Esperienza reale La Professoressa di matematica

Aikanaro

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Sono da sempre un tipo abbastanza puntuale, motivo per cui sono nel luogo designato all'incirca dieci minuti prima dell'orario stabilito. Al contrario Manuela aveva il vizio già dai tempi del liceo di farsi attendere: i suoi ritardi oscillavano tra i 15 e i 25 minuti ogni volta.
Mi metto seduto al primo tavolo vuoto, il più vicino all'ingresso, e per non annoiarmi comincio a sfogliare la gazzetta dello sport. Con estrema ingordigia inizio a leggere notizie su notizie della rosea, macinando articoli e paragrafi di calcio ed altri sport. Sono molto preso, a dire il vero, tanto da non farmi distrarre dall'ambiente circostante, né dalle altre presenze che animano il locale. Alzo leggermente lo sguardo solo quando sento uno spiffero d'aria, ovvero quando la porta d'ingresso si apre per lasciar entrare un qualche avventore. Tre uomini, due ragazzi, un paio di donne: una milf sulla cinquantina, fin troppo appariscente, e una ragazza di non più di 25 anni, coda di cavallo ed un bel culo gonfio stretto in un paio di jeans blu. Un piccolo sorriso, prima di tornare ad immergermi nelle mie letture.
Sono le 17 e 23 quando la vedo entrare.
"Sei in ritardo." le dico prima ancora che lei mi trovi. Sono abbastanza vicino e la mia voce arriva forte e decisa, ma non abbasso comunque la gazzetta che in quel momento mi copre mezzo volto. Solo gli occhi sono rivolti su di lei, e lei in un attimo si volta a guardarmi.
Mi fulmina letteralmente con quei diamanti incastonati in un volto non troppo diverso da unidici anni fa, forse più maturo, di certo più da donna. Quegli occhi verdi, comunque, non sono cambiati di una virgola, anzi, sono forse più profondi, meno innocenti, più intensi di quanto io ricordi.
"Il quarto d'ora accademico." mi risponde lei schioccando la lingua sul palato. Un mezzo sorriso mentre si avvicina. La vedo, la studio, la osservo: è bassa, tarchiata, ma quelle forme si sposano perfettamente con tutto il suo essere donna. Ha un paio di scarpe con un tacco non troppo alto, dei collant scuri a coprirle le cosce sode e grosse, una gonna nera poco sopra al ginocchio, gonna di un vestito decisamente troppo scollato per non lasciar intravedere il suo strabordante davanzale. Una giacca verdone completa un vestiario semplice, ma a dir poco eccitante. Faccio finta di nulla, faccio finta di non aver posato lo sguardo su quelle enormi mammellone che balzano a pochi centimetri da me, faccio finta che la gazzetta abbia coperto tutto e mi soffermo sul suo volto leggermente truccato, incorniciato dal consueto taglio di capelli. Come afferra la sedia per adagiarsi ripiego il giornale e lo lascio da una parte, in modo che qualche altro presente possa usufruirne.
"Come stai?"
"Bene!" sorride. Non sorrideva così spesso quando spiegava gli integrali. "Ti stanno bene i capelli così."
li avevo avuti lunghi in quinto superiore, e quando l'ho incontrata di nuovo non ci siamo soffermati troppo sul nostro aspetto fisico. Annuisco e ringrazio, per poi richiamare l'attenzione del barista ed ordinare due caffè.
Faccio estrema fatica a guardarla negli occhi, ed il motivo è presto spiegato. Manuela deposita, letteralmente, le tettone sulla superficie del tavolo sotto le quali poggia le mani, cosa che fa veramente strabordare il seno dall'orlo del vestito. E la cosa più clamorosa è che non sono sicuro che lo faccia di proposito: ho come il sospetto che quel davanzale le pesi sul serio, e che lei debba trovare un modo per non far gravare quel peso sulla schiena. Qualsiasi sia la motivazione, sono già arrapato marcio: il mio cazzo reclama giustizia nei boxer, preme sulla zip dei pantaloni e manca poco che me li strappi completamente. Vorrei sbatterla lì, nel bar, davanti a tutti: alzarle la sottana, strapparle i collant e ficcarglielo nella fica mentre le sbatto la faccia sulla superficie del tavolino. Per fortuna prevale la ragione e rimango ad ascoltare i suoi discorsi con attenzione crescente. Vedo le labbra muoversi, osservo le dita con le unghie smaltate di verde, studio gli schiocchi della lingua sul palato e di nuovo il mio cazzo ha un sususlto. Ancora una volta è la razionalità a prendere il sopravvento e rimango calmo al mio posto, continuando a discutere del più e del meno.
Rimane pressoché spiazzata quando le dico la mia occupazione.
"Sul serio, non credevo avessi smesso di studiare dopo il liceo."
"Bhè, per colpa di qualcuno ho ripetuto l'anno..." faccio io stuzzicandola.
"Dai...non farmene pentire. Non potevo salvarti, te l'ho detto."
"Stavo scherzando, in realtà sono molto contento del mio lavoro."
Le spiego di come ho perso i genitori, di come ho "ereditato" la loro professione di agricoltori mandando avanti la piccola azienda agricola di famiglia insieme a mia sorella e suo marito, le parlo di come coltivo la terra, di come custodisco le bestie e del mio passatempo con i lavoretti di legno, nella minibottega che ho aperto sotto casa. E' proprio questa cosa ad attirarla di più.
"Quindi fammi capire. trovi anche il tempo di fare giochetti con il legno?" mi chiede incuriosita.
"Non sono giochetti." ribatto. "Sono piccoli lavoretti. Sistemo le cose danneggiate, oppurele faccio ex novo. A volte mi diverto con piccole sculture. Ma roba di poco conto, non immaginarti chissà cosa. Tipo piccoli animali stilizzati e roba affine."
Rimane in silenzio portandosi la tazzina del caffè alle labbra, che si schiudono a favorire la ceramica. E nel frattempo non smette di guardarmi...e mi torna in mente quel pompino di unidici anni fa, grazie al quale le inondai la faccia.
So già quello che sta per dire...ed io gioco in anticipo.
"Scommetto che vorresti una piccola scultura anche tu."
Annuisce, in silenzio.
"E che vorresti?" dmando incuriosito.
"Non so, è uguale."
"Non è uguale. Facciamo così, una volta vieni nella mia bottega e scegli un pezzo di legno. Ogni pezzo ha una storia a sé. Ogni pezzo ha vita propria, ogni pezzo rappresenta qualcosa di diverso." ci ricamo sopra un bel pò per rendere la cosa più interessante...e intanto getto l'amo.
"Ok, si può fare. Devo dire che mi hai incuriosito molto." e lei abbocca. Sorrido tra il mellifluo e il divertito mentre continuo a guardarla dritta negli occhi e ad alimentare quel discorso con altre piccole storielle.
Rimaniamo per qualche altro tempo a parlare del più e del meno fino a quando non mi dice che deve tornare a riprendere i figli dalla madre. Ci alziamo e noto con piacere che mi guarda con insistenza, si sofferma sul culo e sul busto, anche se io faccio finta di nulla. Le offro il caffè e la saluto sull'uscio, con la promessa di risentirci la prossima settimana.
La risentirò, non c'è dubbio. E stavolta, se davvero riuscirò a portarla nella mia tana, nulla potrà salvarla.

vi tengo aggiornati, sperando che la prossima volta sia quella buona! ;)
e bravo il nostro SofOd
 
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SofOd

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Aggiornamento.
Niente di nuovo, l'ho sentita e ho dovuto rimandare tutto alla prossima settimana. Questi giorni ho lavorato come un mulo e non ho avuto un briciolo di tempo. Il fine settimana non sarà migliore, motivo per cui ho spostato tutto a dopo il 13.
Vi farò sapere :D
 

Expresss

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Narrerò un evento accaduto molti anni fa, quando ne avevo appena 19. Capirete alla fine perché ho deciso solo oggi di raccontarlo.

2008. Manuela sostituì per un anno intero il professore di matematica. Aveva avuto un terribile incidente in moto, il poveraccio, e la supplente rimase per tutto il quinto. Me la ricordo ancora oggi, quella stronza: non te ne faceva passare una e con lei la mia media, che già era stata pietosa negli anni precedenti, precipitò come il Titanic. Due, due e mezzo, al massimo tre, erano questi i miei fantastici voti in matematica.
Era marzo quando mi chiamò dopo lezione. Mi invitò a rimanere al termine della sua ora, voleva parlarmi a quattrocchi. "Ascoltami bene." mi disse. "Tu così non vai da nessuna parte. Non posso nemmeno ammetterti all'esame, sei un disastro. Non ho mai visto nessuno più....più..."
"...capra." le suggerii.
"Si esatto. Capra." mi guardò con quegli occhi verdi che ti spaccavano l'animo. Rimase per un istante in silenzio a fissarmi, poi continuò, facendo battere la punta della matita sul registro. "Che vogliamo fare?"
"Prof, non posso perdere l'anno. E' troppo importante. Non è colpa mia, i numeri non mi entrano in testa. Vado bene in tutte le materie, lei mi è pure simpatica, sono proprio io incapace con integrali e roba simile."
Scosse la testa. "Non posso metterti sei."
"Faccia qualcosa."
"Ok senti. Ti darò lezioni private. E' l'unica cosa che posso fare."
Accettai, non potevo farne a meno. Perdere l'anno significava troppo, più che altro perché non avevo voglia di stare un altro anno lì. Ero un pò ribelle al tempo, educato e sincero, ma con quel piglio da cattivo ragazzo che tanto mi faceva avere successo con le ragazze. Non che avessi avuto chissà quali esperienze, le mie conoscenze sul sesso derivavano perlopiù dagli innumerevoli porno che guardavo.
Mi fermavo a scuola quasi ogni giorno con Manuela ed avevo iniziato a rivalutarla. Non era così stronza come voleva apparire, capii che probabilmente lo faceva per tenere a bada una classe di 25 scalmanati. Inoltre, più tempo passavo con lei, più mi accorgevo di quanto fossi stato frettoloso a giudicarla 'non scopabile'. Degli occhi, in realtà, mi accorsi dal primo momento. Aveva uno sguardo chenon ho più rivisto in una donna: due smeraldi verdi che ti fissavano, ti prendevano a schiaffi, ti penetrvano l'anima e poi se ne andavano graffiandoti e lasciandoti in ginocchio a supplicarla di darti di più. Aveva 27 anni all'epoca, un viso pulito che raramente truccava, capelli a caschetto corvini ed un corpo cicciottello, con due grosse tette ed un culo pieno e grande. Insomma, dopo quattro, cinque, sei volte, me la sarei scopata più che volentieri. Sognavo proprio di sbatterla alla lavagna, di tenerle la testa appiccicata alla grafite nera, di farle sbavare la superficie intrisa di gessetto mentre la pompavo da dietro in quel culo grassoccio e rotondo. L'avrei sovrastata con la mia stazza, sono sempre stato un pò corpulento, e la cosa mi mandava su di giri. Dopo due settimane le avevo già regalato almeno venti seghe, chiuso nella mia cameretta.
Era una giornata di fine maggio, una di quelle in cui inizia davvero a far caldo. Gli esami si avvicinavano ed io avevo iniziato a capirci qualcosa, inebriato dai profumi di Manuela, dalle sue lezioni e dal ballonzolio di quelle tette belle grosse. Le aveva talmente piene che spesso le sfregavano sulla lavagna quando scriveva, così da sporcarle la camicetta proprio all'altezza dei capezzoli.
Comunque, quel giorno, finita la lezione, io rimasi a gironzolare come solito, in attesa che aprisse il bar, pronto ad azzannare l'ennesimo panino per pranzo. Avevo lezioni private subito dopo e non volevo farla attendere. Prima che potessi andare, però, Manuela mi ragiunse sconsolata. Scuoteva la testa, problemi in vista
"Senti, mi dispiace, ma oggi non abbiamo l'aula."
"Ok, faremo domani." risposi io in tutta calma, anche se dentro di me stavo già imprecando un milione e mezzo di santi: avevo già perso l'autobus e sarei dovuto rimanere lì a non far nulla all'incirca tre ore.
"Non puoi perdere un pomeriggio." sembrava leggermi nella mente. "ci sono gli esami a breve. Hai bisogno di queste ripetizioni. Ti farò venire a casa mia."
Il cazzo mi si era già rizzato. Pensare di passare un pomeriggio in casa sua mi faceva andare letteralmente fuori di testa. RImasi muto, non sapevo che dire, semplicemente la seguii in silenzio con lo zaino in spalla, cercando di mascherare in ogni modo la vistosa erezione. Quel giorno poi, complice il caldo, Manuela aveva una camcia scollatissima, ed i bottoni reclamavano pietà sotto la spinta delle sue strabordanti mammellone.

Entrammo in casa sua che nemmeno avevo pranzato. "C'è della pasta avanzata, se vuoi." mi disse lei.
Risposi che ero a posto così, ma mentii spudoratamente. In pochi minuti ci mettemmo seduti a tavola ed iniziammo a studiare.
A casa sua era terribilmente più complicato. Sentivo il suo odore ovunque, persino nella sedia dove sedevo, era come se vagasse nell'aria la sua essenza. Mi era appiccicata, vedevo il profilo del suo volto far capolino tra i capelli a caschetto, i suoi occhi smeraldini fissi sull'ennesima equazione. In quella posizione notai particolari che prima non avevo mai visto. Aveva il vizio di sistemarsi un ciuffo ribelle dietro l'orecchio, ed è così che vidi per la prima volta gli innumerevoli orecchini che tempestavano il suo lobo. Senza considerare che da così vicino le tette sembravano ancora più grandi. Inoltre vedevo le sue mani da vicino, due mani ben curate, con lo smalto viola, perfette cazzo che ancora mi arrapo se ci ripenso.
Non ce la facevo più, non potevo andare avanti così. Decisi di intervenire.
"Senta prof, la ringrazio davvero tanto, ma io devo andare."
"Che? Sei impazzito?" mi guardava interrogativa, non capiva sinceramente cosa stessi dicendo.
"No sul serio, non ce la faccio. Lei è gentilissima ma non ce la faccio."
"Sul serio Dario, non ti facevo uno che molla così. Mi hai sempre dato l'impressione di uno che combatte."
"Ma no, no, non intendo che non ce la faccio con la matematica. Non ce la faccio ora qui, con lei."
La vedevo davvero sorpresa. Non capiva, ma allo stesso tempo era curiosa di saper di più. "che intendi?"
"Lei prof. Lei." la indicai con entrambe le mani. "Lei è..." mi grattai la nuca, avevo i capelli lunghi all'epoca, legati in un crocchio per comodità quando studiavo. "...è terribilmente eccitante. Ho il suo odore in testa. E quelle mani. E quelle....cose." di nuovo la indicai, stavolta palesemente all'altezza delle bombe.
Lei si irrigidì. Spalancò gli occhi, mi fissò come dannata. RImase in silenzio per istanti che sembravano ore, ore che sembravano anni.
"Ok. Prendo le mie cose e vado." raccolsi lo zaino e mi alzai lentamente, anche se avrei voluto farlo alla velocità della luce.
"Fermo dove sei. Non ti ho detto di alzarti." tuonò, la voce era tagliente e perentoria.
Mi fermai, ma rimasi in piedi.
"Tutto questo è...allucinante." aggiunse. "Sei un fottuto idiota. Mi hai guardato le tette per tutto questo tempo!"
"Non dalla prima volta, se posso spezzare una lancia in mio favore."
"Taci. Sono furibonda."
"Ok allroa me ne vado."
"Tu non vai da nessuna parte, carino."
"e perché?" chiesi io, non capivo cosa stesse accadendo.
"Perché sono furibonda, te l h' detto."
"E quindi?"
"QUando sono furibonda...devo scopare."
Mi voltai in tutte le direzioni, per capire se davvero avessi sentito bene o stessi sognando. No dai, era uno scherzo. La guardai più volte. La guardai con insistenza, la fissai come un vero idiota, fin quando non la osservai alzarsi. "Vieni." mi allungò la mano, aveva ancora lo sguardo di ghiaccio, ma le labbra distorte in un mezzo sorriso.
Come un automa le afferai il palmo, avevo la mano il doppio della sua e le mie dita callose fagocitarono le sue, in un legame indissolubile. La sua carne era calda, la sua pelle liscia, il perfetto contrario della mia, ruvida per via delgli allenamenti e delle sessioni di chitarra.
Mi fece entrare nel suo nido, una camera da letto che sembrava agghindata per una bambina di quindici anni. Non ci feci troppo caso, anche perché Manuela si mise seduta sul letto ed iniziò a sbottonarsi la camicetta, con estremo sollievo delle sue forme.
"Che fai? Guardi e basta?" mi chiese maliziosa. Stava cambiando, lo sentivo, non sembrava più furiosa come un attimo prima, motivo per cui m'affrettai a partecipare: e se si fosse calmata? La sua premessa era stata chiara: quando sono furibonda...devo scopare.
Avevo già il cazzo di marmo che voleva uscire dai jeans, ma attesi. Piuttosto mi fiondai addosso alla professoressa, esaudendo il sogno di tutti quei mesi di scuola. Appiccicai le mie labbra alle sue, belle carnose e rosate, mentre le mani le strapparono la camicetta senza troppi indugi, precedendola dall'aprirla con grazia. Mi arrivò uno schiaffo che ancora lo ricordo, ma poi sentii le suemani scivolare sotto la mia maglietta e le sue unghie graffiarmi la schiena, lacerandomi la pelle in più punti.
"Era la mia camicia preferita, cazzo." mi infilò la lingua in bocca e cercò la mia, in un movimento vorticoso che le fece abbracciare entrambe. Ce l'avevo tra le mani ora quelle due enormi mammelle che da troppo tempo avevo sognato, ce l'avevo davvero tra le mani visto che le stringevo con estrema voluttà, spremendole i capezzoli grossi come mandarini. Si allungò sul letto e io le salii sopra, piazzandole il vistoso pacco tra le gambe, movimento che le regalò un sussulto. Le mie labbra cercavano la sua pelle, scesi sul suo collo e iniziai a morderla mentre respiravo i suoi odori e mi gustavo i suoi gemiti all'orecchio. Le mie mani studiavano il suo corpo, le pieghe della sua pelle, le forme della sua carne, mentre le sue scendevano fin dentro i pantaloni, oltre la cintura, e mi afferravano il culo con desiderio crescente. Lo sentivo, lo sentivo davvero, perché non faceva altro che spingermi tra le sue parti intime, e sapevo che lo voleva più di ogni altra cosa in quel momento.
Le sbottonai i pantaloni e glieli tolsi insieme alle mutande, nemmeno le guardai in quel frangente: erano del tutto superflue. Poi, quando mi voltai per ammirare la sua terra promessa, rimasi davvero senza parole. Era una fica perfetta. Per me, almeno. Mi fermai ad ammirarla per parecchi istanti. Quell'immagine ce lho stampata ancora nella mente: era pelosa, dannatamnte pelosa, decisamente carnosa, tra due gambe grosse ma sode, sintomo di un qualche sport passato. Le spalancò senza chiederglielo, poi portò le dita tra i peli pubici e li tiro leggermente verso sé, movimento che fece dischiudere quelle bellissime labbra gonfie come pompelmi. La fessura si aprì leggermente, quel tanto che bastava per farmi rendere conto del suo languore. L'organo pulsava, i suoi umori sgorgavano come da una fonte e mi ci volel un attimo per capire quanto fosse fradicia, quanto cazzo fosse vogliosa. Di me, per l'appunto. Chi l'avrebbe mai detto.
"Scopami." mi disse guardandomi. Di nuovo quello sguardo. DI nuovo fece a pezzi il mio spirito. Non la mia volontà, però. Decisi di farla morire, non poteva avermi come le pareva. Si, poteva in realtà, ma non gliela diedi vinta, anche se continuava a fissarmi con quei due occhi che sapevano di troia, al momento. Mi affrettai ad infilarci il muso tra quelle gambe, prima del cazzo. Sentii uno "stronzo" soffocato da un gemito di piacere quando le inflilai la lingua nella fica, affogandola nei suoi stessi umori. Sentii più di un gemito quando al posto della lingua conficcai due dita tra le sue carni, mentre con la bocca tartassavo il clitoride pulsante e rigonfio. Mi ci volle poco più di un minuto per farla esplodere. Un solo, semplice minuto. L'orgasmo arrivò come una burrasca. Il suo corpo s'inarcò e lei trattenne il fiato per lunghi attimi, prima di lasciarsi andare in un urlo colmo di piacere, mentre la sua vulva mi intrappolava le dita con contrazioni violente, che andarono via via scemando. Prima che potesse riprendersi mi denudai all'istante e le ficcai il cazzo nella fica già dilatata, facendole provare nuovamente un intenso piacere. Sbarrò gli occhi quando mi vide nudo, evidentemente non si aspettava che io avessi un fisico del genere a quell'età. Mentre la scopavo con ritmo crescente, mentre la riempivo con il mio bastone, lei gemeva come una vera puttana e passava in rassegna ogni centimetro del mio corpo con quelle dita curiose. Mi graffiava la schiena, già in parte torturata in precedenza, le braccia e il petto, l'addome ed il basso ventre. Io volevo sfondarla e ci riuscivo fin troppo bene visto quanto era fradicia. Inoltre avevo una resistenza fuori dal normale, all'epoca, e ci credo, a 19 anni si è super allenati a forza di segarsi tre o quattro volte al giorno. Sentivo le sue gambe stringermi, i suoi talloni spingere contro i miei reni, voleva sentirmi tutto ed io le davo ciò che desiderava. La misi a pecora, volevo gustarmi il suo culo tra le mani, volevo schiaffeggiarle le chiappe, sentirle schioccare sotto ai miei palmi, e volevo semplicemente vederlo sobbalzare ad ogni colpo. Scoprii che aveva un tatuaggio alla schiena, uno di quelli tribali poco sopra l'osso sacro, che 10 anni fa andavano tanot di moda. Continuai a fotterla come si conviene con le troie, le afferravo i capelli, le tette, i fianchi, e la sfondavo a ripetizione, senza mai fermarmi.
"Se continui..." mi disse ad una certa ansimante. "...ti metto 10 cazzo! Mi stai aprendo!" più mi parlava, più mi mandava fuori di testa. E continuai davvero per almeno un'altra ora perdendo il conto dei suoi orgasmi. La scopai sul suo letto, sulla scrivania, sull'armadio, persino sopra un cazzo di peluche alto almeno due metri, e avrei voluto fotterla per altre due ore, ma fu lei a stopparmi.
"Mi sta bruciando la fica. Basta ti prego."
"Ma sei tu che l'hai voluto."
"Si ma..."
"si ma cosa?"
"Non credevo avessi tutta questa esperienza."
Rimasi in silenzio. Non ce l'avevo infatti. Erano solo cose che avevo visto, ma sorrisi superbo.
"Te lo faccio vedere io ora." evidentemente la mia sfacciataggine non le era andata a genio. Mi prese il cazzo in bocca ed iniziò a succhiarmelo con una foga indicibile, ma con estrema maestria. Mi leccava le palle, tutta l'asta, fino ad infilarsi la cappella in bocca e spingerla giù, fino alla gola, mentre con la mano mi segava incessantemente. "E' troppo grosso, non ce la faccio a..."
"Provaci." e le afferravo la testa per affogarcela con il mio uccello. continuò con quel pompino che ancora mi arrapa se ci ripenso. se lo sbatteva sulla lingua, sulla faccia, sulla guancia per poi tornare a succhiarlo in un modo a dir poco indescrivibile. Poi, d'un tratto, alzò gli occhi e mi fissò mentre aveva il cazzo in bocca e la mano stretta sul mio bastone...non potei resistere. QUello sguardo...era qualcosa di divino. Le sborrai in bocca, in faccia, tra i capelli, sulle tette, le sborrai ovunque. Le svuotai letteralmente le palle addosso e la inondai con crema calda e densa che iniziò a colarle in ogni dove. Se la leccò dalle dita ed ingoiò quelo che poteva, per poi avvicinarsi a me e baciarmi sulle labbra, con lo sperma che ancora le grondava dalla faccia. Si pulì alla meglio con un fazzoletto rimediato sul comodino, poi si sdraiò vicino a me, continuando a fissarmi.
"Che cazzo...sei un toro."
Rimasi in silenzio e feci mio quel complimento.
"Ora la voglio la pasta." Commentai sorridendo. Lei fece altrettanto.
"Sei insaziabile." mi disse mentre mi dirigevo in cucina.

Non ho avuto più modo di scoparmela, i nostri incontri continuarono a scuola e di quella cosa non ne parlammo mai più. Non a voce, per lo meno. MI bastava guardarle gli occhi ormai per capire cosa stesse pensando.
Quello stesso anno, agli esami di stato, mi bocciò.
Ripetei l'anno e di lei non seppi più nulla......


.......fino ad oggi. Per puro caso l'ho incontrata in un centro commerciale, ad un'ora e mezza di strada dal mio paese. Non sapevo nemmeno abitasse da quelle parti, in realtà non ho mai saputo di dove fosse di preciso visto che all'epoca dei fatti narrati era in affitto. Ebbene, l'ho incontrata con un carrello della spesa ed un bambino di non più di 4 anni infilato nel seggiolone apposito. Mi ha riconosciuto immediatamente, dopo undici anni, nonostante ora i miei capelli siano più corti e la barba leggermente più lunga. Lei ha 38 anni. Ha giusto qualche ruga in più, ma ha le stesse identiche tettone. Abbiamo parlato del più e del meno, le ho ricordato della sua bastardata agli esami e mi ha risposto con una frase da vera stronza.
"Dovevo. Non arrivavi al sei. Nemmeno con le lezioni private."
In fin dei conti non è cambiata di una virgola.

PS. Ora ho il suo numero. Chissà che non ci si possa sentire per un caffè.
Bellissima storia. Bravo
 
P

Pape

Guest
ricorda un po' i filmetti con gloria guida, che sono stati il sogno erotico di milioni di adolescenti...e ancora oggi, sebbene mi facciano sorridere un po', li trovo molto sensuali
Il racconto ad ogni modo è scritto bene, eccitante al punto giusto. (y)
 

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