale c’era una sorta di cucina attrezzata con macchine per il caffè alla americana, caffè espresso, succo di frutta, the, succo di arancia ed un vassoio di brioches e di torte locali.
Riempii una mug di caffè all’americana nel quale versai ben cinque confezioni di crema di latte. In sostanza, avevo fatto un caffellatte con la panna.
Iniziammo la riunione ed i colleghi tedeschi e inglesi mi chiesero dove fosse la collega. Spiegai loro che la figlia aveva avuto un incidente con la sua auto a Roma e che era stata trattenuta in albergo per gestire la cosa, ma che ci avrebbe raggiunto quanto prima.
I colleghi accettarono la spiegazione ed iniziammo la riunione, affrontando nel frattempo una serie di tematiche sistemistiche e di servizio, non collegate direttamente alla parte di sviluppo.
In qualità di responsabile del team italiano e della gestione dei progetti speciali, ero l’autorità sul campo con il grado più elevato e dovetti condurre la riunione, discutendo su chi facesse cosa e sui costi interni da addebitare. Scoprii che le tariffe interne dei tedeschi erano circa il doppio delle nostre e quelle degli inglesi quasi il triplo. Fu faticoso trovare una quadra visto che il fatturato era stato diviso equamente tra le tre country e che a causa delle nostre tariffe, sarebbe stato molto più conveniente che all’Italia fosse assegnato molto più di un terzo. Alla fine riuscii a spuntarla grazie all’intervento del responsabile tedesco che convenne che la nostra proposta era decisamente più competitiva.
Nel frattempo ci raggiunse la mia collega.
Confesso che feci quasi fatica a riconoscerla. Si era sistemata i capelli, indossava stivali sopra il ginocchio nuovi di pacca, un pullover su calze coprenti stretto in vita da una cintura alta tre dita e, soprattutto, era truccata in maniera eccellente.
Sembrava un’altra persona, tanto era cambiata. E se ne accorsero anche i colleghi. C’era un francese in carico alla locale filiale che si alzò e la salutò con il baciamano. Il mio omologo tedesco spostò la poltrona dal tavolo per farla sedere e poi la riaccomodò verso il tavolo.
Io rimasi fermo, seduto, e feci uno sforzo per simulare disinteresse.
Più tardi mi alzai per rifornire la mia mug di caffè e ne approfittai per chiederle: “Vuoi anche tu una tazza di caffè?”
“Come il tuo, grazie!”
Non capivo cosa intendesse, sta di fatto che le preparai una tazzona di caffè con molta crema, come piaceva a me. Le misi vicino alcuni pasticcini locali come stuzzichino, e le aggiunsi una bustina/stick di zucchero. Mi riaccomodai accanto a lei e le porsi la tazza. Lei si girò verso di me e mi ringraziò con un sorriso largo, sincero, che però faceva trasparire altro.

Dopo ancora un paio d’ore di aspre discussioni su chi faceva cosa, e dopo aver parlato ancora dei massimi sistemi, ci spostammo nella sala da pranzo attigua dove avevano preparato un brunch in piedi.
Approfittai per chiedere alla mia collega se c’erano state novità.
“Vorrei ringraziarti per il tuo intervento. Hanno chiamato mia figlia dalla centrale di noleggio e le hanno detto che nel pomeriggio le consegnano un’auto sostitutiva. È una Panda a benzina, ma va bene lo stesso. Basta che possa venirmi a prendere venerdì in aeroporto”
“Guarda che se hai bisogno, ti accompagno io…” le dissi.
“No, figurati, credo che incontrerò anche il padre, visto che arriva anche lui all’aeroporto circa alla stessa ora” mi spiegò.

Mangiammo tutti assieme e cercammo di creare un minimo di spirito di squadra per poter iniziare a costruire un team costituito da persone così disparate e diverse tra loro.

Proposi di andare la sera stessa a mangiare tutti assieme in birreria. I colleghi inglesi accettarono, i tedeschi declinarono quasi tutti perché abitando in zona avevano da rientrare in famiglia.
Nel pomeriggio affrontammo le tematiche relative allo sviluppo del software e la mia collega illustrò la struttura dell’applicazione ed i punti salienti da coprire.
Fu un momento abbastanza faticoso perché gli argomenti erano diventati tediosi e ed erano intervenute divergenze di opinione sugli strumenti da utilizzare, con i tedeschi e gli inglesi spreconi nel voler acquisire pacchi di licenze di prodotti software e noi a spingere per l’adozione di piattaforme il più possibile open-source. Alla fine, dopo un’opera di mediazione svolta soprattutto dalla mia collega, giungemmo ad una scelta di compromesso che accontentava un po’ tutti, salvaguardando i grandi numeri da un lato e la semplicità e concretezza dell’ambiente applicativo dall’altra.

Alle cinque del pomeriggio sciogliemmo la riunione e ci demmo appuntamento per le otto e mezza in una birreria in centro dove la locale segreteria aveva prenotato un tavolo per noi.

Mentre tornavamo verso l’albergo mi rivolsi alla collega e le dissi: “Senti, volevo proporti una cosa.”
“Anch’io!” mi rispose.
“E allora dimmi tu”.
“Ti andrebbe di accompagnarmi a vedere quell’altro centro benessere di cui hanno parlato gli altri ieri?” mi chiese.
“E’ esattamente ciò che volevo proporti” le dissi sorridendo.
“Allora andiamo!” propose.
“Subito? Così? Perchè no!” risposi.
“Aspetta però” disse.
“Cosa?”
“Non dovremmo passare a prendere qualcosa in albergo? Costumi, accappatoi… che ne so.”
“Non hai capito? Qui nei centri il costume è vietato. Per i teli e gli accapatoi, te li danno loro. Sono compresi nel biglietto di ingresso” le spiegai.
“Ma quindi, nudi nudi come ieri?” chiese.
“Si. Ma nelle saune è proprio vietato coprirsi. Nei bagni turchi il telo è inutile perché si fradicia, in piscina si va nudi e al bar… pure”.
“Vabbè. Sono curiosa. Però un po’ mi vergogno.”
“Non ti devi vergognare. Vedrai, ti ci abituerai”.
Nel frattempo feci cenno ad un tassì che si fermò accanto a noi. Feci entrare la collega e chiesi all’autista di portarci alle terme Taunus.

Giorno 2 – Alle terme​

Fu una breve corsa, meno di cinque minuti.
Arrivati all’ingresso, pagammo il biglietto e ci consegnarono un bracciale con la chiave elettronica abilitata alla apertura e chiusura dello stipetto nello spogliatoio, per l’erogazione dei servizi accessori e per le consumazioni al bar. Ci indirizzarono verso gli spogliatoi che erano separati per uomo e donna.
Mi spogliai e in un primo momento mi avvolsi nel telo, poi vidi altre persone che si muovevano in totale nudità con il telo portato sotto braccio o appoggiato sulle spalle.
Aprii con il bracciale la serratura della porta di accesso alla struttura ed entrai.
Inutile dire che rimasi esterrefatto dalle dimensioni dell’ambiente. Era un padiglione alto oltre dieci metri e lungo almeno cinquanta, con grandi finestre che portavano la luce esterna all’interno. Gente, tantissima gente, tutti rigorosamente nudi.

Incontrai una famigliola composta dai nonni, una coppia di genitori ed i loro ragazzi. Poi una signora anziana con il deambulatore sostenuta dalla figlia e dalla nipote. Tante coppie di ragazzi e ragazze, gruppi di ragazzi, amanti, amici. Tutti rigorosamente nudi.
Tette e pubi di tutte le dimensioni. Con pelo, senza pelo, con la striscia, con il piercing. Tatuati, glabri. Seni cadenti, perfetti, rifatti. Gonfi, sgonfi, con le areole grosse, piccole, scure, chiare.
E peni. Piselli di tutte le taglie. Lunghi, corti, grossi, piccoli. Mai visti tanti piercing Prince Albert sulla cappella… Attesi che si presentasse la mia collega quando mi toccò con una mano sulla spalla. Mi girai, era lei, completamente nuda, questa volta senza asciugamano. Le sorrisi e lo sguardo mi cadde sul suo pube, ora completamente liscio e depilato, e sulle unghie dei piedi, perfettamente curate.

Mi prese lo sghiribizzo di chinarmi per darle un bacio sulla guancia di saluto, ma lei si girò all’improvviso e le mie labbra si posarono sulle sue. Fu un attimo, ma sentimmo entrambi una scossa elettrica, al punto da portarci entrambi la mano alle labbra.

“Scusa!” le dissi.
“Scusami tu” mi rispose.
“Volevo solo salutarti” ribadii.
“Eh sì, era tanto tempo che non ci vedevamo!” disse ridendo. “Comunque, volevo salutarti anch’io” aggiunse, guardando ora in basso verso il mio pene.
“Noto che sei passata dall’estetista”, le dissi. “Allora era quello che ti stavi apprestando a fare, stamattina! Una seduta dall’estetista!”
“Si, ma hai visto? Ero indecente. Credo fossero due anni che non mi depilavo. Non hai idea di quanto ho sofferto. Volevo tenere qualcosa qui” disse indicando il pube “ma non sono riuscita a spiegarmi. Va bene, tanto ricrescono!” concluse.
“No, dovresti curarti sempre. Oggi quando sei entrata in ufficio quasi non ti riconoscevo. Sei un’altra, e questo cambiamento ha fatto bene anche al tuo umore!” ribattei.
Lei annuì e mi prese il braccio.
“Andiamo, voglio fare una sauna. E anche un coso, quello con il vapore!”
Aufguss. Si chiama Aufguss” le dissi.
“Si, quello” confermò.
“Vuoi fare prima una sauna o un bagno turco?” le chiesi.
“Che cosa mi consigli?”
“Io ti suggerisco di iniziare con il Tepidarium, che è un bagno di vapore a 45/50 gradi, poi con il Calidarium, sempre con il vapore ma a 65/70 gradi. Poi doccia fredda e andiamo in sauna a 70° gradi per iniziare.
Poi vediamo” le spiegai
“Va bene, ti seguo.”
Seguii le indicazioni per andare verso il tepidarium. Era una struttura molto grande, tutta piastrellata. Al centro della stanza c’era una fontana che buttava piccoli getti di acqua fredda e, montate lungo le panche, una quantità di doccette. Entrammo e ci sedemmo in uno spazio libero tra una famiglia ed un paio di maschi vistosamente gay. Di fronte a noi, una teoria di persone distribuite lungo il lato curvo della struttura.
La mia collega cercava di non far caso alla nudità talvolta imbarazzante tutto attorno a lei, ma notavo che ogni tanto si fissava su qualche particolare, mentre si stuzzicava le labbra con la lingua. Dopo un poco una coppia si alzò da dove era seduta e venne a sistemarsi proprio accanto a noi, tra la mia collega e la famiglia.
Osservai attentamente le due persone e devo dire che non avevo mai visto un pisello così lungo e sottile né un piercing così elaborato attaccato ad una vagina. Il pene dell’uomo arrivava a riposo quasi a metà coscia ma era così sottile da ricordare una di quelle salsicce di luganega arrotolate a spirale. La donna invece indossava un’elaborata combinazione di catenelle e ganci attaccati a degli anelli che erano attaccati alle sue grandi labbra, che partivano da una serie di barrette sotto pelle sul pube. Entrambi avevano numerosi tatuaggi su tutto il corpo.
La mia collega era probabilmente particolarmente incuriosita, perché la vidi più volte ad osservare soprattutto la ragazza.
“Vuoi farlo anche tu?” le chiesi scherzando.
“Ma che sei matto? Potrei morire dal dolore! Naa, non è roba per me. Io ho paura degli aghi, figurati per questa roba!” rispose a bassa voce.
Poi si accostò al mio orecchio e sussurrò: “Ma hai visto che lui ha anche il coso tatuato? Ma non gli fa male?” mi chiese.
Mi voltai a mia volta verso l’orecchio per risponderle. “Non saprei, non ho idea. L’unico tatuaggio è quello che vedi qui sul mio avambraccio” e le mostrai il tattoo che feci ai tempi dell’Accademia Navale con il simbolo del mio corso.
“Ma lì… deve fare un male cane!” sussurrò indicando con il dito il mio pene.
“Ti dirò: ho fatto recentemente una iniezione nei corpi cavernosi per provocare un’erezione per poter fare una ecografia al pene” le spiegai.
“Perché, stai male?” mi chiese.
“No, beh, insomma, soffro di una patologia che si chiama sindrome di La Peironye o Induratio Penis Plastica.”
“E che cosa comporta?”
“Che quando mi si drizza, mi si storce.”
“Ah, e fa male?”
“No, di solito no, ma a lungo andare potrei andare incontro a problemi di impotenza o di disfunzione erettile”.
“Ah, ma allora …hai problemi?” mi chiese, lo sguardo fisso ad osservare l’oggetto della conversazione.
“No, giusto un po’ storto. Ma niente di grave”
“Ma storto come?”. Iniziava ad essere un po’ troppo insistente ed io non avevo piacere ad approfondire. La mia patologia, che nel tempo sarebbe diventata più impattante al punto di dover ricorrere a cure specifiche, era un qualcosa che mi provocava fastidio psicologico. Dall’altra, stavo iniziando a capire che la mia collega non aveva più alcun ritegno. Era come se si fosse rotta una diga e l’acqua stesse tracimando senza ostacoli.
“Storto a banana. Con la punta che va in su” e le feci il gesto piegando le falangi distali dell’indice e del medio ad uncino. Mi resi subito conto di ciò che il gesto poteva significare ed immediatamente intervenni spiegando “Si, insomma, come una banana un po’ più curva”.
“Capisco…”, che non era un’interiezione di compatimento, ma una affermazione programmatica. La pronunciò infatti continuando ad osservare il mio pene che nel frattempo, oggetto di attenzione inaspettata, aveva iniziato a vivere di vita autonoma ed a rispondere alla curiosità.
Mi alzai allora per andare a prendere la doccetta per raffreddare qualsiasi mio bollente spirito.
“Me ne metti un po’ addosso?” mi chiese. Il tubo era sufficientemente lungo e la bagnai sulla schiena e sul petto. Lei prese la mia mano ed indirizzò il getto verso il suo sesso, mentre apriva le gambe fino ad allora tenute serrate. Notai che si era eccitata in quanto le grandi labbra erano decisamente più gonfie e le piccole labbra stavano schiudendosi come i petali di un bocciuolo.
Durò un attimo perché con l’acqua fredda si spensero anche i bollori mentali.
“Che dici, passiamo alla prossima?” le chiesi.
“Si, va bene” rispose annuendo.
Uscimmo dalla sala e mi spostai verso le docce che erano fuori, dietro la costruzione del bagno turco.
Attesi che una coppia liberasse i getti e mi buttai sotto, sciacquandomi dal sudore il petto, la pancia, le cosce. Poi allungai le mani per sciacquarmi la schiena ed i glutei, e alla fine, decisi di strofinarmi il pene ed i testicoli proprio mentre la mia collega si girava verso di me.
Immediatamente staccai le mani e chiusi l’acqua, girandomi a recuperare il telo che avevo appeso ai ganci lì accanto; mi asciugai e mi frizionai cercando di non pensare e di disinteressarmi a ciò che sapevo stava accadendo alle mie spalle.
Alla fine mi girai e notai come la mia collega avesse i capezzoli particolarmente eretti e duri. Non avrei saputo dire se fosse dipeso dall’acqua fredda o dall’eccitazione, ma di certo non era la loro dimensione “naturale”.

La guidai con una mano sulla spalla come si fa con una bambina verso il Calidarium.
Il locale era grande circa come il Tepidarium, ma era molto meno frequentato, almeno a vedere la quantità di ciabatte ed i teli appesi fuori dell’ingresso. A mio parere c’erano al massimo quattro o cinque persone oltre a noi. Il problema era dato da una nebbia così fitta da sembrare impenetrabile. Facevo fatica a vedere dove stavo andando e fino a che gli occhi non si abituarono a quella oscurità preferii fermarmi per evitare di sbattere contro qualcosa o qualcuno. Dopo qualche secondo, riguadagnata la vista, dissi alla mia collega di avvicinarci alla panca che si trovava circa a tre metri dall’ingresso, quasi di fronte ad una delle bocche di emissione del vapore. Presi la doccetta e sciacquai la panca per lei e per me.
“Ecco, puoi sederti” e spinsi quello che credevo essere un braccio. Mi resi subito conto che era invece il suo seno.
“Scusami! Non volevo!” le dissi imbarazzato.
“Non ti scusare, con tutto questo vapore e questo buio” e alzò le braccia per indicare quel che c’era intorno e nel farlo, sfiorò con la mano il mio pisello.
“Appunto!” e sbottammo a ridere.
“Shhh” disse uno dei presenti.
“Sorry” risposi a bassa voce.
Ci sedemmo ed aspettammo di scaldarci.
“Posso chiederti una cosa?” mi chiese la collega.
“A che riguardo?”
“Alla tua… malattia”
“Non è una malattia, ma comunque, dimmi.”
“Ma ti si rizza ancora?”
“Certo che sì. Anzi, ti dirò che con quella curva funziona pure meglio perché va a stimolare la zona del punto G e sembra pure più grosso quando entra” le spiegai, volutamente fornendole particolari intimi sperando di fermare quella sorta di ossessionato interesse che sembrava stesse sviluppando nei miei confronti. Sembrò funzionare perché per i successivi cinque minuti rimanemmo in silenzio.
“Paolo, io ho molto caldo e inizio a respirare male. Usciamo?” mi chiese.
“Ok, usciamo” e mi alzai andando verso la porta, illuminata solo da una fioca luce rossa dietro il cartello con la scritta “Ausgang”.
Aprii la porta e fui quasi accecato dalla luce esterna. Grondante di sudore e di vapore, presi il telo ed andai di nuovo verso la doccia per sciacquarmi, seguito dalla mia collega.
Ci lavammo ed asciugammo in silenzio.
“Ti va una birra, o un qualcosa da bere?” le chiesi.
Le annuì, rimanendo in silenzio, e mi seguì mentre mi spostavo verso il bar.
C’era molta fila e le proposi di andare a cercare un tavolo mentre aspettavo di poter arrivare ad ordinare.
“Come la vuoi la birra? Media, piccola, grande, chiara, scura, weiß, lager…”
“Una weiß media, grazie. Anzi no, una scura media.” mi rispose, prime parole dopo qualche minuto di silenzio.
“Ok. Cerca un tavolo” e mi misi in fila. Lei partì alla ricerca di un posto libero. Guardandola da dietro notai che probabilmente, con dieci chili di meno, sarebbe stata una piacevole signora con la quale intrattenere gradevoli attività ricreative. Ma mi resi anche conto che era particolarmente interessata dalla quantità di membri maschili che incontrava, visto che spesso si girava ad osservare con attenzione quelli meritevoli di una seconda occhiata.
La persi di vista quando la coda fece una piccola curva a gomito in direzione della cassa. Mi concentrai però sull’ordine da fare al quale aggiunsi un paio di pretzel. Presi quindi i due boccali ed il piatto con i due pani e mi misi alla ricerca della collega.
Fu lei che mi intercettò. La vidi infatti sbracciarsi da dove aveva trovato posto. La raggiunsi e ci mettemmo a sedere dopo aver messo il telo sulla sedia.
“Uh che bella idea! Adoro i pretzel! Grazie! Quanto ti devo?” mi disse.
“Nulla, sei mia ospite. Ho pensato che bere alcol a stomaco vuoto potrebbe essere negativo”
“Ma la birra è poco alcolica” rispose.
“Si, ma ne bevi quasi mezzo litro. Con la debita proporzione, è come se bevessi mezza bottiglia di vino o un bicchierino di whiskey, per l’alcol che ingerisci”
“Hai ragione, non ci avevo pensato. Il vino ha 12 gradi, la birra rossa 6 o 7. Solo che di birra te ne bevi mezzo litro” concordò con me.

Chiacchierammo del più e del meno, alternando argomenti lavorativi a temi familiari, o ai problemi cogenti tipo la sua auto.
Terminate le birre ed il pretzel, mi alzai e le dissi “Dai, andiamo a fare la sauna con l’aufguss. Ce ne è uno tra dieci minuti qui accanto!”. La presi per mano e la guidai verso la costruzione accanto al bar. Ci accodammo al gruppo in attesa di entrare, composto da gente di tutti i tipi: mamme con figli, nonni, una coppia di gay ed una di lesbiche, un gruppo di olandesi mezzi ubriachi, dei russi completamente sbronzi.
Ero certo che avrebbero selezionato all’ingresso tutta quella gente, l’aufguss non è pratica da fare ubriachi.
Chiesi alla collega se se la sentiva, visto che aveva bevuto una birra abbastanza alcolica.
“Si, credo di si. Se mi dovessi sentire male, tanto, ci sei tu, no?” e mi prese di nuovo sottobraccio chiudendosi con il seno sul mio avanbraccio.
“Sempre che non sparino anche a me per averti portato!” le risposi scherzando. Non spostai il braccio, il calore del suo seno era gradevole e irradiava un altro tipo di calore al basso ventre.
Venne il nostro turno di entrare, l’aufgussmeister ci chiese cosa avessimo bevuto e gli risposi “eine bier! We only had one beer each!”.
Only one?” ci disse ma ci fece passare sorridendo.
Ci sistemammo negli unici posti liberi sulle panche basse disponibili, quelli più vicini alla porta. Gli altri erano tutti occupati e avremmo dovuto andare al livello superiore, troppo scomodo da raggiungere per noi che nonostante tutto, iniziavamo a sentire il peso della bevuta.
Attendemmo che la sala si riempisse; poi suonò la campana ed il Meister gettò sull’enorme braciere centrale una quantità di acqua che si convertì immediatamente in vapore che sventolò proprio ad iniziare da noi. Un intenso profumo di agrumi ci avvolse. Respirammo a pieni polmoni quel vapore saturo una, due, tre volte, scandite dalla sala che contava ad alta voce “ein, zwei, drei!”.
La mia collega al terzo respiro trascolorò e si accasciò su di me. Subito la presi sottobraccio e la portai fuori, accompagnato da un inserviente che era lì ad aiutare il Meister nelle sventolate.
La mettemmo subito sotto la doccia che aprii mentre la sostenevo aiutandomi con il mio corpo e prendendola da sotto le ascelle. L’acqua gelida la fece rinvenire quasi istantaneamente, ed altrettanto istantaneamente dette di stomaco rigettando tutta la birra che aveva bevuto.
Accorsero immediatamente altri inservienti armati di secchi, spazzoloni e disinfettanti a pulire lo sporco lasciato.
Presi la mia collega, le misi il telo sulle spalle e la strinsi a me per non farla scivolare. Poi la condussi in una sala relax che avevo adocchiato a pochi passi. Era costituita da una sorta di bozzoli di tessuto all’interno dei quali c’era un materassino. Presi il primo disponibile, con l’apertura opposta all’ingresso, e ve la adagiai.
Infine mi misi seduto accanto a lei, le gambe conserte mentre la osservavo riprendere colore. Potevo osservare anche il suo sesso, visto che teneva le gambe aperte senza alcun cenno di pudore.
“Paolo, mi spiace. Non so cosa mi sia successo. Credo che mi abbia fatto male la birra” mi spiegò.
“Probabile. Ma credo che tu abbia un’avversione per gli aufguss. Anche ieri hai avuto una sorta di mancamento” le ricordai.
“Si, ma perché avevo tossito perché mi aveva dato fastidio il vapore caldo in gola!”
“E adesso come ti senti?”
“Ho freddo”
Le detti il mio asciugamano per coprirla, poi mi alzai ed uscii da quella sorta di bozzolo.
“Dove vei?”
“A cercare un altro telo, ho freddo anch’io”
“Vieni vicino a me, ci scaldiamo assieme”
Lì per lì non feci caso alle possibili conseguenze della proposta, che con il senno di poi avrei dovuto rifiutare.
Rientrai nel bozzolo e mi avvicinai a lei.
“Potresti abbracciarmi? Ho freddo. Per favore!”
Mi stesi dietro di lei, coprii al meglio lei e me con i due teli umidicci e la strinsi a me passandole le braccia sulla sua pancia.
“Grazie! Così è perfetto!” disse con tono gratificato. Nel frattempo sposò il suo sedere verso il mio inguine che avevo cercato di tenere staccato.
“Ehm, ricordati che sono nudo”
“Lo sento!” rispose.
“…e?”
“E non ti preoccupare. Io sono una donna, tu sei un uomo, siamo nudi. Se ti ecciti, lo sento, ma è naturale. Credi che non abbia mai visto un cazzo eretto in vita mia?” mi rispose con tono un po’ di sfida, e si appoggiò ancor di più, muovendosi un po’.
“Ferma! Non mi pare il caso!” le dissi in un orecchio.
Per tutta risposta allungò la mano dietro di sé e me lo iniziò ad accarezzare.
Il mio corpo rispose in maniera automatica, troppo stimolato da quel contatto, con un’erezione immediata e sostanziosa.
Lei lo prese alla base e cercò di guidarlo dentro di sè.
“Sei pazza?” le dissi. “Non si può fare qui. È vietato. Se ci beccano ci denunciano!”
“Ma chi vuoi che ci veda?”
“E secondo te, quelle telecamere che sono agli angoli di tutte le sale, a cosa servono?”

A queste parole lei mollò la presa e si girò verso di me.
“Io ti voglio. Secondo te, perché sono andata dall’estetista? Ho voglia di scoparti. È da ieri che ci penso, stanotte mi sono masturbata almeno tre volte pensando a te. Senti!” e prese la mia mano e se la passò in mezzo alle gambe. La ritrassi immediatamente, le dita bagnate di una secrezione densa e filamentosa, e non ero nemmeno entrato dentro! Immaginai cosa dovesse essere la sua vagina.
“Hai sentito?” e partì di nuovo all’assalto del mio membro che era sempre sull’attenti.
“Ti prego!”
“Non qui. Andiamo. Stai benissimo, mi pare” le dissi un po’ freddamente.
Lei si avvicinò con le labbra e le posò sulle mie, poi sussurrò “Non ti bacio perché ho la bocca cattiva, ma aspetta che arriviamo in albergo…”

Ci vestimmo, ci ritrovammo davanti all’ingresso in attesa del tassì che avevo chiamato. Erano quasi le sette e di lì a poco saremmo dovuti andare a cena con i colleghi inglesi.
Salimmo sul tassì e la mia collega mi prese la mano e se la portò alle labbra, baciandomela.
“Grazie. Ti sono veramente grata”.
Non ebbi il coraggio di toglierla, anche se la mia parte razionale urlava nella mente “Leva quella mano! Staccati! Dille che non te la senti!”. Fortunatamente arrivò in soccorso l’autista del tassì che ci disse che a causa di un guasto non poteva portarci all’albergo e che saremmo dovuti andare a piedi, circa cinque minuti di passeggiata. Ci indicò la strada e non volle essere pagato.

La mia collega mi prese sottobraccio e ci incamminammo come una coppia di innamorati, lei appoggiata a me, io che la guardavo ogni tanto per capire che cosa mi stesse turbando al punto da rendere gradevole la vicinanza di una donna per la quale non avevo mai provato alcun sentimento se non di velata antipatia.

Non parlammo, arrivammo in albergo e chiedemmo le nostre chiavi. Andammo verso l’ascensore, attendemmo che arrivasse ed entrammo.
Spinsi il tasto del secondo piano e prenotai quello del quarto per lei.
Rimanemmo in silenzio, senza guardarci, per quei quindici secondi di tempo per arrivare al mio piano.
Come il giorno prima, tenni la porta aperta con la mano e le dissi: “Allora ci vediamo giù. Ti aspetto assieme agli altri, va bene?” e mi girai volgendole le spalle con ostentazione.
Stavo cercando di far prevalere la mia parte razionale sull’assurdità della situazione che si era venuta a creare.

[HEADING=3Giorno 2 – Al ristorante[/HEADING]
Raggiunsi i colleghi alla reception dopo che la receptionist mi aveva avvisato che mi stavano attendendo di sotto. Mi ero messo le stesse cose che avevo indossato la sera prima, tranne il pull a collo alto, sostituito da una camicia azzura button-down.

Certo che non sarebbe stato molto caldo al ritorno, presi il soprabito e lo misi sul braccio in attesa di infilarlo prima di uscire.
Il locale non era particolarmente lontano e potevamo raggiungerlo a piedi senza problemi. Eravamo un gruppetto di sette persone, tre italiani, tre inglesi ed una francese. Quattro donne e tre uomini, di cui due italiani.
La mia collega non si era ancora presentata e le inglesi iniziavano a rumoreggiare.
Chiesi alla receptionist di chiamare la stanza. Il telefono squillò a lungo senza risposta. Decisi di andare di persona a sentire cosa fosse successo.
Chiamai l’ascensore ma quando si aprì la porta, apparve la mia collega se possibile in forma ancor migliore rispetto alla mattina. Il maglione alla coscia aveva lasciato lo spazio ad un abitino leggero, il pantacollant ad un paio di calze con riga, gli stivali a delle eleganti scarpe con tacco. Uno spolverino gettato con nonchalance sulle spalle completava l’abbigliamento. Trucco e parrucco quasi sofisticati, roba da lasciare di stucco, visto come era fino al giorno prima.
Mi guardò con un sorriso a piena bocca: “Stavi venendo da me?”.
“Si, stavo per salire da te per capire perché non rispondevi al telefono.”
“L’ho sentito mentre ero in corridoio, ma mi son detta che era inutile rispondere, sapevo di essere in ritardo ed ero certo fossi tu!”
“Va bene, muoviamoci, ci stanno aspettando”.

Mi prese il braccio sinistro infilandovi il suo ed in questo modo facemmo la nostra apparizione di fronte ai colleghi in attesa.
Wow! Amazing? Are you sure you are our collegue? Please tell us if you killed her!” le disse il collega inglese. Anche il nostro collega di Milano, avvezzo a lavorarci assieme, le rivolse un complimento. “Non ti ho mai vista così. Non sei tu. Dove hai nascosto l’altra?”.
Lei si schernì e strinse ancor più la presa sul mio braccio.
“Paolo, digli qualcosa! Non è giusto che mi prendano in giro così!”
“E cosa dovrei dir loro? Hanno detto la verità, io pure faccio fatica a riconoscerti!” mentre la facevo uscire davanti a me cedendole il passo.

Anche la collega francese le disse che stava molto bene così vestita, e che avrebbe dovuto usare quel look sempre.
Credevo che si sarebbe accodata al gruppetto ed invece preferì rimanere al mio fianco, il suo braccio destro al mio sinistro, la borsa sulla sua sinistra, camminando fianco a fianco.
“Paolo, volevo scusarmi con te. Credo che la birra abbia fatto uno strano effetto su di me. Di solito non succede, ma non ero io”.
“Beh, non ti preoccupare. Non è successo nulla. Magari avremmo potuto passare un guaio se …” le dissi riferendomi a quanto successo nell’area relax.
“Si, hai ragione. Dovrei scusarmi anche per… averti fatto sentire la mia …eccitazione” aggiunse, “ma non ho intenzione di farlo.”
“Come? In che senso?”
“Nel senso che non mi devo vergognare di nulla. Siamo due adulti consenzienti, tu sei separato, io sono separata, non abbiamo compagni, avevo voglia di te e te l’ho fatto capire. E ho ancora voglia di te, e stasera te lo farò capire ancora” mi disse rivolgendomi un sorrisetto malizioso.
“Beh, diciamo che la cosa mi era abbastanza chiara. Ma vorrei esser chiaro con te: io non cerco relazioni né a breve né a medio termine. Il mio rapporto erotico con le donne è solo di tipo mordi e fuggi. Oggi si scopa, domani no. Dopodomani chissà. A maggior ragione se si è colleghi di lavoro. Lavoro e sesso non vanno mai d’accordo. Mai.” e mi tornarono in mente quelle Relazioni Pericolose che mi provocarono ferite dalle quali non mi ero ancora ripreso del tutto.
“Comunque, cara, non voglio che i nostri colleghi possano pensare troppo male di noi. Andiamo a raggiungerli e facciamo finta di nulla” suggerii. Allungai il passo e mi ritrovai alle spalle delle due inglesi e della francesina che stavano parlando tra loro.
Stavo per interromperle quando udii la parola “Paolo”. Cercai di capire cosa si stessero dicendo e, dallo spezzone di conversazione che riuscii a carpire, compresi che stavano parlando di me e del possibile rapporto con la mia collega.
“Che poi, mi sa che è piena di cellulite” disse una.
“Si… e poi avete visto che ha le tette scese?” disse l’altra.
“E le rughe? Ma quanti anni ha? Sessanta?” aggiunse la terza.
Ahem, girls, what are you talking about?” mi intromisi fingendo di averle appena raggiunte e di non aver assistito a parte delle loro chiacchiere.
“Oh, nulla, parlavamo del tempo…” disse una.
“Si, proprio del tempo” aggiunse l’altra ridacchiando. Poi si guardarono tutte e tre e sbottarono a ridere.
“Cosa c’è che vi fa ridere tanto sul tempo?” chiesi loro.
“No Paolo, scusa, ma stavamo ridendo sul fatto che oggi in palestra uno c’ha provato con tutte e tre assieme. Voleva che lo accompagnassimo in camera sua…” inventò la francese, probabilmente la più scafata.
Lasciai perdere, era meglio far finta di nulla e fare molta attenzione.
Entrammo nel locale dove ci fecero sistemare al nostro tavolo. Non volevo stare vicino alla mia collega, anche per smorzare eventuali chiacchiere, ma riuscii solo a farla mettere di fronte a me, accanto al collega italiano da un lato ed alla francese dall’altro. Io invece ero seduto tra una delle due inglesi ed il collega britannico. Quando ci sedemmo notai che la ragazza alla mia destra indossava una gonna cortissima senza calze, che nel sedersi le era salita scoprendole del tutto l’inguine coperto solo da uno slip in pizzo nero. La mia collega, seduta dirimpetto, se ne accorse e mi fulminò con uno sguardo. Mi ritrovai a ridacchiare tra me e me: ero riuscito a far ingelosire una donna senza aver alcun tipo di relazione con lei.

La birra scorse a fiumi e mi trovai a dovermi alzare per andare al bagno. Chiesi pertanto al collega alla mia sinistra di lasciarmi passare. Lui si alzò e mi dette una pacca sulle spalle. “Prostata ingrossata?” mi chiese pensando di fare una battuta.
“No, coglioni sfranti e troppa birra!” risposi un po’ acido. Si rese conto di aver detto una cazzata e mi chiese scusa. Feci un cenno con la mano come per dire “Va tutto bene, tranquillo”.
Mi avviai verso le toilette che erano dietro una unica porta che ammetteva al locale con antibagno comune per uomini e donne. Dovetti attendere che il bagno degli uomini si liberasse.
Dopo un ulteriore minuto abbondante di attesa bussai alla porta e ricevetti una risposta abbastanza seccata: “Einen Moment bitte!”.
Me la stavo facendo sotto ed iniziavo a sentire i brividini di quando uno non riesce più a trattenere. Preso dal parossismo entrai nella porta a fianco, la toilette delle signore, e urinai attento a non sporcare nulla. Dopo una liberatoria, lunga minzione mi pulii, rimisi il pisello dentro i pantaloni e tirai su la cerniera. Mi sciacquai appena le dita ed uscii di fretta dal bagno, con la paura di essere sorpreso da una donna con l’inevitabile figuraccia e… troppo tardi! Aprii la porta e mi trovai di fronte la mia collega che stava aspettando che si liberasse la toilette.
“Paolo, ma che ci fai nel bagno delle signore?” mi chiese.
“Eh nulla, il bagno degli uomini è occupato da un’ora e me la stavo facendo sotto. Tranquilla, sono stato molto attento a non sporcare…” le dissi per tranquillizzarla ed un po’ per scusarmi.
Lei fece un gesto con la mano come per dire “Lascia perdere”, poi prese la mia mano e se la portò sotto il vestito.
“Senti? Lo senti come sono bagnata? È tutta colpa tua…” mi disse mentre si strusciava le mie dita contro la sua vagina nuda.
“Non potevo mettere le mutandine, le avrei bagnate tutte. Pensa che ho macchiato il cuscino della sedia!” mentre la mia mano iniziava ad accarezzarla.
Sentimmo il rumore del chiavistello della porta che si apriva e ci ricomponemmo. Un odore atroce di escrementi uscì dal bagno assieme ad un omone che si sistemava i pantaloni e che a mala pena si sciacquò le dita della mano dopo essersele odorate. Che schifo!
Uscimmo di corsa quasi boccheggiando. L’odore nauseabondo aveva appestato tutto l’antibagno e sarebbe presto filtrato dalla porta.
Tornai al tavolo e bloccai il mio collega che voleva anche lui andare al bagno. “Lascia perdere. Se non hai la maschera antigas non entri. C’è uno dentro che si deve essere cacato l’anima dopo dieci anni che non si esprimeva. Guarda!” e gli feci notare l’uomo che usciva camminando con passo malfermo ondeggiando da una gamba all’altra per quanto erano grosse.
Un altro signore si avvicinò per andare al bagno, aprì la porta dell’antibagno ma la richiuse immediatamente con una smorfia di disgusto.
“Hai visto? Lascia perdere” e lo feci sedere.
Anche le ragazze si erano alzate per andare al bagno, ma furono sconsigliate dalla mia collega che nel frattempo stava raccontando a cosa aveva assistito, Anche loro ebbero uno sguardo di disgusto quando raccontò il particolare dell’odorarsi le dita.
Chiamai il cameriere e gli spiegai che cosa era successo e che sarebbe stato opportuno prendere provvedimenti prima che gli altri avventori se ne accorgessero. Mi chiese chi era il maleducato che aveva combinato il disastro e gli indicai la persona che era seduta da sola ad un tavolo dalla parte opposta del locale.
Proprio in quel momento arrivò il maître che disse qualcosa all’orecchio del cameriere il quale annuì e rispose che era stato appena avvisato dell’accaduto.

Chiesi il conto, nessuno di noi aveva piacere di chiudere la serata con un tanfo così nelle narici dopo avere mangiato e bevuto piacevolmente.

La mia collega apprezzò la mia iniziativa allungando il piede nudo verso il mio inguine e dandogli una bella scrollata. Capii che la birra le aveva sciolto le inibizioni, ma fui sorpreso dalla risposta del mio membro che subito si eresse a mala pena contenuto dai pantaloni.
Mi alzai e mi allontanai dal tavolo andando a recuperare i soprabiti mio e della collega. Poi tornai indietro e glielo misi sulle spalle con un gesto protettivo. Lei mi guardò con uno sguardo languido ma all’ultimo momento decise di evitare di baciarmi, come invece avevo immaginato volesse fare.

Pagammo ed uscimmo dal locale per tornare in albergo.
La mia collega fu presa sotto braccio dal nostro collega italiano e dall’inglese mentre io facevo il cretino con le tre ragazze, raccontando loro quanto avevo visto e cercando di imitare la camminata di quell’omone, cosa che provocò la loro ilarità al punto quasi da “scompisciarsi dalle risate”.

Giorno 3 – in albergo​

Giungemmo all’albergo che era ormai mezzanotte e chiedemmo le nostre chiavi al concierge. Salutai tutta la compagnia baciando sulle guance le ragazze ed augurando loro la buona notte. Presi quindi la mano della mia collega e la baciai portandola alla bocca in un baciamano tutt’altro che formale; poi, sempre tenendole la mano, la abbracciai stretta e la baciai sull’orecchio sussurrandole “Magari ci vediamo più tardi”.
Lei annuì sorridendo e si staccò da me. Ero certo di averle provocato un’ulteriore scarica di ormoni.
Presi l’ascensore e mi fermai in camera, andai in bagno e mi misi sotto la doccia per cercare di togliermi dal naso quell’odore schifoso che era rimasto scolpito nella memoria olfattiva e che credevo ancora di sentire. Mi asciugai, mi tolsi l’asciugamano che avevo ai fianchi per rivestirmi quando sentii bussare delicatamente alla porta.
“Paolo, sono io. Apri!” mi disse la mia collega.
Aprii la porta e me la ritrovai davanti chiusa in una vestaglia di raso di seta lunga fino ai piedi, che indossavano un paio di vezzose pantofoline en pendant con la vestaglia.

Mi misi dietro la porta per farla passare. Ero nudo, senza difese.
Lei mi abbracciò e mi baciò. La sua bocca sapeva di fresco, le sue labbra erano morbide e setose, la sua lingua esplorava la mia bocca e si attorcigliava alla mia.
Ci staccammo e dopo aver chiuso la porta a chiave, la condussi sul mio letto. La sdraiai e le sciolsi la vestaglia, la aprii e scoprii che sotto non indossava nulla se non le calze autoreggenti che aveva prima. Mi chinai su sul suo sesso e lo leccai. Divaricai le piccole labbra all’altezza del suo clitoride ed iniziai a suggerlo. Sentii i suoi mugolii di piacere mentre con le mani mi spingeva la testa verso il suo sesso, pregandomi muta di continuare. Inserii prima un dito, poi un altro nella sua vagina, trovandola fradicia di umori e scivolosa. Iniziai a fare avanti e indietro dentro di lei, cercando la rugosità del suo punto-G. Quando lo trovai, ebbe uno scatto all’indietro, quasi fosse stata fulminata da una scarica di piacere.

Mi concentrai quindi sul farla godere fino a quando non le provocai un orgasmo estremamente bagnato. Non fui sorpreso della cosa, se non per il fatto che non fece nulla per evitarlo quasi fosse abituata a godere così.
Ripresi ad accarezzarla ed a masturbarla mentre aumentava i mugolii di piacere. Per tacitarla, la baciai mettendole la mia lingua in bocca e cercando di silenziarla. Un’altra scarica la scosse, seguita da un’altra massiva emissione di liquido che aveva già formato una pozzetta sulla moquette ai piedi del letto.

Al terzo assalto tolse la mia mano e mi fece sdraiare sulla schiena. Si tolse la vestaglia e si inginocchiò su di me, si chinò e mi prese in bocca, prima la sola cappella, poi tutta l’asta fino alla radice, alternando così leccate, succhiate e deep throat.
Quando stavo quasi per venire, si staccò da me e mi montò sopra, prese la mia asta e se la infilò dentro di sé. La sua vagina era stretta, e faticò non poco ad accogliermi nonostante la abbondantissima lubrificazione. Poi però trovò la posizione e sfruttò la mia malformazione per stimolarsi internamente. Con la cappella sentivo quella piccola rugosità, quell’ispessimento che sapevo nascondeva milioni di terminazioni nervose la cui stimolazione la portò ad un altro rumoroso e bagnatissimo orgasmo. Continuai a penetrarla, e decisi di girarla e prenderla da dietro.
La misi in ginocchio sul letto, le feci divaricare i glutei e la penetrai da dietro. Era ancora molto stretta ma anche molto bagnata. Il mio membro scivolava dentro e fuori senza ostacoli e apparentemente privo di attrito. Il mio pollice dispettoso andò ad infilarsi nell’altro pertugio, che trovai tutto sommato pervio.
La mia collega ebbe un movimento a ritrarsi, ma poi accettò l’intrusione. Poi, al posto del pollice infilai prima l’indice e poi anche il medio, lentamente, dando modo allo sfintere di allargarsi senza traumi. Quando mi ritrovai con le dita a fondo corsa, iniziai a fare lentamente un movimento di penetrazione coordinato a quello del mio pene nella sua vagina. Dentro lui, fuori le mie dita, dentro le dita fuori il mio pene. I suoi mugolii erano sempre più alti ed intensi. Spinse la testa sul letto cercando di tapparsi la bocca mentre le sue mani artigliavano le coperte in uno spasimo di piacere.
“Ho deciso che userò il mio cazzo al posto delle dita. Preparati che ti sfondo il culo” le dissi in un accesso di libidine.
“Si… ti prego, fallo. Sfondami!” mi rispose.
Tolsi le dita ed approfittai dello stato beante del suo sfintere già rilassato per infilare il mio glande, un pezzetto alla volta.
L’operazione le provocò senz’altro fastidio perché iniziai a sentire la stretta della muscolatura attorno alla piccola porzione inserita. Mi fermai e le chiesi se stesse soffrendo.
“Ma perché ti sei fermato? SFONDAMI! ENTRAMI DENTRO! DAI!” mi rispose.
Non me lo feci ripetere. Forzai l’introduzione con una spinta continua e decisa fino a quando, superata la resistenza, mi trovai inserito fino alla radice.

Iniziai a fare su e giù dentro il suo retto, provocandole intenso piacere che esplicitava con incitamenti a continuare e ad essere anche più incisivo.
Alla fine cedetti e le venni copiosamente dentro. Lei ebbe a sua volta l’ennesimo orgasmo quando sentì le mie scariche dentro di sé.

Mi sfilai ed osservai il suo sfintere grottescamente dilatato come una bocca sorpresa, da cui colava il mio sperma non più candido.
Andai in bagno a lavarmi, poi presi della carta igienica e gliela portai, aiutandola a pulirsi.
Lei si alzò e andò a sua volta a lavarsi.
Quando tornò, era sfatta. Il trucco era colato, i capelli erano spettinati, le gote erano ancora rosse, ma gli occhi tradivano il piacere intenso a cui l’avevo sottoposta.
Mi ero disteso sul letto e lei mi raggiunse. Si chinò su di me e mi baciò dolcemente.
Poi si mise accanto a me e mi chiese “Posso dormire con te, stanotte?”
Le dissi di sì, la abbracciai stretta a me e prendemmo sonno l’uno nelle braccia dell’altro.
===================================================================
Paolo Sforza Cesarani - 2023
Quanto bisogno c’e’ in questa sezione di racconti così?
Quanto bisogno c’e’ di Leggere come ci si comporta con una Donna? Sempre...
Quanto Bravo sei a scrivere e descrivere?
Grazie Paolo, il piacere di leggerti non ha eguali...
 
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Grazie, @Grandel.
Fa sempre piacere ricevere complimenti, soprattutto quando a farli è uno come te che sa bene cosa significa scrivere...
 

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Bellissima storia ben descritta e coinvolgente, letto tutto d'un fiato.
L'unica cosa che manca e mi fa specie di te, sono le foto delle attrici femminili del racconto, tu che le hai di tutte degli altri racconti 😁😁😁
 
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Bellissima storia ben descritta e coinvolgente, letto tutto d'un fiato.
L'unica cosa che manca e mi fa specie di te, sono le foto delle attrici femminili del racconto, tu che le hai di tutte degli altri racconti 😁😁😁
A me non servono.
Mi basta il ricordo.
Forse ho perso la capacità di ricordare a breve, ma ciò che è stato me lo ricordo bene.
Dicono che sia tipico dell'Alzheimer precoce...
 

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Fantastico davvero!!! Scritto in modo eccellente.
Il racconto è molto simile a una mia esperienza vissuta anni fa e raccontata in questo trend.
 
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Fantastico davvero!!! Scritto in modo eccellente.
Il racconto è molto simile a una mia esperienza vissuta anni fa e raccontata in questo trend.
Letto adesso. Era parecchie, troppe pagine indietro.
Beh... racconto simile, entrambi ambientati in Germania (ove la cultura FKK è molto diffusa ed un must nelle saune).
Nulla a che vedere con quello che succede in Italia il 90% delle volte (checchè ne dicano i puristi delle saune naturiste).
Grazie dei complimenti, che ovviamente ricambio.
 

Maxtree

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Bellissimo racconto ricco di particolari ben scritto super!! Mi è piciuto molto perchè conosco bene quei luoghi per 6 anni ho lavoirato spesso a Francoforte e specialmente nel periodo freddo nei momenti liberi andavo a Bad Homburg a Taunus. Le terme sono state rinnovate e sono molto piacevoli.
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Bellissimo racconto ricco di particolari ben scritto super!! Mi è piciuto molto perchè conosco bene quei luoghi per 6 anni ho lavoirato spesso a Francoforte e specialmente nel periodo freddo nei momenti liberi andavo a Bad Homburg a Taunus. Le terme sono state rinnovate e sono molto piacevoli.
 
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Bellissimo racconto ricco di particolari ben scritto super!! Mi è piaciuto molto perchè conosco bene quei luoghi per 6 anni ho lavorato spesso a Francoforte e specialmente nel periodo freddo nei momenti liberi andavo a Bad Homburg a Taunus. Le terme sono state rinnovate e sono molto piacevoli.
Infatti mi ricordavo in maniera diversa la sistemazione delle saune, degli spogliatoi, delle sale relax...
Grazie per i complimenti
 
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ma non continua?
No. Non c'è una continuazione, perché la nostra storia finì prima di iniziare.
Potrei inventare gustose scene di sesso e di amore strappalacrime, ma sarei io stesso il primo a non crederci.
Ma magari mi ricorderò qualcos'altro e ne scriverò.

Solo per tua informazione, ho scritto circa 2000 pagine, tutte disponibili qui. A qualcuno sono piaciute... ;)
 

Velenoso84

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Era tempo che non postavo un racconto. Avevo deciso di astenermi, ma la lettura del thread relativo alle saune ha aperto un cassetto della memoria che non ricordavo. Potenza dei ricordi!
Spero che apprezzerete lo sforzo.
More solito, lo scritto è a metà vero e a metà romanzato. Ho cambiato un po' di cose, non ho fatto nomi ma la storia è veramente accaduta parecchi anni fa tra le colline Taunus, per inciso, uno dei posti più belli che ho mai visitato. Per chi conosce, è una Fiuggi in Germania, molto, ma molto più bella e curata. Non per niente, Bad Homburg è stata la capitale della regione dell'Assia e vanta una storia millenaria. Nulla in confronto ad altre cittadine tedesche, ancor meno rispetto ad uno qualsiasi dei nostri borghi medievali, ma gente, quelli erano barbari a cui Roma donò 2100 anni fa la civiltà. Ricordiamoci che andavano a cavallo coprendo la groppa con una coperta sotto la quale mettevano la carne di bue muschiato ad essiccare mentre i nostri costruivano ed usavano tutti i giorni le terme con l'acqua calda corrente...
Buona lettura.



La collega​

Giorno 1 - In albergo​

Era aprile del 2009.
L’azienda mi mandò per lavoro in Assia, a Bad Homburg, nel bel mezzo delle colline Taunus, immersa in boschi rigogliosi e circondata di prati verdi e curati.
L’albergo che ci ospitava aveva un piccolo centro benessere nel seminterrato, e dopo il primo giorno di lavoro particolarmente stressante e faticoso assieme ad una collega decidemmo di provare a stemperare le tensioni accumulate.

La spa offriva una sauna, un bagno turco, una vasca idromassaggio ed una serie di docce “cromatiche” oltre ad una sala relax con qualche chaise-longue e le immancabili tisane. Ovviamente, c’era lo spogliatoio.
Lo spogliatoio. Si, unico. Un solo locale per uomini e donne.
La mia collega ed io (nessuna relazione, nessun reciproco interesse) eravamo già in accappatoio con il costume da bagno, opportunamente messo in valigia perché nell’albergo c’era disponibile anche una piscina coperta, per cui non avemmo troppe remore ad entrare ed a scoprirci. Lasciammo quindi gli accappatoi nello spogliatoio ed entrammo con le ciabattine da piscina nel locale spa. All’ingresso trovammo una serie di pittogrammi che indicavano chiaramente, a prescindere dalla presenza delle scritte in tedesco, in inglese ed in francese, quali fossero le prescrizioni: obbligo di lavarsi i piedi nella vaschetta all’ingresso, divieto di girare con le proprie ciabatte ed obbligo di indossare le pattine messe a disposizione, divieto di usare cellulari e macchine fotografiche, divieto di indossare costumi.
Si, c’era un cartello con il pittogramma di un uomo ed una donna in costume da bagno sbarrati con una croce. «Bitte beachten Sie, dass Badeanzüge im Wellnesscenter nicht gestattet sind», seguito da un più chiaro avviso in inglese «Please note that swimsuits are not allowed in the wellness centre».
La mia collega ed io ci guardammo sorpresi.
“Che facciamo?” le chiesi:
“Io nulla, vado a farmi una nuotata. Io nuda non mi ci metto di certo” rispose un po’ piccata.
“Io invece mi sa che entro” le dissi.
Mi guardò con un‘aria un po’ perplessa ed un po’ di riprovazione, ma decisi di tenere il punto.
“Capisco che ti possa vergognare, e sotto un certo punto di vista ti capisco. E ti dirò che il fatto che tu non voglia mi tranquillizza. Avessi accettato, sarei stato in imbarazzo” ammisi con la massima sincerità.
Per un attimo vidi nei suoi occhi un lampo quasi maligno, poi scosse la testa e mi rispose: “Allora vai, buon divertimento. Poi mi racconti, eh?”
“Eh no, cara mia, se vuoi sapere devi entrare e vedere con i tuoi occhi”.
“Pensi che non ne abbia il coraggio?”
“No…”
Lei mi scostò dalla porta a vetri, entrò nella vaschetta, si sciacquò i piedi e si immise nella sala nella quale affacciavano sauna, bagno turco e docce ed al centro della quale troneggiava la vasca Saun. Con sua grande delusione, il centro era vuoto, non c’era nessuno.
“Ma… è vuoto! Allora ci fermiamo!” mi disse.
“Si, ma dobbiamo comunque toglierci il costume. Hai letto il cartello?” mi rispose.
Avevo già avuto un paio di esperienze in una SPA mista in Alto Adige ed immaginavo che con grande probabilità sarebbe passato un controllo. Non volevo farmi rimproverare dal crucco di turno e quindi la avvisai che mi sarei tolto comunque il costume, ma mi sarei coperto con uno dei teli piccoli messi a disposizione. Era il massimo che ero disposto a concederle visto che, mentre in Sud-Tiröl ero tra sconosciuti e la mia vena esibizionista poteva essere acquietata senza rischi, lì, in quella situazione, a fianco di una collega per la quale non provavo alcuna simpatia nemmeno lavorativa, non mi sentivo assolutamente a mio agio.
Lei nicchiò, disse “No, allora vai tu, io vado in piscina, ci vediamo a cena”, uscì dalla sala chiudendo la porta alle spalle ma poi, dopo pochi istanti, tornò indietro dicendomi: “Ok, resto, però non voglio vederti nudo, ok?” quasi volessi a tutti i costi mostrarle il mio birillo. “Machittesencula!” pensai tra me e me ma poi, preso da un palpito “politically correct” le risposi “Mia cara, non ho alcuna intenzione di mostrarmi nudo a te. Mi rendo conto che la mia nudità possa darti fastidio, ma mi piace seguire le regole. Tu peraltro puoi non accettare e andartene quando vuoi. Nessuno ti trattiene, sia chiaro.”
Politically correct, ma anche abbastanza polemico da risultare antipatico pure a me stesso.
“E poi” aggiunsi “ricordati che devi toglierti il costume anche tu!”
“Sei matto? Al massimo tolgo le spalline e lo nascondo sotto il telo”
“Fa come ti pare!” le risposi mentre uscivo dallo stanzone per rientrare nello spogliatoio a togliermi il costume: Volevo evitare di farlo davanti a lei.
“Dove vai, scusa?” mi chiese.
“A togliermi il costume. Non vorrai che lo faccia qui davanti a te, no?” le risposi piccato dopo essermi voltato ad osservarla con un’espressione seccata.
Arrossì ed annuì.
Tornai in sala indossando un telo, troppo piccolo per coprirmi tutto, che avevo serrato in vita. Mi arrivava appena a metà coscia, quando camminavo si apriva di lato e quando mi fossi seduto di certo avrei mostrato un po’ troppo, ma non avevo trovato altro oltre ad un telo da bagno lungo fino alle caviglie: troppo.
La collega mi dette il cambio entrando a sua volta nello spogliatoio. Capii che era entrata nel bagno e di certo ne approfittò perché sentii lo sciacquone. Dopo un paio di minuti ritornò con il telo da bagno che la copriva dalle ascelle alle caviglie. Le spalline del costume intero erano sparite, ma una rapida occhiata mi permise di capire che lo indossava ancora sotto il telo.
Entrammo in sauna. Io mi sedetti nella panca bassa, lontano dal braciere per gli Aufguss, ad un lato del locale, lei invece dalla parte opposta, sullo scalino più alto, quasi di fronte alla porta. Mi distesi sul telo che avevo preso e che avevo steso sulla panca, cercando di non mostrare nulla. Nella posizione in cui mi trovavo, poteva solo notare il bozzo del pube, ma cercai di minimizzare piegando la gamba in modo da nasconderle dietro di essa la mia zona genitale.
La sauna era regolata a 75 gradi, non eccessivamente alta, e dove ero io la temperatura era forse più bassa. Lei invece si trovava nella zona più calda e dopo qualche minuto la sentii sbuffare. Con la coda dell’occhio la osservai aprire il telo all’altezza dello stomaco e della pancia e cercare di staccare dalla pelle il tessuto del costume. In quel momento si aprì la porta della sauna ed apparse la Saunameisterin. Osservò prima me, che mi ero appena tirato su per vedere chi fosse, e poi la collega che era rimasta bloccata dalla sorpresa.
Disse quindi qualcosa con “Fraulein”, “nicht” e “Verboten” ma né la mia collega né io capimmo.
Sorry, I didn’t understand what you said. In English, please” le disse.
Madam, you can’t wear the bathsuite in the wellness center. It’s strictly forbidden” le rispose in un inglese pieno di Z e di dentali dure.

Rimase un paio di secondi scioccata, e stava per rispondere con il dito alzato quando l’addetta la prevenne ribadendo: “Vietato kostume in zauna” in uno stentatissimo italiano, per poi indicare me.
Per favore mostra me tu non porta costume”.
Rimasi perplesso sul da farsi, era davanti a me e mi copriva dalla vista della collega per cui scostai un po’ un lembo del telo mostrandole il mio pisello.
Ach, danke.”
Poi mi chiese se gradivo ricevere un Aufguss. Le chiesi quando e lei mi indicò una tabella nella quale erano indicati gli orari dell’attività. Ne era previsto uno dopo un’oretta circa.
Tornò quindi dalla mia collega che nel frattempo non aveva ancora metabolizzato la cosa, la prese per mano per aiutarla ad alzarsi e la invitò ad uscire.
Lei si scrollò di dosso la mano e borbottò “Non capisco il perché di queste porcate. Poi però lei è vestita!”.
“Guarda che lo fanno per motivi sanitari. I tessuti sintetici alle alte temperature favoriscono la proliferazione dei batteri.
It depends on bacteria in synthetic fabrics at high temperatures, isn’t?” dissi rivolgendomi alla meisterin.
Ja, it’s correct.”
“E perchè ora è vestita qui?” chiese la collega.
“Perché questa tuta è in cotone” rispose in inglese.
“Anche l’intimo?” ribadì.
I don’t wear anything under. And the Aufguss will be provided naked” rispose.
La collega si alzò, uscì senza salutare e tornò nello spogliatoio.
Io approfittai della sua assenza per uscire e farmi una doccia nudo. Poi presi il telo e mi asciugai senza coprirmi, mentre la meisterin stava chiudendo in un sacco i teli usati che erano dentro un contenitore. Poi venne da me, mi prese di mano il mio bagnato e mi indicò la catasta di teli asciutti accanto al bagno turco.
Questo è sporco, ora. No güt.”

Ringraziai ed entrai nel bagno turco che era pieno di una nebbia densa ed aromatizzata. Presi la doccetta, sciacquai il posto sotto di me e mi sedetti quasi in fondo.
Dopo qualche minuto si aprì la porta ed una figura si stagliò in controluce, seguita immediatamente da un’altra. Una volta entrati, si palesarono essere un uomo ed una donna, entrambi nudi, che dopo aver sciacquato il proprio sedile si disposero uno di fronte all’altro, a fianco a me. Altri secondi e la porta si aprì un’altra volta.
“Paolo?” sentii chiamare. Era la mia collega che mi cercava. Quando si accorse che non ero solo fece come un gesto di ritrosia, poi focalizzò meglio e si accorse che eravamo tutti nudi. Notai che ora indossava un telo un po’ più grande di quello che io avevo indossato fino a poco prima, chiuso al seno, che però le scopriva un’ampia porzione delle cosce arrivandole a coprire malamente i glutei.
Chiese permesso e si sedette davanti a me.
“Dovresti sciacquare la seduta con la doccetta” le dissi.
“Ma poi mi bagno il telo!”
“Non dovresti indossarlo, infatti.”
“Ma sono nuda, sotto!”
“Perché, noi come stiamo?” le rispose la ragazza accanto a me. “Non si preoccupi, signora, dopo un po’ qui ci si fa l’abitudine, e poi qui tra buio e nebbia non ci si vede nulla!”.
Io mi ero comunque coperto con la mano accavallando le gambe per limitare al massimo la mia nudità, ma dopo un po’ dovetti accomodarmi meglio. Inoltre avevo un gran caldo e avevo necessità di bagnarmi con la doccetta. Presi il coraggio a quattro mani, mi alzai di fronte a lei e mi bagnai. Era impossibile che non avesse notato che ero nudo, tantomeno che ero depilato, ed infatti la pizzicai a sbirciare attentamente.
Dietro il mio esempio, anche l’altra coppia si alzò e si bagnò con la doccetta.
Lei rimase coperta, le gambe accavallate ed il busto piegato in avanti, ma dopo un po’ dovette cedere e si tolse il telo, mostrando un seno un po’ cadente, la pancia con qualche rotolino di troppo e le cosce tutt’altro che tornite.
No, decisamente non era particolarmente bella, nuda. Diciamo che il costume adamitico le si addiceva meno che all’altra ragazza che era con noi.

Dopo qualche minuto le proposi di uscire e di andare nell’idromassaggio. Lei accettò. Credo che ne avesse abbastanza del bagno turco.
Anche l’altra coppia seguì il nostro esempio e ci raggiunse nella vasca.
Avevo già sbirciato la mia collega ed avevo notato che il suo inguine non era assolutamente curato, mostrando un pelo nero, folto e riccioluto che le copriva tutto il pube.
L’altra coppia era invece atletica, abbronzata, senza segni di costumi e anch’essi totalmente depilati.

Ci presentammo per nome, chiedemmo l’uno all’altro perché eravamo lì, di dove eravamo, ecc.
La mia collega si era rilassata un po’ perché le bolle coprivano le sue intimità e le sue forme, e partecipò alla conversazione. Arrivò di nuovo la meisterin che ci invitò in sauna per l’Aufguss.
Io accettai e mi alzai senza coprirmi, mostrando tutta la mia mercanzia alla collega. Altrettanto fece l’altra coppia.
Nel frattempo l’addetta era entrata in sauna con la sola parte di sopra della sua tuta. Si chinò per raccogliere un telo che le era caduto mostrando i suoi glutei nudi ed un bel tribale sul fondo schiena.
Poi si girò e fu chiaro che aveva uno strano piercing formato da due catenelle che partivano dall’ombelico e terminavano attaccati alle grandi labbra. Infine si tolse anche la parte di sopra della divisa e mostrò i capezzoli attraversati da una barretta.

La mia collega mi guardò sorpresa e quasi disgustata, quasi volesse incolparmi di quel che aveva appena visto. Si era rimessa il telo coprendosi fino al seno, ma sedendosi sulla panca le si era inavvertitamente aperto mostrando il suo pube “nature”. La aufgussmeisterin suggerì a tutti di toglierci i teli, di alzarci in piedi ed avvicinarci per poter godere delle intense gettate di vapore che aveva iniziato a provocare gettando dell’acqua aromatizzata all’eucalipto e al mentolo sulle pietre roventi della stufa e indirizzando servendosi dell’asciugamano verso ciascuno di noi. Fui il primo a godere di quel trattamento che respirai a pieni polmoni. L’immissione di aria carica di vapore, unitamente all’eucaliptolo usato come aroma mi provocò l’effetto Vicks Vaporub nel naso: si stapparono contemporaneamente entrambe le narici e sentii come se qualcosa mi stesse aspirando il muco dai seni frontali e dai turbinati.

Fu la volta della coppia di ragazzi: anche essi ricevettero una sventagliata di vapore con la stessa acqua aromatizzata, che provocò alla lei una serie di violenti starnuti accompagnati da uno scoppio di risate da parte di lui quando l’ennesimo starnuto provocò una rumorosa flatulenza. Inutile dire che la ragazza, arrossita fino alla cima dei capelli, chiese scusa per l’imbarazzante avvenimento. Ridacchiai anch’io facendo un gesto con la mano della serie “nessun problema!”, aggiungendo a bassa voce “tanto con tutto questo odore di eucaliptolo nel naso non sentiamo nulla…”.
Toccò infine alla collega la quale, pur mantenendo una pudica mano sul pube ed un braccio a coprire entrambi i seni, decise di avvicinarsi e di collaborare.
La aufgussmeisterin la prese per un braccio e la avvicinò a se; poi prese una boccetta dal contenitore che aveva con sé e ne versò qualche goccia nel secondo mastello dell’acqua. Immediatamente si sparse per l’aria un profumo di lavanda, fienagione e cannella che coprì ed annullò il precedente. Prese quindi il mastello e versò una mestolata d’acqua sulla pila di rocce che nel frattempo avevano ripreso un colore rosso intenso. Subito si creò una nuvola di vapore che indirizzò verso di lei sventolando il telo, mentre diceva ad alta voce “Atme! Respira!”. La collega aspirò con la bocca a pieni polmoni ma fu presa da un parossismo di tosse che la fece cadere a gambe larghe sulla panca, mettendo in mostra il suo sesso completamente ricoperto da un’impressionante foresta di peli neri.
Un sorriso di scherno comparve sulla bocca della operatrice, quasi a voler sottolineare l’inadeguatezza della donna.
Dopo questo raccolse le sue cose e ci suggerì di rimanere altri cinque minuti in sauna e poi di gettarci sotto la doccia fredda. Poi, sempre nuda, fece un inchino, salutò, si girò ed uscì dalla sauna con passo quasi militare.
Io provai a seguire il suo consiglio ma la reazione era troppo violenta: il getto d’acqua gelata che mi colpì fu come uno schiaffo che mi lasciò senza fiato, e non ebbi il coraggio di rimanervi sotto per cui mi gettai verso il telo per asciugarmi e riscaldarmi. La mia collega invece era andata direttamente alle docce cromatiche, questa volta stranamente senza mettere l’asciugamano per coprirsi. L’altra coppia invece rientrò dentro la vasca idromassaggio.

Andai nella sala relax e mi sdraiai su una chaise longue dopo aver preso una tisana alle erbe ed un altro telo per riscaldarmi un po’. Stavo pensando ai casi miei quando mi sentii battere sulla spalla. Mi girai e vidi la mia collega, bagnata grondante e con un piccolo telo a tenuto di fronte ma più per asciugarsi che per coprirsi.
“Paolo, io andrei in camera ad asciugarmi i capelli e a vestirmi. Andiamo a cena assieme o hai altri appuntamenti?” mi chiese con tono gentile e cordiale, l’opposto di come era stata fino a poco prima.
“Va bene, vai pure. Io vado su tra un po’. Ci vediamo alle 19:30 al bar fuori la sala da pranzo” le risposi. Volevo offrirle un aperitivo come gesto distensivo, considerato anche il malumore e la scarsa tolleranza reciproca che aveva caratterizzato la giornata lavorativa.

La osservai tornare verso lo spogliatoio, il culo completamente scoperto. La sua figura non era curata, i fianchi larghi, le culottes de cheval e la cellulite non la rendevano particolarmente apprezzabile. Anche il seno, che avevo avuto modo di osservare in precedenza, era appesantito e gravava quasi sullo stomaco, i capezzoli scuri e spessi rivolti verso il basso. Si, nel complesso non era una bella figura e forse la sua ritrosia a mostrarsi era dovuta proprio alla sua scarsa avvenenza.

Mi riscossi comunque dai pensieri e mi alzai per tornare nello spogliatoio ove mi infilai ciabatte e accappatoio.
Arrivai all’ascensore ed attesi che arrivasse al piano. Entrai e premetti il tasto del secondo piano.
Si fermò però al piano terra. Le porte si aprirono ed entrò la mia collega, entrambi sorpresi di esserci incontrati.
“Credevo fossi già salita in stanza” le dissi.
“No, mi sono fermata alla reception per chiedere un’informazione.” rispose un po’ vaga.
“Che tipo di informazione?” mi trovai a chiedere quasi contro la mia volontà. “No, scusa, sono affari tuoi, perdonami!” aggiunsi immediatamente.
“Niente di che, chiedevo se avevano anche servizi di estetica qui. Se faccio in tempo, domattina mi presento alle 8 prima di andare in sede” aggiunse.
“Ho un problema ad un unghia del piede” disse dopo una breve esitazione, sollevando leggermente in piede destro e mostrando le unghie poco curate e con lo smalto totalmente distrutto.
Sciatta anche in questo”, pensai.
Annuii e stavo per ribattere quando si aprì la porta del mio piano.
Uscii dall’ascensore e, tenendo con una mano la porta aperta, le ricordai “Allora alle 19:30 al bar”.
“Si, grazie. A dopo” rispose con tono decisamente più cortese.

Mi ero seduto al bancone del bar in attesa della mia collega. Mi ero asciugato e fatto la barba, passato un abbondante dose di dopobarba e vestito in maniera sportiva ma abbastanza elegante: giacca blu, maglione dolcevita azzurro, pantalone grigio, mocassino nero. Stavo giocherellando con la carta dei servizi quando sentii appoggiare una mano sulla spalla.
“Paolo, scusa il ritardo, ma mia figlia ha avuto un piccolo problema” mi disse scusandosi del quarto d’ora di attesa.
“Anzi, volevo chiederti un parere. Le si è fermata la macchina di botto e non riparte più. Mi ha detto che c’è stata una grande fumata, si sono accese tutte le spie e poi si è bloccato il motore facendo slittare le ruote. Sembra come se qualcuno l’avesse trattenuta con una catena. E poi il motorino non gira più”.
Sapevo della sua unica figlia, circa coetanea della mia, che passava gran parte del tempo con il padre e qualche settimana all’anno con la mamma.
“Ma le luci rimangono accese?” le chiesi, per capire se non fosse stato un problema elettrico.
“Dice di sì, funziona tutto. Ma il motorino non gira.”
Intuii che aveva subito un grave danno al motore, un grippaggio, o la rottura della catena o della cinghia di distribuzione, o la rottura di una biella, comunque qualcosa di meccanicamente importante.
“Ma ora dove sta?” le chiesi.
“Sul carro attrezzi, la stanno riportando verso l’officina meccanica convenzionata”.
“Ma che macchina è?” le chiesi.
“È la mia 500 aziendale”.
“È diesel, giusto?”
“Si!”
“Chiedile se ha fatto rifornimento”
La chiamò al telefono e le chiese avanti a me “Tesoro, che hai fatto rifornimento, oggi?”
Sentii che le rispondeva affermativamente.
“Chiedile se lo ha fatto lei e cosa ha messo”
Sentii la risposta quasi dal vivo.
“Si, ha fatto il pieno di benzina”.
Appunto.

“Dille di stare tranquilla e di farsi accompagnare da un tassì a casa tua. Domani chiami e ti fai dare una macchina sostitutiva. Quella che hai è da buttare.”
“Ma come? È quasi nuova! Ha meno di 10.000 km.” rispose quasi scandalizzata.
“Se va bene, la riparazione costerà non meno di 7.000€. E non credo che la compagnia di leasing accetterà di pagare una simile cifra. Verrà venduta come rottame. Preparati a pagare 250€ di franchigia, il danno è dovuto alla tua negligenza” le aggiunsi, spiegandole che mandare a benzina un motore diesel lo fa esplodere in poco tempo, e che il danno non può essere riconosciuto come accidentale.

La serata non era iniziata nel migliore dei modi, per lei.
Peccato, perché riconobbi la sua buona volontà nel volersi mostrare un po’ meno pallosa anche nel vestirsi. Aveva indossato infatti una gonna sopra il ginocchio color verdone, una camicetta bianca accollata, un bolerino alto in vita ed un paio di scarpe con tacco moderatamente alto.
L’opposto di come si presentava di solito in ufficio, sempre in pantaloni ampi, scarpe basse, maglioni ampi e colori scuri.
Un piccolo inciso sulla mia collega. Pur dimostrandone qualcuno di più, era una donna di meno di cinquant’anni, laureata in matematica alla Scuola Normale di Pisa ed esperta di programmazione lineare. Era infatti stata chiamata per partecipare al gruppo di lavoro che doveva fissare le specifiche di progettazione di un sistema informatico di gestione delle risorse tecniche e logistiche per una nota multinazionale tedesca produttrice di automobili che aveva chiesto alla nostra azienda, anch’essa multinazionale, di studiare un sistema in grado di pianificare ed ottimizzare i lavori di manutenzione presso la rete delle sue officine specializzate.
Dopo un matrimonio andato a rotoli a causa delle corna che le aveva messo il marito con la sua migliore amica, si era lasciata andare dedicandosi solo al lavoro ed ai suoi tre gatti, uno più grosso dell’altro, visto che la figlia aveva preferito stare con il padre.
Inoltre, la sua disavventura coniugale l’aveva resa sospettosa e guardinga nei confronti dell’altro sesso, facendole assumere atteggiamenti di rigetto verso gli uomini che doveva frequentare, nella fattispecie i colleghi, che di certo non la rendevano più attraente e piacevole da frequentare.
Tutto ciò, unitamente ad una sciatteria e trasandatezza che probabilmente le era un po’ connaturata, aveva generato un’aura di antipatia generalizzata.
In ufficio era quasi sempre da sola, consumava il suo pasto sulla scrivania, leggendo qualcosa sul computer, per poi rituffarsi nell’attività di analisi e progettazione in cui peraltro eccelleva.
Solo una volta sembrò prendersi una cotta per un ragazzetto molto più giovane di lei con il quale era stata destinata a collaborare per un progetto molto importante. Qualcuno raccontò di fugaci incontri clandestini, di una trasferta a Verona in stanze comunicanti, ma successivamente il ragazzo dette le dimissioni e sparì dalla circolazione.

Tornando al momento, la mia collega si era intristita ed innervosita per la problematica.
Mosso da sincero dispiacere, le proposi di aiutarla facendomi dare i dati da comunicare a suo nome alla Direzione del Personale ove potevo contare su un’amica fidata e particolarmente gentile, e ad organizzare il prelievo della macchina sostitutiva per sua figlia in attesa del suo rientro.
Mi ringraziò con un sorriso sincero e, visibilmente sollevata all’idea di avere un uomo accanto che potesse aiutarla, si rilassò e gradì lo spritz Hugo che le avevo fatto preparare.
L’atmosfera si sciolse e ci spostammo al tavolo dove nel frattempo fummo raggiunti da altri colleghi.
Buttai lì casualmente il fatto che in albergo ci fosse un centro Wellness ben attrezzato, e che avevamo goduto di un piacevolissimo Aufguss in sauna.
Credevo che avrei sorpreso gli altri miei colleghi (due donne ed un uomo) i quali invece mi parlarono di una stupenda struttura poco distante dal centro del paese, che aveva una dozzina di sale per bagno turco e più di una ventina di saune a tutte le temperature, una piscina parzialmente dentro e parzialmente fuori la struttura, attraverso la quale si poteva andare all’aperto e poi rientrare senza dover uscire dall’acqua.
E poi magnificarono le piacevolissime strutture relax, il ristorante, la palestra… insomma, mi scatenarono la curiosità di andare a vedere questo posto.
“Paolo, sono curiosa anch’io di vedere: ci andiamo assieme?” mi chiese la mia collega, stupendomi.
“Si, certamente, perché no! Allora ti è piaciuto, eh?” le chiesi facendole l’occhiolino.
Lei arrossì e annuì con la testa.
Il suo gesto non sfuggì agli altri i quali non persero tempo a stimolarla a raccontare.
“Nooo, devi raccontarci. Cosa hai fatto? Cosa hai visto?” la tampinarono.
“Nulla, non ero preparata al fatto che qui alla SPA si sta in totale nudità. Dapprima credevo che non sarei riuscita, poi alla fine mi sono resa conto che è tutto abbastanza naturale e che dopo un po’ non ci si fa caso. Beh, quasi…” concluse abbassando inavvertitamente lo sguardo verso il mio inguine.
Hai capito la collega… allora aveva guardato bene cosa avevo tra le gambe.

La serata scorse tranquilla e verso le dieci ci salutammo ritirandoci nelle nostre camere.
Ero a letto a leggere qualcosa quando suonò il telefono.

Hallo? Who’s speaking?” dissi senza pensare.
“Paolo, sono io. Scusa se ti disturbo, volevo sapere se potevi coprirmi per qualche minuto in più domattina. Avrei una necessità personale che dovrebbe portarmi via un’oretta. Pensi di potermi aiutare?” mi chiese.
“Ma si, certamente. Ricordati di darmi i dati che servono, oppure tieni a portata di mano il cellulare se dovesse servirmi di chiamarti!” le risposi.
Ci salutammo e ci augurammo la buona notte.

Giorno 2 – In albergo​

La mattina dopo mi svegliai abbastanza presto, infilai una felpa ed un paio di calzoncini da palestra e mi recai in palestra per fare un po’ di esercizi. Non trovai nessuno e potei completare il mio solito piano di allenamento senza dover cambiare le sequenze alle macchine.
Tornai in stanza, mi gettai dentro la doccia e feci appena in tempo ad uscire quando sentii bussare alla porta.
Mi ero appena legato in vita l’asciugamano ed avevo metà viso coperto dalla schiuma da barba.
“Chi è?” chiesi da dietro la porta.
“Paolo, sono io, ho provato a chiamarti ma non rispondevi e per questo sono passata a bussarti alla porta” mi rispose la mia collega.
“Sono mezzo nudo, aspetta che mi copro un momento” le risposi.
“Ma se ti ho visto nudo per mezza giornata, ieri… pensi che possa scandalizzare?” ribatté ridacchiando.
Aprii la porta e la trovai in accappatoio ed in pantofole, cellulare e chiavi della camera in mano.
“Ma dove vai ancora in accappatoio? Non avevi un appuntamento dalla pedicure?” le chiesi.
“Si ma non solo. Vabbè, te lo spiego dopo. Volevo darti questo” e tirò fuori dalla tasca un foglietto di carta con i suoi dati, quelli della figlia, indirizzo di casa, numero della patente sua e della figlia, codice fiscale, ecc.
“Nel caso te li chiedessero” mi disse.
Sorrisi, le feci un occhiolino e ci salutammo.
“A più tardi. Mi raccomando, non esagerare!” le dissi.
“In che senso?”
“Non farti fare troppo bella. Guarda che poi è un casino…” le dissi guardandola di sottecchi.
Mi sorrise, arrossì come una liceale, si girò e scappò via sorridente.

Fatta colazione, chiamai in ufficio e chiesi della mia amica al Personale. Le spiegai la situazione e la pregai di aiutarmi a darle una mano.
La mia amica, particolarmente protettiva nei miei confronti, mi chiese il motivo per quell’interessamento.
Le risposi che la collega mi faceva quasi pena, avevo capito la sua anima e volevo sinceramente aiutarla e farla sorridere.
“Di certo non lo fai per sesso, vero?” mi chiese con tono quasi inquisitorio.
“A parte che non sarebbero affari tuoi!” le ribattei “e comunque, no, non lo faccio per sesso. Non è il tipo di donna che mi può affascinare. E poi è nulla in confronto a te!” le dissi, riferendomi al periodo da scopamici che avevamo passato qualche tempo prima.
Lei rise di gusto e poi mi disse: “Saresti capace di scoparti chiunque, con quel modo di fare. Anche un cesso bisognoso di affetto.” Immaginai che non dovesse correre buon sangue tra le due.
“Comunque tranquillizzala, dille che chiamo subito per la macchina sostitutiva e che per domani dovrebbe averla. Dille anche che la chiamo nel pomeriggio” aggiunse.
“Non credo che riuscirai a parlarle oggi pomeriggio. Almeno, non dopo le 17:00. Abbiamo un incontro in sede.” mentii. Avevo in un attimo pianificato una visita a quel megacentro benessere di cui avevo avuto notizia la sera prima a cena. Ed avevo intenzione di portare con me la mia collega.

Uscii dall’albergo e mi recai a piedi verso la sede dell’azienda.

Giorno 2 – In ufficio​

Il management locale ci aveva riservato una sala riunione annessa alla quale c’era una sorta di cucina attrezzata con macchine per il caffè alla americana, caffè espresso, succo di frutta, the, succo di arancia ed un vassoio di brioches e di torte locali.
Riempii una mug di caffè all’americana nel quale versai ben cinque confezioni di crema di latte. In sostanza, avevo fatto un caffellatte con la panna.
Iniziammo la riunione ed i colleghi tedeschi e inglesi mi chiesero dove fosse la collega. Spiegai loro che la figlia aveva avuto un incidente con la sua auto a Roma e che era stata trattenuta in albergo per gestire la cosa, ma che ci avrebbe raggiunto quanto prima.
I colleghi accettarono la spiegazione ed iniziammo la riunione, affrontando nel frattempo una serie di tematiche sistemistiche e di servizio, non collegate direttamente alla parte di sviluppo.
In qualità di responsabile del team italiano e della gestione dei progetti speciali, ero l’autorità sul campo con il grado più elevato e dovetti condurre la riunione, discutendo su chi facesse cosa e sui costi interni da addebitare. Scoprii che le tariffe interne dei tedeschi erano circa il doppio delle nostre e quelle degli inglesi quasi il triplo. Fu faticoso trovare una quadra visto che il fatturato era stato diviso equamente tra le tre country e che a causa delle nostre tariffe, sarebbe stato molto più conveniente che all’Italia fosse assegnato molto più di un terzo. Alla fine riuscii a spuntarla grazie all’intervento del responsabile tedesco che convenne che la nostra proposta era decisamente più competitiva.
Nel frattempo ci raggiunse la mia collega.
Confesso che feci quasi fatica a riconoscerla. Si era sistemata i capelli, indossava stivali sopra il ginocchio nuovi di pacca, un pullover su calze coprenti stretto in vita da una cintura alta tre dita e, soprattutto, era truccata in maniera eccellente.
Sembrava un’altra persona, tanto era cambiata. E se ne accorsero anche i colleghi. C’era un francese in carico alla locale filiale che si alzò e la salutò con il baciamano. Il mio omologo tedesco spostò la poltrona dal tavolo per farla sedere e poi la riaccomodò verso il tavolo.
Io rimasi fermo, seduto, e feci uno sforzo per simulare disinteresse.
Più tardi mi alzai per rifornire la mia mug di caffè e ne approfittai per chiederle: “Vuoi anche tu una tazza di caffè?”
“Come il tuo, grazie!”
Non capivo cosa intendesse, sta di fatto che le preparai una tazzona di caffè con molta crema, come piaceva a me. Le misi vicino alcuni pasticcini locali come stuzzichino, e le aggiunsi una bustina/stick di zucchero. Mi riaccomodai accanto a lei e le porsi la tazza. Lei si girò verso di me e mi ringraziò con un sorriso largo, sincero, che però faceva trasparire altro.

Dopo ancora un paio d’ore di aspre discussioni su chi faceva cosa, e dopo aver parlato ancora dei massimi sistemi, ci spostammo nella sala da pranzo attigua dove avevano preparato un brunch in piedi.
Approfittai per chiedere alla mia collega se c’erano state novità.
“Vorrei ringraziarti per il tuo intervento. Hanno chiamato mia figlia dalla centrale di noleggio e le hanno detto che nel pomeriggio le consegnano un’auto sostitutiva. È una Panda a benzina, ma va bene lo stesso. Basta che possa venirmi a prendere venerdì in aeroporto”
“Guarda che se hai bisogno, ti accompagno io…” le dissi.
“No, figurati, credo che incontrerò anche il padre, visto che arriva anche lui all’aeroporto circa alla stessa ora” mi spiegò.

Mangiammo tutti assieme e cercammo di creare un minimo di spirito di squadra per poter iniziare a costruire un team costituito da persone così disparate e diverse tra loro.

Proposi di andare la sera stessa a mangiare tutti assieme in birreria. I colleghi inglesi accettarono, i tedeschi declinarono quasi tutti perché abitando in zona avevano da rientrare in famiglia.
Nel pomeriggio affrontammo le tematiche relative allo sviluppo del software e la mia collega illustrò la struttura dell’applicazione ed i punti salienti da coprire.
Fu un momento abbastanza faticoso perché gli argomenti erano diventati tediosi e ed erano intervenute divergenze di opinione sugli strumenti da utilizzare, con i tedeschi e gli inglesi spreconi nel voler acquisire pacchi di licenze di prodotti software e noi a spingere per l’adozione di piattaforme il più possibile open-source. Alla fine, dopo un’opera di mediazione svolta soprattutto dalla mia collega, giungemmo ad una scelta di compromesso che accontentava un po’ tutti, salvaguardando i grandi numeri da un lato e la semplicità e concretezza dell’ambiente applicativo dall’altra.

Alle cinque del pomeriggio sciogliemmo la riunione e ci demmo appuntamento per le otto e mezza in una birreria in centro dove la locale segreteria aveva prenotato un tavolo per noi.

Mentre tornavamo verso l’albergo mi rivolsi alla collega e le dissi: “Senti, volevo proporti una cosa.”
“Anch’io!” mi rispose.
“E allora dimmi tu”.
“Ti andrebbe di accompagnarmi a vedere quell’altro centro benessere di cui hanno parlato gli altri ieri?” mi chiese.
“E’ esattamente ciò che volevo proporti” le dissi sorridendo.
“Allora andiamo!” propose.
“Subito? Così? Perchè no!” risposi.
“Aspetta però” disse.
“Cosa?”
“Non dovremmo passare a prendere qualcosa in albergo? Costumi, accappatoi… che ne so.”
“Non hai capito? Qui nei centri il costume è vietato. Per i teli e gli accapatoi, te li danno loro. Sono compresi nel biglietto di ingresso” le spiegai.
“Ma quindi, nudi nudi come ieri?” chiese.
“Si. Ma nelle saune è proprio vietato coprirsi. Nei bagni turchi il telo è inutile perché si fradicia, in piscina si va nudi e al bar… pure”.
“Vabbè. Sono curiosa. Però un po’ mi vergogno.”
“Non ti devi vergognare. Vedrai, ti ci abituerai”.
Nel frattempo feci cenno ad un tassì che si fermò accanto a noi. Feci entrare la collega e chiesi all’autista di portarci alle terme Taunus.

Giorno 2 – Alle terme​

Fu una breve corsa, meno di cinque minuti.
Arrivati all’ingresso, pagammo il biglietto e ci consegnarono un bracciale con la chiave elettronica abilitata alla apertura e chiusura dello stipetto nello spogliatoio, per l’erogazione dei servizi accessori e per le consumazioni al bar. Ci indirizzarono verso gli spogliatoi che erano separati per uomo e donna.
Mi spogliai e in un primo momento mi avvolsi nel telo, poi vidi altre persone che si muovevano in totale nudità con il telo portato sotto braccio o appoggiato sulle spalle.
Aprii con il bracciale la serratura della porta di accesso alla struttura ed entrai.
Inutile dire che rimasi esterrefatto dalle dimensioni dell’ambiente. Era un padiglione alto oltre dieci metri e lungo almeno cinquanta, con grandi finestre che portavano la luce esterna all’interno. Gente, tantissima gente, tutti rigorosamente nudi.

Incontrai una famigliola composta dai nonni, una coppia di genitori ed i loro ragazzi. Poi una signora anziana con il deambulatore sostenuta dalla figlia e dalla nipote. Tante coppie di ragazzi e ragazze, gruppi di ragazzi, amanti, amici. Tutti rigorosamente nudi.
Tette e pubi di tutte le dimensioni. Con pelo, senza pelo, con la striscia, con il piercing. Tatuati, glabri. Seni cadenti, perfetti, rifatti. Gonfi, sgonfi, con le areole grosse, piccole, scure, chiare.
E peni. Piselli di tutte le taglie. Lunghi, corti, grossi, piccoli. Mai visti tanti piercing Prince Albert sulla cappella… Attesi che si presentasse la mia collega quando mi toccò con una mano sulla spalla. Mi girai, era lei, completamente nuda, questa volta senza asciugamano. Le sorrisi e lo sguardo mi cadde sul suo pube, ora completamente liscio e depilato, e sulle unghie dei piedi, perfettamente curate.

Mi prese lo sghiribizzo di chinarmi per darle un bacio sulla guancia di saluto, ma lei si girò all’improvviso e le mie labbra si posarono sulle sue. Fu un attimo, ma sentimmo entrambi una scossa elettrica, al punto da portarci entrambi la mano alle labbra.

“Scusa!” le dissi.
“Scusami tu” mi rispose.
“Volevo solo salutarti” ribadii.
“Eh sì, era tanto tempo che non ci vedevamo!” disse ridendo. “Comunque, volevo salutarti anch’io” aggiunse, guardando ora in basso verso il mio pene.
“Noto che sei passata dall’estetista”, le dissi. “Allora era quello che ti stavi apprestando a fare, stamattina! Una seduta dall’estetista!”
“Si, ma hai visto? Ero indecente. Credo fossero due anni che non mi depilavo. Non hai idea di quanto ho sofferto. Volevo tenere qualcosa qui” disse indicando il pube “ma non sono riuscita a spiegarmi. Va bene, tanto ricrescono!” concluse.
“No, dovresti curarti sempre. Oggi quando sei entrata in ufficio quasi non ti riconoscevo. Sei un’altra, e questo cambiamento ha fatto bene anche al tuo umore!” ribattei.
Lei annuì e mi prese il braccio.
“Andiamo, voglio fare una sauna. E anche un coso, quello con il vapore!”
Aufguss. Si chiama Aufguss” le dissi.
“Si, quello” confermò.
“Vuoi fare prima una sauna o un bagno turco?” le chiesi.
“Che cosa mi consigli?”
“Io ti suggerisco di iniziare con il Tepidarium, che è un bagno di vapore a 45/50 gradi, poi con il Calidarium, sempre con il vapore ma a 65/70 gradi. Poi doccia fredda e andiamo in sauna a 70° gradi per iniziare.
Poi vediamo” le spiegai
“Va bene, ti seguo.”
Seguii le indicazioni per andare verso il tepidarium. Era una struttura molto grande, tutta piastrellata. Al centro della stanza c’era una fontana che buttava piccoli getti di acqua fredda e, montate lungo le panche, una quantità di doccette. Entrammo e ci sedemmo in uno spazio libero tra una famiglia ed un paio di maschi vistosamente gay. Di fronte a noi, una teoria di persone distribuite lungo il lato curvo della struttura.
La mia collega cercava di non far caso alla nudità talvolta imbarazzante tutto attorno a lei, ma notavo che ogni tanto si fissava su qualche particolare, mentre si stuzzicava le labbra con la lingua. Dopo un poco una coppia si alzò da dove era seduta e venne a sistemarsi proprio accanto a noi, tra la mia collega e la famiglia.
Osservai attentamente le due persone e devo dire che non avevo mai visto un pisello così lungo e sottile né un piercing così elaborato attaccato ad una vagina. Il pene dell’uomo arrivava a riposo quasi a metà coscia ma era così sottile da ricordare una di quelle salsicce di luganega arrotolate a spirale. La donna invece indossava un’elaborata combinazione di catenelle e ganci attaccati a degli anelli che erano attaccati alle sue grandi labbra, che partivano da una serie di barrette sotto pelle sul pube. Entrambi avevano numerosi tatuaggi su tutto il corpo.
La mia collega era probabilmente particolarmente incuriosita, perché la vidi più volte ad osservare soprattutto la ragazza.
“Vuoi farlo anche tu?” le chiesi scherzando.
“Ma che sei matto? Potrei morire dal dolore! Naa, non è roba per me. Io ho paura degli aghi, figurati per questa roba!” rispose a bassa voce.
Poi si accostò al mio orecchio e sussurrò: “Ma hai visto che lui ha anche il coso tatuato? Ma non gli fa male?” mi chiese.
Mi voltai a mia volta verso l’orecchio per risponderle. “Non saprei, non ho idea. L’unico tatuaggio è quello che vedi qui sul mio avambraccio” e le mostrai il tattoo che feci ai tempi dell’Accademia Navale con il simbolo del mio corso.
“Ma lì… deve fare un male cane!” sussurrò indicando con il dito il mio pene.
“Ti dirò: ho fatto recentemente una iniezione nei corpi cavernosi per provocare un’erezione per poter fare una ecografia al pene” le spiegai.
“Perché, stai male?” mi chiese.
“No, beh, insomma, soffro di una patologia che si chiama sindrome di La Peironye o Induratio Penis Plastica.”
“E che cosa comporta?”
“Che quando mi si drizza, mi si storce.”
“Ah, e fa male?”
“No, di solito no, ma a lungo andare potrei andare incontro a problemi di impotenza o di disfunzione erettile”.
“Ah, ma allora …hai problemi?” mi chiese, lo sguardo fisso ad osservare l’oggetto della conversazione.
“No, giusto un po’ storto. Ma niente di grave”
“Ma storto come?”. Iniziava ad essere un po’ troppo insistente ed io non avevo piacere ad approfondire. La mia patologia, che nel tempo sarebbe diventata più impattante al punto di dover ricorrere a cure specifiche, era un qualcosa che mi provocava fastidio psicologico. Dall’altra, stavo iniziando a capire che la mia collega non aveva più alcun ritegno. Era come se si fosse rotta una diga e l’acqua stesse tracimando senza ostacoli.
“Storto a banana. Con la punta che va in su” e le feci il gesto piegando le falangi distali dell’indice e del medio ad uncino. Mi resi subito conto di ciò che il gesto poteva significare ed immediatamente intervenni spiegando “Si, insomma, come una banana un po’ più curva”.
“Capisco…”, che non era un’interiezione di compatimento, ma una affermazione programmatica. La pronunciò infatti continuando ad osservare il mio pene che nel frattempo, oggetto di attenzione inaspettata, aveva iniziato a vivere di vita autonoma ed a rispondere alla curiosità.
Mi alzai allora per andare a prendere la doccetta per raffreddare qualsiasi mio bollente spirito.
“Me ne metti un po’ addosso?” mi chiese. Il tubo era sufficientemente lungo e la bagnai sulla schiena e sul petto. Lei prese la mia mano ed indirizzò il getto verso il suo sesso, mentre apriva le gambe fino ad allora tenute serrate. Notai che si era eccitata in quanto le grandi labbra erano decisamente più gonfie e le piccole labbra stavano schiudendosi come i petali di un bocciuolo.
Durò un attimo perché con l’acqua fredda si spensero anche i bollori mentali.
“Che dici, passiamo alla prossima?” le chiesi.
“Si, va bene” rispose annuendo.
Uscimmo dalla sala e mi spostai verso le docce che erano fuori, dietro la costruzione del bagno turco.
Attesi che una coppia liberasse i getti e mi buttai sotto, sciacquandomi dal sudore il petto, la pancia, le cosce. Poi allungai le mani per sciacquarmi la schiena ed i glutei, e alla fine, decisi di strofinarmi il pene ed i testicoli proprio mentre la mia collega si girava verso di me.
Immediatamente staccai le mani e chiusi l’acqua, girandomi a recuperare il telo che avevo appeso ai ganci lì accanto; mi asciugai e mi frizionai cercando di non pensare e di disinteressarmi a ciò che sapevo stava accadendo alle mie spalle.
Alla fine mi girai e notai come la mia collega avesse i capezzoli particolarmente eretti e duri. Non avrei saputo dire se fosse dipeso dall’acqua fredda o dall’eccitazione, ma di certo non era la loro dimensione “naturale”.

La guidai con una mano sulla spalla come si fa con una bambina verso il Calidarium.
Il locale era grande circa come il Tepidarium, ma era molto meno frequentato, almeno a vedere la quantità di ciabatte ed i teli appesi fuori dell’ingresso. A mio parere c’erano al massimo quattro o cinque persone oltre a noi. Il problema era dato da una nebbia così fitta da sembrare impenetrabile. Facevo fatica a vedere dove stavo andando e fino a che gli occhi non si abituarono a quella oscurità preferii fermarmi per evitare di sbattere contro qualcosa o qualcuno. Dopo qualche secondo, riguadagnata la vista, dissi alla mia collega di avvicinarci alla panca che si trovava circa a tre metri dall’ingresso, quasi di fronte ad una delle bocche di emissione del vapore. Presi la doccetta e sciacquai la panca per lei e per me.
“Ecco, puoi sederti” e spinsi quello che credevo essere un braccio. Mi resi subito conto che era invece il suo seno.
“Scusami! Non volevo!” le dissi imbarazzato.
“Non ti scusare, con tutto questo vapore e questo buio” e alzò le braccia per indicare quel che c’era intorno e nel farlo, sfiorò con la mano il mio pisello.
“Appunto!” e sbottammo a ridere.
“Shhh” disse uno dei presenti.
“Sorry” risposi a bassa voce.
Ci sedemmo ed aspettammo di scaldarci.
“Posso chiederti una cosa?” mi chiese la collega.
“A che riguardo?”
“Alla tua… malattia”
“Non è una malattia, ma comunque, dimmi.”
“Ma ti si rizza ancora?”
“Certo che sì. Anzi, ti dirò che con quella curva funziona pure meglio perché va a stimolare la zona del punto G e sembra pure più grosso quando entra” le spiegai, volutamente fornendole particolari intimi sperando di fermare quella sorta di ossessionato interesse che sembrava stesse sviluppando nei miei confronti. Sembrò funzionare perché per i successivi cinque minuti rimanemmo in silenzio.
“Paolo, io ho molto caldo e inizio a respirare male. Usciamo?” mi chiese.
“Ok, usciamo” e mi alzai andando verso la porta, illuminata solo da una fioca luce rossa dietro il cartello con la scritta “Ausgang”.
Aprii la porta e fui quasi accecato dalla luce esterna. Grondante di sudore e di vapore, presi il telo ed andai di nuovo verso la doccia per sciacquarmi, seguito dalla mia collega.
Ci lavammo ed asciugammo in silenzio.
“Ti va una birra, o un qualcosa da bere?” le chiesi.
Le annuì, rimanendo in silenzio, e mi seguì mentre mi spostavo verso il bar.
C’era molta fila e le proposi di andare a cercare un tavolo mentre aspettavo di poter arrivare ad ordinare.
“Come la vuoi la birra? Media, piccola, grande, chiara, scura, weiß, lager…”
“Una weiß media, grazie. Anzi no, una scura media.” mi rispose, prime parole dopo qualche minuto di silenzio.
“Ok. Cerca un tavolo” e mi misi in fila. Lei partì alla ricerca di un posto libero. Guardandola da dietro notai che probabilmente, con dieci chili di meno, sarebbe stata una piacevole signora con la quale intrattenere gradevoli attività ricreative. Ma mi resi anche conto che era particolarmente interessata dalla quantità di membri maschili che incontrava, visto che spesso si girava ad osservare con attenzione quelli meritevoli di una seconda occhiata.
La persi di vista quando la coda fece una piccola curva a gomito in direzione della cassa. Mi concentrai però sull’ordine da fare al quale aggiunsi un paio di pretzel. Presi quindi i due boccali ed il piatto con i due pani e mi misi alla ricerca della collega.
Fu lei che mi intercettò. La vidi infatti sbracciarsi da dove aveva trovato posto. La raggiunsi e ci mettemmo a sedere dopo aver messo il telo sulla sedia.
“Uh che bella idea! Adoro i pretzel! Grazie! Quanto ti devo?” mi disse.
“Nulla, sei mia ospite. Ho pensato che bere alcol a stomaco vuoto potrebbe essere negativo”
“Ma la birra è poco alcolica” rispose.
“Si, ma ne bevi quasi mezzo litro. Con la debita proporzione, è come se bevessi mezza bottiglia di vino o un bicchierino di whiskey, per l’alcol che ingerisci”
“Hai ragione, non ci avevo pensato. Il vino ha 12 gradi, la birra rossa 6 o 7. Solo che di birra te ne bevi mezzo litro” concordò con me.

Chiacchierammo del più e del meno, alternando argomenti lavorativi a temi familiari, o ai problemi cogenti tipo la sua auto.
Terminate le birre ed il pretzel, mi alzai e le dissi “Dai, andiamo a fare la sauna con l’aufguss. Ce ne è uno tra dieci minuti qui accanto!”. La presi per mano e la guidai verso la costruzione accanto al bar. Ci accodammo al gruppo in attesa di entrare, composto da gente di tutti i tipi: mamme con figli, nonni, una coppia di gay ed una di lesbiche, un gruppo di olandesi mezzi ubriachi, dei russi completamente sbronzi.
Ero certo che avrebbero selezionato all’ingresso tutta quella gente, l’aufguss non è pratica da fare ubriachi.
Chiesi alla collega se se la sentiva, visto che aveva bevuto una birra abbastanza alcolica.
“Si, credo di si. Se mi dovessi sentire male, tanto, ci sei tu, no?” e mi prese di nuovo sottobraccio chiudendosi con il seno sul mio avanbraccio.
“Sempre che non sparino anche a me per averti portato!” le risposi scherzando. Non spostai il braccio, il calore del suo seno era gradevole e irradiava un altro tipo di calore al basso ventre.
Venne il nostro turno di entrare, l’aufgussmeister ci chiese cosa avessimo bevuto e gli risposi “eine bier! We only had one beer each!”.
Only one?” ci disse ma ci fece passare sorridendo.
Ci sistemammo negli unici posti liberi sulle panche basse disponibili, quelli più vicini alla porta. Gli altri erano tutti occupati e avremmo dovuto andare al livello superiore, troppo scomodo da raggiungere per noi che nonostante tutto, iniziavamo a sentire il peso della bevuta.
Attendemmo che la sala si riempisse; poi suonò la campana ed il Meister gettò sull’enorme braciere centrale una quantità di acqua che si convertì immediatamente in vapore che sventolò proprio ad iniziare da noi. Un intenso profumo di agrumi ci avvolse. Respirammo a pieni polmoni quel vapore saturo una, due, tre volte, scandite dalla sala che contava ad alta voce “ein, zwei, drei!”.
La mia collega al terzo respiro trascolorò e si accasciò su di me. Subito la presi sottobraccio e la portai fuori, accompagnato da un inserviente che era lì ad aiutare il Meister nelle sventolate.
La mettemmo subito sotto la doccia che aprii mentre la sostenevo aiutandomi con il mio corpo e prendendola da sotto le ascelle. L’acqua gelida la fece rinvenire quasi istantaneamente, ed altrettanto istantaneamente dette di stomaco rigettando tutta la birra che aveva bevuto.
Accorsero immediatamente altri inservienti armati di secchi, spazzoloni e disinfettanti a pulire lo sporco lasciato.
Presi la mia collega, le misi il telo sulle spalle e la strinsi a me per non farla scivolare. Poi la condussi in una sala relax che avevo adocchiato a pochi passi. Era costituita da una sorta di bozzoli di tessuto all’interno dei quali c’era un materassino. Presi il primo disponibile, con l’apertura opposta all’ingresso, e ve la adagiai.
Infine mi misi seduto accanto a lei, le gambe conserte mentre la osservavo riprendere colore. Potevo osservare anche il suo sesso, visto che teneva le gambe aperte senza alcun cenno di pudore.
“Paolo, mi spiace. Non so cosa mi sia successo. Credo che mi abbia fatto male la birra” mi spiegò.
“Probabile. Ma credo che tu abbia un’avversione per gli aufguss. Anche ieri hai avuto una sorta di mancamento” le ricordai.
“Si, ma perché avevo tossito perché mi aveva dato fastidio il vapore caldo in gola!”
“E adesso come ti senti?”
“Ho freddo”
Le detti il mio asciugamano per coprirla, poi mi alzai ed uscii da quella sorta di bozzolo.
“Dove vei?”
“A cercare un altro telo, ho freddo anch’io”
“Vieni vicino a me, ci scaldiamo assieme”
Lì per lì non feci caso alle possibili conseguenze della proposta, che con il senno di poi avrei dovuto rifiutare.
Rientrai nel bozzolo e mi avvicinai a lei.
“Potresti abbracciarmi? Ho freddo. Per favore!”
Mi stesi dietro di lei, coprii al meglio lei e me con i due teli umidicci e la strinsi a me passandole le braccia sulla sua pancia.
“Grazie! Così è perfetto!” disse con tono gratificato. Nel frattempo sposò il suo sedere verso il mio inguine che avevo cercato di tenere staccato.
“Ehm, ricordati che sono nudo”
“Lo sento!” rispose.
“…e?”
“E non ti preoccupare. Io sono una donna, tu sei un uomo, siamo nudi. Se ti ecciti, lo sento, ma è naturale. Credi che non abbia mai visto un cazzo eretto in vita mia?” mi rispose con tono un po’ di sfida, e si appoggiò ancor di più, muovendosi un po’.
“Ferma! Non mi pare il caso!” le dissi in un orecchio.
Per tutta risposta allungò la mano dietro di sé e me lo iniziò ad accarezzare.
Il mio corpo rispose in maniera automatica, troppo stimolato da quel contatto, con un’erezione immediata e sostanziosa.
Lei lo prese alla base e cercò di guidarlo dentro di sè.
“Sei pazza?” le dissi. “Non si può fare qui. È vietato. Se ci beccano ci denunciano!”
“Ma chi vuoi che ci veda?”
“E secondo te, quelle telecamere che sono agli angoli di tutte le sale, a cosa servono?”

A queste parole lei mollò la presa e si girò verso di me.
“Io ti voglio. Secondo te, perché sono andata dall’estetista? Ho voglia di scoparti. È da ieri che ci penso, stanotte mi sono masturbata almeno tre volte pensando a te. Senti!” e prese la mia mano e se la passò in mezzo alle gambe. La ritrassi immediatamente, le dita bagnate di una secrezione densa e filamentosa, e non ero nemmeno entrato dentro! Immaginai cosa dovesse essere la sua vagina.
“Hai sentito?” e partì di nuovo all’assalto del mio membro che era sempre sull’attenti.
“Ti prego!”
“Non qui. Andiamo. Stai benissimo, mi pare” le dissi un po’ freddamente.
Lei si avvicinò con le labbra e le posò sulle mie, poi sussurrò “Non ti bacio perché ho la bocca cattiva, ma aspetta che arriviamo in albergo…”

Ci vestimmo, ci ritrovammo davanti all’ingresso in attesa del tassì che avevo chiamato. Erano quasi le sette e di lì a poco saremmo dovuti andare a cena con i colleghi inglesi.
Salimmo sul tassì e la mia collega mi prese la mano e se la portò alle labbra, baciandomela.
“Grazie. Ti sono veramente grata”.
Non ebbi il coraggio di toglierla, anche se la mia parte razionale urlava nella mente “Leva quella mano! Staccati! Dille che non te la senti!”. Fortunatamente arrivò in soccorso l’autista del tassì che ci disse che a causa di un guasto non poteva portarci all’albergo e che saremmo dovuti andare a piedi, circa cinque minuti di passeggiata. Ci indicò la strada e non volle essere pagato.

La mia collega mi prese sottobraccio e ci incamminammo come una coppia di innamorati, lei appoggiata a me, io che la guardavo ogni tanto per capire che cosa mi stesse turbando al punto da rendere gradevole la vicinanza di una donna per la quale non avevo mai provato alcun sentimento se non di velata antipatia.

Non parlammo, arrivammo in albergo e chiedemmo le nostre chiavi. Andammo verso l’ascensore, attendemmo che arrivasse ed entrammo.
Spinsi il tasto del secondo piano e prenotai quello del quarto per lei.
Rimanemmo in silenzio, senza guardarci, per quei quindici secondi di tempo per arrivare al mio piano.
Come il giorno prima, tenni la porta aperta con la mano e le dissi: “Allora ci vediamo giù. Ti aspetto assieme agli altri, va bene?” e mi girai volgendole le spalle con ostentazione.
Stavo cercando di far prevalere la mia parte razionale sull’assurdità della situazione che si era venuta a creare.

[HEADING=3Giorno 2 – Al ristorante[/HEADING]
Raggiunsi i colleghi alla reception dopo che la receptionist mi aveva avvisato che mi stavano attendendo di sotto. Mi ero messo le stesse cose che avevo indossato la sera prima, tranne il pull a collo alto, sostituito da una camicia azzura button-down.

Certo che non sarebbe stato molto caldo al ritorno, presi il soprabito e lo misi sul braccio in attesa di infilarlo prima di uscire.
Il locale non era particolarmente lontano e potevamo raggiungerlo a piedi senza problemi. Eravamo un gruppetto di sette persone, tre italiani, tre inglesi ed una francese. Quattro donne e tre uomini, di cui due italiani.
La mia collega non si era ancora presentata e le inglesi iniziavano a rumoreggiare.
Chiesi alla receptionist di chiamare la stanza. Il telefono squillò a lungo senza risposta. Decisi di andare di persona a sentire cosa fosse successo.
Chiamai l’ascensore ma quando si aprì la porta, apparve la mia collega se possibile in forma ancor migliore rispetto alla mattina. Il maglione alla coscia aveva lasciato lo spazio ad un abitino leggero, il pantacollant ad un paio di calze con riga, gli stivali a delle eleganti scarpe con tacco. Uno spolverino gettato con nonchalance sulle spalle completava l’abbigliamento. Trucco e parrucco quasi sofisticati, roba da lasciare di stucco, visto come era fino al giorno prima.
Mi guardò con un sorriso a piena bocca: “Stavi venendo da me?”.
“Si, stavo per salire da te per capire perché non rispondevi al telefono.”
“L’ho sentito mentre ero in corridoio, ma mi son detta che era inutile rispondere, sapevo di essere in ritardo ed ero certo fossi tu!”
“Va bene, muoviamoci, ci stanno aspettando”.

Mi prese il braccio sinistro infilandovi il suo ed in questo modo facemmo la nostra apparizione di fronte ai colleghi in attesa.
Wow! Amazing? Are you sure you are our collegue? Please tell us if you killed her!” le disse il collega inglese. Anche il nostro collega di Milano, avvezzo a lavorarci assieme, le rivolse un complimento. “Non ti ho mai vista così. Non sei tu. Dove hai nascosto l’altra?”.
Lei si schernì e strinse ancor più la presa sul mio braccio.
“Paolo, digli qualcosa! Non è giusto che mi prendano in giro così!”
“E cosa dovrei dir loro? Hanno detto la verità, io pure faccio fatica a riconoscerti!” mentre la facevo uscire davanti a me cedendole il passo.

Anche la collega francese le disse che stava molto bene così vestita, e che avrebbe dovuto usare quel look sempre.
Credevo che si sarebbe accodata al gruppetto ed invece preferì rimanere al mio fianco, il suo braccio destro al mio sinistro, la borsa sulla sua sinistra, camminando fianco a fianco.
“Paolo, volevo scusarmi con te. Credo che la birra abbia fatto uno strano effetto su di me. Di solito non succede, ma non ero io”.
“Beh, non ti preoccupare. Non è successo nulla. Magari avremmo potuto passare un guaio se …” le dissi riferendomi a quanto successo nell’area relax.
“Si, hai ragione. Dovrei scusarmi anche per… averti fatto sentire la mia …eccitazione” aggiunse, “ma non ho intenzione di farlo.”
“Come? In che senso?”
“Nel senso che non mi devo vergognare di nulla. Siamo due adulti consenzienti, tu sei separato, io sono separata, non abbiamo compagni, avevo voglia di te e te l’ho fatto capire. E ho ancora voglia di te, e stasera te lo farò capire ancora” mi disse rivolgendomi un sorrisetto malizioso.
“Beh, diciamo che la cosa mi era abbastanza chiara. Ma vorrei esser chiaro con te: io non cerco relazioni né a breve né a medio termine. Il mio rapporto erotico con le donne è solo di tipo mordi e fuggi. Oggi si scopa, domani no. Dopodomani chissà. A maggior ragione se si è colleghi di lavoro. Lavoro e sesso non vanno mai d’accordo. Mai.” e mi tornarono in mente quelle Relazioni Pericolose che mi provocarono ferite dalle quali non mi ero ancora ripreso del tutto.
“Comunque, cara, non voglio che i nostri colleghi possano pensare troppo male di noi. Andiamo a raggiungerli e facciamo finta di nulla” suggerii. Allungai il passo e mi ritrovai alle spalle delle due inglesi e della francesina che stavano parlando tra loro.
Stavo per interromperle quando udii la parola “Paolo”. Cercai di capire cosa si stessero dicendo e, dallo spezzone di conversazione che riuscii a carpire, compresi che stavano parlando di me e del possibile rapporto con la mia collega.
“Che poi, mi sa che è piena di cellulite” disse una.
“Si… e poi avete visto che ha le tette scese?” disse l’altra.
“E le rughe? Ma quanti anni ha? Sessanta?” aggiunse la terza.
Ahem, girls, what are you talking about?” mi intromisi fingendo di averle appena raggiunte e di non aver assistito a parte delle loro chiacchiere.
“Oh, nulla, parlavamo del tempo…” disse una.
“Si, proprio del tempo” aggiunse l’altra ridacchiando. Poi si guardarono tutte e tre e sbottarono a ridere.
“Cosa c’è che vi fa ridere tanto sul tempo?” chiesi loro.
“No Paolo, scusa, ma stavamo ridendo sul fatto che oggi in palestra uno c’ha provato con tutte e tre assieme. Voleva che lo accompagnassimo in camera sua…” inventò la francese, probabilmente la più scafata.
Lasciai perdere, era meglio far finta di nulla e fare molta attenzione.
Entrammo nel locale dove ci fecero sistemare al nostro tavolo. Non volevo stare vicino alla mia collega, anche per smorzare eventuali chiacchiere, ma riuscii solo a farla mettere di fronte a me, accanto al collega italiano da un lato ed alla francese dall’altro. Io invece ero seduto tra una delle due inglesi ed il collega britannico. Quando ci sedemmo notai che la ragazza alla mia destra indossava una gonna cortissima senza calze, che nel sedersi le era salita scoprendole del tutto l’inguine coperto solo da uno slip in pizzo nero. La mia collega, seduta dirimpetto, se ne accorse e mi fulminò con uno sguardo. Mi ritrovai a ridacchiare tra me e me: ero riuscito a far ingelosire una donna senza aver alcun tipo di relazione con lei.

La birra scorse a fiumi e mi trovai a dovermi alzare per andare al bagno. Chiesi pertanto al collega alla mia sinistra di lasciarmi passare. Lui si alzò e mi dette una pacca sulle spalle. “Prostata ingrossata?” mi chiese pensando di fare una battuta.
“No, coglioni sfranti e troppa birra!” risposi un po’ acido. Si rese conto di aver detto una cazzata e mi chiese scusa. Feci un cenno con la mano come per dire “Va tutto bene, tranquillo”.
Mi avviai verso le toilette che erano dietro una unica porta che ammetteva al locale con antibagno comune per uomini e donne. Dovetti attendere che il bagno degli uomini si liberasse.
Dopo un ulteriore minuto abbondante di attesa bussai alla porta e ricevetti una risposta abbastanza seccata: “Einen Moment bitte!”.
Me la stavo facendo sotto ed iniziavo a sentire i brividini di quando uno non riesce più a trattenere. Preso dal parossismo entrai nella porta a fianco, la toilette delle signore, e urinai attento a non sporcare nulla. Dopo una liberatoria, lunga minzione mi pulii, rimisi il pisello dentro i pantaloni e tirai su la cerniera. Mi sciacquai appena le dita ed uscii di fretta dal bagno, con la paura di essere sorpreso da una donna con l’inevitabile figuraccia e… troppo tardi! Aprii la porta e mi trovai di fronte la mia collega che stava aspettando che si liberasse la toilette.
“Paolo, ma che ci fai nel bagno delle signore?” mi chiese.
“Eh nulla, il bagno degli uomini è occupato da un’ora e me la stavo facendo sotto. Tranquilla, sono stato molto attento a non sporcare…” le dissi per tranquillizzarla ed un po’ per scusarmi.
Lei fece un gesto con la mano come per dire “Lascia perdere”, poi prese la mia mano e se la portò sotto il vestito.
“Senti? Lo senti come sono bagnata? È tutta colpa tua…” mi disse mentre si strusciava le mie dita contro la sua vagina nuda.
“Non potevo mettere le mutandine, le avrei bagnate tutte. Pensa che ho macchiato il cuscino della sedia!” mentre la mia mano iniziava ad accarezzarla.
Sentimmo il rumore del chiavistello della porta che si apriva e ci ricomponemmo. Un odore atroce di escrementi uscì dal bagno assieme ad un omone che si sistemava i pantaloni e che a mala pena si sciacquò le dita della mano dopo essersele odorate. Che schifo!
Uscimmo di corsa quasi boccheggiando. L’odore nauseabondo aveva appestato tutto l’antibagno e sarebbe presto filtrato dalla porta.
Tornai al tavolo e bloccai il mio collega che voleva anche lui andare al bagno. “Lascia perdere. Se non hai la maschera antigas non entri. C’è uno dentro che si deve essere cacato l’anima dopo dieci anni che non si esprimeva. Guarda!” e gli feci notare l’uomo che usciva camminando con passo malfermo ondeggiando da una gamba all’altra per quanto erano grosse.
Un altro signore si avvicinò per andare al bagno, aprì la porta dell’antibagno ma la richiuse immediatamente con una smorfia di disgusto.
“Hai visto? Lascia perdere” e lo feci sedere.
Anche le ragazze si erano alzate per andare al bagno, ma furono sconsigliate dalla mia collega che nel frattempo stava raccontando a cosa aveva assistito, Anche loro ebbero uno sguardo di disgusto quando raccontò il particolare dell’odorarsi le dita.
Chiamai il cameriere e gli spiegai che cosa era successo e che sarebbe stato opportuno prendere provvedimenti prima che gli altri avventori se ne accorgessero. Mi chiese chi era il maleducato che aveva combinato il disastro e gli indicai la persona che era seduta da sola ad un tavolo dalla parte opposta del locale.
Proprio in quel momento arrivò il maître che disse qualcosa all’orecchio del cameriere il quale annuì e rispose che era stato appena avvisato dell’accaduto.

Chiesi il conto, nessuno di noi aveva piacere di chiudere la serata con un tanfo così nelle narici dopo avere mangiato e bevuto piacevolmente.

La mia collega apprezzò la mia iniziativa allungando il piede nudo verso il mio inguine e dandogli una bella scrollata. Capii che la birra le aveva sciolto le inibizioni, ma fui sorpreso dalla risposta del mio membro che subito si eresse a mala pena contenuto dai pantaloni.
Mi alzai e mi allontanai dal tavolo andando a recuperare i soprabiti mio e della collega. Poi tornai indietro e glielo misi sulle spalle con un gesto protettivo. Lei mi guardò con uno sguardo languido ma all’ultimo momento decise di evitare di baciarmi, come invece avevo immaginato volesse fare.

Pagammo ed uscimmo dal locale per tornare in albergo.
La mia collega fu presa sotto braccio dal nostro collega italiano e dall’inglese mentre io facevo il cretino con le tre ragazze, raccontando loro quanto avevo visto e cercando di imitare la camminata di quell’omone, cosa che provocò la loro ilarità al punto quasi da “scompisciarsi dalle risate”.

Giorno 3 – in albergo​

Giungemmo all’albergo che era ormai mezzanotte e chiedemmo le nostre chiavi al concierge. Salutai tutta la compagnia baciando sulle guance le ragazze ed augurando loro la buona notte. Presi quindi la mano della mia collega e la baciai portandola alla bocca in un baciamano tutt’altro che formale; poi, sempre tenendole la mano, la abbracciai stretta e la baciai sull’orecchio sussurrandole “Magari ci vediamo più tardi”.
Lei annuì sorridendo e si staccò da me. Ero certo di averle provocato un’ulteriore scarica di ormoni.
Presi l’ascensore e mi fermai in camera, andai in bagno e mi misi sotto la doccia per cercare di togliermi dal naso quell’odore schifoso che era rimasto scolpito nella memoria olfattiva e che credevo ancora di sentire. Mi asciugai, mi tolsi l’asciugamano che avevo ai fianchi per rivestirmi quando sentii bussare delicatamente alla porta.
“Paolo, sono io. Apri!” mi disse la mia collega.
Aprii la porta e me la ritrovai davanti chiusa in una vestaglia di raso di seta lunga fino ai piedi, che indossavano un paio di vezzose pantofoline en pendant con la vestaglia.

Mi misi dietro la porta per farla passare. Ero nudo, senza difese.
Lei mi abbracciò e mi baciò. La sua bocca sapeva di fresco, le sue labbra erano morbide e setose, la sua lingua esplorava la mia bocca e si attorcigliava alla mia.
Ci staccammo e dopo aver chiuso la porta a chiave, la condussi sul mio letto. La sdraiai e le sciolsi la vestaglia, la aprii e scoprii che sotto non indossava nulla se non le calze autoreggenti che aveva prima. Mi chinai su sul suo sesso e lo leccai. Divaricai le piccole labbra all’altezza del suo clitoride ed iniziai a suggerlo. Sentii i suoi mugolii di piacere mentre con le mani mi spingeva la testa verso il suo sesso, pregandomi muta di continuare. Inserii prima un dito, poi un altro nella sua vagina, trovandola fradicia di umori e scivolosa. Iniziai a fare avanti e indietro dentro di lei, cercando la rugosità del suo punto-G. Quando lo trovai, ebbe uno scatto all’indietro, quasi fosse stata fulminata da una scarica di piacere.

Mi concentrai quindi sul farla godere fino a quando non le provocai un orgasmo estremamente bagnato. Non fui sorpreso della cosa, se non per il fatto che non fece nulla per evitarlo quasi fosse abituata a godere così.
Ripresi ad accarezzarla ed a masturbarla mentre aumentava i mugolii di piacere. Per tacitarla, la baciai mettendole la mia lingua in bocca e cercando di silenziarla. Un’altra scarica la scosse, seguita da un’altra massiva emissione di liquido che aveva già formato una pozzetta sulla moquette ai piedi del letto.

Al terzo assalto tolse la mia mano e mi fece sdraiare sulla schiena. Si tolse la vestaglia e si inginocchiò su di me, si chinò e mi prese in bocca, prima la sola cappella, poi tutta l’asta fino alla radice, alternando così leccate, succhiate e deep throat.
Quando stavo quasi per venire, si staccò da me e mi montò sopra, prese la mia asta e se la infilò dentro di sé. La sua vagina era stretta, e faticò non poco ad accogliermi nonostante la abbondantissima lubrificazione. Poi però trovò la posizione e sfruttò la mia malformazione per stimolarsi internamente. Con la cappella sentivo quella piccola rugosità, quell’ispessimento che sapevo nascondeva milioni di terminazioni nervose la cui stimolazione la portò ad un altro rumoroso e bagnatissimo orgasmo. Continuai a penetrarla, e decisi di girarla e prenderla da dietro.
La misi in ginocchio sul letto, le feci divaricare i glutei e la penetrai da dietro. Era ancora molto stretta ma anche molto bagnata. Il mio membro scivolava dentro e fuori senza ostacoli e apparentemente privo di attrito. Il mio pollice dispettoso andò ad infilarsi nell’altro pertugio, che trovai tutto sommato pervio.
La mia collega ebbe un movimento a ritrarsi, ma poi accettò l’intrusione. Poi, al posto del pollice infilai prima l’indice e poi anche il medio, lentamente, dando modo allo sfintere di allargarsi senza traumi. Quando mi ritrovai con le dita a fondo corsa, iniziai a fare lentamente un movimento di penetrazione coordinato a quello del mio pene nella sua vagina. Dentro lui, fuori le mie dita, dentro le dita fuori il mio pene. I suoi mugolii erano sempre più alti ed intensi. Spinse la testa sul letto cercando di tapparsi la bocca mentre le sue mani artigliavano le coperte in uno spasimo di piacere.
“Ho deciso che userò il mio cazzo al posto delle dita. Preparati che ti sfondo il culo” le dissi in un accesso di libidine.
“Si… ti prego, fallo. Sfondami!” mi rispose.
Tolsi le dita ed approfittai dello stato beante del suo sfintere già rilassato per infilare il mio glande, un pezzetto alla volta.
L’operazione le provocò senz’altro fastidio perché iniziai a sentire la stretta della muscolatura attorno alla piccola porzione inserita. Mi fermai e le chiesi se stesse soffrendo.
“Ma perché ti sei fermato? SFONDAMI! ENTRAMI DENTRO! DAI!” mi rispose.
Non me lo feci ripetere. Forzai l’introduzione con una spinta continua e decisa fino a quando, superata la resistenza, mi trovai inserito fino alla radice.

Iniziai a fare su e giù dentro il suo retto, provocandole intenso piacere che esplicitava con incitamenti a continuare e ad essere anche più incisivo.
Alla fine cedetti e le venni copiosamente dentro. Lei ebbe a sua volta l’ennesimo orgasmo quando sentì le mie scariche dentro di sé.

Mi sfilai ed osservai il suo sfintere grottescamente dilatato come una bocca sorpresa, da cui colava il mio sperma non più candido.
Andai in bagno a lavarmi, poi presi della carta igienica e gliela portai, aiutandola a pulirsi.
Lei si alzò e andò a sua volta a lavarsi.
Quando tornò, era sfatta. Il trucco era colato, i capelli erano spettinati, le gote erano ancora rosse, ma gli occhi tradivano il piacere intenso a cui l’avevo sottoposta.
Mi ero disteso sul letto e lei mi raggiunse. Si chinò su di me e mi baciò dolcemente.
Poi si mise accanto a me e mi chiese “Posso dormire con te, stanotte?”
Le dissi di sì, la abbracciai stretta a me e prendemmo sonno l’uno nelle braccia dell’altro.
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Paolo Sforza Cesarani - 2023
Risulta difficile smettere di leggere i tuoi racconti, nonostante a volte traspaiano un misto di distacco e una certa superiorità, e non è una critica. Ottima penna, davvero, è un piacere non volersi staccare dalle tue righe!
 

antafani

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Mi sono preso un po' di tempo per leggere tutto il racconto con calma e gustarmelo, e devo dire che ne è valsa pienamente la pena.

Scritto benissimo, coinvolgente.
Personalmente, adoro questi racconti dove ci si appassiona anche alla storia che c'è dietro, oltre all'erotismo della situazione.

Complimenti davvero
 
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Grazie.
I commenti come i tuoi sono di sprone a fare di piu e meglio.
A presto.

Risulta difficile smettere di leggere i tuoi racconti, nonostante a volte traspaiano un misto di distacco e una certa superiorità, e non è una critica. Ottima penna, davvero, è un piacere non volersi staccare dalle tue righe!
Grazie per il commento.
Mi fa molto piacere.
 
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Maestro! Ci vorrebbe un appuntamento fisso con i tuoi racconti , sono splendidi, mai banali , coinvolgenti e sopratutto scritti egregiamente 😍
 
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Maestro! Ci vorrebbe un appuntamento fisso con i tuoi racconti , sono splendidi, mai banali , coinvolgenti e sopratutto scritti egregiamente 😍
Grazie...ma ti prego, lascia stare il Maestro: titolo assolutamente immeritato.
Però mi fa piacere...😊😊😊
 

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Grazie...ma ti prego, lascia stare il Maestro: titolo assolutamente immeritato.
Però mi fa piacere...😊😊😊
Se permetti copio pari pari la definizione da dizionario :
Persona che in virtù delle cognizioni e delle esperienze acquisite risulta all'altezza di contribuire in tutto o in parte all'altrui preparazione o formazione
Bene , il tuo modo di scrivere e raccontare è assoluta fonte di ispirazione , un ottimo esempio da seguire .
Quindi , a parer mio , il termine maestro ti calza a pennello.
A presto ;)
 
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Se permetti copio pari pari la definizione da dizionario :
Persona che in virtù delle cognizioni e delle esperienze acquisite risulta all'altezza di contribuire in tutto o in parte all'altrui preparazione o formazione
Bene , il tuo modo di scrivere e raccontare è assoluta fonte di ispirazione , un ottimo esempio da seguire .
Quindi , a parer mio , il termine maestro ti calza a pennello.
A presto ;)
Sono d'accordo, sei fonte d'ispirazione!
🤭🤭🤭
Mi fate arrossire...
 

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