T3tsuo
"Level 0"
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- 32
Questo è un racconto assolutamente reale, solo il nome di lei (LEA) è di pura finzione. L'ho scelto solo perché è corto e di tre lettere.
Da tre anni faccio ripetizioni a una ragazza che studia in un istituto professionale.
È una brava ragazza, ma proprio non ce la fa. Ha serie carenze sia storia, in italiano e - non essendo io un professionista - sospetto anche un deficit dell'attenzione.
Passa la metà del tempo in cui non stiamo effettivamente facendo qualcosa al cellulare, manda messaggi, audio e ogni tanto, mentre sto leggendo una consegna o un tema, parte persino la fastidiosissima carrellata di canzoni di merda di TikTok.
La ragazza, però, non è minimamente la protoganostia di questo racconto.
Sua madre, da qui in poi Lea, è una donna piuttosto giovane - sospetto tra i 43 e i 45, una bella donna, piuttosto in carne. Ha un interesse spasmodico per i voti della figlia e decisamente soffre del complesso di non aver studiato e di essere una casalinga. Il primo anno di ripetizioni non mi è mai capitato di rimanere da solo con lei e - onestamente - non avevo nessuna intenzione di farlo, non l'ho mai cercato.
Durante il secondo anno, però - complice l'età più matura della figlia - la ragazzina sgommava spesso fuori casa dopo le ripetizioni lasciandomi con la madre e prendere un caffè e la pecunia. Fu in una di queste occasioni che iniziò questa storia.
Era un pomeriggio di maggio, la scuola agli sgoccioli. Fuori tuonava, ma c'era un'afa da Giacarta. Lea voleva offrirmi un caffè, ma complice il caldo, le chiesi una bevanda fredda e subito mi accontentò posando sul tavolo del salotto due grossi bicchieri di tè freddo al limone. Cominciammo a parlare della figlia. Indossava una tshirt azzurrina e dei pantaloni da yoga camouflage sempre sulle tonalità blu/azzurro/bianco. Ai piedi infrandito.
Prima di continuare, ve la descrivo fisicamente: alta un metro e sessanta a farle un favore, dei seni che saranno una quinta, grosse chiappe che - quando indossa gli yogapants - lasciano intravedere i buchini della cellulite, viso giocoso e dolce, capello riccio biondo (tinto) e mani e piedi sempre curati.
Furono proprio i piedi a catturare la mia attenzione. Erano sicuramente la cosa più eccitante che il suo outfit lasciava scoperto, belli per forma e cura e aveva uno smato blu decorato con dei fiorellini bianchi.
Me ne accorsi perché lei si era seduta vicino a me con la scusa di parlarmi a bassa voce di alcune cose private della figlia e più si avvicinava più notavo dettagli prima sconosciuti: le efelidi sulla scollatura e sul suo viso già parzialmente abbronzato, le rughe sulle falangi, le dita affusolate, il profumo dolce da ragazzina. Senza nemmeno accorgemene, la stavo baciando.
Allungai una mano per tastarle il seno, ma lei mi fermò dicendo testuali parole:
"Sono una donna sposata."
Dopo altri dieci minuti di limone duro da liceali, provai nuovamente a metterle una mano sul seno, mentre col ginocchio spingevo sulla figa custodita nei pantaloni. Ma nulla, la risposta fu la medesima. Ad un certo punto, si fermò, guardò l'orologio. Io provai a ribaciarla, ma lei mi fece no col dito e indicò nuovamente l'orologio.
Essendo io un mezzo poeta, le dissi: "Ma non posso andare in giro con questo."
E mi sgrullai il pene che spingeva per uscire dai jeans neri come una fan di Mengoni davanti alle transenne del backstage dell'Eurovision.
Mi condusse quindi in bagno, non si lasciò toccare, tirò fuori il mio bene e mi masturbò - per la verità per pochissimi secondi, data l'eccitazione - fino a farmi venire copiosamente nel lavandino. E come se niente fosse, mi cacciò di casa.
Se vi piace, presto continuerò.
Da tre anni faccio ripetizioni a una ragazza che studia in un istituto professionale.
È una brava ragazza, ma proprio non ce la fa. Ha serie carenze sia storia, in italiano e - non essendo io un professionista - sospetto anche un deficit dell'attenzione.
Passa la metà del tempo in cui non stiamo effettivamente facendo qualcosa al cellulare, manda messaggi, audio e ogni tanto, mentre sto leggendo una consegna o un tema, parte persino la fastidiosissima carrellata di canzoni di merda di TikTok.
La ragazza, però, non è minimamente la protoganostia di questo racconto.
Sua madre, da qui in poi Lea, è una donna piuttosto giovane - sospetto tra i 43 e i 45, una bella donna, piuttosto in carne. Ha un interesse spasmodico per i voti della figlia e decisamente soffre del complesso di non aver studiato e di essere una casalinga. Il primo anno di ripetizioni non mi è mai capitato di rimanere da solo con lei e - onestamente - non avevo nessuna intenzione di farlo, non l'ho mai cercato.
Durante il secondo anno, però - complice l'età più matura della figlia - la ragazzina sgommava spesso fuori casa dopo le ripetizioni lasciandomi con la madre e prendere un caffè e la pecunia. Fu in una di queste occasioni che iniziò questa storia.
Era un pomeriggio di maggio, la scuola agli sgoccioli. Fuori tuonava, ma c'era un'afa da Giacarta. Lea voleva offrirmi un caffè, ma complice il caldo, le chiesi una bevanda fredda e subito mi accontentò posando sul tavolo del salotto due grossi bicchieri di tè freddo al limone. Cominciammo a parlare della figlia. Indossava una tshirt azzurrina e dei pantaloni da yoga camouflage sempre sulle tonalità blu/azzurro/bianco. Ai piedi infrandito.
Prima di continuare, ve la descrivo fisicamente: alta un metro e sessanta a farle un favore, dei seni che saranno una quinta, grosse chiappe che - quando indossa gli yogapants - lasciano intravedere i buchini della cellulite, viso giocoso e dolce, capello riccio biondo (tinto) e mani e piedi sempre curati.
Furono proprio i piedi a catturare la mia attenzione. Erano sicuramente la cosa più eccitante che il suo outfit lasciava scoperto, belli per forma e cura e aveva uno smato blu decorato con dei fiorellini bianchi.
Me ne accorsi perché lei si era seduta vicino a me con la scusa di parlarmi a bassa voce di alcune cose private della figlia e più si avvicinava più notavo dettagli prima sconosciuti: le efelidi sulla scollatura e sul suo viso già parzialmente abbronzato, le rughe sulle falangi, le dita affusolate, il profumo dolce da ragazzina. Senza nemmeno accorgemene, la stavo baciando.
Allungai una mano per tastarle il seno, ma lei mi fermò dicendo testuali parole:
"Sono una donna sposata."
Dopo altri dieci minuti di limone duro da liceali, provai nuovamente a metterle una mano sul seno, mentre col ginocchio spingevo sulla figa custodita nei pantaloni. Ma nulla, la risposta fu la medesima. Ad un certo punto, si fermò, guardò l'orologio. Io provai a ribaciarla, ma lei mi fece no col dito e indicò nuovamente l'orologio.
Essendo io un mezzo poeta, le dissi: "Ma non posso andare in giro con questo."
E mi sgrullai il pene che spingeva per uscire dai jeans neri come una fan di Mengoni davanti alle transenne del backstage dell'Eurovision.
Mi condusse quindi in bagno, non si lasciò toccare, tirò fuori il mio bene e mi masturbò - per la verità per pochissimi secondi, data l'eccitazione - fino a farmi venire copiosamente nel lavandino. E come se niente fosse, mi cacciò di casa.
Se vi piace, presto continuerò.