patrulla
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Questi racconti facenti parte delle “Sporche storie” sono basati su avvenimenti reali che mi sono stati raccontati da utenti del forum, da amici o che ho vissuto personalmente. Per garantire al massimo la privacy dei protagonisti si tratta di storie che poi sono state romanzate, con i nomi dei protagonisti e i luoghi che sono di fantasia. Essendo in alcuni casi delle vicende che hanno avuto risvolti giudiziari e mediatici, voglio ribadire che ogni commento è ben gradito ma evitate in ogni caso di fare nomi oppure di fare dei riferimenti - come purtroppo avvenuto in passato - perché altrimenti poi sarei costretto a chiedere di rimuovere il racconto. Buona lettura, Patrulla.
Prima parte
Il mio nome è Nessuno, ma per comodità in questo racconto gli altri mi chiameranno come Marco. Il mio nome è Nessuno perché io sono nessuno, mio padre non l’ho mai conosciuto - dicono che sia un narcotrafficante sudamericano, dicono… - e mia madre ha passato buona parte della mia fanciullezza in carcere e, quando è uscita, se ne è andata poco dopo con il suo nuovo amore e con lei da anni ho troncato ogni rapporto, per me semplicemente non esiste.
Quando leggerete questa storia facilmente potrete capire da dove arrivi il mio sostanziale odio verso le donne, una misoginia che non serve di certo un luminare della psicoanalisi per diagnosticarla. Io sono perfettamente conscio dei miei problemi e dei miei limiti, ma come odio le donne sono anche molto attratto da loro anche se in un modo molto particolare come capirete piĂą avanti.
Sono un ragazzo di colore, non proprio nero diciamo piĂą mulatto: di recente due persone mi hanno detto che assomiglio molto a Folorunsho, un calciatore del Verona passato anche per Napoli, la squadra della mia cittĂ per cui faccio il tifo. Alto circa 1,80 ho un fisico possente dato dalla costituzione e dalla tanta atletica fatta da ragazzo: lancio del giavellotto, peso e soprattutto martello, anche con ottimi risultati tanto che da ragazzino ero una sorta di promessa a livello nazionale.
Poi però più di una cosa è andata storta. Io praticamente sono cresciuto con mia nonna e uno zio che vivevano grazie alla stecca passato dal capo clan visto che mia madre era in carcere. Nonostante io sia un tipo abbastanza tranquillo - oltre che taciturno e riservato -, iniziare una sorta di carriera criminale è stato quasi automatico anche perché, dopo che mia madre è uscita dal carcere, i soldi erano molto pochi.
Per ovvi motivi la farò molto breve per quanto riguarda questo aspetto: ferito di striscio da un proiettile, sono finito poi in un carcere minorile dove sono stato aggredito per due volte in quanto membro del clan sbagliato. Sul mio fisico statuario - modestie a parte sono un bronzo di Riace -, si possono vedere bene la cicatrice del proiettile sul fianco e i segni di coltellate sul gluteo e sul petto, fortunatamente tutte di striscio.
Io ho fatto parte di un clan perdente, dove in pochi sono rimasti in vita. Dal carcere minorile sono passato a quello normale uscendo all’età di 19 anni. L’unica cosa positiva è che nel frattempo ho portato a termine la scuola - facevo un liceo, la testa di certo non mi manca - tenendomi anche in forma nelle strutture adibiti a palestre in carcere.
In carcere solo una persona ogni tanto mi veniva a trovare ed è l’unica a cui io voglio bene, ma gliene voglio tanto: Vincenzo, un mio cugino più grande di età ma di certo non di statura, piccolino e grassottello con due folti capelli ricci. Da ragazzi lo chiamavano Pibetto, perché vi giuro non ho mai visto uno con la sua tecnica con il pallone, solo che poi ci mette un minuto a fare 100 metri…
Vincenzo è come me, un altro figlio di nessuno cresciuto nello stesso ambito familiare. Anni fa però si è sposato con una ragazza del quartiere andando a vivere al Nord, in una tranquilla città di provincia - ma non piccola - dove ha un negozio di riparazione e assistenza di computer, cellulari e altre diavolerie del genere.
Se voi lo vedete, con quell’aspetto mite e bonaccione, padre di due figi che vanno alle elementari, non potrete mai immaginare quello che ha fatto da ragazzo. Anche lui come me non lo faceva per piacere ma per necessità e, come ha avuto l’occasione, se ne è andato.
Però non si è dimenticato di me e in carcere mi diceva che, come uscivo, potevo andare da lui spronandomi a prendere il diploma. Per me è sempre stato una sorta di fratello maggiore, io non ho altro che lui e lui ha solo me.
Quando mi hanno scarcerato così c’era lui ad aspettarmi fuori dal cancello e siamo andati subito dove vive senza fermarci anche solo un momento. Così a 20 anni mi sono ritrovato in questa città dove conoscevo solo mio cugino che ha questa attività .
Lui è sempre stato uno smanettone con la tecnologia, anche perché spesso dava la mano a un signore del rione che aveva una bottega riparatutto, ma per buona parte è stato autodidatta. Il negozio stava in una via abbastanza centrale anche se fuori dal centro storico: entrata dove accoglieva i clienti e un piccolo spazio dove esponeva pc, cellulari e cose del genere.
Sopra c’era solo il suo laboratorio dove effettuava le riparazioni collegato al piano terra, poi c’è una sorta di piccolo appartamentino collegato e adiacente con ingresso indipendente sul retro e che lui non utilizzava.
“Tu puoi stare qui” mi disse mostrando l’appartamento che era composto da una cucina abitabile, bagno e una camera da letto. A me andava più che bene anche perché non pagavo affitto o bollette, poi pian piano il fine settimana abbiamo fatto una serie di lavori rendendolo carino e confortevole.
Io gli davo una mano in negozio accogliendo i clienti visto così che lui poteva concentrarsi con più tranquillità sulle riparazioni. Il negozio va bene, l’incasso è buono anche se di certo Vincenzo non si è arricchito in questi anni. Mi ha fatto il contratto e mi beccavo mille euro al mese, non tanti ma lavoravo part-time sostanzialmente visto che mi ero iscritto anche all’università per prendere una laurea in scienze motorie.
Luisa - la moglie di Vincenzo - è un’insegnante in una scuola media e, a sua detta, dopo la laurea poteva darmi una mano per cercare di diventare professore di educazione fisica. Nel frattempo in una locale società sportiva ho ripreso ad allenarmi con il martello iniziando poi anche a lavorare come insegnante con i più piccoli.
Nel frattempo essendo stato rilasciato con un po’ di anticipo ero seguito dai servizi sociali, ma io intendevo solo rifarmi una nuova vita lontano da tutto quello schifo e dalla merda del mio passato. Solo una cosa era rimasto intatto: il mio sostanziale disprezzo verso le donne.
Uno dei primi giorni nella nuova città sentì un ragazzo che, credendosi non ascoltato, mi definì uno “scimmione”. Ero abituato agli sguardi delle persone, ma quelli degli uomini erano ben diversi da quelli delle donne.
Piaccio molto alle ragazze per il mio fisico innanzitutto - a detta loro ho un sedere perfetto -, per il mio viso dai lineamenti gentili, dal mio portamento visto che amo vestirmi con cura e da quell’alone di mistero che mi circonda, così gentile ma al tempo stesso misterioso nella mia poca loquacità .
Prima del carcere comunque non ho avuto molte esperienze sessuali degne di nota: autentiche navi scuola o ragazze del rione che negli scantinati spompinavano i guaglioni in fila, mentre a scuola ero molto più cercato tra le ragazze della Napoli bene che però a quell’età non andavano oltre la sega o il pompino.
C’è da dire che ho una nerchia molto grande, lunga credo sui 22-23 cm e molto larga, con una grande cappella sempre rivolta all’insù. Nel rione come si sparse la voce furono molte le ragazze, anche più grandi, che vollero provare la mazza color ebano, ma come vi dicevo erano tutte cose fugaci anche se piacevoli.
Se loro in me vedevano solo un cazzone, così come spesso anche i ragazzi e gli uomini, allora io per loro sarei sempre stato solo un toro da monta, però molto cattivo tanto che le partner le ho sempre trattate molto male.
Ci tengo a precisare però che non sono stati MAI e ripeto MAI violento, è una cosa che disgusto. In fondo sono anche onesto: non le illudo, ma dal punto di vista verbale e comportamentale sono molto cattivo.
Per il primo mese tutto tranquillo: cercavo di ambientarmi, di studiare e di imparare anche nel lavoro al negozio. Nel tempo libero oltre allo sport facevo lunghe passeggiate anche per conoscere la cittĂ , poi tante chiacchierate con Vincenzo che mi convinse anche a giocare in una squadra amatoriale di calcetto: io me la cavo grazie al fisico, lui entra in campo ogni tanto, gioca da fermo e la palla la mette dove vuole.
Quando capita insieme andiamo a vedere il Napoli insieme al suo figlio piĂą grande - adoro entrambi i nipotini - quando gioca in trasferta al Nord, oppure andiamo in un Napoli Club poco distante.
La mia vita però è cambiata un martedì all’ora di pranzo. Il negozio era chiuso e io ero rientrato dall’università , poi il pomeriggio sarei stato di turno. Mi sentii chiamare da sotto e quando scesi trovai Luisa, la moglie di Vincenzo, intenta a sistemare alcuni documenti.
Lei all’epoca aveva 35 anni e nel descriverla mi viene in mente solo un termine: una gran manza. Alta circa 1.75, castana con capelli mossi oltre le spalle, il viso è segnato da un mento un po’ pronunciato e dai primi segni dell’invecchiamento.
Di carnagione un po’ scura con occhi marroni e intensi, ha due belle tettone rifatte - una quarta piena credo - dopo che l’allattamento aveva sfiorito il suo bel seno abbondante. Da record però è il suo culone, grosso e morbido. Faceva molta palestra e attività fisica non tanto per migliorarsi, ma per non peggiorare: ogni volta che sgarrava subito quel chiletto di troppo le si notava.
Insomma una bella cavallona napoletana, con tante curve anche se scordatevi la tipa con la pancia piatta o le gambette. Io prima non la conoscevo bene, avevo solo dei ricordi, ma anche lui fu molto felice quando arrivai da loro.
Allora torniamo nel negozio, lei mi chiese le solite cose sull’università e poi se ho mangiato. Le dico che tutto andava bene e che avevo mangiato, allora lei mi chiede se poteva vedere una cosa in cucina. Andiamo e inizia a dire rivistando che mi avrebbe dato dell’olio buono, poi alcune verdure che le aveva dato una collega il tutto non lesinando qualche plastica posizione a pecora.
Io la ringrazio poi mi si avvicina, mi sorride e mettendomi una mano sul cazzo mi fa “sono molto felice che tu sia venuto a vivere qui, sono così sola…” e mentre cerca di baciarmi io mi scanzo, balbetto qualcosa poi prendendo le chiavi al volo le dico che ho dimenticato una cosa all’università e corro via chiedendole di chiudere lei.
Ero sconvolto, mi sarei scopato chiunque dopo tutta quell’astinenza ma lei proprio no, non che non mi piacesse anzi - ammetto di averle regalato prima un paio di belle seghe guardando le sue foto sui social - ma voglio troppo bene a mio cugino per fargli una cosa del genere.
Vagai un po’ sconvolto, poi all’orario dell’apertura tornai in negozio trovando Vincenzo dentro. Mi feci coraggio e gli raccontai subito dell’accaduto. Lui facendosi serio mi fece “Marco, meglio tu che un altro” e io “ma Viciè, è tua moglie non potrei mai…” e lui chiuse la porta del negozio.
Con aria quasi impassibile mi iniziò a raccontare: lui a Luisa di certo non la ama, ma lei lo tratta bene e gli ha dato due figli splendidi. Fin da ragazza sessualmente è stata inquieta, anche troppo, con il padre - persona benestante ma mooolto chiacchierata - che cercava qualcuno che se la pigliasse anche perché il suo comportamento iniziava a imbarazzarlo.
Vincenzo così colse la palla al balzo: io mi prendo la zoccola di tua figlia ma ti mi apri un negozio al Nord. Così la ragazza fu invitata a frequentare mio cugino, se ne andarono al Nord e poi si sposarono e fecero figli.
“Di corna me ne ha messe tantissime ma a me non frega nulla - mi fece -, con la nascita dei piccoli si è calmata molto ma adesso ha ricominciato. Si scopa un collega, un ragazzo della palestra e altri anche occasionalmente. Non è ninfomane, non è affetta da disordine, ma soltanto tanto ma tanto zoccola”.
Mi disse allora che lui sapeva che lei ci avrebbe provato con me, ne avevano parlato, con la mia reazione che lo portò ad abbracciarmi. “Marco, te lo dico veramente come piacere, se mi vuoi bene scopatela quanto vuoi ma cerca di farla abbandonare gli altri amanti, sei un ragazzone e dopo gli anni in carcere vorrai pure sfogarti…”.
Io ero abbastanza sconvolto da tutto questo “Viciè, ricordati che lo faccio solo perché me lo hai chiesto tu, tu per me sei un fratello, sei la persona più importante della mia vita e io ti sarò sempre grato per quello che hai fatto per me”.
Ci abbracciamo poi lui tornò a lavoro. La sera disse alla moglie che tutto era stato risolto, così il giorno dopo sempre alla stessa ora la trovai davanti la porta del mio appartamento tutta vestita in tiro “che fai, mi scacci via anche oggi??”.
Immaginate che voglia che avevo di scoparla, le saltai addosso per poi gettarla letteralmente di peso sul letto. Lei mi baciava con una foga incredibile e anche io ero preso a toccarla ovunque visto tutta quella bella roba da tastare.
Quando me lo tirò fuori fece “wooowww” ridendo “allora è vero quello che si dice sui cazzi neri” e iniziò un super pompino facendomi sborrare dopo neanche un minuto, ma capitemi era veramente tempo che non stavo con una donna.
Scopammo per un’ora, poi il giorno dopo, poi il giorno dopo ancora… In base al suo ciclo scopavamo almeno tre volte a settimana, con io meravigliato da quella tigre che senza battere ciglio si prendeva tutto il mio cazzone nel suo culone burroso senza battere ciglio, anzi urlandomi di andare più forte e di sfondarla.
Io solo con Luisa faccio condurre il gioco a lei, ogni volta e lei che mi scopa e io stranamente resto abbastanza silente. Dopo la prima volta andai da Vincenzo e gli feci “Viciè prima…” e lui mi interruppe subito “Marco so tutto, non parliamo mai di questo è una cosa che riguarda voi due”.
Poco dopo però fu mio cugino a iniziare a chiedermi dei rapporti con la moglie, mentre io all’università , ad atletica e in giro facevo nuove amicizie, conoscendo ragazzi e soprattutto ragazze con le quali di certo non mi comportavo come con Luisa. CONTINUA…
Prima parte
Il mio nome è Nessuno, ma per comodità in questo racconto gli altri mi chiameranno come Marco. Il mio nome è Nessuno perché io sono nessuno, mio padre non l’ho mai conosciuto - dicono che sia un narcotrafficante sudamericano, dicono… - e mia madre ha passato buona parte della mia fanciullezza in carcere e, quando è uscita, se ne è andata poco dopo con il suo nuovo amore e con lei da anni ho troncato ogni rapporto, per me semplicemente non esiste.
Quando leggerete questa storia facilmente potrete capire da dove arrivi il mio sostanziale odio verso le donne, una misoginia che non serve di certo un luminare della psicoanalisi per diagnosticarla. Io sono perfettamente conscio dei miei problemi e dei miei limiti, ma come odio le donne sono anche molto attratto da loro anche se in un modo molto particolare come capirete piĂą avanti.
Sono un ragazzo di colore, non proprio nero diciamo piĂą mulatto: di recente due persone mi hanno detto che assomiglio molto a Folorunsho, un calciatore del Verona passato anche per Napoli, la squadra della mia cittĂ per cui faccio il tifo. Alto circa 1,80 ho un fisico possente dato dalla costituzione e dalla tanta atletica fatta da ragazzo: lancio del giavellotto, peso e soprattutto martello, anche con ottimi risultati tanto che da ragazzino ero una sorta di promessa a livello nazionale.
Poi però più di una cosa è andata storta. Io praticamente sono cresciuto con mia nonna e uno zio che vivevano grazie alla stecca passato dal capo clan visto che mia madre era in carcere. Nonostante io sia un tipo abbastanza tranquillo - oltre che taciturno e riservato -, iniziare una sorta di carriera criminale è stato quasi automatico anche perché, dopo che mia madre è uscita dal carcere, i soldi erano molto pochi.
Per ovvi motivi la farò molto breve per quanto riguarda questo aspetto: ferito di striscio da un proiettile, sono finito poi in un carcere minorile dove sono stato aggredito per due volte in quanto membro del clan sbagliato. Sul mio fisico statuario - modestie a parte sono un bronzo di Riace -, si possono vedere bene la cicatrice del proiettile sul fianco e i segni di coltellate sul gluteo e sul petto, fortunatamente tutte di striscio.
Io ho fatto parte di un clan perdente, dove in pochi sono rimasti in vita. Dal carcere minorile sono passato a quello normale uscendo all’età di 19 anni. L’unica cosa positiva è che nel frattempo ho portato a termine la scuola - facevo un liceo, la testa di certo non mi manca - tenendomi anche in forma nelle strutture adibiti a palestre in carcere.
In carcere solo una persona ogni tanto mi veniva a trovare ed è l’unica a cui io voglio bene, ma gliene voglio tanto: Vincenzo, un mio cugino più grande di età ma di certo non di statura, piccolino e grassottello con due folti capelli ricci. Da ragazzi lo chiamavano Pibetto, perché vi giuro non ho mai visto uno con la sua tecnica con il pallone, solo che poi ci mette un minuto a fare 100 metri…
Vincenzo è come me, un altro figlio di nessuno cresciuto nello stesso ambito familiare. Anni fa però si è sposato con una ragazza del quartiere andando a vivere al Nord, in una tranquilla città di provincia - ma non piccola - dove ha un negozio di riparazione e assistenza di computer, cellulari e altre diavolerie del genere.
Se voi lo vedete, con quell’aspetto mite e bonaccione, padre di due figi che vanno alle elementari, non potrete mai immaginare quello che ha fatto da ragazzo. Anche lui come me non lo faceva per piacere ma per necessità e, come ha avuto l’occasione, se ne è andato.
Però non si è dimenticato di me e in carcere mi diceva che, come uscivo, potevo andare da lui spronandomi a prendere il diploma. Per me è sempre stato una sorta di fratello maggiore, io non ho altro che lui e lui ha solo me.
Quando mi hanno scarcerato così c’era lui ad aspettarmi fuori dal cancello e siamo andati subito dove vive senza fermarci anche solo un momento. Così a 20 anni mi sono ritrovato in questa città dove conoscevo solo mio cugino che ha questa attività .
Lui è sempre stato uno smanettone con la tecnologia, anche perché spesso dava la mano a un signore del rione che aveva una bottega riparatutto, ma per buona parte è stato autodidatta. Il negozio stava in una via abbastanza centrale anche se fuori dal centro storico: entrata dove accoglieva i clienti e un piccolo spazio dove esponeva pc, cellulari e cose del genere.
Sopra c’era solo il suo laboratorio dove effettuava le riparazioni collegato al piano terra, poi c’è una sorta di piccolo appartamentino collegato e adiacente con ingresso indipendente sul retro e che lui non utilizzava.
“Tu puoi stare qui” mi disse mostrando l’appartamento che era composto da una cucina abitabile, bagno e una camera da letto. A me andava più che bene anche perché non pagavo affitto o bollette, poi pian piano il fine settimana abbiamo fatto una serie di lavori rendendolo carino e confortevole.
Io gli davo una mano in negozio accogliendo i clienti visto così che lui poteva concentrarsi con più tranquillità sulle riparazioni. Il negozio va bene, l’incasso è buono anche se di certo Vincenzo non si è arricchito in questi anni. Mi ha fatto il contratto e mi beccavo mille euro al mese, non tanti ma lavoravo part-time sostanzialmente visto che mi ero iscritto anche all’università per prendere una laurea in scienze motorie.
Luisa - la moglie di Vincenzo - è un’insegnante in una scuola media e, a sua detta, dopo la laurea poteva darmi una mano per cercare di diventare professore di educazione fisica. Nel frattempo in una locale società sportiva ho ripreso ad allenarmi con il martello iniziando poi anche a lavorare come insegnante con i più piccoli.
Nel frattempo essendo stato rilasciato con un po’ di anticipo ero seguito dai servizi sociali, ma io intendevo solo rifarmi una nuova vita lontano da tutto quello schifo e dalla merda del mio passato. Solo una cosa era rimasto intatto: il mio sostanziale disprezzo verso le donne.
Uno dei primi giorni nella nuova città sentì un ragazzo che, credendosi non ascoltato, mi definì uno “scimmione”. Ero abituato agli sguardi delle persone, ma quelli degli uomini erano ben diversi da quelli delle donne.
Piaccio molto alle ragazze per il mio fisico innanzitutto - a detta loro ho un sedere perfetto -, per il mio viso dai lineamenti gentili, dal mio portamento visto che amo vestirmi con cura e da quell’alone di mistero che mi circonda, così gentile ma al tempo stesso misterioso nella mia poca loquacità .
Prima del carcere comunque non ho avuto molte esperienze sessuali degne di nota: autentiche navi scuola o ragazze del rione che negli scantinati spompinavano i guaglioni in fila, mentre a scuola ero molto più cercato tra le ragazze della Napoli bene che però a quell’età non andavano oltre la sega o il pompino.
C’è da dire che ho una nerchia molto grande, lunga credo sui 22-23 cm e molto larga, con una grande cappella sempre rivolta all’insù. Nel rione come si sparse la voce furono molte le ragazze, anche più grandi, che vollero provare la mazza color ebano, ma come vi dicevo erano tutte cose fugaci anche se piacevoli.
Se loro in me vedevano solo un cazzone, così come spesso anche i ragazzi e gli uomini, allora io per loro sarei sempre stato solo un toro da monta, però molto cattivo tanto che le partner le ho sempre trattate molto male.
Ci tengo a precisare però che non sono stati MAI e ripeto MAI violento, è una cosa che disgusto. In fondo sono anche onesto: non le illudo, ma dal punto di vista verbale e comportamentale sono molto cattivo.
Per il primo mese tutto tranquillo: cercavo di ambientarmi, di studiare e di imparare anche nel lavoro al negozio. Nel tempo libero oltre allo sport facevo lunghe passeggiate anche per conoscere la cittĂ , poi tante chiacchierate con Vincenzo che mi convinse anche a giocare in una squadra amatoriale di calcetto: io me la cavo grazie al fisico, lui entra in campo ogni tanto, gioca da fermo e la palla la mette dove vuole.
Quando capita insieme andiamo a vedere il Napoli insieme al suo figlio piĂą grande - adoro entrambi i nipotini - quando gioca in trasferta al Nord, oppure andiamo in un Napoli Club poco distante.
La mia vita però è cambiata un martedì all’ora di pranzo. Il negozio era chiuso e io ero rientrato dall’università , poi il pomeriggio sarei stato di turno. Mi sentii chiamare da sotto e quando scesi trovai Luisa, la moglie di Vincenzo, intenta a sistemare alcuni documenti.
Lei all’epoca aveva 35 anni e nel descriverla mi viene in mente solo un termine: una gran manza. Alta circa 1.75, castana con capelli mossi oltre le spalle, il viso è segnato da un mento un po’ pronunciato e dai primi segni dell’invecchiamento.
Di carnagione un po’ scura con occhi marroni e intensi, ha due belle tettone rifatte - una quarta piena credo - dopo che l’allattamento aveva sfiorito il suo bel seno abbondante. Da record però è il suo culone, grosso e morbido. Faceva molta palestra e attività fisica non tanto per migliorarsi, ma per non peggiorare: ogni volta che sgarrava subito quel chiletto di troppo le si notava.
Insomma una bella cavallona napoletana, con tante curve anche se scordatevi la tipa con la pancia piatta o le gambette. Io prima non la conoscevo bene, avevo solo dei ricordi, ma anche lui fu molto felice quando arrivai da loro.
Allora torniamo nel negozio, lei mi chiese le solite cose sull’università e poi se ho mangiato. Le dico che tutto andava bene e che avevo mangiato, allora lei mi chiede se poteva vedere una cosa in cucina. Andiamo e inizia a dire rivistando che mi avrebbe dato dell’olio buono, poi alcune verdure che le aveva dato una collega il tutto non lesinando qualche plastica posizione a pecora.
Io la ringrazio poi mi si avvicina, mi sorride e mettendomi una mano sul cazzo mi fa “sono molto felice che tu sia venuto a vivere qui, sono così sola…” e mentre cerca di baciarmi io mi scanzo, balbetto qualcosa poi prendendo le chiavi al volo le dico che ho dimenticato una cosa all’università e corro via chiedendole di chiudere lei.
Ero sconvolto, mi sarei scopato chiunque dopo tutta quell’astinenza ma lei proprio no, non che non mi piacesse anzi - ammetto di averle regalato prima un paio di belle seghe guardando le sue foto sui social - ma voglio troppo bene a mio cugino per fargli una cosa del genere.
Vagai un po’ sconvolto, poi all’orario dell’apertura tornai in negozio trovando Vincenzo dentro. Mi feci coraggio e gli raccontai subito dell’accaduto. Lui facendosi serio mi fece “Marco, meglio tu che un altro” e io “ma Viciè, è tua moglie non potrei mai…” e lui chiuse la porta del negozio.
Con aria quasi impassibile mi iniziò a raccontare: lui a Luisa di certo non la ama, ma lei lo tratta bene e gli ha dato due figli splendidi. Fin da ragazza sessualmente è stata inquieta, anche troppo, con il padre - persona benestante ma mooolto chiacchierata - che cercava qualcuno che se la pigliasse anche perché il suo comportamento iniziava a imbarazzarlo.
Vincenzo così colse la palla al balzo: io mi prendo la zoccola di tua figlia ma ti mi apri un negozio al Nord. Così la ragazza fu invitata a frequentare mio cugino, se ne andarono al Nord e poi si sposarono e fecero figli.
“Di corna me ne ha messe tantissime ma a me non frega nulla - mi fece -, con la nascita dei piccoli si è calmata molto ma adesso ha ricominciato. Si scopa un collega, un ragazzo della palestra e altri anche occasionalmente. Non è ninfomane, non è affetta da disordine, ma soltanto tanto ma tanto zoccola”.
Mi disse allora che lui sapeva che lei ci avrebbe provato con me, ne avevano parlato, con la mia reazione che lo portò ad abbracciarmi. “Marco, te lo dico veramente come piacere, se mi vuoi bene scopatela quanto vuoi ma cerca di farla abbandonare gli altri amanti, sei un ragazzone e dopo gli anni in carcere vorrai pure sfogarti…”.
Io ero abbastanza sconvolto da tutto questo “Viciè, ricordati che lo faccio solo perché me lo hai chiesto tu, tu per me sei un fratello, sei la persona più importante della mia vita e io ti sarò sempre grato per quello che hai fatto per me”.
Ci abbracciamo poi lui tornò a lavoro. La sera disse alla moglie che tutto era stato risolto, così il giorno dopo sempre alla stessa ora la trovai davanti la porta del mio appartamento tutta vestita in tiro “che fai, mi scacci via anche oggi??”.
Immaginate che voglia che avevo di scoparla, le saltai addosso per poi gettarla letteralmente di peso sul letto. Lei mi baciava con una foga incredibile e anche io ero preso a toccarla ovunque visto tutta quella bella roba da tastare.
Quando me lo tirò fuori fece “wooowww” ridendo “allora è vero quello che si dice sui cazzi neri” e iniziò un super pompino facendomi sborrare dopo neanche un minuto, ma capitemi era veramente tempo che non stavo con una donna.
Scopammo per un’ora, poi il giorno dopo, poi il giorno dopo ancora… In base al suo ciclo scopavamo almeno tre volte a settimana, con io meravigliato da quella tigre che senza battere ciglio si prendeva tutto il mio cazzone nel suo culone burroso senza battere ciglio, anzi urlandomi di andare più forte e di sfondarla.
Io solo con Luisa faccio condurre il gioco a lei, ogni volta e lei che mi scopa e io stranamente resto abbastanza silente. Dopo la prima volta andai da Vincenzo e gli feci “Viciè prima…” e lui mi interruppe subito “Marco so tutto, non parliamo mai di questo è una cosa che riguarda voi due”.
Poco dopo però fu mio cugino a iniziare a chiedermi dei rapporti con la moglie, mentre io all’università , ad atletica e in giro facevo nuove amicizie, conoscendo ragazzi e soprattutto ragazze con le quali di certo non mi comportavo come con Luisa. CONTINUA…