Racconto di fantasia oh, Alessia...

metzenbaum

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“Avevi ragione” mi scrisse, “è proprio un bel posto, pulito, tranquillo, rilassante, ti toglie le ansie quando sei in attesa”

Chi scriveva su WhatsApp era la mia collega Alessia, che era in attesa di una visita ecografica da settimane e che grazie ai miei agganci ero riuscito a farle fare il giorno successivo.

“I miei amici non li mando nei posti infami…” risposi, e subito dopo arrivò la replica con tanti cuoricini e tanti bacini e subito dopo “però dovresti essere qui a farmi compagnia se fossi un amico vero…”

Pensai bene a quello che stavo per scriverle, poi lo feci.

Feci un selfie con la mia foto e la linguaccia, gliela mandai e le scrissi “mandami la tua foto, così ci facciamo compagnia a vicenda!”

Lo fece subito, e mi arrivò la sua foto sorridente con i capelli tirati tutti all’indietro, poco trucco, e gli occhiali da sole sulla testa, e le risposi con tanti cuoricini.

“Però dovresti mandarmene una a figura intera…” scissi subito dopo e la risposta non tardò ad arrivare: indossava un vestitino a righe orizzontali bianche e blu, molto marinaro e molto corto e molto aderente, che le disegnava la figura non proprio esile ed evidenziava le belle tettone da quarta abbondante e il culone tondo.

Ancora una volta esitai prima di scrivere quello che mi passava per la testa, ma alla fine lo feci.

“certo che hai scelto una bella tenuta per fare l’ecografia…” scrissi con tanti bacetti, “chissà che shock il medico che ti vedrà…”

Lesse il messaggio ma non rispose subito, lo fece un paio di minuti dopo mandandomi due selfie dal bagno fatti con l’uso dello specchio, uno che le ritraeva il davanti e uno il dietro.

“wow” risposi con gli occhi elettrizzati, “non ti vesti mai così per venire in ufficio!”

“si invece” rispose “ma tu non mi guardi mai!”

Protestai scrivendole che mi accorgevo di ogni cambiamento nel suo look e nei suoi capelli, cosa verissima, e Alessia mi rispose con tanti cuoricini, e aggiunse “e comunque il medico è abituato a vedere donne che si spogliano, quindi non penso che sarà uno shock per lui”

E fu lì che calai l’asso…

“spero che tu abbia messo l’intimo in coordinato” scrissi, ma prima di inviarlo feci la correzione che poi diventò fondamentale e la frase diventò “spero che tu abbia messo le mutandine più striminzite che hai per fare colpo… magari un perizoma!”, e inviai.

Non rispose subito, ci mise un po' a scrivere, ma alla fine quello che mi inviò fu la faccina che arrossiva.

E poi silenzio.

“scusa, colpa mia, ho esagerato” mi affrettai ad aggiungere ma purtroppo Alessia non replicò.

Mi diedi del coglione e cominciai a “progettare” una linea difensiva da usare quando ci saremmo rivisti, ma a disinnescare la cosa ecco che mi arrivò il suo messaggio, anzi, più messaggi…

“certo che sei proprio curioso” cominciò, e aggiunse “ti conosco da più di dieci anni ma non pensavo che fossi così…” e ci incollò una serie di faccine che ridevano, che per fortuna mi rincuorarono non poco.

“se certe cose me le scrivevano Luca o Alessio li avrei mandati a cagare in tre secondi” scrisse ancora, “ma tu sei un signore, un gentiluomo, e non ti rispondo di sicuro così”, cui seguì una pausa interminabile interrotta da una serie successiva di messaggi.

“sei sempre stato un ragazzo gentilissimo e mi hai aiutato un sacco di volte, anche in circostanze difficili” esordì, “e non me la prenderò di sicuro perché mi fai delle battutine spiritose”

E scrisse ancora altre frasi “di circostanza”, poi… poi toccò a lei calare l’asso di bastoni.

“e comunque se proprio lo vuoi sapere ho messo le solite mutandine, e prima che me lo chiedi non è un perizoma striminzito ma un brasiliano, nero, tutto traforato”, messaggio shock seguito dalle faccine con la bocca aperta.

“ragazza, hai la mia attenzione” risposi e subito Alessia rispose con faccine che sghignazzavano e il commento “lo sapevo che reagivi così”, e la immaginai tutta orgogliosa e vanitosa per avermi… stuzzicato così.

Infatti non la smetteva più di messaggiare, scrivendomi che per lei l’intimo era una cosa sacra e che poteva rinunciare a tante cose ma non a quello, le solite chiacchiere di quanto era brava a scegliere gli accostamenti nell’abbigliamento e i bla bla bla da donna contro altre donne, poi… poi diventò molto più maliziosa.

“adoro farmi vedere in intimo” mi scrisse, “e non solo da Marco… non fraintendermi, ad esempio quando sono in palestra o a fare yoga mi piace che gli altri mi vedano elegante, anche sotto…”

“lo ammetto, sono un po' esibizionista, mi piace farmi vedere e anche farmi desiderare, ma lo faccio senza provocare o essere volgare, mi piace mettermi in mostra come se fossi in vetrina, solo da guardare ma non toccare, e vedere gli sguardi degli altri e magari fare un sorrisetto… lo uso come booster per l’autostima, e secondo me funziona”

“e comunque è sempre guardare ma non toccare” concluse.

“la penso proprio come te” le scrissi frettolosamente ma poi corressi e digitai “penso che tu abbia ragione, e sono sicuro che farai la tua sporca figura, vero?”

“puoi dirlo forte!” scrisse subito, orgogliosissima, e… sdeng, altro asso di briscola in tavola.

“vuoi vedermi anche tu?” mi chiese improvvisamente, secca, senza faccine e senza niente, e ancor prima che replicassi aggiunse “ma solo se posso contare sulla tua discrezione, come in tutti questi anni che ci conosciamo…”

“oltre ad essere colleghi siamo anche amici, questo non è nemmeno in discussione” risposi pensando che fosse una cosa sciocca, ma fece colpo.

“sì, siamo amici, ed è per questo che posso farti certe confidenze”

“e non essere sputtanata”

“ma solo apprezzata”

Avevo il cuore in gola, come quando mi aspetto che succeda qualcosa e l’attesa mi logora.

E infatti, quando arrivò il messaggio successivo, il cuore mi balzò fuori dal petto.

Alessia si era fotografata in bagno, aveva sollevato il vestito scoprendosi fino all’ombelico mostrandomi il davanti: era davvero traforato e ingrandendo la foto mi sembrò addirittura di vedere traccia di pelo, cosa a cui non ero preparato immaginandola completamente rasata.

Aveva la pancia piatta, non proprio scolpita ma non di certo flaccida, i fianchi pronunciati e le cosce non propriamente… tornite, oltre purtroppo non si vedeva: ingrandii al massimo fattore possibile senza sgranare troppo l’immagine e mentre stavo ancora contando i peli e decidere cosa risponderle… ding… altro messaggio.

E stavolta il cuore non mi saltò fuori, ma si fermò.

Alessia era senza vestito, si era fotografata nello specchio del bagno e di lei vedevo la schiena nuda dalle spalle in giù e le belle chiappone “incorniciate” da una mutandina striminzita e praticamente trasparente, che si poteva vedere solo nella parte superiore perché man mano scendeva di sotto letteralmente veniva “mangiata” e inglobata dalle chiappone anche se nella parte più… nascosta, proprio tra le cosce, tornava a farsi vedere mentre ricopriva il rigonfiamento della patata.

Erano anni che non ero così eccitato nel vedere una foto.

Ding, ancora messaggio.

“lo sai che queste foto sono solo per te, vero?” mi scrisse, e subito dopo aggiunse “mannaggia, ma adesso come farò a guardarti in faccia quando torno lì? mi dovrò sotterrare per la vergogna!” mettendoci le faccine che arrossivano.

“non ne parliamo… facciamo finta di niente…” le risposi, ma subito cancellai correggendolo, e scrissi “non credo che possiamo parlare di vergogna in questo caso, parlerei di orgoglio e di bellezza statuaria, di vanto e di invidia… che in questo momento provo nei confronti di Marco”

Non rispose subito, ma quando lo fece mi regalò una serie di baci e di cuori.

“certo che sei capaci di arrivare al cuore di una donna, tu” scrisse.

“non è al cuore che vorrei arrivare” pensai, ma di nuovo Alessia scrisse parole di fuoco.

“non avrei mai neanche immaginato di scambiare foto del genere con qualcuno che non è mio marito” scrisse, “ma non lo so, tu hai qualcosa che mi piace, ce l’hai sempre avuto, ma da un paio di anni sei diventato ancora più… affascinante, mi ispiri fiducia, non so nemmeno che cosa scrivere senza essere banale…”

“è una cosa che si sente a pelle, sei una bella persona ed è bello averti vicino, anche solo per lavorare”

“è uno dei complimenti più belli che abbia mai ricevuto, se non il più bello” risposi.

Ci furono alcuni minuti di pausa, poi Alessia tornò alla carica.

“secondo te ho il culone? mi sembra gigantesco nella foto!!!”

“le foto ingannano” risposi, “il tuo bel culo lo vedo ogni giorno e ti assicuro che… meglio che non te lo scriva, rovinerei l’amicizia”

“NO!” rispose immediatamente, “hai lanciato la bomba e adesso tiri indietro la mano??? Continua! finisci!!!”

Ebbi solo il tempo di radunare le idee e prendere il coraggio a due mani, filtrandolo con un po’ di buon senso, poi mi decisi.

“quello che NON volevo scriverti era quello che farei a quel culo che mi passa davanti tutti i giorni…” scrissi, fui sul punto di modificare ma poi inviai e basta.

“lo immaginavo…” replicò, sembrò scrivere all’infinito ma poi quello che mi arrivò fu la domanda che alla fine mi aspettavo.

“che cosa faresti? sentiamo…”

Come nei videogiochi, quello era il punto di svolta: o molli e perdi tutto o tieni duro, ma se tieni duro può anche darsi che perdi tutto… high risk, high prize.

Poi pensai: che vuole sentirsi dire da me? E allora risposi e basta, con un po’ di malizia.

“se vuoi, te lo scrivo: ma non vorrei che dopo… cambiassi idea su di me”

“non la cambierò mai” rispose, frettolosa di ricevere la sua risposta.

“dai, su, non tenermi sulle spine” scrisse ancora, mettendo la faccina arrabbiata, “che cosa faresti al mio culone?”

“sicura che posso scrivere quello che penso?” azzardai per l’ultima volta.

“SI!!!” rispose, ormai impaziente.

“quello che ci farei è aprirlo con le due mani e passarci la lingua dentro, da sotto a sopra fino ad arrivare alla schiena, e ricominciare all’infinito” scrissi di getto, inviando il messaggio senza nemmeno rileggerlo o ripensarci.

Guardai intensamente lo schermo del telefono, Alessia era online, aveva letto immediatamente il messaggio ma non scriveva e in quei lunghissimi istanti pensai davvero di averla fatta grossa: magari pensava che le scrivessi che mi sarebbe piaciuto sculacciarla o al limite baciarla ma quello che le avevo… proposto, forse era troppo anche per lei.

“scusa” le scrissi dopo due minuti di silenzio radio, lesse il messaggio ma non replicò e allora… precipitai nel panico.

Gettai il telefono sulla scrivania e imprecai contro me stesso ma proprio mentre lo facevo… ding.

Ebbi quasi paura a leggere, ma tutto… sfumò via.

“adoro quando Marco me lo fa” scrive, “quelle poche volte che si degna…” aggiunse con le faccine deluse.

Tirai un sospiro di sollievo, non se l’era presa.

“allora il mio culone ti piace proprio tanto se vorresti farci quella cosa lì…” scrisse, “magari poi ne saresti deluso, che ne sai?”

“non penso proprio” mi affrettai a scrivere, evitai di aggiungere cose del tipo mettimi alla prova e vedrai tenendo il profilo basso, ma la bastonata arrivò di lì a pochi istanti.

“come fai a saperlo? dovresti provare…” scrisse, con la faccina che strizza l’occhio.

Ebbi una specie di mancamento: Alessia mi stava offrendo di fare sesso orale?

Esitai a replicare così continuò lei.

“ti ho lasciato senza parole?” scrisse, “è troppo per te?”

“no amica mia” scrissi, “è che certe cose le devo prendere a piccole dosi, una Alessia tutta intera… non so se riuscirei a reggerla”

“esagerato” rispose, “in fondo è solo un culone come tanti…”

“è il tuo culone” scrissi subito, “lo ammiro da anni” aggiunsi, e subito corressi “ammiro con desidero”, e invio!

“vuoi dire che in tutti questi anni mi hai desiderato? ne sono lusingata…”

“ecco, hai scoperto il mio bluff…”

Ancora una volta ci fu un vuoto di comunicazione, Alessia si disconnesse e poi tornò online e una manciata di secondi dopo… ding.

C’era una foto, e la foto era il suo bel culone senza slip… nudo, leggermente dischiuso con una mano per farmi vedere uno scorcio di buco del culo e una piccolissima porzione di vagina.

“non so perché l’ho fatto, ma in questo momento mi fa stare bene averlo fatto” scrisse, “spero che non ti approfitterai di me quando ci vediamo”

“tra poco”

“sono troppo sotto shock per reagire…” scrissi, “ma se vuoi mi posso prostrare a te e al tuo bel sedere”

Rispose con tante faccine che ridono, poi aggiunse qualcosa che andava oltre.

“io però adesso ho qualcosa che mi tormenta” mi scrisse, “e non so se scrivertelo o no…”

“tocca a me incitarti, stavolta?” le chiesi.

“vuoi saperlo, cosa mi tormenta, giusto?”

“si”

Esitò, ma poi scrisse.

“quella cosa che mi hai detto prima” digitò, “quella cosa che mi faresti… mi vergogno anche a scriverlo…”

Toccava a me fare l’uomo.

“aprirti le chiappe e leccarti da sotto a sopra, fino alla schiena?”

“si”

“ci tormenta a tutti e due”

“non ci resta che farlo…” scrisse, di getto, e subito aggiunse “se vuoi”

“aspetto da anni di farlo”

Pausa, lunghissima, ma sempre online.

“non puoi venire qui?” scrisse, “ho ancora mezz’ora di tempo prima di fare l’ecografia… magari mi aiuti a far passare il tempo”

Mollai tutto, presi armi e bagagli e corsi in moto da lei, trovandola in sala d’aspetto: ci abbracciammo, le feci sentire il cazzo duro sulla pancia e lei mi schiacciò le tettone sul petto, Alessia fece una risatina e poi…

“Alessia Volpi?”

Era il medico, donna, che la chiamava.

Alessia mi guardò con un misto di delusione per essere stati interrotti ma anche di divertimento, poi piegò la testa di lato e mi tese la mano.

“Vieni con me?” mi chiese, seria.

“I-io… s-sì, se vuoi…” risposi preso alla sprovvista, e cedendo mi feci tirare dentro nello studio del medico sedendomi accanto a lei ed ascoltando i suoi problemi addominali e digestivi raccontati alla dottoressa che annuiva ed annotava digitando sulla tastiera: Alessia mi guardava e sorrideva, e ad un certo punto allungò la mano e la mise sulla mia, stringendola forte.

Poi ci fu un momento di imbarazzo, quando la dottoressa, in termini strettamente medici, le chiese se dopo aver… evacuato si sentiva l’intestino libero o ancora pieno, e Alessia rispose senza molti problemi mettendomi a conoscenza di certe… intimità, e finalmente il medico la fece accomodare sul lettino.

La vidi tirarsi su il vestito fino a scoprirsi la pancia e restare distesa mentre il medico la schiacciava dappertutto e poi faceva l’ecografia, e una volta finito… da bravo cavaliere l’aiutai a pulirsi dalla schifezza gelatinosa e poi a scendere dal lettino fino a che ci accomodammo di nuovo sulle sedie.

Andava tutto bene, le venne prescritto qualcosa e poi venne il momento di uscire.

“Dottoressa, possiamo usare i servizi igienici per pulirmi un po’ meglio?” le chiese Alessia lanciandomi un’occhiata maliziosa.

“Ma certo… fate pure” rispose quella distratta, e stringendoci le mani se ne andò.

“Visto? Tutto bene…” le dissi, e allora Alessia mi abbracciò ancora: sentii i suoi grossi seni nudi pressati sul mio petto, poi ci separammo.

“Dai, vieni!” mi incitò, e tirandomi fuori dallo studio mi trascinò nel bagno, lucido e pulito, chiuse la porta con il blocco e… pochi istanti dopo il vestito le cadde ai piedi: si tenne coperte le tettone con le braccia, fece una risatina sciocca e poi si voltò piegandosi in avanti ed ondeggiando il culone davanti ai miei occhi stralunati.

Non c’era più spazio per i ripensamenti, e c’era ancora meno tempo: mi misi in ginocchio e le accarezzai la pelle sulla schiena e sulle chiappe facendola riempire di pelle d’oca, e incrociando lo sguardo con il suo nello specchio capii che ero autorizzato a procedere oltre.

Le misi due dita negli elastici degli slip e lentamente li abbassai, il cavallo le rimase “incastrato” tra le cosce fino a che tirando sempre più giù gli elastici anche quello cedette scoprendola completamente: le chiappe di Alessia erano molto più grosse di quanto avevo immaginato e anche meno… attraenti visto che cominciavano a cedere, ma l’eccitazione del momento fece tutto il resto.

E tutta quell’abbondanza “precludeva il guardo” sui suoi tesori così ben celati.

Inalai l’aroma femminile che proveniva da sotto e pregustai quella sensazione terribile ed esaltante al tempo stesso che è il momento della prima “leccata” e per un istante un retro pensiero mi fece fare mente locale, e la vocina che di tanto in tanto si faceva sentire nei momenti più particolari mi trapanò la testa dicendomi “stai per aprire le chiappe di Alessia, stai per aprire le chiappe di Alessia, stai per aprire le chiappe di Alessia, stai per aprire le chiappe di Alessia…”

Ruppi allora gli indugi e le posai le mai sui grossi glutei, li palpai e sollevai e vedendola ansimante finalmente le aprii le chiappe.



Il seguito… alla prossima volta.
 

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“Avevi ragione” mi scrisse, “è proprio un bel posto, pulito, tranquillo, rilassante, ti toglie le ansie quando sei in attesa”

Chi scriveva su WhatsApp era la mia collega Alessia, che era in attesa di una visita ecografica da settimane e che grazie ai miei agganci ero riuscito a farle fare il giorno successivo.

“I miei amici non li mando nei posti infami…” risposi, e subito dopo arrivò la replica con tanti cuoricini e tanti bacini e subito dopo “però dovresti essere qui a farmi compagnia se fossi un amico vero…”

Pensai bene a quello che stavo per scriverle, poi lo feci.

Feci un selfie con la mia foto e la linguaccia, gliela mandai e le scrissi “mandami la tua foto, così ci facciamo compagnia a vicenda!”

Lo fece subito, e mi arrivò la sua foto sorridente con i capelli tirati tutti all’indietro, poco trucco, e gli occhiali da sole sulla testa, e le risposi con tanti cuoricini.

“Però dovresti mandarmene una a figura intera…” scissi subito dopo e la risposta non tardò ad arrivare: indossava un vestitino a righe orizzontali bianche e blu, molto marinaro e molto corto e molto aderente, che le disegnava la figura non proprio esile ed evidenziava le belle tettone da quarta abbondante e il culone tondo.

Ancora una volta esitai prima di scrivere quello che mi passava per la testa, ma alla fine lo feci.

“certo che hai scelto una bella tenuta per fare l’ecografia…” scrissi con tanti bacetti, “chissà che shock il medico che ti vedrà…”

Lesse il messaggio ma non rispose subito, lo fece un paio di minuti dopo mandandomi due selfie dal bagno fatti con l’uso dello specchio, uno che le ritraeva il davanti e uno il dietro.

“wow” risposi con gli occhi elettrizzati, “non ti vesti mai così per venire in ufficio!”

“si invece” rispose “ma tu non mi guardi mai!”

Protestai scrivendole che mi accorgevo di ogni cambiamento nel suo look e nei suoi capelli, cosa verissima, e Alessia mi rispose con tanti cuoricini, e aggiunse “e comunque il medico è abituato a vedere donne che si spogliano, quindi non penso che sarà uno shock per lui”

E fu lì che calai l’asso…

“spero che tu abbia messo l’intimo in coordinato” scrissi, ma prima di inviarlo feci la correzione che poi diventò fondamentale e la frase diventò “spero che tu abbia messo le mutandine più striminzite che hai per fare colpo… magari un perizoma!”, e inviai.

Non rispose subito, ci mise un po' a scrivere, ma alla fine quello che mi inviò fu la faccina che arrossiva.

E poi silenzio.

“scusa, colpa mia, ho esagerato” mi affrettai ad aggiungere ma purtroppo Alessia non replicò.

Mi diedi del coglione e cominciai a “progettare” una linea difensiva da usare quando ci saremmo rivisti, ma a disinnescare la cosa ecco che mi arrivò il suo messaggio, anzi, più messaggi…

“certo che sei proprio curioso” cominciò, e aggiunse “ti conosco da più di dieci anni ma non pensavo che fossi così…” e ci incollò una serie di faccine che ridevano, che per fortuna mi rincuorarono non poco.

“se certe cose me le scrivevano Luca o Alessio li avrei mandati a cagare in tre secondi” scrisse ancora, “ma tu sei un signore, un gentiluomo, e non ti rispondo di sicuro così”, cui seguì una pausa interminabile interrotta da una serie successiva di messaggi.

“sei sempre stato un ragazzo gentilissimo e mi hai aiutato un sacco di volte, anche in circostanze difficili” esordì, “e non me la prenderò di sicuro perché mi fai delle battutine spiritose”

E scrisse ancora altre frasi “di circostanza”, poi… poi toccò a lei calare l’asso di bastoni.

“e comunque se proprio lo vuoi sapere ho messo le solite mutandine, e prima che me lo chiedi non è un perizoma striminzito ma un brasiliano, nero, tutto traforato”, messaggio shock seguito dalle faccine con la bocca aperta.

“ragazza, hai la mia attenzione” risposi e subito Alessia rispose con faccine che sghignazzavano e il commento “lo sapevo che reagivi così”, e la immaginai tutta orgogliosa e vanitosa per avermi… stuzzicato così.

Infatti non la smetteva più di messaggiare, scrivendomi che per lei l’intimo era una cosa sacra e che poteva rinunciare a tante cose ma non a quello, le solite chiacchiere di quanto era brava a scegliere gli accostamenti nell’abbigliamento e i bla bla bla da donna contro altre donne, poi… poi diventò molto più maliziosa.

“adoro farmi vedere in intimo” mi scrisse, “e non solo da Marco… non fraintendermi, ad esempio quando sono in palestra o a fare yoga mi piace che gli altri mi vedano elegante, anche sotto…”

“lo ammetto, sono un po' esibizionista, mi piace farmi vedere e anche farmi desiderare, ma lo faccio senza provocare o essere volgare, mi piace mettermi in mostra come se fossi in vetrina, solo da guardare ma non toccare, e vedere gli sguardi degli altri e magari fare un sorrisetto… lo uso come booster per l’autostima, e secondo me funziona”

“e comunque è sempre guardare ma non toccare” concluse.

“la penso proprio come te” le scrissi frettolosamente ma poi corressi e digitai “penso che tu abbia ragione, e sono sicuro che farai la tua sporca figura, vero?”

“puoi dirlo forte!” scrisse subito, orgogliosissima, e… sdeng, altro asso di briscola in tavola.

“vuoi vedermi anche tu?” mi chiese improvvisamente, secca, senza faccine e senza niente, e ancor prima che replicassi aggiunse “ma solo se posso contare sulla tua discrezione, come in tutti questi anni che ci conosciamo…”

“oltre ad essere colleghi siamo anche amici, questo non è nemmeno in discussione” risposi pensando che fosse una cosa sciocca, ma fece colpo.

“sì, siamo amici, ed è per questo che posso farti certe confidenze”

“e non essere sputtanata”

“ma solo apprezzata”

Avevo il cuore in gola, come quando mi aspetto che succeda qualcosa e l’attesa mi logora.

E infatti, quando arrivò il messaggio successivo, il cuore mi balzò fuori dal petto.

Alessia si era fotografata in bagno, aveva sollevato il vestito scoprendosi fino all’ombelico mostrandomi il davanti: era davvero traforato e ingrandendo la foto mi sembrò addirittura di vedere traccia di pelo, cosa a cui non ero preparato immaginandola completamente rasata.

Aveva la pancia piatta, non proprio scolpita ma non di certo flaccida, i fianchi pronunciati e le cosce non propriamente… tornite, oltre purtroppo non si vedeva: ingrandii al massimo fattore possibile senza sgranare troppo l’immagine e mentre stavo ancora contando i peli e decidere cosa risponderle… ding… altro messaggio.

E stavolta il cuore non mi saltò fuori, ma si fermò.

Alessia era senza vestito, si era fotografata nello specchio del bagno e di lei vedevo la schiena nuda dalle spalle in giù e le belle chiappone “incorniciate” da una mutandina striminzita e praticamente trasparente, che si poteva vedere solo nella parte superiore perché man mano scendeva di sotto letteralmente veniva “mangiata” e inglobata dalle chiappone anche se nella parte più… nascosta, proprio tra le cosce, tornava a farsi vedere mentre ricopriva il rigonfiamento della patata.

Erano anni che non ero così eccitato nel vedere una foto.

Ding, ancora messaggio.

“lo sai che queste foto sono solo per te, vero?” mi scrisse, e subito dopo aggiunse “mannaggia, ma adesso come farò a guardarti in faccia quando torno lì? mi dovrò sotterrare per la vergogna!” mettendoci le faccine che arrossivano.

“non ne parliamo… facciamo finta di niente…” le risposi, ma subito cancellai correggendolo, e scrissi “non credo che possiamo parlare di vergogna in questo caso, parlerei di orgoglio e di bellezza statuaria, di vanto e di invidia… che in questo momento provo nei confronti di Marco”

Non rispose subito, ma quando lo fece mi regalò una serie di baci e di cuori.

“certo che sei capaci di arrivare al cuore di una donna, tu” scrisse.

“non è al cuore che vorrei arrivare” pensai, ma di nuovo Alessia scrisse parole di fuoco.

“non avrei mai neanche immaginato di scambiare foto del genere con qualcuno che non è mio marito” scrisse, “ma non lo so, tu hai qualcosa che mi piace, ce l’hai sempre avuto, ma da un paio di anni sei diventato ancora più… affascinante, mi ispiri fiducia, non so nemmeno che cosa scrivere senza essere banale…”

“è una cosa che si sente a pelle, sei una bella persona ed è bello averti vicino, anche solo per lavorare”

“è uno dei complimenti più belli che abbia mai ricevuto, se non il più bello” risposi.

Ci furono alcuni minuti di pausa, poi Alessia tornò alla carica.

“secondo te ho il culone? mi sembra gigantesco nella foto!!!”

“le foto ingannano” risposi, “il tuo bel culo lo vedo ogni giorno e ti assicuro che… meglio che non te lo scriva, rovinerei l’amicizia”

“NO!” rispose immediatamente, “hai lanciato la bomba e adesso tiri indietro la mano??? Continua! finisci!!!”

Ebbi solo il tempo di radunare le idee e prendere il coraggio a due mani, filtrandolo con un po’ di buon senso, poi mi decisi.

“quello che NON volevo scriverti era quello che farei a quel culo che mi passa davanti tutti i giorni…” scrissi, fui sul punto di modificare ma poi inviai e basta.

“lo immaginavo…” replicò, sembrò scrivere all’infinito ma poi quello che mi arrivò fu la domanda che alla fine mi aspettavo.

“che cosa faresti? sentiamo…”

Come nei videogiochi, quello era il punto di svolta: o molli e perdi tutto o tieni duro, ma se tieni duro può anche darsi che perdi tutto… high risk, high prize.

Poi pensai: che vuole sentirsi dire da me? E allora risposi e basta, con un po’ di malizia.

“se vuoi, te lo scrivo: ma non vorrei che dopo… cambiassi idea su di me”

“non la cambierò mai” rispose, frettolosa di ricevere la sua risposta.

“dai, su, non tenermi sulle spine” scrisse ancora, mettendo la faccina arrabbiata, “che cosa faresti al mio culone?”

“sicura che posso scrivere quello che penso?” azzardai per l’ultima volta.

“SI!!!” rispose, ormai impaziente.

“quello che ci farei è aprirlo con le due mani e passarci la lingua dentro, da sotto a sopra fino ad arrivare alla schiena, e ricominciare all’infinito” scrissi di getto, inviando il messaggio senza nemmeno rileggerlo o ripensarci.

Guardai intensamente lo schermo del telefono, Alessia era online, aveva letto immediatamente il messaggio ma non scriveva e in quei lunghissimi istanti pensai davvero di averla fatta grossa: magari pensava che le scrivessi che mi sarebbe piaciuto sculacciarla o al limite baciarla ma quello che le avevo… proposto, forse era troppo anche per lei.

“scusa” le scrissi dopo due minuti di silenzio radio, lesse il messaggio ma non replicò e allora… precipitai nel panico.

Gettai il telefono sulla scrivania e imprecai contro me stesso ma proprio mentre lo facevo… ding.

Ebbi quasi paura a leggere, ma tutto… sfumò via.

“adoro quando Marco me lo fa” scrive, “quelle poche volte che si degna…” aggiunse con le faccine deluse.

Tirai un sospiro di sollievo, non se l’era presa.

“allora il mio culone ti piace proprio tanto se vorresti farci quella cosa lì…” scrisse, “magari poi ne saresti deluso, che ne sai?”

“non penso proprio” mi affrettai a scrivere, evitai di aggiungere cose del tipo mettimi alla prova e vedrai tenendo il profilo basso, ma la bastonata arrivò di lì a pochi istanti.

“come fai a saperlo? dovresti provare…” scrisse, con la faccina che strizza l’occhio.

Ebbi una specie di mancamento: Alessia mi stava offrendo di fare sesso orale?

Esitai a replicare così continuò lei.

“ti ho lasciato senza parole?” scrisse, “è troppo per te?”

“no amica mia” scrissi, “è che certe cose le devo prendere a piccole dosi, una Alessia tutta intera… non so se riuscirei a reggerla”

“esagerato” rispose, “in fondo è solo un culone come tanti…”

“è il tuo culone” scrissi subito, “lo ammiro da anni” aggiunsi, e subito corressi “ammiro con desidero”, e invio!

“vuoi dire che in tutti questi anni mi hai desiderato? ne sono lusingata…”

“ecco, hai scoperto il mio bluff…”

Ancora una volta ci fu un vuoto di comunicazione, Alessia si disconnesse e poi tornò online e una manciata di secondi dopo… ding.

C’era una foto, e la foto era il suo bel culone senza slip… nudo, leggermente dischiuso con una mano per farmi vedere uno scorcio di buco del culo e una piccolissima porzione di vagina.

“non so perché l’ho fatto, ma in questo momento mi fa stare bene averlo fatto” scrisse, “spero che non ti approfitterai di me quando ci vediamo”

“tra poco”

“sono troppo sotto shock per reagire…” scrissi, “ma se vuoi mi posso prostrare a te e al tuo bel sedere”

Rispose con tante faccine che ridono, poi aggiunse qualcosa che andava oltre.

“io però adesso ho qualcosa che mi tormenta” mi scrisse, “e non so se scrivertelo o no…”

“tocca a me incitarti, stavolta?” le chiesi.

“vuoi saperlo, cosa mi tormenta, giusto?”

“si”

Esitò, ma poi scrisse.

“quella cosa che mi hai detto prima” digitò, “quella cosa che mi faresti… mi vergogno anche a scriverlo…”

Toccava a me fare l’uomo.

“aprirti le chiappe e leccarti da sotto a sopra, fino alla schiena?”

“si”

“ci tormenta a tutti e due”

“non ci resta che farlo…” scrisse, di getto, e subito aggiunse “se vuoi”

“aspetto da anni di farlo”

Pausa, lunghissima, ma sempre online.

“non puoi venire qui?” scrisse, “ho ancora mezz’ora di tempo prima di fare l’ecografia… magari mi aiuti a far passare il tempo”

Mollai tutto, presi armi e bagagli e corsi in moto da lei, trovandola in sala d’aspetto: ci abbracciammo, le feci sentire il cazzo duro sulla pancia e lei mi schiacciò le tettone sul petto, Alessia fece una risatina e poi…

“Alessia Volpi?”

Era il medico, donna, che la chiamava.

Alessia mi guardò con un misto di delusione per essere stati interrotti ma anche di divertimento, poi piegò la testa di lato e mi tese la mano.

“Vieni con me?” mi chiese, seria.

“I-io… s-sì, se vuoi…” risposi preso alla sprovvista, e cedendo mi feci tirare dentro nello studio del medico sedendomi accanto a lei ed ascoltando i suoi problemi addominali e digestivi raccontati alla dottoressa che annuiva ed annotava digitando sulla tastiera: Alessia mi guardava e sorrideva, e ad un certo punto allungò la mano e la mise sulla mia, stringendola forte.

Poi ci fu un momento di imbarazzo, quando la dottoressa, in termini strettamente medici, le chiese se dopo aver… evacuato si sentiva l’intestino libero o ancora pieno, e Alessia rispose senza molti problemi mettendomi a conoscenza di certe… intimità, e finalmente il medico la fece accomodare sul lettino.

La vidi tirarsi su il vestito fino a scoprirsi la pancia e restare distesa mentre il medico la schiacciava dappertutto e poi faceva l’ecografia, e una volta finito… da bravo cavaliere l’aiutai a pulirsi dalla schifezza gelatinosa e poi a scendere dal lettino fino a che ci accomodammo di nuovo sulle sedie.

Andava tutto bene, le venne prescritto qualcosa e poi venne il momento di uscire.

“Dottoressa, possiamo usare i servizi igienici per pulirmi un po’ meglio?” le chiese Alessia lanciandomi un’occhiata maliziosa.

“Ma certo… fate pure” rispose quella distratta, e stringendoci le mani se ne andò.

“Visto? Tutto bene…” le dissi, e allora Alessia mi abbracciò ancora: sentii i suoi grossi seni nudi pressati sul mio petto, poi ci separammo.

“Dai, vieni!” mi incitò, e tirandomi fuori dallo studio mi trascinò nel bagno, lucido e pulito, chiuse la porta con il blocco e… pochi istanti dopo il vestito le cadde ai piedi: si tenne coperte le tettone con le braccia, fece una risatina sciocca e poi si voltò piegandosi in avanti ed ondeggiando il culone davanti ai miei occhi stralunati.

Non c’era più spazio per i ripensamenti, e c’era ancora meno tempo: mi misi in ginocchio e le accarezzai la pelle sulla schiena e sulle chiappe facendola riempire di pelle d’oca, e incrociando lo sguardo con il suo nello specchio capii che ero autorizzato a procedere oltre.

Le misi due dita negli elastici degli slip e lentamente li abbassai, il cavallo le rimase “incastrato” tra le cosce fino a che tirando sempre più giù gli elastici anche quello cedette scoprendola completamente: le chiappe di Alessia erano molto più grosse di quanto avevo immaginato e anche meno… attraenti visto che cominciavano a cedere, ma l’eccitazione del momento fece tutto il resto.

E tutta quell’abbondanza “precludeva il guardo” sui suoi tesori così ben celati.

Inalai l’aroma femminile che proveniva da sotto e pregustai quella sensazione terribile ed esaltante al tempo stesso che è il momento della prima “leccata” e per un istante un retro pensiero mi fece fare mente locale, e la vocina che di tanto in tanto si faceva sentire nei momenti più particolari mi trapanò la testa dicendomi “stai per aprire le chiappe di Alessia, stai per aprire le chiappe di Alessia, stai per aprire le chiappe di Alessia, stai per aprire le chiappe di Alessia…”

Ruppi allora gli indugi e le posai le mai sui grossi glutei, li palpai e sollevai e vedendola ansimante finalmente le aprii le chiappe.



Il seguito… alla prossima volta.
bello come pochi letti qui e altrove. Incollato allo schermo per sapere come andava avanti, ma si interrrompe! Adesso mi tocca aspettare con ansia il seguito, che si preannuncia stellare!
 

Maxtree

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Bel racconto scritto bene e posso immaginare quele sensazioni che hai provato in quanto anche a me piace donare quel tipo di piacere
 

Grandel

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“Avevi ragione” mi scrisse, “è proprio un bel posto, pulito, tranquillo, rilassante, ti toglie le ansie quando sei in attesa”

Chi scriveva su WhatsApp era la mia collega Alessia, che era in attesa di una visita ecografica da settimane e che grazie ai miei agganci ero riuscito a farle fare il giorno successivo.

“I miei amici non li mando nei posti infami…” risposi, e subito dopo arrivò la replica con tanti cuoricini e tanti bacini e subito dopo “però dovresti essere qui a farmi compagnia se fossi un amico vero…”

Pensai bene a quello che stavo per scriverle, poi lo feci.

Feci un selfie con la mia foto e la linguaccia, gliela mandai e le scrissi “mandami la tua foto, così ci facciamo compagnia a vicenda!”

Lo fece subito, e mi arrivò la sua foto sorridente con i capelli tirati tutti all’indietro, poco trucco, e gli occhiali da sole sulla testa, e le risposi con tanti cuoricini.

“Però dovresti mandarmene una a figura intera…” scissi subito dopo e la risposta non tardò ad arrivare: indossava un vestitino a righe orizzontali bianche e blu, molto marinaro e molto corto e molto aderente, che le disegnava la figura non proprio esile ed evidenziava le belle tettone da quarta abbondante e il culone tondo.

Ancora una volta esitai prima di scrivere quello che mi passava per la testa, ma alla fine lo feci.

“certo che hai scelto una bella tenuta per fare l’ecografia…” scrissi con tanti bacetti, “chissà che shock il medico che ti vedrà…”

Lesse il messaggio ma non rispose subito, lo fece un paio di minuti dopo mandandomi due selfie dal bagno fatti con l’uso dello specchio, uno che le ritraeva il davanti e uno il dietro.

“wow” risposi con gli occhi elettrizzati, “non ti vesti mai così per venire in ufficio!”

“si invece” rispose “ma tu non mi guardi mai!”

Protestai scrivendole che mi accorgevo di ogni cambiamento nel suo look e nei suoi capelli, cosa verissima, e Alessia mi rispose con tanti cuoricini, e aggiunse “e comunque il medico è abituato a vedere donne che si spogliano, quindi non penso che sarà uno shock per lui”

E fu lì che calai l’asso…

“spero che tu abbia messo l’intimo in coordinato” scrissi, ma prima di inviarlo feci la correzione che poi diventò fondamentale e la frase diventò “spero che tu abbia messo le mutandine più striminzite che hai per fare colpo… magari un perizoma!”, e inviai.

Non rispose subito, ci mise un po' a scrivere, ma alla fine quello che mi inviò fu la faccina che arrossiva.

E poi silenzio.

“scusa, colpa mia, ho esagerato” mi affrettai ad aggiungere ma purtroppo Alessia non replicò.

Mi diedi del coglione e cominciai a “progettare” una linea difensiva da usare quando ci saremmo rivisti, ma a disinnescare la cosa ecco che mi arrivò il suo messaggio, anzi, più messaggi…

“certo che sei proprio curioso” cominciò, e aggiunse “ti conosco da più di dieci anni ma non pensavo che fossi così…” e ci incollò una serie di faccine che ridevano, che per fortuna mi rincuorarono non poco.

“se certe cose me le scrivevano Luca o Alessio li avrei mandati a cagare in tre secondi” scrisse ancora, “ma tu sei un signore, un gentiluomo, e non ti rispondo di sicuro così”, cui seguì una pausa interminabile interrotta da una serie successiva di messaggi.

“sei sempre stato un ragazzo gentilissimo e mi hai aiutato un sacco di volte, anche in circostanze difficili” esordì, “e non me la prenderò di sicuro perché mi fai delle battutine spiritose”

E scrisse ancora altre frasi “di circostanza”, poi… poi toccò a lei calare l’asso di bastoni.

“e comunque se proprio lo vuoi sapere ho messo le solite mutandine, e prima che me lo chiedi non è un perizoma striminzito ma un brasiliano, nero, tutto traforato”, messaggio shock seguito dalle faccine con la bocca aperta.

“ragazza, hai la mia attenzione” risposi e subito Alessia rispose con faccine che sghignazzavano e il commento “lo sapevo che reagivi così”, e la immaginai tutta orgogliosa e vanitosa per avermi… stuzzicato così.

Infatti non la smetteva più di messaggiare, scrivendomi che per lei l’intimo era una cosa sacra e che poteva rinunciare a tante cose ma non a quello, le solite chiacchiere di quanto era brava a scegliere gli accostamenti nell’abbigliamento e i bla bla bla da donna contro altre donne, poi… poi diventò molto più maliziosa.

“adoro farmi vedere in intimo” mi scrisse, “e non solo da Marco… non fraintendermi, ad esempio quando sono in palestra o a fare yoga mi piace che gli altri mi vedano elegante, anche sotto…”

“lo ammetto, sono un po' esibizionista, mi piace farmi vedere e anche farmi desiderare, ma lo faccio senza provocare o essere volgare, mi piace mettermi in mostra come se fossi in vetrina, solo da guardare ma non toccare, e vedere gli sguardi degli altri e magari fare un sorrisetto… lo uso come booster per l’autostima, e secondo me funziona”

“e comunque è sempre guardare ma non toccare” concluse.

“la penso proprio come te” le scrissi frettolosamente ma poi corressi e digitai “penso che tu abbia ragione, e sono sicuro che farai la tua sporca figura, vero?”

“puoi dirlo forte!” scrisse subito, orgogliosissima, e… sdeng, altro asso di briscola in tavola.

“vuoi vedermi anche tu?” mi chiese improvvisamente, secca, senza faccine e senza niente, e ancor prima che replicassi aggiunse “ma solo se posso contare sulla tua discrezione, come in tutti questi anni che ci conosciamo…”

“oltre ad essere colleghi siamo anche amici, questo non è nemmeno in discussione” risposi pensando che fosse una cosa sciocca, ma fece colpo.

“sì, siamo amici, ed è per questo che posso farti certe confidenze”

“e non essere sputtanata”

“ma solo apprezzata”

Avevo il cuore in gola, come quando mi aspetto che succeda qualcosa e l’attesa mi logora.

E infatti, quando arrivò il messaggio successivo, il cuore mi balzò fuori dal petto.

Alessia si era fotografata in bagno, aveva sollevato il vestito scoprendosi fino all’ombelico mostrandomi il davanti: era davvero traforato e ingrandendo la foto mi sembrò addirittura di vedere traccia di pelo, cosa a cui non ero preparato immaginandola completamente rasata.

Aveva la pancia piatta, non proprio scolpita ma non di certo flaccida, i fianchi pronunciati e le cosce non propriamente… tornite, oltre purtroppo non si vedeva: ingrandii al massimo fattore possibile senza sgranare troppo l’immagine e mentre stavo ancora contando i peli e decidere cosa risponderle… ding… altro messaggio.

E stavolta il cuore non mi saltò fuori, ma si fermò.

Alessia era senza vestito, si era fotografata nello specchio del bagno e di lei vedevo la schiena nuda dalle spalle in giù e le belle chiappone “incorniciate” da una mutandina striminzita e praticamente trasparente, che si poteva vedere solo nella parte superiore perché man mano scendeva di sotto letteralmente veniva “mangiata” e inglobata dalle chiappone anche se nella parte più… nascosta, proprio tra le cosce, tornava a farsi vedere mentre ricopriva il rigonfiamento della patata.

Erano anni che non ero così eccitato nel vedere una foto.

Ding, ancora messaggio.

“lo sai che queste foto sono solo per te, vero?” mi scrisse, e subito dopo aggiunse “mannaggia, ma adesso come farò a guardarti in faccia quando torno lì? mi dovrò sotterrare per la vergogna!” mettendoci le faccine che arrossivano.

“non ne parliamo… facciamo finta di niente…” le risposi, ma subito cancellai correggendolo, e scrissi “non credo che possiamo parlare di vergogna in questo caso, parlerei di orgoglio e di bellezza statuaria, di vanto e di invidia… che in questo momento provo nei confronti di Marco”

Non rispose subito, ma quando lo fece mi regalò una serie di baci e di cuori.

“certo che sei capaci di arrivare al cuore di una donna, tu” scrisse.

“non è al cuore che vorrei arrivare” pensai, ma di nuovo Alessia scrisse parole di fuoco.

“non avrei mai neanche immaginato di scambiare foto del genere con qualcuno che non è mio marito” scrisse, “ma non lo so, tu hai qualcosa che mi piace, ce l’hai sempre avuto, ma da un paio di anni sei diventato ancora più… affascinante, mi ispiri fiducia, non so nemmeno che cosa scrivere senza essere banale…”

“è una cosa che si sente a pelle, sei una bella persona ed è bello averti vicino, anche solo per lavorare”

“è uno dei complimenti più belli che abbia mai ricevuto, se non il più bello” risposi.

Ci furono alcuni minuti di pausa, poi Alessia tornò alla carica.

“secondo te ho il culone? mi sembra gigantesco nella foto!!!”

“le foto ingannano” risposi, “il tuo bel culo lo vedo ogni giorno e ti assicuro che… meglio che non te lo scriva, rovinerei l’amicizia”

“NO!” rispose immediatamente, “hai lanciato la bomba e adesso tiri indietro la mano??? Continua! finisci!!!”

Ebbi solo il tempo di radunare le idee e prendere il coraggio a due mani, filtrandolo con un po’ di buon senso, poi mi decisi.

“quello che NON volevo scriverti era quello che farei a quel culo che mi passa davanti tutti i giorni…” scrissi, fui sul punto di modificare ma poi inviai e basta.

“lo immaginavo…” replicò, sembrò scrivere all’infinito ma poi quello che mi arrivò fu la domanda che alla fine mi aspettavo.

“che cosa faresti? sentiamo…”

Come nei videogiochi, quello era il punto di svolta: o molli e perdi tutto o tieni duro, ma se tieni duro può anche darsi che perdi tutto… high risk, high prize.

Poi pensai: che vuole sentirsi dire da me? E allora risposi e basta, con un po’ di malizia.

“se vuoi, te lo scrivo: ma non vorrei che dopo… cambiassi idea su di me”

“non la cambierò mai” rispose, frettolosa di ricevere la sua risposta.

“dai, su, non tenermi sulle spine” scrisse ancora, mettendo la faccina arrabbiata, “che cosa faresti al mio culone?”

“sicura che posso scrivere quello che penso?” azzardai per l’ultima volta.

“SI!!!” rispose, ormai impaziente.

“quello che ci farei è aprirlo con le due mani e passarci la lingua dentro, da sotto a sopra fino ad arrivare alla schiena, e ricominciare all’infinito” scrissi di getto, inviando il messaggio senza nemmeno rileggerlo o ripensarci.

Guardai intensamente lo schermo del telefono, Alessia era online, aveva letto immediatamente il messaggio ma non scriveva e in quei lunghissimi istanti pensai davvero di averla fatta grossa: magari pensava che le scrivessi che mi sarebbe piaciuto sculacciarla o al limite baciarla ma quello che le avevo… proposto, forse era troppo anche per lei.

“scusa” le scrissi dopo due minuti di silenzio radio, lesse il messaggio ma non replicò e allora… precipitai nel panico.

Gettai il telefono sulla scrivania e imprecai contro me stesso ma proprio mentre lo facevo… ding.

Ebbi quasi paura a leggere, ma tutto… sfumò via.

“adoro quando Marco me lo fa” scrive, “quelle poche volte che si degna…” aggiunse con le faccine deluse.

Tirai un sospiro di sollievo, non se l’era presa.

“allora il mio culone ti piace proprio tanto se vorresti farci quella cosa lì…” scrisse, “magari poi ne saresti deluso, che ne sai?”

“non penso proprio” mi affrettai a scrivere, evitai di aggiungere cose del tipo mettimi alla prova e vedrai tenendo il profilo basso, ma la bastonata arrivò di lì a pochi istanti.

“come fai a saperlo? dovresti provare…” scrisse, con la faccina che strizza l’occhio.

Ebbi una specie di mancamento: Alessia mi stava offrendo di fare sesso orale?

Esitai a replicare così continuò lei.

“ti ho lasciato senza parole?” scrisse, “è troppo per te?”

“no amica mia” scrissi, “è che certe cose le devo prendere a piccole dosi, una Alessia tutta intera… non so se riuscirei a reggerla”

“esagerato” rispose, “in fondo è solo un culone come tanti…”

“è il tuo culone” scrissi subito, “lo ammiro da anni” aggiunsi, e subito corressi “ammiro con desidero”, e invio!

“vuoi dire che in tutti questi anni mi hai desiderato? ne sono lusingata…”

“ecco, hai scoperto il mio bluff…”

Ancora una volta ci fu un vuoto di comunicazione, Alessia si disconnesse e poi tornò online e una manciata di secondi dopo… ding.

C’era una foto, e la foto era il suo bel culone senza slip… nudo, leggermente dischiuso con una mano per farmi vedere uno scorcio di buco del culo e una piccolissima porzione di vagina.

“non so perché l’ho fatto, ma in questo momento mi fa stare bene averlo fatto” scrisse, “spero che non ti approfitterai di me quando ci vediamo”

“tra poco”

“sono troppo sotto shock per reagire…” scrissi, “ma se vuoi mi posso prostrare a te e al tuo bel sedere”

Rispose con tante faccine che ridono, poi aggiunse qualcosa che andava oltre.

“io però adesso ho qualcosa che mi tormenta” mi scrisse, “e non so se scrivertelo o no…”

“tocca a me incitarti, stavolta?” le chiesi.

“vuoi saperlo, cosa mi tormenta, giusto?”

“si”

Esitò, ma poi scrisse.

“quella cosa che mi hai detto prima” digitò, “quella cosa che mi faresti… mi vergogno anche a scriverlo…”

Toccava a me fare l’uomo.

“aprirti le chiappe e leccarti da sotto a sopra, fino alla schiena?”

“si”

“ci tormenta a tutti e due”

“non ci resta che farlo…” scrisse, di getto, e subito aggiunse “se vuoi”

“aspetto da anni di farlo”

Pausa, lunghissima, ma sempre online.

“non puoi venire qui?” scrisse, “ho ancora mezz’ora di tempo prima di fare l’ecografia… magari mi aiuti a far passare il tempo”

Mollai tutto, presi armi e bagagli e corsi in moto da lei, trovandola in sala d’aspetto: ci abbracciammo, le feci sentire il cazzo duro sulla pancia e lei mi schiacciò le tettone sul petto, Alessia fece una risatina e poi…

“Alessia Volpi?”

Era il medico, donna, che la chiamava.

Alessia mi guardò con un misto di delusione per essere stati interrotti ma anche di divertimento, poi piegò la testa di lato e mi tese la mano.

“Vieni con me?” mi chiese, seria.

“I-io… s-sì, se vuoi…” risposi preso alla sprovvista, e cedendo mi feci tirare dentro nello studio del medico sedendomi accanto a lei ed ascoltando i suoi problemi addominali e digestivi raccontati alla dottoressa che annuiva ed annotava digitando sulla tastiera: Alessia mi guardava e sorrideva, e ad un certo punto allungò la mano e la mise sulla mia, stringendola forte.

Poi ci fu un momento di imbarazzo, quando la dottoressa, in termini strettamente medici, le chiese se dopo aver… evacuato si sentiva l’intestino libero o ancora pieno, e Alessia rispose senza molti problemi mettendomi a conoscenza di certe… intimità, e finalmente il medico la fece accomodare sul lettino.

La vidi tirarsi su il vestito fino a scoprirsi la pancia e restare distesa mentre il medico la schiacciava dappertutto e poi faceva l’ecografia, e una volta finito… da bravo cavaliere l’aiutai a pulirsi dalla schifezza gelatinosa e poi a scendere dal lettino fino a che ci accomodammo di nuovo sulle sedie.

Andava tutto bene, le venne prescritto qualcosa e poi venne il momento di uscire.

“Dottoressa, possiamo usare i servizi igienici per pulirmi un po’ meglio?” le chiese Alessia lanciandomi un’occhiata maliziosa.

“Ma certo… fate pure” rispose quella distratta, e stringendoci le mani se ne andò.

“Visto? Tutto bene…” le dissi, e allora Alessia mi abbracciò ancora: sentii i suoi grossi seni nudi pressati sul mio petto, poi ci separammo.

“Dai, vieni!” mi incitò, e tirandomi fuori dallo studio mi trascinò nel bagno, lucido e pulito, chiuse la porta con il blocco e… pochi istanti dopo il vestito le cadde ai piedi: si tenne coperte le tettone con le braccia, fece una risatina sciocca e poi si voltò piegandosi in avanti ed ondeggiando il culone davanti ai miei occhi stralunati.

Non c’era più spazio per i ripensamenti, e c’era ancora meno tempo: mi misi in ginocchio e le accarezzai la pelle sulla schiena e sulle chiappe facendola riempire di pelle d’oca, e incrociando lo sguardo con il suo nello specchio capii che ero autorizzato a procedere oltre.

Le misi due dita negli elastici degli slip e lentamente li abbassai, il cavallo le rimase “incastrato” tra le cosce fino a che tirando sempre più giù gli elastici anche quello cedette scoprendola completamente: le chiappe di Alessia erano molto più grosse di quanto avevo immaginato e anche meno… attraenti visto che cominciavano a cedere, ma l’eccitazione del momento fece tutto il resto.

E tutta quell’abbondanza “precludeva il guardo” sui suoi tesori così ben celati.

Inalai l’aroma femminile che proveniva da sotto e pregustai quella sensazione terribile ed esaltante al tempo stesso che è il momento della prima “leccata” e per un istante un retro pensiero mi fece fare mente locale, e la vocina che di tanto in tanto si faceva sentire nei momenti più particolari mi trapanò la testa dicendomi “stai per aprire le chiappe di Alessia, stai per aprire le chiappe di Alessia, stai per aprire le chiappe di Alessia, stai per aprire le chiappe di Alessia…”

Ruppi allora gli indugi e le posai le mai sui grossi glutei, li palpai e sollevai e vedendola ansimante finalmente le aprii le chiappe.



Il seguito… alla prossima volta.
Bello, intenso....quasi vero nonostante il tag.
Ecco, finalmente una storia di “fantasia” che ha tutto per essere vera, il ritmo, i tempi, la sensibilità e l’immaginazione molto reale.
Complimenti, un vero piacere leggerla perché quando un racconto ti fa venire voglia di essere com eil protagonista vuol dire che è più di bello...quasi straordinario. E a me questa voglia l’hai fatta venire. Complimenti...
 
OP
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metzenbaum

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Le aprii le belle chiappone ma non riuscii nemmeno a “controllarne” il contenuto perché qualcuno bussò alla porta.

Scattai in piedi come una molla, forse anche più rapidamente, Alessia… be’, non credo di aver mai visto una donna rivestirsi così velocemente!

Le mancò solo il tempo di rimettersi le mutandine che rimasero nelle mie mani, e dopo esserci scambiati un’occhiata di reciproca intesa Alessia rispose con un “Sì…” che voleva dire “guarda, chiunque tu sia… non stiamo facendo niente di male!”

Era la dottoressa, le mancava la firma della paziente su un modulo… una cosa del tutto insignificante ma che da sola bastò a disintegrare il mood: mentre le sentivo parlare imprecavo a più non posso, ero stato ad un passo, avevo letteralmente sentito il profumo e… tutto era svanito.

Alessia tornò ma ovviamente, come avevo già intuito, non se ne parlava affatto di ricominciare.

“Senti…” mi disse subito, con tono mogio e conciliante, “io… credo che sarebbe meglio… che noi…”

“Capisco tutto, tranquilla” la rassicurai, e ce ne volle per non dire (e fare) altro.

Mi sembrava troppo bello per essere vero…

Non mi disse altro, solo sorrise mestamente e recuperando le sue mutandine dalla mia mano mi fece cenno di seguirla, perché era ora di andarcene da lì.

Ancora sulle scale mi chiese di reggerle borsa e cartelletta dei documenti e si rimise gli slip guardandosi bene dal farmi vedere qualche scorcio, si sistemò meglio il vestito e riprendendo tutte le sue cose scese insieme a me giù fino a parcheggio dove avevo lasciato la moto, lei era arrivata in autobus e la dovevo riaccompagnare a casa per “rinfrescarsi” un po', poi insieme saremmo tornati in ufficio.

Si tenne stretta a me per tutto il tragitto fino a casa sua, e arrivati al suo portone scese e mi rese il casco che rimisi nel bauletto.

“Tranquillo” mi disse poco prima di scomparire, “due minuti e torno…”, il tutto ovviamente senza chiedermi di andare con lei.

Il che certificava… la fine dei giochi.

Nell’attesa guardai ancora la foto che si era fatta poco prima, quella delle sue belle chiappone nude con un accenno visibile di buco del culo scuro e rugoso, ingrandii la foto per vedere i più piccoli dettagli (compresi quelli meno pregiati) ma il pop-up di un messaggio mi fece trasalire.

Il mittente, ovviamente, era Alessia cell...

“scusa” scriveva, “ma prima sono andata nel panico… è ho capito che forse è meglio se certe cose le lasciamo solo sul piano virtuale dei messaggi, delle foto e delle battute, non credo che sono pronta per fare un altro passo”

Ecco qua.

“scusami ancora se ti scrivo invece di dirtelo a quattr’occhi, ma trovo che sia più facile così”

“sono molto più a mio agio e non rischio di fare come prima, che non ho aperto bocca”

“te la farei aprire io la bocca… ma in un altro modo” pensai, frustrato.

“scriverti oltre che essere più semplice mi fa anche stare meglio… anche se sembra strano”

“mi sento davvero meglio, tu che ne dici?” scrisse ancora, forse aspettando una risposta.

Leggevo solo i messaggi di anteprima sullo schermo bloccato del telefono, e non mi resi conto che oltre a scrivere aveva anche… allegato qualcosa.

“non mi rispondi?”

Sbuffai, sbloccai il telefono e… sorpresa.

Aprii la foto che mi aveva mandato e mi lasciai andare, sopraffatto: Alessia era nuda, si teneva coperte le tette con un braccio (anche se le uscivano sia da sopra che da sotto perché erano troppo voluminose) mentre l’altro scendeva sulla pancia per andare a coprire il pube: si mostrava immortalata sul fianco destro, in posa davanti ad uno specchio a tutta altezza che nel riflesso mi regalava la vista del suo culone tondo.

“sei fantastica” le replicai, e cercando di trovare il modo per ricostruire il feeling perso aggiunsi “te l’ho già scritto prima, invidio Marco che ti può vedere tutti i giorni così…”

“grazie” rispose con le faccine che arrossivano e anche sorridevano, sembrò digitare ma poi si disconnesse: aspettai, aspettai, e un paio di minuti dopo arrivò… una cosa bella.

“Marco non mi vede così, però” scrisse.

Ding.

“Marco mi vede così” aggiunse, allegando la sua foto di nudo integrale, senza coperture né altro, presa dal davanti: aveva la figa leggermente pelosa ma forse era… scura di carnagione proprio all’altezza del triangolino, con le labbra pronunciate e carnose, ma la cosa più esaltante erano le tettone, tonde e sode, con qualche piccolo segno di cedimento ma assolutamente favolose, con i capezzoli eretti e scuri.

Altro che quarta abbondante…

Ingrandii la foto che però era di pessima qualità, c’era troppa poca luce e si perdeva il dettaglio, ma mentre ne studiavo ancora i particolari eccone un’altra, e un’altra ancora.

La prima era sempre una sua figura da nuda, presa da dietro, con le chiappone in primo piano visto che aveva arcuato leggermente la schiena piegandosi in avanti: non stetti nemmeno lì a studiarla perché ne avevo un’altra da ispezionare, che volendo vedere era ancora migliore delle altre perché la riprendeva di fianco, sempre leggermente piegata in avanti, con le tettone che penzolavano “sostenute” da un avambraccio.

porca puttana…” sussurrai nel completo silenzio della strada, e nuovamente ecco un ding.

“spero che ti siano piaciute” scriveva, “tra due minuti scendo”

“vestita” aggiunse, con tante faccine che ridevano, e mi mandò un sacco di baci prima di chiudere definitivamente.

“Ok…” sussurrai, “e adesso vediamo che succede…”

L’aspettai ben oltre i due minuti ma finalmente arrivò, con addosso una specie di tuta di lancio (scoprii che si chiamava proprio jump suite) e un giubbino di jeans aperto sulle spalle, sorridente come una ragazzina e con i capelli sempre legati a coda.

“Eccomi” disse soltanto, si rimise il casco e poi… scena muta, anche se l’interfono funzionava perché la sentii tossire in un paio di occasioni.

Non la disturbai, ma poco prima di arrivare in prossimità del nostro parcheggio Alessia finalmente parlò.

“Tu… tu non ti senti in colpa?” mi chiese, con voce seria.

Inspirai profondamente.

“No” risposi.

La mia situazione era differente, e lei lo sapeva: mi ero separato da un paio d’anni dopo una storia breve e tormentata, avevo una nuova compagna (in realtà era un’amica con benefit…) che a seconda delle occasioni diventava più o meno ufficiale, ma niente di estremamente serio, anzi, proprio l’esatto contrario.

Alessia invece era sposata, aveva una figlia di quattro o cinque anni e un marito anche se da me e da tutti era considerata una specie di corrazzata in uno stagno visto il suo carattere ritenuto “esuberante” a confronti di quello molto più chiuso del marito, riservato e quasi remissivo, perché il maschio alfa della famiglia non era di certo lui.

Dai più maligni le erano state attribuite relazioni con questo o con quello ma avevo sempre faticato a credere che ci fosse qualcosa di vero, ma… visti gli ultimi sviluppi…

“No, non mi sento in colpa” ripresi, “non ho questo problema, lo sai…”

“Sì, sì, lo so…” sussurro, forse rendendosi conto di aver detto una cazzata.

Era combattuta, e molto: forse ero il primo con il quale si prendeva uno svago da una routine matrimoniale non certo esaltante, ma viaggiava ancora con il freno a mano tirato.

Certo, aveva intavolato scambi di battutine molto spinti, nel recente passato avevamo flirtato (per scherzare) abbracciandoci e anche strusciandoci l’uno contro l’altra ma solo per divertimento, poi… poi c’erano le foto che mi aveva mandato e quella cosa pazza nel bagno dell’ambulatorio medico nel quale mi aveva permesso di tirarle giù le mutandine e (quasi) di aprirle le chiappe.

Ci pensò su, e poi sospirò.

“No, nemmeno io mi sento in colpa” mi disse, “almeno… non del tutto…” aggiunse con il tono della voce che scemava.

“È stato solo per… ridere un po'…” aggiunse dubbiosa.

“Già” risposi cercando di sorridere, “è stato solo per ridere un po'…”

Parlavamo, ma non ci guardavamo negli occhi, e non solo per via della posizione sulla moto.

Arrivati nel parcheggio ci separammo, Alessia scese subito e rendendomi il casco entrò nella palazzina uffici mentre io cercai un posto riparato per la moto visto che era prevista pioggia per il pomeriggio, e una decina di minuti dopo, mentre stavo tornando verso la palazzina dopo aver messo “la bestia” al riparo ed essermi fermato a chiacchierare con un custode… ding, messaggio.

E mi fermai, e fu meglio così.

Non c’era commento, solo due foto a cui non ero… preparato, e che mi lasciarono senza parole.

Nella prima Alessia si era “presa” da sotto ed era uno scatto di scarsa qualità, sicuramente aveva appoggiato il telefono a terra e usato il timer per l’autoscatto, come anche tutte le altre: si era aperta la tuta sul petto ed aveva fatto uscire le tettone che penzolavano proprio davanti all’obiettivo, con il suo viso sorridente sullo sfondo.

La seconda era letteralmente pornografica, e ritraeva il suo culone aperto fotografato da sotto, con tanto di flash, con le ginocchia appena piegate e le cosce aperte, come se ci si stesse sedendo sopra. La qualità qui invece era molto migliore, e mi regalava la vista della figa sorprendentemente stretta e pelosa ma soprattutto del suo fantastico buco del culo, nero, grinzoso e sigillato, che finalmente potevo vedere con dovizia di dettaglio!

Quello che poco prima ero stato sul punto di leccare clamorosamente!

Ne arrivò anche una terza, Alessia era a novanta gradi ed era presa da dietro, con la visione del suo culone aperto e le gambe leggermente divaricate, come se qualche poliziotto perverso la stesse per perquisire!

Quella era l’esatta posizione in cui…

Ding.

“non mi sono dimenticata, non credere” mi scriveva, leggendomi nel pensiero, “penso ancora adesso a quello che volevi farmi… anzi, a quello che stavi per farmi…”

“non mi esce dalla testa”

“non riesco a non pensarci”

“neanche per mio marito ho mai fatto foto come quelle che ho mandato a te”

“neanche quando sono con mio marito desidero fare quelle cose che voglio fare con te”

Questa mi mancava.

“non lo so che cosa mi sta succedendo ma sta succedendo e non posso fare finta di niente”

Sentivo le palpitazioni, uno “normale” sarebbe già salito e l’avrebbe tirata fuori dall’ufficio per portarla da qualche parte e scoparla senza pietà, ma… un conto è la fantasia, una la realtà con cui poi devi fare i conti.

“ti mando le foto con le gambe aperte ma poi non riesco a guardarti in faccia”

“ti scrivo che voglio me mi lecchi tra le cosce e non riesco a guardarti in faccia”

C’è la soluzione, cara Alessia, c’è la soluzione… basta avere un po’ di fantasia…

“non giudicarmi, ti prego” concluse, mi mandò il classico bacino e si disconnesse.

Chissà perché un sacco di donne pensano più al giudizio morale che a quello… pratico: anche se erano commenti che restavano solo miei… dovevo comunque dirle qualcosa, se non altro per l’amicizia che ci legava, non mi andava di rovinare il nostro rapporto per una folle mattinata di confessioni intime di vicendevoli desideri repressi.

Aprii la porta e incrociai i soliti visi noti in reception, soliti saluti, presi l’ascensore e salii al quarto piano, imboccai il corridoio e arrivai al mio ufficio, trovandola seduta al suo posto, sola.

Quel giorno Simone non c’era, per fortuna, perché a vederla in faccia si capiva lontano un chilometro che stava male.

E stavo male anch’io, perché era colpa mia.

“Eccoci qua…” dissi soltanto, solo per rompere il ghiaccio, ma Alessia mi fece cenno con la mano.

Capii, e me ne stetti zitto, andandomi a mettere nel mio angolino, buono buono, e feci quello per cui venivo pagato, controllare, ordinare, pagare…

La guardavo con la coda dell’occhio, era indaffarata, telefonava e la sua voce era normale, a volte rideva anche, quindi giudicai che fosse… tranquilla.

Ma non indagai.

Passò credo mezz’ora, poi Alessia si alzò.

La vidi armeggiare nella borsetta, prese qualcosa e poi si avvicinò alla mia scrivania.

Inspirò profondamente e mi fece cenno di raggiungerla.

Era tesa come una corda di chitarra, se mi fossi concentrato credo che avrei sentito i battiti del suo cuore.

Lo feci, mi alzai, e Alessia prima mi abbracciò stringendomi forte, poi semplicemente si girò di centoottanta gradi e incollò il sedere al mio pacco, strusciandolo contro.

Poi le cose furono automatiche… le misi le mani sulla pancia e dopo qualche istante di… valutazione salii e le agguantai le tettone, sollevandole e strizzandole dolcemente sentendo sotto i palmi delle mani i suoi capezzoli duri ed eretti.

La sentivo respirare affannosamente, e allora andai anche oltre.

Con le mani mi infilai nella scollatura e gliele agguantai strappandole un gemito, continuando il lavoro “a pelle” senza barriere di tessuto o altro: erano morbidissime e caldissime, pesanti e cedevoli, un godimento unico da palpare per me che ero abituato al massimo ad una seconda…

Le scappò anche qualche gemito mentre con il sedere si strusciava continuamente, e allora una mano la tolsi da quell’antro bollente che era il suo petto e gliela posai proprio sul davanti, sulla passera, facendola irrigidire.

Le volevo fare tutto, succhiarle le tette, palparla, anche baciarla, ma Alessia dipanò ogni mio dubbio.

“Lo sai cosa voglio da te, vero?” mi sussurrò, con la voce che cedeva.

“Sì” le risposi soltanto, mi staccai e le presi la mano.

Si lasciò condurre nel retro del nostro ufficio, dove c’era la porta che dava direttamente sulla sala delle riunioni, che era perennemente interdetta a chiunque non fosse autorizzato dal grande capo: bloccai la porta principale e anche quella da cui eravamo entrati, a scanso di equivoci le barricai entrambe mettendoci delle sedie davanti e quando mi voltai per… raggiungerla e cominciare ad imbastire qualcosa… sorpresa.

Alessia si stava già abbassando la tuta scoprendosi le chiappone, mentre le bombe che si trovava davanti erano già libere.

Non mi guardò in faccia, si abbassò tutto l’indumento intero portandolo in fondo alle caviglie (non era certo l’ideale da mettere se hai intenzione di fare… qualcosa di veloce!) insieme alle mutandine e si piazzò a novanta gradi sul tavolo delle riunioni, cosce aperte e culone in fuori, con lo sguardo fisso alla parete del fondo sala, dove c’erano le foto dei passati presidenti e direttori che ci guardavano sorridenti.

Non c’era altro da dire, solo da fare.

Mi misi in ginocchio, senza perdere altro tempo prima che cambiasse idea, le aprii le chiappe evitando petting o preliminari, diedi (finalmente!!!) una rapida occhiata al buco del culo che mi trovai proprio lì davanti, lo dilatai con le dita e piegando il collo mi truffai di sotto immergendomi nell’aroma di femmina eccitata, e tirando fuori la lingua “alla cieca” gliela passai sulla figa risalendo lentamente sull’ano, senza fermarmi se non a metà schiena.

Mi aggredì il sapore amaro e pungente degli umori vaginali e quello meno “nobile” della zona anale, comunque inebriante, un mix che ti sballa per davvero.

Ricominciai automaticamente a leccare da sotto a sopra, Alessia irrigidì le gambe e strinse le chiappe pur senza limitarmi i movimenti, e dopo non so quante passate tutte fatte velocemente e affannosamente cominciò a gemere rumorosamente: leccai immergendo la lingua nella vagina ormai aperta e slabbrata, fradicia, le leccai il buco del culo penetrandolo con la lingua tenendole bene aperte le chiappone con entrambe le mani, impiastricciandomi la faccia della mia stessa saliva e dei suoi umori copiosi, ingoiai saliva e umori tutti mescolati e non feci una piega nemmeno quando mandai giù peli a gogò, le arrivai ancora fin sulla schiena avvertendo sentori di profumo femminile e poi ridiscesi di sotto per slapparla ancora sulla vagina e sul buchino, Alessia non mi fermava e non ne aveva mai abbastanza perché assecondava ogni mio movimento “accompagnandolo” con una flessione delle ginocchia, ma quel punto dovevo prendere una decisione, c’era troppo poco tempo.

E la presi.

Mi alzai, e mettendomi dietro di lei le feci capire che cos’avevo intenzione di fare.

Anzi, di farle.

Vidi il suo sguardo, sfatto, eccitato, allucinato. Esitò, tentennò, ma poi annuì impercettibilmente e tornò a guardare davanti, puntellandosi con i gomiti sul tavolone pronta per farsi scopare, probabilmente dal primo uomo dopo suo marito.

Aprii i jeans e li lasciai andare giù, poi lo tirai fuori e lentamente glielo appoggiai sul solco delle chiappe e vidi chiaramente il suo corpo scosso da un brivido.



Il resto… alla prossima.
 

mb640

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Complimenti caro amico, hai confermato e addirittura superato il risultato del primo capitolo. Complimenti.
 

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Le aprii le belle chiappone ma non riuscii nemmeno a “controllarne” il contenuto perché qualcuno bussò alla porta.

Scattai in piedi come una molla, forse anche più rapidamente, Alessia… be’, non credo di aver mai visto una donna rivestirsi così velocemente!

Le mancò solo il tempo di rimettersi le mutandine che rimasero nelle mie mani, e dopo esserci scambiati un’occhiata di reciproca intesa Alessia rispose con un “Sì…” che voleva dire “guarda, chiunque tu sia… non stiamo facendo niente di male!”

Era la dottoressa, le mancava la firma della paziente su un modulo… una cosa del tutto insignificante ma che da sola bastò a disintegrare il mood: mentre le sentivo parlare imprecavo a più non posso, ero stato ad un passo, avevo letteralmente sentito il profumo e… tutto era svanito.

Alessia tornò ma ovviamente, come avevo già intuito, non se ne parlava affatto di ricominciare.

“Senti…” mi disse subito, con tono mogio e conciliante, “io… credo che sarebbe meglio… che noi…”

“Capisco tutto, tranquilla” la rassicurai, e ce ne volle per non dire (e fare) altro.

Mi sembrava troppo bello per essere vero…

Non mi disse altro, solo sorrise mestamente e recuperando le sue mutandine dalla mia mano mi fece cenno di seguirla, perché era ora di andarcene da lì.

Ancora sulle scale mi chiese di reggerle borsa e cartelletta dei documenti e si rimise gli slip guardandosi bene dal farmi vedere qualche scorcio, si sistemò meglio il vestito e riprendendo tutte le sue cose scese insieme a me giù fino a parcheggio dove avevo lasciato la moto, lei era arrivata in autobus e la dovevo riaccompagnare a casa per “rinfrescarsi” un po', poi insieme saremmo tornati in ufficio.

Si tenne stretta a me per tutto il tragitto fino a casa sua, e arrivati al suo portone scese e mi rese il casco che rimisi nel bauletto.

“Tranquillo” mi disse poco prima di scomparire, “due minuti e torno…”, il tutto ovviamente senza chiedermi di andare con lei.

Il che certificava… la fine dei giochi.

Nell’attesa guardai ancora la foto che si era fatta poco prima, quella delle sue belle chiappone nude con un accenno visibile di buco del culo scuro e rugoso, ingrandii la foto per vedere i più piccoli dettagli (compresi quelli meno pregiati) ma il pop-up di un messaggio mi fece trasalire.

Il mittente, ovviamente, era Alessia cell...

“scusa” scriveva, “ma prima sono andata nel panico… è ho capito che forse è meglio se certe cose le lasciamo solo sul piano virtuale dei messaggi, delle foto e delle battute, non credo che sono pronta per fare un altro passo”

Ecco qua.

“scusami ancora se ti scrivo invece di dirtelo a quattr’occhi, ma trovo che sia più facile così”

“sono molto più a mio agio e non rischio di fare come prima, che non ho aperto bocca”

“te la farei aprire io la bocca… ma in un altro modo” pensai, frustrato.

“scriverti oltre che essere più semplice mi fa anche stare meglio… anche se sembra strano”

“mi sento davvero meglio, tu che ne dici?” scrisse ancora, forse aspettando una risposta.

Leggevo solo i messaggi di anteprima sullo schermo bloccato del telefono, e non mi resi conto che oltre a scrivere aveva anche… allegato qualcosa.

“non mi rispondi?”

Sbuffai, sbloccai il telefono e… sorpresa.

Aprii la foto che mi aveva mandato e mi lasciai andare, sopraffatto: Alessia era nuda, si teneva coperte le tette con un braccio (anche se le uscivano sia da sopra che da sotto perché erano troppo voluminose) mentre l’altro scendeva sulla pancia per andare a coprire il pube: si mostrava immortalata sul fianco destro, in posa davanti ad uno specchio a tutta altezza che nel riflesso mi regalava la vista del suo culone tondo.

“sei fantastica” le replicai, e cercando di trovare il modo per ricostruire il feeling perso aggiunsi “te l’ho già scritto prima, invidio Marco che ti può vedere tutti i giorni così…”

“grazie” rispose con le faccine che arrossivano e anche sorridevano, sembrò digitare ma poi si disconnesse: aspettai, aspettai, e un paio di minuti dopo arrivò… una cosa bella.

“Marco non mi vede così, però” scrisse.

Ding.

“Marco mi vede così” aggiunse, allegando la sua foto di nudo integrale, senza coperture né altro, presa dal davanti: aveva la figa leggermente pelosa ma forse era… scura di carnagione proprio all’altezza del triangolino, con le labbra pronunciate e carnose, ma la cosa più esaltante erano le tettone, tonde e sode, con qualche piccolo segno di cedimento ma assolutamente favolose, con i capezzoli eretti e scuri.

Altro che quarta abbondante…

Ingrandii la foto che però era di pessima qualità, c’era troppa poca luce e si perdeva il dettaglio, ma mentre ne studiavo ancora i particolari eccone un’altra, e un’altra ancora.

La prima era sempre una sua figura da nuda, presa da dietro, con le chiappone in primo piano visto che aveva arcuato leggermente la schiena piegandosi in avanti: non stetti nemmeno lì a studiarla perché ne avevo un’altra da ispezionare, che volendo vedere era ancora migliore delle altre perché la riprendeva di fianco, sempre leggermente piegata in avanti, con le tettone che penzolavano “sostenute” da un avambraccio.

porca puttana…” sussurrai nel completo silenzio della strada, e nuovamente ecco un ding.

“spero che ti siano piaciute” scriveva, “tra due minuti scendo”

“vestita” aggiunse, con tante faccine che ridevano, e mi mandò un sacco di baci prima di chiudere definitivamente.

“Ok…” sussurrai, “e adesso vediamo che succede…”

L’aspettai ben oltre i due minuti ma finalmente arrivò, con addosso una specie di tuta di lancio (scoprii che si chiamava proprio jump suite) e un giubbino di jeans aperto sulle spalle, sorridente come una ragazzina e con i capelli sempre legati a coda.

“Eccomi” disse soltanto, si rimise il casco e poi… scena muta, anche se l’interfono funzionava perché la sentii tossire in un paio di occasioni.

Non la disturbai, ma poco prima di arrivare in prossimità del nostro parcheggio Alessia finalmente parlò.

“Tu… tu non ti senti in colpa?” mi chiese, con voce seria.

Inspirai profondamente.

“No” risposi.

La mia situazione era differente, e lei lo sapeva: mi ero separato da un paio d’anni dopo una storia breve e tormentata, avevo una nuova compagna (in realtà era un’amica con benefit…) che a seconda delle occasioni diventava più o meno ufficiale, ma niente di estremamente serio, anzi, proprio l’esatto contrario.

Alessia invece era sposata, aveva una figlia di quattro o cinque anni e un marito anche se da me e da tutti era considerata una specie di corrazzata in uno stagno visto il suo carattere ritenuto “esuberante” a confronti di quello molto più chiuso del marito, riservato e quasi remissivo, perché il maschio alfa della famiglia non era di certo lui.

Dai più maligni le erano state attribuite relazioni con questo o con quello ma avevo sempre faticato a credere che ci fosse qualcosa di vero, ma… visti gli ultimi sviluppi…

“No, non mi sento in colpa” ripresi, “non ho questo problema, lo sai…”

“Sì, sì, lo so…” sussurro, forse rendendosi conto di aver detto una cazzata.

Era combattuta, e molto: forse ero il primo con il quale si prendeva uno svago da una routine matrimoniale non certo esaltante, ma viaggiava ancora con il freno a mano tirato.

Certo, aveva intavolato scambi di battutine molto spinti, nel recente passato avevamo flirtato (per scherzare) abbracciandoci e anche strusciandoci l’uno contro l’altra ma solo per divertimento, poi… poi c’erano le foto che mi aveva mandato e quella cosa pazza nel bagno dell’ambulatorio medico nel quale mi aveva permesso di tirarle giù le mutandine e (quasi) di aprirle le chiappe.

Ci pensò su, e poi sospirò.

“No, nemmeno io mi sento in colpa” mi disse, “almeno… non del tutto…” aggiunse con il tono della voce che scemava.

“È stato solo per… ridere un po'…” aggiunse dubbiosa.

“Già” risposi cercando di sorridere, “è stato solo per ridere un po'…”

Parlavamo, ma non ci guardavamo negli occhi, e non solo per via della posizione sulla moto.

Arrivati nel parcheggio ci separammo, Alessia scese subito e rendendomi il casco entrò nella palazzina uffici mentre io cercai un posto riparato per la moto visto che era prevista pioggia per il pomeriggio, e una decina di minuti dopo, mentre stavo tornando verso la palazzina dopo aver messo “la bestia” al riparo ed essermi fermato a chiacchierare con un custode… ding, messaggio.

E mi fermai, e fu meglio così.

Non c’era commento, solo due foto a cui non ero… preparato, e che mi lasciarono senza parole.

Nella prima Alessia si era “presa” da sotto ed era uno scatto di scarsa qualità, sicuramente aveva appoggiato il telefono a terra e usato il timer per l’autoscatto, come anche tutte le altre: si era aperta la tuta sul petto ed aveva fatto uscire le tettone che penzolavano proprio davanti all’obiettivo, con il suo viso sorridente sullo sfondo.

La seconda era letteralmente pornografica, e ritraeva il suo culone aperto fotografato da sotto, con tanto di flash, con le ginocchia appena piegate e le cosce aperte, come se ci si stesse sedendo sopra. La qualità qui invece era molto migliore, e mi regalava la vista della figa sorprendentemente stretta e pelosa ma soprattutto del suo fantastico buco del culo, nero, grinzoso e sigillato, che finalmente potevo vedere con dovizia di dettaglio!

Quello che poco prima ero stato sul punto di leccare clamorosamente!

Ne arrivò anche una terza, Alessia era a novanta gradi ed era presa da dietro, con la visione del suo culone aperto e le gambe leggermente divaricate, come se qualche poliziotto perverso la stesse per perquisire!

Quella era l’esatta posizione in cui…

Ding.

“non mi sono dimenticata, non credere” mi scriveva, leggendomi nel pensiero, “penso ancora adesso a quello che volevi farmi… anzi, a quello che stavi per farmi…”

“non mi esce dalla testa”

“non riesco a non pensarci”

“neanche per mio marito ho mai fatto foto come quelle che ho mandato a te”

“neanche quando sono con mio marito desidero fare quelle cose che voglio fare con te”

Questa mi mancava.

“non lo so che cosa mi sta succedendo ma sta succedendo e non posso fare finta di niente”

Sentivo le palpitazioni, uno “normale” sarebbe già salito e l’avrebbe tirata fuori dall’ufficio per portarla da qualche parte e scoparla senza pietà, ma… un conto è la fantasia, una la realtà con cui poi devi fare i conti.

“ti mando le foto con le gambe aperte ma poi non riesco a guardarti in faccia”

“ti scrivo che voglio me mi lecchi tra le cosce e non riesco a guardarti in faccia”

C’è la soluzione, cara Alessia, c’è la soluzione… basta avere un po’ di fantasia…

“non giudicarmi, ti prego” concluse, mi mandò il classico bacino e si disconnesse.

Chissà perché un sacco di donne pensano più al giudizio morale che a quello… pratico: anche se erano commenti che restavano solo miei… dovevo comunque dirle qualcosa, se non altro per l’amicizia che ci legava, non mi andava di rovinare il nostro rapporto per una folle mattinata di confessioni intime di vicendevoli desideri repressi.

Aprii la porta e incrociai i soliti visi noti in reception, soliti saluti, presi l’ascensore e salii al quarto piano, imboccai il corridoio e arrivai al mio ufficio, trovandola seduta al suo posto, sola.

Quel giorno Simone non c’era, per fortuna, perché a vederla in faccia si capiva lontano un chilometro che stava male.

E stavo male anch’io, perché era colpa mia.

“Eccoci qua…” dissi soltanto, solo per rompere il ghiaccio, ma Alessia mi fece cenno con la mano.

Capii, e me ne stetti zitto, andandomi a mettere nel mio angolino, buono buono, e feci quello per cui venivo pagato, controllare, ordinare, pagare…

La guardavo con la coda dell’occhio, era indaffarata, telefonava e la sua voce era normale, a volte rideva anche, quindi giudicai che fosse… tranquilla.

Ma non indagai.

Passò credo mezz’ora, poi Alessia si alzò.

La vidi armeggiare nella borsetta, prese qualcosa e poi si avvicinò alla mia scrivania.

Inspirò profondamente e mi fece cenno di raggiungerla.

Era tesa come una corda di chitarra, se mi fossi concentrato credo che avrei sentito i battiti del suo cuore.

Lo feci, mi alzai, e Alessia prima mi abbracciò stringendomi forte, poi semplicemente si girò di centoottanta gradi e incollò il sedere al mio pacco, strusciandolo contro.

Poi le cose furono automatiche… le misi le mani sulla pancia e dopo qualche istante di… valutazione salii e le agguantai le tettone, sollevandole e strizzandole dolcemente sentendo sotto i palmi delle mani i suoi capezzoli duri ed eretti.

La sentivo respirare affannosamente, e allora andai anche oltre.

Con le mani mi infilai nella scollatura e gliele agguantai strappandole un gemito, continuando il lavoro “a pelle” senza barriere di tessuto o altro: erano morbidissime e caldissime, pesanti e cedevoli, un godimento unico da palpare per me che ero abituato al massimo ad una seconda…

Le scappò anche qualche gemito mentre con il sedere si strusciava continuamente, e allora una mano la tolsi da quell’antro bollente che era il suo petto e gliela posai proprio sul davanti, sulla passera, facendola irrigidire.

Le volevo fare tutto, succhiarle le tette, palparla, anche baciarla, ma Alessia dipanò ogni mio dubbio.

“Lo sai cosa voglio da te, vero?” mi sussurrò, con la voce che cedeva.

“Sì” le risposi soltanto, mi staccai e le presi la mano.

Si lasciò condurre nel retro del nostro ufficio, dove c’era la porta che dava direttamente sulla sala delle riunioni, che era perennemente interdetta a chiunque non fosse autorizzato dal grande capo: bloccai la porta principale e anche quella da cui eravamo entrati, a scanso di equivoci le barricai entrambe mettendoci delle sedie davanti e quando mi voltai per… raggiungerla e cominciare ad imbastire qualcosa… sorpresa.

Alessia si stava già abbassando la tuta scoprendosi le chiappone, mentre le bombe che si trovava davanti erano già libere.

Non mi guardò in faccia, si abbassò tutto l’indumento intero portandolo in fondo alle caviglie (non era certo l’ideale da mettere se hai intenzione di fare… qualcosa di veloce!) insieme alle mutandine e si piazzò a novanta gradi sul tavolo delle riunioni, cosce aperte e culone in fuori, con lo sguardo fisso alla parete del fondo sala, dove c’erano le foto dei passati presidenti e direttori che ci guardavano sorridenti.

Non c’era altro da dire, solo da fare.

Mi misi in ginocchio, senza perdere altro tempo prima che cambiasse idea, le aprii le chiappe evitando petting o preliminari, diedi (finalmente!!!) una rapida occhiata al buco del culo che mi trovai proprio lì davanti, lo dilatai con le dita e piegando il collo mi truffai di sotto immergendomi nell’aroma di femmina eccitata, e tirando fuori la lingua “alla cieca” gliela passai sulla figa risalendo lentamente sull’ano, senza fermarmi se non a metà schiena.

Mi aggredì il sapore amaro e pungente degli umori vaginali e quello meno “nobile” della zona anale, comunque inebriante, un mix che ti sballa per davvero.

Ricominciai automaticamente a leccare da sotto a sopra, Alessia irrigidì le gambe e strinse le chiappe pur senza limitarmi i movimenti, e dopo non so quante passate tutte fatte velocemente e affannosamente cominciò a gemere rumorosamente: leccai immergendo la lingua nella vagina ormai aperta e slabbrata, fradicia, le leccai il buco del culo penetrandolo con la lingua tenendole bene aperte le chiappone con entrambe le mani, impiastricciandomi la faccia della mia stessa saliva e dei suoi umori copiosi, ingoiai saliva e umori tutti mescolati e non feci una piega nemmeno quando mandai giù peli a gogò, le arrivai ancora fin sulla schiena avvertendo sentori di profumo femminile e poi ridiscesi di sotto per slapparla ancora sulla vagina e sul buchino, Alessia non mi fermava e non ne aveva mai abbastanza perché assecondava ogni mio movimento “accompagnandolo” con una flessione delle ginocchia, ma quel punto dovevo prendere una decisione, c’era troppo poco tempo.

E la presi.

Mi alzai, e mettendomi dietro di lei le feci capire che cos’avevo intenzione di fare.

Anzi, di farle.

Vidi il suo sguardo, sfatto, eccitato, allucinato. Esitò, tentennò, ma poi annuì impercettibilmente e tornò a guardare davanti, puntellandosi con i gomiti sul tavolone pronta per farsi scopare, probabilmente dal primo uomo dopo suo marito.

Aprii i jeans e li lasciai andare giù, poi lo tirai fuori e lentamente glielo appoggiai sul solco delle chiappe e vidi chiaramente il suo corpo scosso da un brivido.



Il resto… alla prossima.
...ancora meglio. Complimenti!!!
 

giovy2k1

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la tua narrazione e' incredibile.. ti tiene incollato allo schermo.. il tuo racconto di fantasia sembra piu' reale di molti racconti reali letti in queste pagine.. davvero complimenti per l'idea..

..chi non ha mai sognato di infilare la lingua tra le natiche ad una collega..
 
OP
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metzenbaum

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Ero finalmente pronto per prenderla ma...

“No…” mugolò improvvisamente, “non farlo…”, e si tirò su con la schiena.

Sembrava quasi che stesse per piangere.

A quel punto esitai, mi separai da lei e per entrambi quello fu il segnale che, ancora una volta, la magia era finita.

Traumaticamente, cazzo.

Rimisi via l’affare ed evitai di guardarla mentre si tirava su tutto e riallacciava bottoni e cintura, e senza dire nulla né farmi un cenno o uno sguardo Alessia spostò la sedia che bloccava la porta e se ne andò lasciandomi solo nella sala riunioni.

“Ma porca puttana…” sussurrai, con un misto di incredulità, di frustrazione ma anche di sana incazzatura.

Non potevo di certo lamentarmi, in poche ore avevo colmato il gap di quasi dieci anni di… desideri infilandole il naso nelle chiappe, ma bloccarmi così faceva male!

Mi aveva permesso di aprirle le chiappe e di leccarla dappertutto preparandola per bene, e quando ero finalmente arrivato a cogliere i frutti del mio lavoro mi pregava di non farlo e scappava via!

Purtroppo quello era un periodo piuttosto arido per me e non avevo di certo la coda di donne che mi cercavano, e per quello Alessia era un grandissimo… colpo, a prescindere dagli anni di amicizia “sterile”: non mi ero certo messo in mente di distruggere il suo matrimonio, magari solo di movimentarlo un po', e oltre tutto era stata proprio lei a lanciarmi segnali ben chiari…

Mi accingevo a togliere il blocco dalla porta principale e sistemare le sedie cercando anche di cancellare ogni residuo di intrusione non autorizzata dalla sala quando Alessia si affacciò alla porta.

“Posso… parlarti?” mi chiese, mogia, con le braccia strette al petto come se volesse auto proteggersi.

Guardava in direzione del tavolo dove avevamo consumato con un misto di schifo e di paura.

Ahi, brutto segno…

“Ho bisogno di andare a casa” mi disse, e quando provai a dire qualcosa mi fermò con un gesto della mano.

“P-per favore” continuò, “ho… ho solo bisogno di andare via da qui…”

Inspirai profondamente e annuii, per me non c’erano problemi, l’avrei sostituita nei suoi compiti o comunque non era quello il problema principale al momento.

“Sì, ma certo” le risposi premurosamente, “vai pure, tranquilla…”

Annuì e mi rivolse un sorriso sbiadito, mormorò una specie di “grazie” e poi si voltò lasciandomi vedere (credevo proprio per l’ultima volta) il suo gran bel culone prima sparire.

Imprecai in tutte le lingue del mondo, ma non per l’occasione persa: avevo paura di averla fatta grossa, di non essere riuscito a fermarmi quando avrei dovuto farlo e soprattutto aver ceduto alla lussuria invece di… fare da freno per salvaguardarla.

E che palle… ma chi mi ero messo in mente di essere? Robin Hood?

Mi sedetti pesantemente sulla poltrona, scostai la tastiera che quasi cadde a terra, allungai le gambe arretrando con la schiena e mettendo le mani dietro alla testa chiusi gli occhi cercando di regolarizzare il respiro e tutto il resto.

“Merda…” sussurrai, e la mente vagò libera sondando scenari fino al giorno prima impensabili, con Alessia che non mi voleva più nemmeno vedere e magari Marco, suo marito, che mi faceva l’improvvisata…

Dovevo assolutamente risolvere quella cosa, a costo di essere invadente nella sua intimità (come se non l’avessi già fatto abbastanza): del resto era stata lei a… proporsi, a farsi avanti e rompere quel diaframma che separava l’amicizia da quel “qualcosa di più”. Perché mai avrei dovuto preoccuparmi?

Perché sono uno stronzo, ecco il perché… mi ero quasi scopato la collega e stavo lì a piagnucolare.

Cercai di buttarmi nel lavoro ma ogni altro stronzo che entrava in ufficio e cercava di lei mi faceva venire ancora di più la voglia di contattarla e parlarci, guardavo il telefono appoggiato sulla scrivania e non volevo fare altro che chiamarla e parlarci, ma non era semplice.

Non so come e in che modo ma arrivò l’ora di chiudere la baracca, sistemai quelle tre cose che dovevo regolare prima andare e poi levai le tende, mestamente, e con qualcosa sullo stomaco.

Ci avevo pensato tanto, non era di certo la prima volta che intrattenevo una relazione clandestina (si dice ancora così?), era stato prima di essere sposato (io) con una donna che invece sposata lo era ma ero molto più giovane e spregiudicato e anche per questo tutto era finito burrascosamente con la classica formula “uno di qua e uno di là”, Alessia invece la conoscevo da anni e ci dovevo anche lavorare insieme: come avevo potuto essere più coglione di così?

Ero andato al suo matrimonio, avevo condiviso con lei gioie e dolori, la sua gravidanza un po’ travagliata e la nascita della figlia, la promozione sul lavoro, tante cose che ci avevano legato.

Cercavo di addossarmi la maggior parte della colpa ma al tempo stesso di auto assolvermi, del resto la mia nonna diceva sempre che una noce sola in un sacco non fa rumore… ma che ne sapeva mia nonna di quello che mi sentivo dentro?

Una bella birra, ecco che cosa ci voleva, magari anche più di una, ma… ero in moto, e con la sfiga che avevo ultimamente alla prima occasione mi fermava la stradale e mi portava via anche la patente!

Immerso in mille pensieri arrivai alla belva, la mia fedele GS 1250, e bastò avviarla per sentire l’energia tornare a scorrermi nelle vene.

Feci un giro diverso dal solito, sempre con il chiodo fisso nella testa, passai anche sotto casa sua e poi, dopo non so quanti chilometri fatti a girare attorno e a vuoto, tornai a casa.

Aprii il cancello con il telecomando e scesi di sotto, misi la mia bella nel box e poi rifeci la strada a ritroso, stavolta a piedi, controllai la buca delle lettere e quando misi la chiave nella serratura del portoncino di ingresso…

“Enrico?”

Mi bloccai, paralizzato.

“Enrico…” ripeté la sua voce.

Mi voltai di scatto e la trovai lì, tuta, borsone della palestra appoggiato a terra e chiavi dell’auto in mano (le conoscevo perché il portachiavi era il mio, che mi aveva portato via vincendo con una scommessa qualche mese prima).

“Ale…” le risposi, “c-che ci fai qui?” chiesi esitando.

Non nego che mi guardai attorno per vedere se c’era anche Marco, che era anche più grosso di me.

Non rispose subito, si avvicinò con lo stesso sorriso con il quale mi aveva salutato poco prima e poi chinò la testa.

“Dovevo… parlarti” mi disse, trovando finalmente il coraggio di guardarmi negli occhi.

Per una frazione di secondo, solo una, davvero, le sbirciai le tettone che premevano per uscire dalla scollatura della felpa: poi mi concentrai solo dal suo naso in su, da bravo ragazzo.

“S-sì, certo…” le risposi goffamente, “ma… vuoi salire o… preferisci…”

Annuì.

“Saliamo?” le chiesi, senza aver capito, e lei annuì ancora.

Prese il suo borsone e la cavalleria mi impose di chiederle se glielo potevo portare io, visto che sembrava pesante, e Alessia un po' sorprendentemente acconsentì, così nel cercare di prendere le maniglie le sfiorai la mano.

Salimmo le scale in silenzio, io davanti e lei dietro (sennò le avrei guardato di sicuro il culo!), arrivammo al mio pianerottolo e aprii la porta lasciandola entrare per prima, accesi luce, climatizzatore e la feci accomodare sul divano: non era la prima volta che veniva a casa mia, l’ultima era stata a primavera, quando avevo invitato lei e altri colleghi per un aperitivo in terrazza, ma mai era venuta da sola.

“Bevi qualcosa?” le chiesi, gesto di circostanza e di cortesia alla quale solitamente l’ospite risponde “no grazie”, Alessia invece rispose “Sì, grazie”, prendendomi in contropiede (non avevo granché in frigo).

“Cosa ti posso offrire?” le chiesi (e mi sentii un po' come quello della pubblicità che alla fine, nudo, dice “succhino?”).

“Acqua, grazie” rispose, “non fredda se ce l’hai” (ovvio, era andata a fare l’ecografia perché aveva sempre mal di pancia e non poteva più bere cose fredde, ero dentro con lei quando il medico gliel’aveva consigliato).

Tornai con una bottiglietta calda per lei e fredda per me, esitai e poi mi sedetti sulla poltrona non accanto a lei ma di fronte a lei.

Aprì la bottiglia, ne bevve un paio di sorsi e poi la posò sul tavolino tra di noi, inspirò profondamente e incrociando lo sguardo con il mio trovò il modo di sorridere, e questo cambiò molto il clima.

“Sei… andata in palestra?” le chiesi, solo per spezzare il ghiaccio, era ovvio, non girava con il borsone Adidas e la tuta se voleva andare al supermercato… idiota!

Annuì, bevve un altro sorso e poi posò di nuovo la bottiglia che quasi le cadde ma che fu veloce a prendere e mettere in sicurezza.

“Però… però prima dovevo parlarti” mi disse, recuperando il tono di voce… giusto.

“Ok, certo” risposi, conciliante.

Annuì, si guardò attorno e poi… sorrise.

“Sono… stata…” provò a dire ma non si decise.

Ero pronto ad intervenire, ma mi fermai perché era meglio aspettare.

“Stronza? Troia? Una maledetta che me la fa vedere e poi la nasconde?” pensai.

“…sono stata una stupida” si risolse a dire, finalmente, “ho fatto delle cose che poi volevo… non volevo più…”

La lasciai parlare, pendendo un po' dalle sue labbra ma Alessia si bloccò, scosse la testa e sorrise.

“Io…” provai a dire, ma mi fermò.

“Senti” mi chiese, “posso… posso andare a fare la pipì?”

Trasalii.

Raramente la sentivo dire “pipì”, quando eravamo in ufficio diceva “pit stop” o “pausa servizi” ma “pipì” mai.

“C-certo” risposi alzandomi in piedi dopo che si fu alzata anche lei, “sai dov’è, giusto? Vuoi che…” aggiunsi ancora goffamente ma opportunamente mi bloccai, e lei annuì avviandosi verso la porta.

“Stronzo…” sussurrai dopo che ebbe chiuso la porta, “idiota…” aggiunsi e approfittando di quella pausa misi via la borsa del portatile, il telefono e le chiavi della moto e mentre cercavo di rimettere a posto una delle chiavi che stava uscendo dall’anello sentii la porta del bagno aprirsi.

“Strano” pensai, “è stata veloc…”

Ma i pensieri mi si bloccarono a metà strada.

Alessia uscì dal bagno completamente nuda, sorridente, con le tettone da urlo spinte in avanti e la camminata sicura, decisa: mi raggiunse, si mise in posa davanti a me e si lasciò ammirare, facendo anche una piroetta e un mezzo inchino in un ballare unico di tette.

Non sapevo né che dire né che fare, ma per fortuna lo sapeva lei.

Si sedette pesantemente sulla mia poltrona, sorridendo sorniona con un dito sul labbro inferiore, mise i piedi sul cuscino e aprì le cosce facendomi vedere la figa che si dischiuse usando due dita a forbice, mi fece l’occhiolino e si passò la lingua sul labbro superiore.

“Vieni qui…” mi sussurrò roca, “vieni a leccarmi tutta…”

Nelle orecchie sentii suonare le trombe del coro trionfale dell’Aida di Verdi.

“Vieni…” continuò aprendosela ancora meglio con tutte e due le mani, “voglio che me la lecchi e che mi fai venire, voglio che finiamo quello che abbiamo cominciato…”

Ero in apnea.

Si mise un dito proprio sotto e se lo “pucciò” dentro portandoselo poi alle labbra per succhiarlo, e per provocarmi ulteriormente me lo fece vedere roteando il polso e poi piegandolo ripetutamente mi incitò a raggiungerla.

“Guarda…” mugolò sollevando ancora di più il bacino per farmi vedere quello che c’era sotto, “guarda qui… ti piace? Vuoi giocarci un po’?”

Mi mostrò il buco del culo aperto, penetrandoselo leggermente con un dito ed esibendomelo come se fosse la cosa più succulenta di questo mondo (lo è, infatti), poi mollò tutto e sempre tenendo le gambe aperte e sollevate si prese entrambe le tettone e cominciò ad accarezzarle voluttuosamente, senza staccare gli occhi dai miei mentre lo faceva.

Una sola donna si era “atteggiata” in quel modo con me, tanti anni prima, ed era una donna diametralmente opposta ad Alessia, sia dal punto di vista… sociale che da quello caratteriale.

Mi bastò un secondo per cedere (quelli che dicono che noi uomini ragioniamo con l’uccello non hanno ragione, sono dei dannatissimi guru) mi tolsi la camicia e la raggiunsi mettendomi nuovamente in ginocchio da lei, stavolta davanti, tra le sue cosce aperte.

Non riuscivo a capire se Alessia stesse recitando o se fosse davvero bipolare, ma a quel punto… che me ne importava più?

Le aprii le cosciotte per farmi spazio e dopo averle dato una “fiutata” (non era proprio fresca di bucato, diciamo così) la aggredii con la lingua passandogliela proprio dentro, dritto per dritto, e facendole fare un salto.

Aveva il grilletto così sensibile che lo vedevo gonfio e arrossato, e mi sorpresi a pensare che da quel lato era la prima volta che la vedevo…

Evitai di lavorarci sopra per non farla scappare via così mi dedicai a leccarla dentro, dentro dentro, succhiandole fuori ogni aroma e ogni umore: ad ogni passata reagiva contraendo tutti i muscoli pelvici buchetto compreso, ed emetteva un “ah” sommesso accompagnato da un sobbalzo del bacino che di riflesso faceva sobbalzare anche me.

Troppo bello…

Leccai a profusione, cosce, chiappe, gambe, pancia, pelo, ombelico, e poi ancora gambe, chiappe e figa, tutto quanto insieme, tutto quanto mescolato, lasciando fuori solo il buco del culo, quello lo volevo tenere per ultimo…

Quando alla fine glielo aprii con le dita Alessia sollevò ancora di più il bacino per lasciarmi lavorare meglio, e quando ce l’ebbi proprio davanti, pronto, senza alcuno ostacolo… diedi il meglio di me.

A confronto dell’interno della vagina aveva un sapore paradisiaco, sembrava quasi dolce.

Lo leccai da fuori e poi dentro, Alessia si era ormai abbandonata sulla poltrona e aveva appoggiato le cosce sulle mie spalle perché si era stancata, chi non si stancava ero io.

Ci diedi dentro da maledetto, mi faceva male il collo, le ginocchia, le spalle, il collo, la mandibola e anche la lingua, ma non cedevo: Alessia mugolava, gemeva quando le succhiavo il grilletto, sussultava quando aumentavo la frequenza delle leccate, e non mi chiese mai di smettere.

Dovetti fermarmi per un istante, il collo era piegato da troppo in una posizione innaturale e faceva male, e approfittando di quella pausa Alessia tolse le gambe dalle mie spalle e con estrema naturalezza andò a piazzarsi in ginocchio sulla poltrona, sporgendomi il meraviglioso culone proprio davanti alla faccia.

“Ti piacciono le mie chiappe?” mi chiese accarezzandosele e allargandosele mentre mi guardava da sopra la spalla, “Eh? Ti piacciono?”

Sembrava invasata.

Era completamente fradicia di saliva e di umori, tutti mescolati insieme come un blended di whisky ma ancora più aromatici, roba che le incollava i peli addosso.

Non riuscii a resistere molto davanti a quella visione onirica, “al diavolo il collo” pensai, e di nuovo mi tuffai su quel fiero pasto che mi tenne occupato ancora per interminabili minuti fatti di leccatone senza controllo inframezzate a pause di riflessione e altre leccate più ragionate, molte fatte passando dalla pancia a mezza schiena transitando per la figa ormai slabbrata e il buco del culo grinzoso e stretto, portando la mia amica a livelli che sicuramente non aveva mai raggiunto prima.

Ormai ero intriso del suo aroma e dei suoi umori, non ne potevo più fare a meno.

Mi sedetti sui talloni per rilassare la muscolatura della schiena e ancora una volta Alessia ne approfittò per cambiare posizione, stavolta raggomitolandosi sulla poltrona, ansimante e sfatta, con gli occhi quasi socchiusi e le guance arrossate.

Incrociammo lo sguardo, per un istante mi sembrò di vedere un’espressione del tipo “oddio, cosa sto facendo!” ma non era così, per fortuna, era solo… sfatta.

“Non ce la faccio a continuare” mugolò, “non mi tengono su le gambe…” aggiunse quasi ridacchiando.

E che cosa può fare un gentiluomo che ha appena passato l’ultimo quarto d’ora a leccare figa e buco del culo alla donna che desidera da anni?

Cosa può mai volere quel gentiluomo se non affondare il cazzo lì dove ha appena messo la lingua?

Certo, si trattava di convincere la proprietaria della vagina… cosa tutt’altro che scontata, per la verità.

Ma a volte… le circostanze della vita ti fanno capire che ti preoccupi troppo, perché se deve andare bene ti va bene a prescindere da quello che fai o non fai, anche se è vero pure il contrario (un amico romano diceva sempre che “quando è ora di pigliarlo nel culo, il vento di solleva la camicia”), ma in quel glorioso diciotto di giugno duemila e diciannove non ci fu un solo alito di vento.

Alessia allungò le braccia verso di me e con voce calda e appassionata mi sussurrò “portami a letto”.

La presi in braccio scoprendo che era non era proprio leggera ed evitando di sbatacchiarla di qua e di là tra porte e corridoio stretto arrivai al letto, dove l’adagiai delicatamente facendola poi rotolare e finire a pancia in giù, con il suo culone che svettava giunonico.

Mi liberai di tutto il superfluo restando nudo come lei, e distendendomi mi misi proprio accanto a lei, accarezzandole schiena, collo e spalle strappandole dei mugolii sommessi.

La fase uno era completata, le avevo consumato figa e buco del culo a forza di leccarli, ora… per la legge della compensazione sul sesso… Alessia doveva ricambiare (anche perché avevo il cazzo che esplodeva!).

Ma qualcosa mi diceva che non sarebbe accaduto. Era cominciato tutto così stranamente che altrettanto stranamente doveva finire.

Beh, mi sbagliavo.

Alessia rotolò e si mise in ginocchio, mi spinse giù facendomi distendere e senza mezze misure mi prese il cazzo tenendolo ben dritto nel pugno, lo scappellò lentamente e altrettanto lentamente si chinò con la bocca aperta senza interrompere il contatto visivo, ma quando le sue labbra si chiusero sulla cappella fui costretto ad interromperlo perché chiusi gli occhi sopraffatto dal piacere.

Sentii le sue labbra scendere lungo il fusto e poi risalire, stringere e succhiare usando anche la lingua che mi tintinnava la cappella ultra sensibile, giocò anche con le mie palle trastullandole nelle dita della mano sinistra mentre con la destra scappellava a ritmo delle pompate di labbra, lentamente, come un’agonia senza fine, ma finalmente lasciò da parte i formalismi e si mise a fare davvero, un vero pompino, con su e giù frenetico di labbra e capelli sciolti che mi facevano solletico sulla pancia e sulle cosce e che Alessia continuava a tirare indietro o di lato.

“Sì, così, sei bravissima, sei fantastica…” le sussurravo e lei rispondeva provocante e sensuale gemendo “Ah sì? Ti piace?” in un gioco di seduzione e passione che però si interruppe bruscamente.

Riaprii gli occhi e la vidi tirarsi sul “gattonare” fino a mettersi a cavalcioni su di me: capii ovviamente quello che stava succedendo, non riuscii nemmeno a dire “ah” che Alessia si era messa proprio sopra, e si stava guidando il cazzo tra le cosce, dove lo desiderava.

Si morsicava il labbro inferiore ed era una visione assurda, sudata, con ciocche di capelli incollate alla fronte, due goccioline ai lati delle orecchie che scendevano verso il collo e il petto e le tettone tutte piene di micro goccioline di sudore che “condensavano” e si convogliavano in un piccolo rivoletto proprio tra le bombe che penzolavano sul petto: si aggiustò la vagina con le dita, ci incollò sopra la cappella e poi lentamente e inesorabilmente scese, penetrandosi, mentre sul suo viso vedevo un’espressione estatica, con gli occhi che erano diventati due fessure e le labbra si erano socchiuse mostrando i denti bianchissimi e perfetti.

Solo il tempo di contare fino a due ed ero tutto dentro, fino alle palle: avevo inarcato la schiena che ancora mi faceva male e lo stesso aveva fatto lei, ma passato quel primo momento di estremo piacere legato al nostro primo, vero contatto sessuale, Alessia si chinò su di me facendomi penzolare le tettone sulla faccia e cominciò a muoversi con il bacino, auto scopandosi saltellando leggermente su e giù facendo fare cic ciac alle nostre cosce.

Non potevo solo restare sempre… passivo: allungai le mani e feci per afferrarle le tette, Alessia prima sembrò fuggire quel contatto ma poi me le porse avvicinandosi e allora… toccai l’apoteosi.

Alessia, la mia tanto desiderata collega di ufficio, con il suo bel culone e le tettone nude solo per me mi stava cavalcando, ed io la palpavo dappertutto, riempiendomi le mani di carne bollente, strizzandogliele, pizzicandole e tirandole i capezzoli strappandole dei piccoli gemiti di piacere.

Le misi le mani sul culone strizzandole anche quello e aiutandola a saltellare, le toccai il buco del culo riuscendo quasi a metterci dentro un dito prima di fermarmi ed evitare di rovinare tutto, quando all’improvviso Alessia si fermò.

E mi guardò come un gatto guarda il canarino prima di papparselo…

“Voglio fare un’altra cosa…” mugolò, si tirò su e se lo sfilò da dentro, si alzò in piedi sul letto e calando sulla mia faccia con le cosce aperte appoggiò le ginocchia sul materasso e poi si distese verso le mie gambe, afferrandomi il cazzo e portandoselo immediatamente in bocca.

Stavo facendo un sessantanove con Alessia…

“Posso morire felice, ora” mi dissi, e aprendole il culo ricomincia per l’ennesima volta a leccarla a più non posso mentre la sua bocca faceva su e giù lungo il mio cazzo che ormai non poteva più reggere a lungo.


Il resto… alla prossima.
 

Renatello

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Racconto spettacolare...

Mi ricorda tanto una mezza storia con una collega culona che ogni volta, come Alessia, tentennava e sul più bello si tirava indietro.

Solo che alla fine si è tirata indietro davvero e non sono riuscito a chiavarla. :mad::mad::mad::mad:
 
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Quando sei in buona compagnia il tempo passa in fretta, e in quella serata il tempo letteralmente volò.

Dopo l’interminabile sessantanove Alessia era talmente carica e talmente vorace che volle ancora venirmi sopra, stavolta di schiena (reverse cowgirl, yeah!), fece tutto da sola guidandolo e facendolo scivolare dentro fino a riempirsi tutta, e ormai perfettamente al comando della nave si mise a muovere il culone cercando il proprio piacere ed adattando la propria posizione fino a trovare quella giusta (per lei, meno per me, visto che me lo stava letteralmente spezzando in due).

Non la interruppi, tenni duro sopportando stoicamente il mix di dolore e piacere ma poco prima che arrivassi finalmente anch’io alla logica conclusione se lo sfilò da dentro e ricominciò a pompare da maledetta senza curarsi del mio confort, anzi, sembrava voler obbedire più al soddisfacimento personale che di coppia.

Non era proprio così che volevo finire, ma potevo anche accettarlo, ed ebbi solo il tempo di dire “Veng…” che se l’era già tolto di bocca: sborrai soffrendo mentre me lo scappellava a più non posso, schizzandole addosso e imbrattandole le mani e le braccia, e quando proprio ero prosciugato Alessia me lo mollò accasciandosi sul letto, ansimante come me, un braccio a coprirle gli occhi e l’altro a tenersi la zona inguinale.

La guardai a figura intera, soffermandomi sulle grosse tettone che le stavano mollemente appoggiata sul petto e che si muovevano in su e in giù seguendo gli atti del respiro ancora pesante per via dello sforzo fatto, era completamente sudata ed impiastricciata di umori e saliva ed ero certo che chiunque, avvicinandosi, avrebbe sentito la puzza di sesso che emanava.

Il pensiero razionale mi fece chiedere “il bagno è pulito?”, sì, lo era, “asciugamani ce ne hai puliti?”, sì, quanti ne vuoi, e nel mezzo dei pensieri “domestici” Alessia si tolse il braccio e si tirò su.

Cercò attorno un qualsiasi dispositivo che le mostrasse l’ora e lo trovò nella sveglia digitale sul mio comodino.

“Cazzo…” mugolò mettendosi seduta dandomi la schiena, con le gambe a penzoloni, “è tardissimo…”

Si alzò e mi guardò, riuscì a malapena a sorridere e sembrò essere diventata improvvisamente triste.

“Eh no, cazzo, non ancora…” pensai.

“Puzzo da fare schifo…” sussurrò facendo poi una smorfia.

“V-vuoi farti una doccia?” le chiesi, anticipandola.

“No, grazie…” rispose, “la faccio in palestra… grazie, comunque” aggiunse, quasi timidamente.

Che stesse già subendo la fase post sesso clandestino, la fase della vergogna?

Mi chiese però di poter usare il bagno e in sua assenza mi misi un paio di boxer presi dal cassetto e una maglietta bianca, e quando Alessia tornò dopo alcuni minuti era giù rivestita di tutto punto, pronta per andarsene.

L’accompagnai verso l’uscita, esitai prima di aprirle certo che avevo qualcosa da dire, ma visto il suo assoluto mutismo aprii la porta e la lasciai passare.

“No, non scendere” mi disse mettendomi una mano sul petto per fermarmi lì sulla porta, “ci vediamo domani in ufficio… ti mando un messaggio più tardi, ok?” concluse, mi fece un altro sorrisetto imbarazzato e poi trotterellando scese le scale scomparendo.

Non era di certo la mia prima avventura, quella, di certo però era la più particolare e che… avrebbe avuto sicuramente degli strascichi perché Alessia l’avrei dovuta rivedere, non era una botta e via e chi s’è visto s’è visto.

Rientrai in casa e mi feci la doccia restando non so quando appoggiato con la fronte alla parete mentre l’acqua quasi fredda mi sferzava il collo e la schiena, una volta uscito guardai distrattamente la tv e poi mangiai qualcosa, annullai l’appuntamento delle nove in call con un amico negli States e con il cervello che fumava tornai sul luogo del misfatto, gettandomi sul letto a braccia aperte.

Si era messo a piovere forte e il tamburellare ritmico delle gocce sul davanzale del balcone sembrava una specie di codice morse, che non conoscevo ma che sicuramente mi stava ricordando quanto ero coglione…

Doveva essere l’anno precedente, o forse quello prima ancora quando mi ergevo a massimo conoscitore delle dinamiche che regolano i rapporti sociali tra uomini e donne che lavorano insieme: di lì a poche settimane mi sarei separato, ma quello non c’entrava un cazzo.

Un collega, si chiama Alberto, stava vivendo una specie di strana storia sentimental - sessuale e con una tizia che lavorava nella nostra stessa palazzina direzionale ma dipendente di un’altra società, e il fatto di vederla tutti i giorni senza poterla… avere lo stava mandando fuori di testa.

Ce lo aveva raccontato una sera, al solito locale dove facevamo passare il tempo prima di tornare alle nostre case dopo il lavoro, e lì mi ero arrogato il diritto di insegnargli una delle mie perle di saggezza, mai scoparti una collega di lavoro, perché poi ci devi avere a che fare… e non la puoi semplicemente scaricare.

“Com’è strana la vita” pensai mentre provavo a prender sonno rilassando tutti i muscoli possibili, “adesso sono diventato io l’Alberto di turno…”

Mi scappò un sorrisino scemo, io non stavo vivendo una storia sentimentale, io mi ero “semplicemente” scopato una collega di lavoro, quindi? Qual è il problema? Qual è il mio timore?

Che non mi vorrà più parlare dopo oggi? Cazzi suoi…

Che non mi vorrà più vedere? Che cambi ufficio, e si faccia trasferire…

Che vada in giro a dire quanto sono bastardo? Faccia pure, sarei diventato un eroe nazionale…

Che mi sputtani dicendo a tutti che penso solo a quello quando sto con una donna? Vedi sopra!

Che mandi suo marito a regolare i conti? Eh, sarebbe un problema… ma glielo avrebbe mai detto? Non credo…

La stanza si rischiarò improvvisamente e poi il tuono fece tremare i vetri, interrompendo il flusso dei miei pensieri e probabilmente resettando tutto.

“Ma sono tutte stronzate, e tu lo sai” mi dissi, “tu lo sai perfettamente qual è il problema”

“Il tuo problema, ammettilo coniglio che non sei altro, è che Alessia ti chieda qualcosa di più”

“Il tuo problema è che Alessia, da domani, pretenda qualcosa di più”

“Qualcosa che tu non puoi e non vuoi darle”

“Ammettilo”

“Non ne hai il coraggio, vero?”

Cominciai ad innervosirmi e scalciai via il lenzuolo, mi rotolai non so quanto e poi finalmente decisi di uscire da lì: misi giù i piedi e tirandomi su barcollai fino al divano dove mi lasciai andare pesantemente prima di accendere la tv.

Non ricordo nemmeno cosa guardai, mi feci una Nastro Azzurro mentre guardavo fuori la pioggia che cadeva, spensi la tv e decisi che sarebbe stato meglio dormire sul divano, così allungai le gambe e ancora provai a rilassarmi, ma non c’era un cazzo da fare.

“Cosa farò domani?” cominciai a chiedermi, “Entro e la saluto come sempre o la chiamo ‘amore mio’?”

Coglione!

“E… le guardo ancora il culo?”

“Certo che sì”

“E se si incazza?”

“Le passa, prima o poi”

“E se mi chiede di leccargliela?”

“Gliela consumo!”

“E se lo vuole?”

“Glielo do!”

“E se…”

“E BASTA, CAZZO!” esclamai a voce alta, innervosito dai miei stessi pensieri.

Rimisi giù i piedi mentre tenevo la testa a ciondoloni davanti al petto, col pensiero che dovevo ricorre al “solito” sonnifero, una dose generosa di Aberlour con ghiaccio, quando proveniente da chissà dove sentii il “ding” di un messaggio o una email sul telefono, che avevo completamente dimenticato.

“Ma dove cazzo l’ho messo?” mi chiesi cercando l’apparecchio, che alla fine scoprii essere rimasto nella borsa del portatile ancora dal ritorno a casa.

Guardai lo schermo… Alessia cell.

“Oh, cazzo…” sussurrai.

L’anteprima non era leggibile, nascosta da mille altre notifiche, così sbloccai con il codice ed ecco il messaggio.

“dormi?”

Inspirai profondamente, poi risposi.

“no”

“nemmeno io” rispose subito, senza aggiungere altro.

Aspettai a scriverle, aspettai, aspettai fino a che sotto il suo nome apparve “sta scrivendo…”

“scusa, non volevo disturbarti, buonanotte” scrisse alla fine, certa di avermi disturbato quando non lo volevo.

“visto che sei un coglione?” mi dissi, e subito mi affrettai a rispondere.

“no, sono qui, stavo… pensando”

‘sta scrivendo…’

“a me?”

La verità, di solo la verità.

“si”

“anch’io pensavo a te… e a quello che è successo oggi” rispose.

“e posso essere sincera?” aggiunse.

“non voglio farlo”

“non voglio pensarci”

“voglio pensare solo alla mia famiglia”

“a mia figlia e a mio marito e alla mia casa”

“non voglio pensare a te”

Pausa.

“ma non ci riesco”

Ancora pausa.

“posso fare qualcosa per aiutarti?” le scrissi, dopo aver valutato bene.

“hai già fatto abbastanza per oggi” rispose, lasciandomi con il dubbio se era una risposta sarcastica o seria.

“non so se mi hai aiutato” scrisse poco dopo, “ma hai fatto abbastanza”

“Aiutato? Aiutato a fare che cosa?” pensai, “A scoprire che forse la tua vita matrimoniale non è così idilliaca come la dipingi alle tue colleghe durante la pausa caffè?”

Pensai a cosa scrivere e infine trovai una specie di compromesso.

“non so se per te è stata una cosa positiva o negativa quella di oggi” le scrissi, “io da parte mia non posso dire che sono stato male”

“anzi, proprio tutto il contrario”

Non le diedi il tempo di rispondere.

“scusami se sono stato troppo poco delicato” le scrissi, “ma voglio essere estremamente sincero con te”

“ti desideravo, lo sapevi, per me è stato un sogno che si avverava”

Forse esageravo ma… la macchina si era avviata, dovevo mantenerla in moto. Solo così potevo chiarire con lei ed evitare altre nottate potenzialmente insonni.

“quello che è successo è successo” scrissi, “non voglio né fare finta che non sia mai accaduto né farlo diventare la questione più terribile di tutta la mia vita”

“posso non parlarne mai più con te e continuare a fare quello che ho fatto in questi ultimi dieci anni”

“ma se c’è una cosa che non voglio nel modo più assoluto è farti del male”

‘questa te la potevi evitare’

“spero che tu mi capisca” conclusi.

Altra pausa, lunga.

“sono sincera anch’io” scrisse finalmente, “confesso non sono mai stata così bene con un uomo”

Ed eccole di nuovo qui, le trombe del coro trionfale dell’Aida…

“chiamala passione o se vuoi trasgressione o se vuoi pazzia”

“o chiamala come preferisci tu” scrisse di getto, frase dopo frase

“io non sono mai stata così soddisfatta come oggi”

“ma solo dal punto di vista fisico, del sesso”

“non voglio sminuire, ma è stato solo sesso”

“niente altro che sesso”

“e dovrà essere solo sesso”

“capisci quello che voglio dire?”

‘dovrà essere…’

“ti prego non giudicarmi male”

“dimmi che mi capisci, ne ho bisogno in questo momento”

Replicai come voleva lei, anche se poi le nostre volontà coincidevano.

“ti capisco e la penso anch’io così” scrissi, “non voglio sostituirmi agli affetti che già hai” aggiunsi, “e non voglio che stai male per colpa mia, quindi se lo desideri… faccio tutti i passi indietro che vuoi, non ne parliamo più e cerchiamo di dimenticare tutto”

“già da questo momento se vuoi”

Questa sì che è una bella esca…

“non voglio dimenticare” scrisse secca, sembrò scrivere altro ma poi si fermò pur restando online.

“nemmeno io” replicai.

Seguì una lunghissima pausa, lunga minuti, durante la quale fissai soltanto lo schermo e forse lei fece lo stesso.

“sai che ho ancora in testa quella cosa che mi hai detto stamattina?” scrisse finalmente, aggiungendo la prima faccina da quando avevamo cominciato a scrivere da perfetti insonni pochi minuti prima.

“ne ho dette tante di cose” replicai, “però credo di sapere a cosa ti riferisci, a quale frase in particolare”

“davvero? quale allora? dimmi, dimmi…”

‘Ecco, giochiamo un po'…’

“dovresti dirmela tu…” scrissi, “poi io verifico se avevo ragione…”

“No” replicò, “dimmela, devi dirmela tu”

“è una cosa che si può anche dire o che si può solo pensare?”

“dire” scrisse, “e pensare”

Sicuramente stava perdendo la pazienza…

“ah, ok”

“SCRIVILA CAZZO” sbraitò virtualmente, alla faccia della netiquette…

“ti aprirei le chiappe” scrissi, e poi corressi pesantemente in “ti aprirei il culo con due mani e ti passerei la lingua dalla pancia passando per la figa, per il buco del culo e sul solco delle chiappe fermandomi sulla schiena”

Restò online, ma non scrisse.

“sai cosa sto facendo in questo momento?” scrisse dopo una manciata di lunghissimi istanti.

“no” risposi, “ma vorrei essere lì a vederlo”

“di qualsiasi cosa si tratta”

“bella, brutta, sporca o pulita”

“qualsiasi cosa”

“vorrei essere lì a farla con te”

Scrivevo esattamente come lei, un flusso di idee e pensieri.

Non replicò.

Passarono trenta secondi, che erano un’eternità, poi finalmente Alessia rispose.

“mi sono messa in quella posizione che tu sai” scrisse, “e sogno che ci sia tu dietro che mi fai quella cosa…”

“non dovrei farlo, ma sto pensando… a te”

“dovrei dimenticare te e tutto quello che è successo oggi”

“lo dovrei fare per… lui, per loro” aggiunse, evitando di nominare marito e figlia.

“ma non ce la faccio più”

“ho ancora bisogno di te”

“e sto male, sento di fare la cosa sbagliata ma non ne posso fare a meno”

“ti prego” scrisse, “dimmi che lo facciamo ancora… presto”

“dimmi che mi impedirai di cambiare idea”

‘era fatta, ed era mia’

“domani” aggiunse, “domani lo rifaremo”

“ok, domani” replicai.

“domani mi leccherai ancora, tutta, da dietro” scrisse, sempre di getto.

“promettimelo”

“te lo prometto” risposi, “domani ti aprirò il culo e ti leccherò tutta, pancia, figa, buco del culo, chiappe e schiena”

“non vedo l’ora di sentire il tuo sapore” conclusi.

“quale”

“quale sapore vuoi sentire?”

“dimmelo”

Sorrisi: sicuramente si stava toccando e aveva bisogno di rilasciare tutta la frustrazione.

“voglio sentire il sapore della tua figa…”

“ti voglio togliere gli slip e aprirti le chiappe, aprirtela con le dita e metterci dentro subito la lingua, succhiarti il clitoride e farti venire due, tre, quattro volte di fila”

Nessuna replica.

“poi ti faccio girare e ti apro tutta dietro e comincio a leccarti il buco del culo, ci metto anche dentro un dito e poi me lo voglio succhiare per sentire il tuo sapore dentro”

Stava scrivendo qualcosa, la lasciai fare ma non arrivò nulla, allora continuai.

“ti voglio leccare tutta, dal collo scendendo sul tuo meraviglioso seno che voglio succhiare, poi scendere ancora sulla pancia, e ricominciare a leccarti la figa aperta e ritornare dietro, nel solco delle chiappe per leccarti il buchino prima di risalire sulla schiena e tornare sul collo”

Aspettai una replica, doveva scrivere qualcosa, e infatti lo fece.

Parole non da poco, tra l’altro.

“nessuno mi ha mai desiderata così”

“io ti desidero così” replicai, “sono dieci anni che ti desidero”

“per me non è così, lo sai” rispose, “sto solo cedendo ai miei istinti”

“voglio essere sincera con te”

“il mio desiderio è solo sessuale, voglio essere desiderata, voglio essere toccata, e leccata”

“da te, ma senza nessun altro sentimento”

“voglio che tu lo sappia”

“ok?”

“assolutamente ok” risposi.

In pratica, mi aveva appena confermato che voleva usarmi per il suo piacere.

Restammo in attesa l’uno dell’altra, e per diversi minuti non scrivemmo nulla, e allora… ci provai.

“dove sei?” le scrissi, “sei a letto?”

“no, sono in bagno” rispose dopo diversi secondi.

‘Giochiamo un po’ prima di andare a letto?’

“sei nuda?”

“no… ho una maglietta”

“mutandine?”

“le ho tolte, erano troppo… bagnate”

“togli anche la maglietta”

“ok, tolta”

“puoi farti una bella foto nuda nello specchio?”

Mi mandò delle faccine con la bocca aperta.

“una davanti, con il tuo bel seno in primo piano” scrissi, “e una dietro, con il tuo bel culo solo per me”

Non rispose ma dopo meno di un minuto… ding ding.

La prima foto era così e così, tettone in primo piano come le avevo chiesto, qualche pelo e niente di più: la seconda invece era un’opera d’arte, le chiappone riflesse nello specchio, il profilo del tronco con le tettone… bellissima!

“sei fantastica” scrissi, e lei rispose con i cuoricini.

“adesso però devo salutarti” mi scrisse, “non vorrei che… venisse a cercarmi, è tardi”

“ok” risposi, ma subito mi affrettai a chiederle una cosa che mi era balenata nella testa.

“me la fai l’ultima foto?”

“di cosa?”

Azzardai.

“del buco del culo”

Non rispose, e forse era un bene: aspettai qualche istante e poi… ding.

Sorrisi ancor prima di aver visto la foto: era mia…

Aprii la foto e… eccolo lì, il suo delizioso buchino che ormai avevo imparato a conoscere, con il suo piccolo difettuccio tipico delle donne che hanno partorito naturalmente: era ripreso in primo piano con il flash, grinzoso e leggermente peloso, umido, all’apparenza serrato. Con anche un po’ di vagina, che male non faceva!

“sei una donna fantastica” le scrissi, e Alessia mi rispose con le faccine che arrossivano.

“adesso ti lascio andare a dormire, ma prima… una domanda, posso?”

“sì”

“fai sesso anale?”

“sì” rispose.

“ti piace?”

“non molto”

Quello sarebbe stato l’ultimo azzardo della serata, poi ero un uomo felice.

“lo faresti con me, se te lo chiedessi?”

Tre, due, uno…

“sì”

‘lo sapevo!’

“farei qualsiasi cosa con te” aggiunse, facendomi quasi mancare il fiato.

“non vedo l’ora di farle tutte quelle cose…” le scrissi, “sei davvero fantastica”

“non vedo l’ora neanche io” rispose, mi mandò la faccina con un bacio, velocemente scrisse “buonanotte” e si disconnesse.

Gettai il telefono sul divano e mi lasciai andare, sospirando.

“Domani” sussurrai, “domani sarà un giorno interessante…”

E guardai di sotto, dove tutto si era risvegliato.

“Perfetto” dissi ancora, alzandomi dal divano, “ci mancavi solo tu, stanotte…”

“Ci mancavi solo tu…”



Alla prossima…
 

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