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oh, Alessia...
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Messaggio
<blockquote data-quote="metzenbaum" data-source="post: 20419247" data-attributes="member: 587653"><p>Ero finalmente pronto per prenderla ma...</p><p></p><p>“No…” mugolò improvvisamente, “non farlo…”, e si tirò su con la schiena.</p><p></p><p>Sembrava quasi che stesse per piangere.</p><p></p><p>A quel punto esitai, mi separai da lei e per entrambi quello fu il segnale che, ancora una volta, la magia era finita.</p><p></p><p>Traumaticamente, cazzo.</p><p></p><p>Rimisi via l’affare ed evitai di guardarla mentre si tirava su tutto e riallacciava bottoni e cintura, e senza dire nulla né farmi un cenno o uno sguardo Alessia spostò la sedia che bloccava la porta e se ne andò lasciandomi solo nella sala riunioni.</p><p></p><p>“Ma porca puttana…” sussurrai, con un misto di incredulità , di frustrazione ma anche di sana incazzatura.</p><p></p><p>Non potevo di certo lamentarmi, in poche ore avevo colmato il gap di quasi dieci anni di… desideri infilandole il naso nelle chiappe, ma bloccarmi così faceva male!</p><p></p><p>Mi aveva permesso di aprirle le chiappe e di leccarla dappertutto preparandola per bene, e quando ero finalmente arrivato a cogliere i frutti del mio lavoro mi pregava di non farlo e scappava via!</p><p></p><p>Purtroppo quello era un periodo piuttosto arido per me e non avevo di certo la coda di donne che mi cercavano, e per quello Alessia era un grandissimo… colpo, a prescindere dagli anni di amicizia “sterile”: non mi ero certo messo in mente di distruggere il suo matrimonio, magari solo di movimentarlo un po', e oltre tutto era stata proprio lei a lanciarmi segnali ben chiari…</p><p></p><p>Mi accingevo a togliere il blocco dalla porta principale e sistemare le sedie cercando anche di cancellare ogni residuo di intrusione non autorizzata dalla sala quando Alessia si affacciò alla porta.</p><p></p><p>“Posso… parlarti?” mi chiese, mogia, con le braccia strette al petto come se volesse auto proteggersi.</p><p></p><p>Guardava in direzione del tavolo dove avevamo consumato con un misto di schifo e di paura.</p><p></p><p>Ahi, brutto segno…</p><p></p><p>“Ho bisogno di andare a casa” mi disse, e quando provai a dire qualcosa mi fermò con un gesto della mano.</p><p></p><p>“P-per favore” continuò, “ho… ho solo bisogno di andare via da qui…”</p><p></p><p>Inspirai profondamente e annuii, per me non c’erano problemi, l’avrei sostituita nei suoi compiti o comunque non era quello il problema principale al momento.</p><p></p><p>“Sì, ma certo” le risposi premurosamente, “vai pure, tranquilla…”</p><p></p><p>Annuì e mi rivolse un sorriso sbiadito, mormorò una specie di “grazie” e poi si voltò lasciandomi vedere (credevo proprio per l’ultima volta) il suo gran bel culone prima sparire.</p><p></p><p>Imprecai in tutte le lingue del mondo, ma non per l’occasione persa: avevo paura di averla fatta grossa, di non essere riuscito a fermarmi quando avrei dovuto farlo e soprattutto aver ceduto alla lussuria invece di… fare da freno per salvaguardarla.</p><p></p><p>E che palle… ma chi mi ero messo in mente di essere? Robin Hood?</p><p></p><p>Mi sedetti pesantemente sulla poltrona, scostai la tastiera che quasi cadde a terra, allungai le gambe arretrando con la schiena e mettendo le mani dietro alla testa chiusi gli occhi cercando di regolarizzare il respiro e tutto il resto.</p><p></p><p>“Merda…” sussurrai, e la mente vagò libera sondando scenari fino al giorno prima impensabili, con Alessia che non mi voleva più nemmeno vedere e magari Marco, suo marito, che mi faceva l’improvvisata…</p><p></p><p>Dovevo assolutamente risolvere quella cosa, a costo di essere invadente nella sua intimità (come se non l’avessi già fatto abbastanza): del resto era stata lei a… proporsi, a farsi avanti e rompere quel diaframma che separava l’amicizia da quel “qualcosa di più”. Perché mai avrei dovuto preoccuparmi?</p><p></p><p>Perché sono uno stronzo, ecco il perché… mi ero quasi scopato la collega e stavo lì a piagnucolare.</p><p></p><p>Cercai di buttarmi nel lavoro ma ogni altro stronzo che entrava in ufficio e cercava di lei mi faceva venire ancora di più la voglia di contattarla e parlarci, guardavo il telefono appoggiato sulla scrivania e non volevo fare altro che chiamarla e parlarci, ma non era semplice.</p><p></p><p>Non so come e in che modo ma arrivò l’ora di chiudere la baracca, sistemai quelle tre cose che dovevo regolare prima andare e poi levai le tende, mestamente, e con qualcosa sullo stomaco.</p><p></p><p>Ci avevo pensato tanto, non era di certo la prima volta che intrattenevo una relazione clandestina (si dice ancora così?), era stato prima di essere sposato (io) con una donna che invece sposata lo era ma ero molto più giovane e spregiudicato e anche per questo tutto era finito burrascosamente con la classica formula “uno di qua e uno di là ”, Alessia invece la conoscevo da anni e ci dovevo anche lavorare insieme: come avevo potuto essere più coglione di così?</p><p></p><p>Ero andato al suo matrimonio, avevo condiviso con lei gioie e dolori, la sua gravidanza un po’ travagliata e la nascita della figlia, la promozione sul lavoro, tante cose che ci avevano legato.</p><p></p><p>Cercavo di addossarmi la maggior parte della colpa ma al tempo stesso di auto assolvermi, del resto la mia nonna diceva sempre che una noce sola in un sacco non fa rumore… ma che ne sapeva mia nonna di quello che mi sentivo dentro?</p><p></p><p>Una bella birra, ecco che cosa ci voleva, magari anche più di una, ma… ero in moto, e con la sfiga che avevo ultimamente alla prima occasione mi fermava la stradale e mi portava via anche la patente!</p><p></p><p>Immerso in mille pensieri arrivai alla belva, la mia fedele GS 1250, e bastò avviarla per sentire l’energia tornare a scorrermi nelle vene.</p><p></p><p>Feci un giro diverso dal solito, sempre con il chiodo fisso nella testa, passai anche sotto casa sua e poi, dopo non so quanti chilometri fatti a girare attorno e a vuoto, tornai a casa.</p><p></p><p>Aprii il cancello con il telecomando e scesi di sotto, misi la mia bella nel box e poi rifeci la strada a ritroso, stavolta a piedi, controllai la buca delle lettere e quando misi la chiave nella serratura del portoncino di ingresso…</p><p></p><p>“Enrico?”</p><p></p><p>Mi bloccai, paralizzato.</p><p></p><p>“Enrico…” ripeté la sua voce.</p><p></p><p>Mi voltai di scatto e la trovai lì, tuta, borsone della palestra appoggiato a terra e chiavi dell’auto in mano (le conoscevo perché il portachiavi era il mio, che mi aveva portato via vincendo con una scommessa qualche mese prima).</p><p></p><p>“Ale…” le risposi, “c-che ci fai qui?” chiesi esitando.</p><p></p><p>Non nego che mi guardai attorno per vedere se c’era anche Marco, che era anche più grosso di me.</p><p></p><p>Non rispose subito, si avvicinò con lo stesso sorriso con il quale mi aveva salutato poco prima e poi chinò la testa.</p><p></p><p>“Dovevo… parlarti” mi disse, trovando finalmente il coraggio di guardarmi negli occhi.</p><p></p><p>Per una frazione di secondo, solo una, davvero, le sbirciai le tettone che premevano per uscire dalla scollatura della felpa: poi mi concentrai solo dal suo naso in su, da bravo ragazzo.</p><p></p><p>“S-sì, certo…” le risposi goffamente, “ma… vuoi salire o… preferisci…”</p><p></p><p>Annuì.</p><p></p><p>“Saliamo?” le chiesi, senza aver capito, e lei annuì ancora.</p><p></p><p>Prese il suo borsone e la cavalleria mi impose di chiederle se glielo potevo portare io, visto che sembrava pesante, e Alessia un po' sorprendentemente acconsentì, così nel cercare di prendere le maniglie le sfiorai la mano.</p><p></p><p>Salimmo le scale in silenzio, io davanti e lei dietro (sennò le avrei guardato di sicuro il culo!), arrivammo al mio pianerottolo e aprii la porta lasciandola entrare per prima, accesi luce, climatizzatore e la feci accomodare sul divano: non era la prima volta che veniva a casa mia, l’ultima era stata a primavera, quando avevo invitato lei e altri colleghi per un aperitivo in terrazza, ma mai era venuta da sola.</p><p></p><p>“Bevi qualcosa?” le chiesi, gesto di circostanza e di cortesia alla quale solitamente l’ospite risponde “no grazie”, Alessia invece rispose “Sì, grazie”, prendendomi in contropiede (non avevo granché in frigo).</p><p></p><p>“Cosa ti posso offrire?” le chiesi (e mi sentii un po' come quello della pubblicità che alla fine, nudo, dice “succhino?”).</p><p></p><p>“Acqua, grazie” rispose, “non fredda se ce l’hai” (ovvio, era andata a fare l’ecografia perché aveva sempre mal di pancia e non poteva più bere cose fredde, ero dentro con lei quando il medico gliel’aveva consigliato).</p><p></p><p>Tornai con una bottiglietta calda per lei e fredda per me, esitai e poi mi sedetti sulla poltrona non accanto a lei ma di fronte a lei.</p><p></p><p>Aprì la bottiglia, ne bevve un paio di sorsi e poi la posò sul tavolino tra di noi, inspirò profondamente e incrociando lo sguardo con il mio trovò il modo di sorridere, e questo cambiò molto il clima.</p><p></p><p>“Sei… andata in palestra?” le chiesi, solo per spezzare il ghiaccio, era ovvio, non girava con il borsone Adidas e la tuta se voleva andare al supermercato… idiota!</p><p></p><p>Annuì, bevve un altro sorso e poi posò di nuovo la bottiglia che quasi le cadde ma che fu veloce a prendere e mettere in sicurezza.</p><p></p><p>“Però… però prima dovevo parlarti” mi disse, recuperando il tono di voce… giusto.</p><p></p><p>“Ok, certo” risposi, conciliante.</p><p></p><p>Annuì, si guardò attorno e poi… sorrise.</p><p></p><p>“Sono… stata…” provò a dire ma non si decise.</p><p></p><p>Ero pronto ad intervenire, ma mi fermai perché era meglio aspettare.</p><p></p><p>“Stronza? Troia? Una maledetta che me la fa vedere e poi la nasconde?” pensai.</p><p></p><p>“…sono stata una stupida” si risolse a dire, finalmente, “ho fatto delle cose che poi volevo… non volevo più…”</p><p></p><p>La lasciai parlare, pendendo un po' dalle sue labbra ma Alessia si bloccò, scosse la testa e sorrise.</p><p></p><p>“Io…” provai a dire, ma mi fermò.</p><p></p><p>“Senti” mi chiese, “posso… posso andare a fare la pipì?”</p><p></p><p>Trasalii.</p><p></p><p>Raramente la sentivo dire “pipì”, quando eravamo in ufficio diceva “pit stop” o “pausa servizi” ma “pipì” mai.</p><p></p><p>“C-certo” risposi alzandomi in piedi dopo che si fu alzata anche lei, “sai dov’è, giusto? Vuoi che…” aggiunsi ancora goffamente ma opportunamente mi bloccai, e lei annuì avviandosi verso la porta.</p><p></p><p>“Stronzo…” sussurrai dopo che ebbe chiuso la porta, “idiota…” aggiunsi e approfittando di quella pausa misi via la borsa del portatile, il telefono e le chiavi della moto e mentre cercavo di rimettere a posto una delle chiavi che stava uscendo dall’anello sentii la porta del bagno aprirsi.</p><p></p><p>“Strano” pensai, “è stata veloc…”</p><p></p><p>Ma i pensieri mi si bloccarono a metà strada.</p><p></p><p>Alessia uscì dal bagno completamente nuda, sorridente, con le tettone da urlo spinte in avanti e la camminata sicura, decisa: mi raggiunse, si mise in posa davanti a me e si lasciò ammirare, facendo anche una piroetta e un mezzo inchino in un ballare unico di tette.</p><p></p><p>Non sapevo né che dire né che fare, ma per fortuna lo sapeva lei.</p><p></p><p>Si sedette pesantemente sulla mia poltrona, sorridendo sorniona con un dito sul labbro inferiore, mise i piedi sul cuscino e aprì le cosce facendomi vedere la figa che si dischiuse usando due dita a forbice, mi fece l’occhiolino e si passò la lingua sul labbro superiore.</p><p></p><p>“Vieni qui…” mi sussurrò roca, “vieni a leccarmi tutta…”</p><p></p><p>Nelle orecchie sentii suonare le trombe del coro trionfale dell’Aida di Verdi.</p><p></p><p>“Vieni…” continuò aprendosela ancora meglio con tutte e due le mani, “voglio che me la lecchi e che mi fai venire, voglio che finiamo quello che abbiamo cominciato…”</p><p></p><p>Ero in apnea.</p><p></p><p>Si mise un dito proprio sotto e se lo “pucciò” dentro portandoselo poi alle labbra per succhiarlo, e per provocarmi ulteriormente me lo fece vedere roteando il polso e poi piegandolo ripetutamente mi incitò a raggiungerla.</p><p></p><p>“Guarda…” mugolò sollevando ancora di più il bacino per farmi vedere quello che c’era sotto, “guarda qui… ti piace? Vuoi giocarci un po’?”</p><p></p><p>Mi mostrò il buco del culo aperto, penetrandoselo leggermente con un dito ed esibendomelo come se fosse la cosa più succulenta di questo mondo (lo è, infatti), poi mollò tutto e sempre tenendo le gambe aperte e sollevate si prese entrambe le tettone e cominciò ad accarezzarle voluttuosamente, senza staccare gli occhi dai miei mentre lo faceva.</p><p></p><p>Una sola donna si era “atteggiata” in quel modo con me, tanti anni prima, ed era una donna diametralmente opposta ad Alessia, sia dal punto di vista… sociale che da quello caratteriale.</p><p></p><p>Mi bastò un secondo per cedere (quelli che dicono che noi uomini ragioniamo con l’uccello non hanno ragione, sono dei dannatissimi guru) mi tolsi la camicia e la raggiunsi mettendomi nuovamente in ginocchio da lei, stavolta davanti, tra le sue cosce aperte.</p><p></p><p>Non riuscivo a capire se Alessia stesse recitando o se fosse davvero bipolare, ma a quel punto… che me ne importava più?</p><p></p><p>Le aprii le cosciotte per farmi spazio e dopo averle dato una “fiutata” (non era proprio fresca di bucato, diciamo così) la aggredii con la lingua passandogliela proprio dentro, dritto per dritto, e facendole fare un salto.</p><p></p><p>Aveva il grilletto così sensibile che lo vedevo gonfio e arrossato, e mi sorpresi a pensare che da quel lato era la prima volta che la vedevo…</p><p></p><p>Evitai di lavorarci sopra per non farla scappare via così mi dedicai a leccarla dentro, dentro dentro, succhiandole fuori ogni aroma e ogni umore: ad ogni passata reagiva contraendo tutti i muscoli pelvici buchetto compreso, ed emetteva un “ah” sommesso accompagnato da un sobbalzo del bacino che di riflesso faceva sobbalzare anche me.</p><p></p><p>Troppo bello…</p><p></p><p>Leccai a profusione, cosce, chiappe, gambe, pancia, pelo, ombelico, e poi ancora gambe, chiappe e figa, tutto quanto insieme, tutto quanto mescolato, lasciando fuori solo il buco del culo, quello lo volevo tenere per ultimo…</p><p></p><p>Quando alla fine glielo aprii con le dita Alessia sollevò ancora di più il bacino per lasciarmi lavorare meglio, e quando ce l’ebbi proprio davanti, pronto, senza alcuno ostacolo… diedi il meglio di me.</p><p></p><p>A confronto dell’interno della vagina aveva un sapore paradisiaco, sembrava quasi dolce.</p><p></p><p>Lo leccai da fuori e poi dentro, Alessia si era ormai abbandonata sulla poltrona e aveva appoggiato le cosce sulle mie spalle perché si era stancata, chi non si stancava ero io.</p><p></p><p>Ci diedi dentro da maledetto, mi faceva male il collo, le ginocchia, le spalle, il collo, la mandibola e anche la lingua, ma non cedevo: Alessia mugolava, gemeva quando le succhiavo il grilletto, sussultava quando aumentavo la frequenza delle leccate, e non mi chiese mai di smettere.</p><p></p><p>Dovetti fermarmi per un istante, il collo era piegato da troppo in una posizione innaturale e faceva male, e approfittando di quella pausa Alessia tolse le gambe dalle mie spalle e con estrema naturalezza andò a piazzarsi in ginocchio sulla poltrona, sporgendomi il meraviglioso culone proprio davanti alla faccia.</p><p></p><p>“Ti piacciono le mie chiappe?” mi chiese accarezzandosele e allargandosele mentre mi guardava da sopra la spalla, “Eh? Ti piacciono?”</p><p></p><p>Sembrava invasata.</p><p></p><p>Era completamente fradicia di saliva e di umori, tutti mescolati insieme come un blended di whisky ma ancora più aromatici, roba che le incollava i peli addosso.</p><p></p><p>Non riuscii a resistere molto davanti a quella visione onirica, “al diavolo il collo” pensai, e di nuovo mi tuffai su quel fiero pasto che mi tenne occupato ancora per interminabili minuti fatti di leccatone senza controllo inframezzate a pause di riflessione e altre leccate più ragionate, molte fatte passando dalla pancia a mezza schiena transitando per la figa ormai slabbrata e il buco del culo grinzoso e stretto, portando la mia amica a livelli che sicuramente non aveva mai raggiunto prima.</p><p></p><p>Ormai ero intriso del suo aroma e dei suoi umori, non ne potevo più fare a meno.</p><p></p><p>Mi sedetti sui talloni per rilassare la muscolatura della schiena e ancora una volta Alessia ne approfittò per cambiare posizione, stavolta raggomitolandosi sulla poltrona, ansimante e sfatta, con gli occhi quasi socchiusi e le guance arrossate.</p><p></p><p>Incrociammo lo sguardo, per un istante mi sembrò di vedere un’espressione del tipo “oddio, cosa sto facendo!” ma non era così, per fortuna, era solo… sfatta.</p><p></p><p>“Non ce la faccio a continuare” mugolò, “non mi tengono su le gambe…” aggiunse quasi ridacchiando.</p><p></p><p>E che cosa può fare un gentiluomo che ha appena passato l’ultimo quarto d’ora a leccare figa e buco del culo alla donna che desidera da anni?</p><p></p><p>Cosa può mai volere quel gentiluomo se non affondare il cazzo lì dove ha appena messo la lingua?</p><p></p><p>Certo, si trattava di convincere la proprietaria della vagina… cosa tutt’altro che scontata, per la verità .</p><p></p><p>Ma a volte… le circostanze della vita ti fanno capire che ti preoccupi troppo, perché se deve andare bene ti va bene a prescindere da quello che fai o non fai, anche se è vero pure il contrario (un amico romano diceva sempre che “quando è ora di pigliarlo nel culo, il vento di solleva la camicia”), ma in quel glorioso diciotto di giugno duemila e diciannove non ci fu un solo alito di vento.</p><p></p><p>Alessia allungò le braccia verso di me e con voce calda e appassionata mi sussurrò “portami a letto”.</p><p></p><p>La presi in braccio scoprendo che era non era proprio leggera ed evitando di sbatacchiarla di qua e di là tra porte e corridoio stretto arrivai al letto, dove l’adagiai delicatamente facendola poi rotolare e finire a pancia in giù, con il suo culone che svettava giunonico.</p><p></p><p>Mi liberai di tutto il superfluo restando nudo come lei, e distendendomi mi misi proprio accanto a lei, accarezzandole schiena, collo e spalle strappandole dei mugolii sommessi.</p><p></p><p>La fase uno era completata, le avevo consumato figa e buco del culo a forza di leccarli, ora… per la legge della compensazione sul sesso… Alessia doveva ricambiare (anche perché avevo il cazzo che esplodeva!).</p><p></p><p>Ma qualcosa mi diceva che non sarebbe accaduto. Era cominciato tutto così stranamente che altrettanto stranamente doveva finire.</p><p></p><p>Beh, mi sbagliavo.</p><p></p><p>Alessia rotolò e si mise in ginocchio, mi spinse giù facendomi distendere e senza mezze misure mi prese il cazzo tenendolo ben dritto nel pugno, lo scappellò lentamente e altrettanto lentamente si chinò con la bocca aperta senza interrompere il contatto visivo, ma quando le sue labbra si chiusero sulla cappella fui costretto ad interromperlo perché chiusi gli occhi sopraffatto dal piacere.</p><p></p><p>Sentii le sue labbra scendere lungo il fusto e poi risalire, stringere e succhiare usando anche la lingua che mi tintinnava la cappella ultra sensibile, giocò anche con le mie palle trastullandole nelle dita della mano sinistra mentre con la destra scappellava a ritmo delle pompate di labbra, lentamente, come un’agonia senza fine, ma finalmente lasciò da parte i formalismi e si mise a fare davvero, un vero pompino, con su e giù frenetico di labbra e capelli sciolti che mi facevano solletico sulla pancia e sulle cosce e che Alessia continuava a tirare indietro o di lato.</p><p></p><p>“Sì, così, sei bravissima, sei fantastica…” le sussurravo e lei rispondeva provocante e sensuale gemendo “Ah sì? Ti piace?” in un gioco di seduzione e passione che però si interruppe bruscamente.</p><p></p><p>Riaprii gli occhi e la vidi tirarsi sul “gattonare” fino a mettersi a cavalcioni su di me: capii ovviamente quello che stava succedendo, non riuscii nemmeno a dire “ah” che Alessia si era messa proprio sopra, e si stava guidando il cazzo tra le cosce, dove lo desiderava.</p><p></p><p>Si morsicava il labbro inferiore ed era una visione assurda, sudata, con ciocche di capelli incollate alla fronte, due goccioline ai lati delle orecchie che scendevano verso il collo e il petto e le tettone tutte piene di micro goccioline di sudore che “condensavano” e si convogliavano in un piccolo rivoletto proprio tra le bombe che penzolavano sul petto: si aggiustò la vagina con le dita, ci incollò sopra la cappella e poi lentamente e inesorabilmente scese, penetrandosi, mentre sul suo viso vedevo un’espressione estatica, con gli occhi che erano diventati due fessure e le labbra si erano socchiuse mostrando i denti bianchissimi e perfetti.</p><p></p><p>Solo il tempo di contare fino a due ed ero tutto dentro, fino alle palle: avevo inarcato la schiena che ancora mi faceva male e lo stesso aveva fatto lei, ma passato quel primo momento di estremo piacere legato al nostro primo, vero contatto sessuale, Alessia si chinò su di me facendomi penzolare le tettone sulla faccia e cominciò a muoversi con il bacino, auto scopandosi saltellando leggermente su e giù facendo fare cic ciac alle nostre cosce.</p><p></p><p>Non potevo solo restare sempre… passivo: allungai le mani e feci per afferrarle le tette, Alessia prima sembrò fuggire quel contatto ma poi me le porse avvicinandosi e allora… toccai l’apoteosi.</p><p></p><p>Alessia, la mia tanto desiderata collega di ufficio, con il suo bel culone e le tettone nude solo per me mi stava cavalcando, ed io la palpavo dappertutto, riempiendomi le mani di carne bollente, strizzandogliele, pizzicandole e tirandole i capezzoli strappandole dei piccoli gemiti di piacere.</p><p></p><p>Le misi le mani sul culone strizzandole anche quello e aiutandola a saltellare, le toccai il buco del culo riuscendo quasi a metterci dentro un dito prima di fermarmi ed evitare di rovinare tutto, quando all’improvviso Alessia si fermò.</p><p></p><p>E mi guardò come un gatto guarda il canarino prima di papparselo…</p><p></p><p>“Voglio fare un’altra cosa…” mugolò, si tirò su e se lo sfilò da dentro, si alzò in piedi sul letto e calando sulla mia faccia con le cosce aperte appoggiò le ginocchia sul materasso e poi si distese verso le mie gambe, afferrandomi il cazzo e portandoselo immediatamente in bocca.</p><p></p><p>Stavo facendo un sessantanove con Alessia…</p><p></p><p>“Posso morire felice, ora” mi dissi, e aprendole il culo ricomincia per l’ennesima volta a leccarla a più non posso mentre la sua bocca faceva su e giù lungo il mio cazzo che ormai non poteva più reggere a lungo.</p><p></p><p></p><p>Il resto… alla prossima.</p></blockquote><p></p>
[QUOTE="metzenbaum, post: 20419247, member: 587653"] Ero finalmente pronto per prenderla ma... “No…” mugolò improvvisamente, “non farlo…”, e si tirò su con la schiena. Sembrava quasi che stesse per piangere. A quel punto esitai, mi separai da lei e per entrambi quello fu il segnale che, ancora una volta, la magia era finita. Traumaticamente, cazzo. Rimisi via l’affare ed evitai di guardarla mentre si tirava su tutto e riallacciava bottoni e cintura, e senza dire nulla né farmi un cenno o uno sguardo Alessia spostò la sedia che bloccava la porta e se ne andò lasciandomi solo nella sala riunioni. “Ma porca puttana…” sussurrai, con un misto di incredulità , di frustrazione ma anche di sana incazzatura. Non potevo di certo lamentarmi, in poche ore avevo colmato il gap di quasi dieci anni di… desideri infilandole il naso nelle chiappe, ma bloccarmi così faceva male! Mi aveva permesso di aprirle le chiappe e di leccarla dappertutto preparandola per bene, e quando ero finalmente arrivato a cogliere i frutti del mio lavoro mi pregava di non farlo e scappava via! Purtroppo quello era un periodo piuttosto arido per me e non avevo di certo la coda di donne che mi cercavano, e per quello Alessia era un grandissimo… colpo, a prescindere dagli anni di amicizia “sterile”: non mi ero certo messo in mente di distruggere il suo matrimonio, magari solo di movimentarlo un po', e oltre tutto era stata proprio lei a lanciarmi segnali ben chiari… Mi accingevo a togliere il blocco dalla porta principale e sistemare le sedie cercando anche di cancellare ogni residuo di intrusione non autorizzata dalla sala quando Alessia si affacciò alla porta. “Posso… parlarti?” mi chiese, mogia, con le braccia strette al petto come se volesse auto proteggersi. Guardava in direzione del tavolo dove avevamo consumato con un misto di schifo e di paura. Ahi, brutto segno… “Ho bisogno di andare a casa” mi disse, e quando provai a dire qualcosa mi fermò con un gesto della mano. “P-per favore” continuò, “ho… ho solo bisogno di andare via da qui…” Inspirai profondamente e annuii, per me non c’erano problemi, l’avrei sostituita nei suoi compiti o comunque non era quello il problema principale al momento. “Sì, ma certo” le risposi premurosamente, “vai pure, tranquilla…” Annuì e mi rivolse un sorriso sbiadito, mormorò una specie di “grazie” e poi si voltò lasciandomi vedere (credevo proprio per l’ultima volta) il suo gran bel culone prima sparire. Imprecai in tutte le lingue del mondo, ma non per l’occasione persa: avevo paura di averla fatta grossa, di non essere riuscito a fermarmi quando avrei dovuto farlo e soprattutto aver ceduto alla lussuria invece di… fare da freno per salvaguardarla. E che palle… ma chi mi ero messo in mente di essere? Robin Hood? Mi sedetti pesantemente sulla poltrona, scostai la tastiera che quasi cadde a terra, allungai le gambe arretrando con la schiena e mettendo le mani dietro alla testa chiusi gli occhi cercando di regolarizzare il respiro e tutto il resto. “Merda…” sussurrai, e la mente vagò libera sondando scenari fino al giorno prima impensabili, con Alessia che non mi voleva più nemmeno vedere e magari Marco, suo marito, che mi faceva l’improvvisata… Dovevo assolutamente risolvere quella cosa, a costo di essere invadente nella sua intimità (come se non l’avessi già fatto abbastanza): del resto era stata lei a… proporsi, a farsi avanti e rompere quel diaframma che separava l’amicizia da quel “qualcosa di più”. Perché mai avrei dovuto preoccuparmi? Perché sono uno stronzo, ecco il perché… mi ero quasi scopato la collega e stavo lì a piagnucolare. Cercai di buttarmi nel lavoro ma ogni altro stronzo che entrava in ufficio e cercava di lei mi faceva venire ancora di più la voglia di contattarla e parlarci, guardavo il telefono appoggiato sulla scrivania e non volevo fare altro che chiamarla e parlarci, ma non era semplice. Non so come e in che modo ma arrivò l’ora di chiudere la baracca, sistemai quelle tre cose che dovevo regolare prima andare e poi levai le tende, mestamente, e con qualcosa sullo stomaco. Ci avevo pensato tanto, non era di certo la prima volta che intrattenevo una relazione clandestina (si dice ancora così?), era stato prima di essere sposato (io) con una donna che invece sposata lo era ma ero molto più giovane e spregiudicato e anche per questo tutto era finito burrascosamente con la classica formula “uno di qua e uno di là ”, Alessia invece la conoscevo da anni e ci dovevo anche lavorare insieme: come avevo potuto essere più coglione di così? Ero andato al suo matrimonio, avevo condiviso con lei gioie e dolori, la sua gravidanza un po’ travagliata e la nascita della figlia, la promozione sul lavoro, tante cose che ci avevano legato. Cercavo di addossarmi la maggior parte della colpa ma al tempo stesso di auto assolvermi, del resto la mia nonna diceva sempre che una noce sola in un sacco non fa rumore… ma che ne sapeva mia nonna di quello che mi sentivo dentro? Una bella birra, ecco che cosa ci voleva, magari anche più di una, ma… ero in moto, e con la sfiga che avevo ultimamente alla prima occasione mi fermava la stradale e mi portava via anche la patente! Immerso in mille pensieri arrivai alla belva, la mia fedele GS 1250, e bastò avviarla per sentire l’energia tornare a scorrermi nelle vene. Feci un giro diverso dal solito, sempre con il chiodo fisso nella testa, passai anche sotto casa sua e poi, dopo non so quanti chilometri fatti a girare attorno e a vuoto, tornai a casa. Aprii il cancello con il telecomando e scesi di sotto, misi la mia bella nel box e poi rifeci la strada a ritroso, stavolta a piedi, controllai la buca delle lettere e quando misi la chiave nella serratura del portoncino di ingresso… “Enrico?” Mi bloccai, paralizzato. “Enrico…” ripeté la sua voce. Mi voltai di scatto e la trovai lì, tuta, borsone della palestra appoggiato a terra e chiavi dell’auto in mano (le conoscevo perché il portachiavi era il mio, che mi aveva portato via vincendo con una scommessa qualche mese prima). “Ale…” le risposi, “c-che ci fai qui?” chiesi esitando. Non nego che mi guardai attorno per vedere se c’era anche Marco, che era anche più grosso di me. Non rispose subito, si avvicinò con lo stesso sorriso con il quale mi aveva salutato poco prima e poi chinò la testa. “Dovevo… parlarti” mi disse, trovando finalmente il coraggio di guardarmi negli occhi. Per una frazione di secondo, solo una, davvero, le sbirciai le tettone che premevano per uscire dalla scollatura della felpa: poi mi concentrai solo dal suo naso in su, da bravo ragazzo. “S-sì, certo…” le risposi goffamente, “ma… vuoi salire o… preferisci…” Annuì. “Saliamo?” le chiesi, senza aver capito, e lei annuì ancora. Prese il suo borsone e la cavalleria mi impose di chiederle se glielo potevo portare io, visto che sembrava pesante, e Alessia un po' sorprendentemente acconsentì, così nel cercare di prendere le maniglie le sfiorai la mano. Salimmo le scale in silenzio, io davanti e lei dietro (sennò le avrei guardato di sicuro il culo!), arrivammo al mio pianerottolo e aprii la porta lasciandola entrare per prima, accesi luce, climatizzatore e la feci accomodare sul divano: non era la prima volta che veniva a casa mia, l’ultima era stata a primavera, quando avevo invitato lei e altri colleghi per un aperitivo in terrazza, ma mai era venuta da sola. “Bevi qualcosa?” le chiesi, gesto di circostanza e di cortesia alla quale solitamente l’ospite risponde “no grazie”, Alessia invece rispose “Sì, grazie”, prendendomi in contropiede (non avevo granché in frigo). “Cosa ti posso offrire?” le chiesi (e mi sentii un po' come quello della pubblicità che alla fine, nudo, dice “succhino?”). “Acqua, grazie” rispose, “non fredda se ce l’hai” (ovvio, era andata a fare l’ecografia perché aveva sempre mal di pancia e non poteva più bere cose fredde, ero dentro con lei quando il medico gliel’aveva consigliato). Tornai con una bottiglietta calda per lei e fredda per me, esitai e poi mi sedetti sulla poltrona non accanto a lei ma di fronte a lei. Aprì la bottiglia, ne bevve un paio di sorsi e poi la posò sul tavolino tra di noi, inspirò profondamente e incrociando lo sguardo con il mio trovò il modo di sorridere, e questo cambiò molto il clima. “Sei… andata in palestra?” le chiesi, solo per spezzare il ghiaccio, era ovvio, non girava con il borsone Adidas e la tuta se voleva andare al supermercato… idiota! Annuì, bevve un altro sorso e poi posò di nuovo la bottiglia che quasi le cadde ma che fu veloce a prendere e mettere in sicurezza. “Però… però prima dovevo parlarti” mi disse, recuperando il tono di voce… giusto. “Ok, certo” risposi, conciliante. Annuì, si guardò attorno e poi… sorrise. “Sono… stata…” provò a dire ma non si decise. Ero pronto ad intervenire, ma mi fermai perché era meglio aspettare. “Stronza? Troia? Una maledetta che me la fa vedere e poi la nasconde?” pensai. “…sono stata una stupida” si risolse a dire, finalmente, “ho fatto delle cose che poi volevo… non volevo più…” La lasciai parlare, pendendo un po' dalle sue labbra ma Alessia si bloccò, scosse la testa e sorrise. “Io…” provai a dire, ma mi fermò. “Senti” mi chiese, “posso… posso andare a fare la pipì?” Trasalii. Raramente la sentivo dire “pipì”, quando eravamo in ufficio diceva “pit stop” o “pausa servizi” ma “pipì” mai. “C-certo” risposi alzandomi in piedi dopo che si fu alzata anche lei, “sai dov’è, giusto? Vuoi che…” aggiunsi ancora goffamente ma opportunamente mi bloccai, e lei annuì avviandosi verso la porta. “Stronzo…” sussurrai dopo che ebbe chiuso la porta, “idiota…” aggiunsi e approfittando di quella pausa misi via la borsa del portatile, il telefono e le chiavi della moto e mentre cercavo di rimettere a posto una delle chiavi che stava uscendo dall’anello sentii la porta del bagno aprirsi. “Strano” pensai, “è stata veloc…” Ma i pensieri mi si bloccarono a metà strada. Alessia uscì dal bagno completamente nuda, sorridente, con le tettone da urlo spinte in avanti e la camminata sicura, decisa: mi raggiunse, si mise in posa davanti a me e si lasciò ammirare, facendo anche una piroetta e un mezzo inchino in un ballare unico di tette. Non sapevo né che dire né che fare, ma per fortuna lo sapeva lei. Si sedette pesantemente sulla mia poltrona, sorridendo sorniona con un dito sul labbro inferiore, mise i piedi sul cuscino e aprì le cosce facendomi vedere la figa che si dischiuse usando due dita a forbice, mi fece l’occhiolino e si passò la lingua sul labbro superiore. “Vieni qui…” mi sussurrò roca, “vieni a leccarmi tutta…” Nelle orecchie sentii suonare le trombe del coro trionfale dell’Aida di Verdi. “Vieni…” continuò aprendosela ancora meglio con tutte e due le mani, “voglio che me la lecchi e che mi fai venire, voglio che finiamo quello che abbiamo cominciato…” Ero in apnea. Si mise un dito proprio sotto e se lo “pucciò” dentro portandoselo poi alle labbra per succhiarlo, e per provocarmi ulteriormente me lo fece vedere roteando il polso e poi piegandolo ripetutamente mi incitò a raggiungerla. “Guarda…” mugolò sollevando ancora di più il bacino per farmi vedere quello che c’era sotto, “guarda qui… ti piace? Vuoi giocarci un po’?” Mi mostrò il buco del culo aperto, penetrandoselo leggermente con un dito ed esibendomelo come se fosse la cosa più succulenta di questo mondo (lo è, infatti), poi mollò tutto e sempre tenendo le gambe aperte e sollevate si prese entrambe le tettone e cominciò ad accarezzarle voluttuosamente, senza staccare gli occhi dai miei mentre lo faceva. Una sola donna si era “atteggiata” in quel modo con me, tanti anni prima, ed era una donna diametralmente opposta ad Alessia, sia dal punto di vista… sociale che da quello caratteriale. Mi bastò un secondo per cedere (quelli che dicono che noi uomini ragioniamo con l’uccello non hanno ragione, sono dei dannatissimi guru) mi tolsi la camicia e la raggiunsi mettendomi nuovamente in ginocchio da lei, stavolta davanti, tra le sue cosce aperte. Non riuscivo a capire se Alessia stesse recitando o se fosse davvero bipolare, ma a quel punto… che me ne importava più? Le aprii le cosciotte per farmi spazio e dopo averle dato una “fiutata” (non era proprio fresca di bucato, diciamo così) la aggredii con la lingua passandogliela proprio dentro, dritto per dritto, e facendole fare un salto. Aveva il grilletto così sensibile che lo vedevo gonfio e arrossato, e mi sorpresi a pensare che da quel lato era la prima volta che la vedevo… Evitai di lavorarci sopra per non farla scappare via così mi dedicai a leccarla dentro, dentro dentro, succhiandole fuori ogni aroma e ogni umore: ad ogni passata reagiva contraendo tutti i muscoli pelvici buchetto compreso, ed emetteva un “ah” sommesso accompagnato da un sobbalzo del bacino che di riflesso faceva sobbalzare anche me. Troppo bello… Leccai a profusione, cosce, chiappe, gambe, pancia, pelo, ombelico, e poi ancora gambe, chiappe e figa, tutto quanto insieme, tutto quanto mescolato, lasciando fuori solo il buco del culo, quello lo volevo tenere per ultimo… Quando alla fine glielo aprii con le dita Alessia sollevò ancora di più il bacino per lasciarmi lavorare meglio, e quando ce l’ebbi proprio davanti, pronto, senza alcuno ostacolo… diedi il meglio di me. A confronto dell’interno della vagina aveva un sapore paradisiaco, sembrava quasi dolce. Lo leccai da fuori e poi dentro, Alessia si era ormai abbandonata sulla poltrona e aveva appoggiato le cosce sulle mie spalle perché si era stancata, chi non si stancava ero io. Ci diedi dentro da maledetto, mi faceva male il collo, le ginocchia, le spalle, il collo, la mandibola e anche la lingua, ma non cedevo: Alessia mugolava, gemeva quando le succhiavo il grilletto, sussultava quando aumentavo la frequenza delle leccate, e non mi chiese mai di smettere. Dovetti fermarmi per un istante, il collo era piegato da troppo in una posizione innaturale e faceva male, e approfittando di quella pausa Alessia tolse le gambe dalle mie spalle e con estrema naturalezza andò a piazzarsi in ginocchio sulla poltrona, sporgendomi il meraviglioso culone proprio davanti alla faccia. “Ti piacciono le mie chiappe?” mi chiese accarezzandosele e allargandosele mentre mi guardava da sopra la spalla, “Eh? Ti piacciono?” Sembrava invasata. Era completamente fradicia di saliva e di umori, tutti mescolati insieme come un blended di whisky ma ancora più aromatici, roba che le incollava i peli addosso. Non riuscii a resistere molto davanti a quella visione onirica, “al diavolo il collo” pensai, e di nuovo mi tuffai su quel fiero pasto che mi tenne occupato ancora per interminabili minuti fatti di leccatone senza controllo inframezzate a pause di riflessione e altre leccate più ragionate, molte fatte passando dalla pancia a mezza schiena transitando per la figa ormai slabbrata e il buco del culo grinzoso e stretto, portando la mia amica a livelli che sicuramente non aveva mai raggiunto prima. Ormai ero intriso del suo aroma e dei suoi umori, non ne potevo più fare a meno. Mi sedetti sui talloni per rilassare la muscolatura della schiena e ancora una volta Alessia ne approfittò per cambiare posizione, stavolta raggomitolandosi sulla poltrona, ansimante e sfatta, con gli occhi quasi socchiusi e le guance arrossate. Incrociammo lo sguardo, per un istante mi sembrò di vedere un’espressione del tipo “oddio, cosa sto facendo!” ma non era così, per fortuna, era solo… sfatta. “Non ce la faccio a continuare” mugolò, “non mi tengono su le gambe…” aggiunse quasi ridacchiando. E che cosa può fare un gentiluomo che ha appena passato l’ultimo quarto d’ora a leccare figa e buco del culo alla donna che desidera da anni? Cosa può mai volere quel gentiluomo se non affondare il cazzo lì dove ha appena messo la lingua? Certo, si trattava di convincere la proprietaria della vagina… cosa tutt’altro che scontata, per la verità . Ma a volte… le circostanze della vita ti fanno capire che ti preoccupi troppo, perché se deve andare bene ti va bene a prescindere da quello che fai o non fai, anche se è vero pure il contrario (un amico romano diceva sempre che “quando è ora di pigliarlo nel culo, il vento di solleva la camicia”), ma in quel glorioso diciotto di giugno duemila e diciannove non ci fu un solo alito di vento. Alessia allungò le braccia verso di me e con voce calda e appassionata mi sussurrò “portami a letto”. La presi in braccio scoprendo che era non era proprio leggera ed evitando di sbatacchiarla di qua e di là tra porte e corridoio stretto arrivai al letto, dove l’adagiai delicatamente facendola poi rotolare e finire a pancia in giù, con il suo culone che svettava giunonico. Mi liberai di tutto il superfluo restando nudo come lei, e distendendomi mi misi proprio accanto a lei, accarezzandole schiena, collo e spalle strappandole dei mugolii sommessi. La fase uno era completata, le avevo consumato figa e buco del culo a forza di leccarli, ora… per la legge della compensazione sul sesso… Alessia doveva ricambiare (anche perché avevo il cazzo che esplodeva!). Ma qualcosa mi diceva che non sarebbe accaduto. Era cominciato tutto così stranamente che altrettanto stranamente doveva finire. Beh, mi sbagliavo. Alessia rotolò e si mise in ginocchio, mi spinse giù facendomi distendere e senza mezze misure mi prese il cazzo tenendolo ben dritto nel pugno, lo scappellò lentamente e altrettanto lentamente si chinò con la bocca aperta senza interrompere il contatto visivo, ma quando le sue labbra si chiusero sulla cappella fui costretto ad interromperlo perché chiusi gli occhi sopraffatto dal piacere. Sentii le sue labbra scendere lungo il fusto e poi risalire, stringere e succhiare usando anche la lingua che mi tintinnava la cappella ultra sensibile, giocò anche con le mie palle trastullandole nelle dita della mano sinistra mentre con la destra scappellava a ritmo delle pompate di labbra, lentamente, come un’agonia senza fine, ma finalmente lasciò da parte i formalismi e si mise a fare davvero, un vero pompino, con su e giù frenetico di labbra e capelli sciolti che mi facevano solletico sulla pancia e sulle cosce e che Alessia continuava a tirare indietro o di lato. “Sì, così, sei bravissima, sei fantastica…” le sussurravo e lei rispondeva provocante e sensuale gemendo “Ah sì? Ti piace?” in un gioco di seduzione e passione che però si interruppe bruscamente. Riaprii gli occhi e la vidi tirarsi sul “gattonare” fino a mettersi a cavalcioni su di me: capii ovviamente quello che stava succedendo, non riuscii nemmeno a dire “ah” che Alessia si era messa proprio sopra, e si stava guidando il cazzo tra le cosce, dove lo desiderava. Si morsicava il labbro inferiore ed era una visione assurda, sudata, con ciocche di capelli incollate alla fronte, due goccioline ai lati delle orecchie che scendevano verso il collo e il petto e le tettone tutte piene di micro goccioline di sudore che “condensavano” e si convogliavano in un piccolo rivoletto proprio tra le bombe che penzolavano sul petto: si aggiustò la vagina con le dita, ci incollò sopra la cappella e poi lentamente e inesorabilmente scese, penetrandosi, mentre sul suo viso vedevo un’espressione estatica, con gli occhi che erano diventati due fessure e le labbra si erano socchiuse mostrando i denti bianchissimi e perfetti. Solo il tempo di contare fino a due ed ero tutto dentro, fino alle palle: avevo inarcato la schiena che ancora mi faceva male e lo stesso aveva fatto lei, ma passato quel primo momento di estremo piacere legato al nostro primo, vero contatto sessuale, Alessia si chinò su di me facendomi penzolare le tettone sulla faccia e cominciò a muoversi con il bacino, auto scopandosi saltellando leggermente su e giù facendo fare cic ciac alle nostre cosce. Non potevo solo restare sempre… passivo: allungai le mani e feci per afferrarle le tette, Alessia prima sembrò fuggire quel contatto ma poi me le porse avvicinandosi e allora… toccai l’apoteosi. Alessia, la mia tanto desiderata collega di ufficio, con il suo bel culone e le tettone nude solo per me mi stava cavalcando, ed io la palpavo dappertutto, riempiendomi le mani di carne bollente, strizzandogliele, pizzicandole e tirandole i capezzoli strappandole dei piccoli gemiti di piacere. Le misi le mani sul culone strizzandole anche quello e aiutandola a saltellare, le toccai il buco del culo riuscendo quasi a metterci dentro un dito prima di fermarmi ed evitare di rovinare tutto, quando all’improvviso Alessia si fermò. E mi guardò come un gatto guarda il canarino prima di papparselo… “Voglio fare un’altra cosa…” mugolò, si tirò su e se lo sfilò da dentro, si alzò in piedi sul letto e calando sulla mia faccia con le cosce aperte appoggiò le ginocchia sul materasso e poi si distese verso le mie gambe, afferrandomi il cazzo e portandoselo immediatamente in bocca. Stavo facendo un sessantanove con Alessia… “Posso morire felice, ora” mi dissi, e aprendole il culo ricomincia per l’ennesima volta a leccarla a più non posso mentre la sua bocca faceva su e giù lungo il mio cazzo che ormai non poteva più reggere a lungo. Il resto… alla prossima. [/QUOTE]
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