Esperienza reale PERCHÉ?

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IV

Mi svegliai di buon mattino in una stanza inondata di sole giallo e di brezza mattutina, che dal mare filtrava attraverso la finestra aperta.
Mi ritrovavo disteso vicino ad una ragazza nuda alla quale stavo cingendo la vita con un braccio.
Aprii bene gli occhi e osservai la camera da letto, che la sera prima non avevo esaminato dal momento che le mie attenzioni erano rivolte altrove. Un senso di ordine, pulizia e un misto di profumi gradevoli.
Scivolai dal letto e andai al minuscolo bagno dal rivestimento e accessori vetusti.
Anche qui la luce intensa mattutina filtrava da una piccola apertura in alto.
Giungevano suoni della città e del palazzo che si stavano risvegliando.
Mi rivestii e facendo il minore rumore possibile, uscii prendendo a prestito il mazzo di chiavi infilato nella toppa.

Camminai fino a trovare a poca distanza un fornaio: acquistai focaccia e qualche dolce.
Rientrato, rimisi le chiavi al loro posto, appoggiai le provviste e andai a sedermi sul bordo del letto.
Socchiuse gli occhi e: -Pensavo ti fossi dileguato!
-No, a che pro? Mi avresti riacciuffato in un lampo!
Spostò le lenzuola che la coprivano dalla cintola in giù rimanendo totalmente scoperta.
Alzò entrambe le braccia a toccare la testiera del letto stiracchiandosi e sbadigliando fragorosamente.
Con un balzo si levò dal letto andò a sedersi al bagno senza chiuderne l’uscio.
Arrivò in tutto il piccolo alloggio lo scroscio dei suoi liquidi, poi quello dello sciacquone.
Nel frattempo mi spostai alla seggiola presso il tavolo dove poco prima avevo appoggiato le provviste.
Nuda, silenziosa, uscì dal bagno e venne al tavolo per sbocconcellare un enorme pezzo di focaccia.
Raccolse una maglietta slabbrata e larga: la infilò, ma a stento copriva le natiche e il pube.
Trasse da uno stipo la moka per preparare il caffè.
Tutto questo nella maniera più naturale, animalesca, come se fosse sola in casa!

Appoggiò tazzine e moka sul tavolo, solo allora parve accorgersi di me, mi guardò sorridendo e venne a sedersi sulle mie ginocchia, buttandomi un braccio intorno al collo.
-Abbiamo combinato una frittata? Le dissi.
-Si, ma ne siamo consapevoli, lo volevamo tutti e due. Ricordi quando se ne andò mio padre? E ci lasciò da sole me e mia madre.
-Ricordo, per mesi ne parlò tutto il paese.
-Ecco, non sarà così: forse ci vedremo ancora, forse no.
-Ma io non ho lasciato mia moglie… come fece tuo padre.

Scoppiò in una risata, spensierata, allegra, contagiosa.
-Perché ridi?
-Perché mio padre lasciò mia madre per una veramente brutta: ma realmente, brutta, brutta. Allora aveva la stessa età che ho io ora, ma era cadente. Un incarnato grigio. Al posto delle tette, due zaini vuoti! Se tu lasciassi tua moglie per me, avresti l’attenuante di averla lasciata per una con un bel paio di tette! O no?
-Sicuramente si, le tue tette sono stupende e nel tuo caso sarei in una botte di ferro, l’attenuante “tette” mi verrebbe concessa! Credo che sui codici di diritto esista proprio la voce “bel paio di tette completamente abbronzate senza il segno del bikini”.
-Ah, che spirito d’osservazione!
-Sono particolari che non passano inosservati. E qualche esperienza credo d’averla. Mia moglie ed io siamo naturisti dal tempo in cui eravamo fidanzati. Quando possiamo frequentiamo spiagge, Spa e saune naturiste.
-Tu? E tua moglie? Domandò a bocca aperta dallo stupore.
-Si, io e anche mia moglie.
-Incredibile, questa cosa mi interessa molto, ne dobbiamo assolutamente riparlare.
-Si è fatto tardi e rilevo che la mia presenza qui è alquanto inutile, mi sto sempre più convincendo che tu non abbia mai difettato di autostima, ne prima, ne ora, ne mai!

Senza altro, mi accompagno alla porta scalza, il suo corpo con la metà inferiore nuda abbinata alla metà superiore vestita.
Un bacio intenso e ci lasciammo senza prefissare nulla, senza prestabilire un futuro appuntamento anche solo telefonico.

Continua…
 

salelavita

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Mi svegliai di buon mattino in una stanza inondata di sole giallo e di brezza mattutina, che dal mare filtrava attraverso la finestra aperta.
Mi ritrovavo disteso vicino ad una ragazza nuda alla quale stavo cingendo la vita con un braccio.
Aprii bene gli occhi e osservai la camera da letto, che la sera prima non avevo esaminato dal momento che le mie attenzioni erano rivolte altrove. Un senso di ordine, pulizia e un misto di profumi gradevoli.
Scivolai dal letto e andai al minuscolo bagno dal rivestimento e accessori vetusti.
Anche qui la luce intensa mattutina filtrava da una piccola apertura in alto.
Giungevano suoni della città e del palazzo che si stavano risvegliando.
Mi rivestii e facendo il minore rumore possibile, uscii prendendo a prestito il mazzo di chiavi infilato nella toppa.

Camminai fino a trovare a poca distanza un fornaio: acquistai focaccia e qualche dolce.
Rientrato, rimisi le chiavi al loro posto, appoggiai le provviste e andai a sedermi sul bordo del letto.
Socchiuse gli occhi e: -Pensavo ti fossi dileguato!
-No, a che pro? Mi avresti riacciuffato in un lampo!
Spostò le lenzuola che la coprivano dalla cintola in giù rimanendo totalmente scoperta.
Alzò entrambe le braccia a toccare la testiera del letto stiracchiandosi e sbadigliando fragorosamente.
Con un balzo si levò dal letto andò a sedersi al bagno senza chiuderne l’uscio.
Arrivò in tutto il piccolo alloggio lo scroscio dei suoi liquidi, poi quello dello sciacquone.
Nel frattempo mi spostai alla seggiola presso il tavolo dove poco prima avevo appoggiato le provviste.
Nuda, silenziosa, uscì dal bagno e venne al tavolo per sbocconcellare un enorme pezzo di focaccia.
Raccolse una maglietta slabbrata e larga: la infilò, ma a stento copriva le natiche e il pube.
Trasse da uno stipo la moka per preparare il caffè.
Tutto questo nella maniera più naturale, animalesca, come se fosse sola in casa!

Appoggiò tazzine e moka sul tavolo, solo allora parve accorgersi di me, mi guardò sorridendo e venne a sedersi sulle mie ginocchia, buttandomi un braccio intorno al collo.
-Abbiamo combinato una frittata? Le dissi.
-Si, ma ne siamo consapevoli, lo volevamo tutti e due. Ricordi quando se ne andò mio padre? E ci lasciò da sole me e mia madre.
-Ricordo, per mesi ne parlò tutto il paese.
-Ecco, non sarà così: forse ci vedremo ancora, forse no.
-Ma io non ho lasciato mia moglie… come fece tuo padre.

Scoppiò in una risata, spensierata, allegra, contagiosa.
-Perché ridi?
-Perché mio padre lasciò mia madre per una veramente brutta: ma realmente, brutta, brutta. Allora aveva la stessa età che ho io ora, ma era cadente. Un incarnato grigio. Al posto delle tette, due zaini vuoti! Se tu lasciassi tua moglie per me, avresti l’attenuante di averla lasciata per una con un bel paio di tette! O no?
-Sicuramente si, le tue tette sono stupende e nel tuo caso sarei in una botte di ferro, l’attenuante “tette” mi verrebbe concessa! Credo che sui codici di diritto esista proprio la voce “bel paio di tette completamente abbronzate senza il segno del bikini”.
-Ah, che spirito d’osservazione!
-Sono particolari che non passano inosservati. E qualche esperienza credo d’averla. Mia moglie ed io siamo naturisti dal tempo in cui eravamo fidanzati. Quando possiamo frequentiamo spiagge, Spa e saune naturiste.
-Tu? E tua moglie? Domandò a bocca aperta dallo stupore.
-Si, io e anche mia moglie.
-Incredibile, questa cosa mi interessa molto, ne dobbiamo assolutamente riparlare.
-Si è fatto tardi e rilevo che la mia presenza qui è alquanto inutile, mi sto sempre più convincendo che tu non abbia mai difettato di autostima, ne prima, ne ora, ne mai!

Senza altro, mi accompagno alla porta scalza, il suo corpo con la metà inferiore nuda abbinata alla metà superiore vestita.
Un bacio intenso e ci lasciammo senza prefissare nulla, senza prestabilire un futuro appuntamento anche solo telefonico.

Continua…
intrigante non ti fermare!!!!
 

salelavita

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Mi sembra un sogno: parole complete senza abbreviazioni, nessuna iniziale di nome col punto, il trattino prima di un discorso diretto e la punteggiatura...
addirittura l'interlinea tra un paragrafo e l'altro.
E poi finalmente un racconto che sia tale, descritto bene nei tempi e nei modi.

Grazie, solo per questo grazie.
Argo concordo veramente scritto bene!!
 
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Lasciato alle spalle l’androne grigio e scrostato del palazzo, camminai senza fretta e senza voltarmi.
Mi ritornava la frase: “forse ci vedremo ancora, forse no” la quale mi sortiva emozioni contrastanti.
La consueta domanda: “PERCHÉ?” si faceva molto meno assillante.
Il punto di domanda sopra la mia testa era piccino, invisibile.
Il non rivederla mi metteva angoscia, ma anche un senso di liberazione.
La previsione ipotetica di vederla di nuovo, mi solleticava e nello stesso tempo mi incuteva paura.
Per le possibili conseguenze sia per le situazioni pericolose in cui ci saremmo potuti cacciare; trai i due ero quello che aveva di più da perdere.
Uno squillo del cellulare mi riportò alla realtà.
Si trattava di un cliente che sollecitava la consegna di una partita di merce, peraltro già in ritardo.

Da quella telefonata e per i giorni successivi venni assorbito completamente dal lavoro.
Nei momenti liberi pensavo con rinato vigore a mia moglie.
Avevo voglia di stare con lei 24 ore al giorno, di stringerla, di amarla.
La chiamai e le proposi una breve vacanza in un albergo con spa nel sud del Tirolo.
Detto fatto, pochi giorni ed eravamo in viaggio per un rilassante ed intenso periodo di riposo.
Le cose belle finiscono presto e in meno che non si dica, mi ritrovai al lavoro, alla quotidianità .

Sull’altro fronte, io non la cercai più e lei non cercò più me.
Nessun contatto.
Cosa avrei potuto dirle o scriverle?
Solo messaggini estremamente banali del tipo,” buongiorno” o “buona notte”?
No. Queste cose non fanno per me. Roba da quindicenni.
E la assoluta mancanza di contatti, mi confermava nella convinzione che quanto vissuto era stato effimero e che non si sarebbe ripetuto mai più.
Bene così.

E invece no!
Uno dei tanti squilli al cellulare di una giornata lavorativa.
La dicitura sullo schermo recava il vocabolo “Ditta” seguito dal cognome inventato, inesistente.
Ma non si trattava di una ditta!
La conversazione fu molto diretta, senza fronzoli.
-Ciao.
-Ciao, tutto bene?
-Si, benissimo. Sarai per caso in Liguria la settimana prossima?
-Potrebbe essere, perché?
-Vorrei invitarti a una festa…
-A una festa? Noi? Io e te? Ma quando? Dove? Evidentemente con queste domande assunsi un tono inquieto.
Dall’altra parte una delle sue solite risate: ilare, contagiosa.
-Preoccupato?
-È che non mi ci vedo ad una festa, noi due, con persone sconosciute …
-Ma no, dai! Una delle mie amiche compirà gli anni. Ci saranno pochissimi e fidati intimi. Una cena a casa. Solo che non mi va di andarci sola. Mi accompagni?
-Quando e a che ora?
-Mercoledì prossimo, potresti venire da me in tarda mattinata? Chiedo troppo? Così andremmo da lei nel pomeriggio e potrei darle una mano a cucinare.
-Vedo cosa posso fare… magari quando sarò da te mi spiegherai meglio questa cosa!
-Va bene… risata come prima –Come sei sospettoso! Ti rispiegherò tutto!

Uno dei pochi privilegi della mia professione è quella di potere gestire autonomamente il tempo.
Ci sono periodi molto intensi, nei quali si possono ricavare momenti liberi, senza peraltro dovere rispondere sulla singola giornata.
Salvo poi portare robusti risultati, frutto del lavoro dell’intero anno.

Quel mercoledì arrivò.
Non nego che il mio stato d’animo era tra l’inquieto ed il nervoso.
E con questo stato d’animo, diverso dalla volta precedente, entrai per la seconda volta in quel monolocale.
Mi accolse con un vestitino rosso fuoco, stretto in vita, senza maniche, corto ben sopra il ginocchio.
Generosa scollatura a “V” al centro della quale era evidente la riga formata dai seni accostati.
Scalza, con labbra, unghie di mani e piedi dello stesso colore del vestito.

Mi diede un bacio.
Avvertì il disagio. Le feste non mi sono mai piaciute, specie se con persone sconosciute.
-Che hai?
-Niente, va tutto bene.
Ero scontento di me, troppo scorbutico.
Ma non me lo fece pesare.
In piedi vicino alla porta chiusa dell’alloggio.
Sciolse la cintura dei pantaloni, estrasse il membro il quale stava diventando turgido.
Massaggiò con la mano destra, lentamente.
Si accovacciò e lo infilò in bocca.
Con movimenti lenti, cadenzati, lunghissimi attimi.

Si rialzò, sentivo il suo petto premere contro di me, un bacio.
-Va meglio ora?
-Decisamente.
-Andiamo?
-Immediatamente?
-Si.
-Mi dai qualche particolare in più? Dove stiamo andando?
Non rispose. Andò in bagno, questa volta chiudendo la porta.
Ritornò dopo pochi secondi e incrociando il mio sguardo interrogativo:
-Uff, che ansia. Hai avuto un buon antipasto, poco fa. Non ti pare? Non sei rilassato a sufficienza? Tra poco saliremo in auto e ti spiegherò.

Continua…
 

niels

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Lasciato alle spalle l’androne grigio e scrostato del palazzo, camminai senza fretta e senza voltarmi.
Mi ritornava la frase: “forse ci vedremo ancora, forse no” la quale mi sortiva emozioni contrastanti.
La consueta domanda: “PERCHÉ?” si faceva molto meno assillante.
Il punto di domanda sopra la mia testa era piccino, invisibile.
Il non rivederla mi metteva angoscia, ma anche un senso di liberazione.
La previsione ipotetica di vederla di nuovo, mi solleticava e nello stesso tempo mi incuteva paura.
Per le possibili conseguenze sia per le situazioni pericolose in cui ci saremmo potuti cacciare; trai i due ero quello che aveva di più da perdere.
Uno squillo del cellulare mi riportò alla realtà.
Si trattava di un cliente che sollecitava la consegna di una partita di merce, peraltro già in ritardo.

Da quella telefonata e per i giorni successivi venni assorbito completamente dal lavoro.
Nei momenti liberi pensavo con rinato vigore a mia moglie.
Avevo voglia di stare con lei 24 ore al giorno, di stringerla, di amarla.
La chiamai e le proposi una breve vacanza in un albergo con spa nel sud del Tirolo.
Detto fatto, pochi giorni ed eravamo in viaggio per un rilassante ed intenso periodo di riposo.
Le cose belle finiscono presto e in meno che non si dica, mi ritrovai al lavoro, alla quotidianità .

Sull’altro fronte, io non la cercai più e lei non cercò più me.
Nessun contatto.
Cosa avrei potuto dirle o scriverle?
Solo messaggini estremamente banali del tipo,” buongiorno” o “buona notte”?
No. Queste cose non fanno per me. Roba da quindicenni.
E la assoluta mancanza di contatti, mi confermava nella convinzione che quanto vissuto era stato effimero e che non si sarebbe ripetuto mai più.
Bene così.

E invece no!
Uno dei tanti squilli al cellulare di una giornata lavorativa.
La dicitura sullo schermo recava il vocabolo “Ditta” seguito dal cognome inventato, inesistente.
Ma non si trattava di una ditta!
La conversazione fu molto diretta, senza fronzoli.
-Ciao.
-Ciao, tutto bene?
-Si, benissimo. Sarai per caso in Liguria la settimana prossima?
-Potrebbe essere, perché?
-Vorrei invitarti a una festa…
-A una festa? Noi? Io e te? Ma quando? Dove? Evidentemente con queste domande assunsi un tono inquieto.
Dall’altra parte una delle sue solite risate: ilare, contagiosa.
-Preoccupato?
-È che non mi ci vedo ad una festa, noi due, con persone sconosciute …
-Ma no, dai! Una delle mie amiche compirà gli anni. Ci saranno pochissimi e fidati intimi. Una cena a casa. Solo che non mi va di andarci sola. Mi accompagni?
-Quando e a che ora?
-Mercoledì prossimo, potresti venire da me in tarda mattinata? Chiedo troppo? Così andremmo da lei nel pomeriggio e potrei darle una mano a cucinare.
-Vedo cosa posso fare… magari quando sarò da te mi spiegherai meglio questa cosa!
-Va bene… risata come prima –Come sei sospettoso! Ti rispiegherò tutto!

Uno dei pochi privilegi della mia professione è quella di potere gestire autonomamente il tempo.
Ci sono periodi molto intensi, nei quali si possono ricavare momenti liberi, senza peraltro dovere rispondere sulla singola giornata.
Salvo poi portare robusti risultati, frutto del lavoro dell’intero anno.

Quel mercoledì arrivò.
Non nego che il mio stato d’animo era tra l’inquieto ed il nervoso.
E con questo stato d’animo, diverso dalla volta precedente, entrai per la seconda volta in quel monolocale.
Mi accolse con un vestitino rosso fuoco, stretto in vita, senza maniche, corto ben sopra il ginocchio.
Generosa scollatura a “V” al centro della quale era evidente la riga formata dai seni accostati.
Scalza, con labbra, unghie di mani e piedi dello stesso colore del vestito.

Mi diede un bacio.
Avvertì il disagio. Le feste non mi sono mai piaciute, specie se con persone sconosciute.
-Che hai?
-Niente, va tutto bene.
Ero scontento di me, troppo scorbutico.
Ma non me lo fece pesare.
In piedi vicino alla porta chiusa dell’alloggio.
Sciolse la cintura dei pantaloni, estrasse il membro il quale stava diventando turgido.
Massaggiò con la mano destra, lentamente.
Si accovacciò e lo infilò in bocca.
Con movimenti lenti, cadenzati, lunghissimi attimi.

Si rialzò, sentivo il suo petto premere contro di me, un bacio.
-Va meglio ora?
-Decisamente.
-Andiamo?
-Immediatamente?
-Si.
-Mi dai qualche particolare in più? Dove stiamo andando?
Non rispose. Andò in bagno, questa volta chiudendo la porta.
Ritornò dopo pochi secondi e incrociando il mio sguardo interrogativo:
-Uff, che ansia. Hai avuto un buon antipasto, poco fa. Non ti pare? Non sei rilassato a sufficienza? Tra poco saliremo in auto e ti spiegherò.

Continua…
La cosa si fa interessante...
 
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Saliti che fummo sulla mia automobile, desideravo farmi contagiare dalla spensieratezza che emanava la mia passeggera.
Cercavo di guardare di soppiatto di fianco a me. La visione delle le bellissime gambe nel sedile accanto, che il vestito rosso e stretto, scivolato verso l’alto nel sedersi, regalavano.
Si mise a parlare, logorroica, ad alta voce, gesticolando, ridendo, toccando ogni argomento possibile, tranne il programma delle ore successive.
Tra un argomento e l’altro mi dava indicazioni sulla direzione da seguire, senza far cenno alla meta.
Ci ritrovammo sopra alture ben curate coltivate ad uliveto.
Poi finalmente:
-Stiamo andando a casa della mia amica, forse te ne ho parlato. Quella convintamente lesbica!
-Si, mi ricordo.
-Veramente dove stiamo andando è la sua casa di campagna. È l’unica erede di una dinastia di armatori o di qualche attività legata alla navigazione, non ho mai approfondito. I suoi genitori sono mancati a poca distanza l’uno dall’altra, un paio d’anni fa anni fa. Alla morte dei genitori, ha ereditato un vastissimo patrimonio immobiliare in varie città d’Italia e anche all’estero. Insomma una piena di soldi, non una spiantata come me e le altre amiche.
-Quindi sarà una “festona”, ben frequentata dal bel mondo?
-No! Oltre alla padrona di casa, noi due, l’altra amica (quella bruttina) forse accompagnata e al massimo un altro paio di presenze.
-Non c’era anche una quarta amica nel gruppo?
-Si, ma in questo momento è in viaggio all’estero.

Svoltammo per un viottolo ben curato, coperto di ghiaia rossiccia fino ad arrivare ad un imponente cancello aperto.
Oltre il cancello, ornato con solide volute in ferro battuto, il viottolo diveniva vialetto, lastricato e piantumato ai lati con palme e oleandri alternati.
Sullo sfondo una antica casa colonica trasformata in dimora di lusso.
Arrivati all’ingresso della villa disse:
-Siamo arrivati, fermati all’ombra di quegli alberi.

Scendemmo dall’auto, girando attorno alla costruzione principale, ci trovammo in un ampio giardino, contornato da alberi secolari, un prato verdissimo rasato all’inglese, una piscina, intorno alla quale, su di una piattaforma vi erano sedie a sdraio, attorno robusti pali in ferro sostenevano, ben tesi, teli bianchissimi a schermare la luce del sole.
A chiudere questo spazio, verso la vallata e dirimpetto alla dimora, una antica balaustra in pietra presso la quale si scorgeva in grande lontananza il mare.

Da una delle sedie a sdraio ci venne incontro una giovane donna sorridente e festante.
Alta un metro e settanta centimetri circa, magra, atletica, muscolosa. Tonica, abbronzata. Un fascio di nervi. Caschetto di capelli folti e nerissimi. Occhi del colore del carbone: mobili e vividi. Bellissime gambe slanciate, dove non vi era traccia di cellulite. Petto piatto come un asse da stiro.
Indossava un micro bikini colore blu elettrico con un piccolo pareo in stoffa leggera e trasparente annodato ad un fianco.

Mi presentò alla padrona di casa.
Imbarazzato, mi sentivo un pesce fuor d’acqua.
Che ci facevo qui?

La padrona di casa mi mise subito a mio agio, anche troppo. Come se io facessi parte da sempre della cerchia di amiche ed avessi frequentato l’università assieme a loro. Prendendosi delle confidenze che personalmente mai mi sarei permesso con chiunque conosciuto appena un paio di minuti prima.
Quindi l’ereditiera mi apostrofò con parlare grasso:
-Spero tu abbia dato una buona dose di cazzo a questa, che ne ha tanto bisogno! Rivolgendosi alla amica seduta a fianco. E proseguì:
-Prima era sepolta viva assieme a quello stronzo, segaiolo, lui e gli amici suoi. Poi quello per ripagarla della sua fedeltà di fidanzatina felice l’ha riempita di corna e mollata! Lei piangeva e faceva la vedovella triste, inconsolabile. Invece di divertirsi alla faccia sua! Ma vaffanculo!
L’amica della padrona di casa che mi aveva trascinato fin li, a quel dire, rideva divertita, per nulla risentita ne imbarazzata.

Dall’interno della casa arrivò una cameriera con bibite e qualcosa da mangiare.
Per cambiare discorso chiesi: -Devo aiutarti? Devo fare qualcosa per questa sera?
-Macché? Ho fatto venire la cuoca e la cameriera, ci pensano loro. Mangiate qualcosa, prendete il sole, fate un bagno, rilassatevi …
-Ma veramente non ho portato il costume da bagno, non immaginavo. Balbettati quasi a scusarmi.
La mia amica mi punzecchiò immediatamente:
-Ma non mi hai detto di essere nudista?
-Si, lo sono! Ma in spiagge, solarium o saune dedicate! Mica vado in giro con il pisello di fuori dappertutto.
-E vabbè! Se per quello, nemmeno io ho portato il costume. Qui siamo solo noi e ci siamo già visti nudi a vicenda. A lei -rivolgendosi alla padrona di casa- il tuo pisello non interessa, non interessa proprio il genere.
Concluse la frase: -Mi sa che devo dare il buon esempio!

Sfilò il vestito, levò i sandali color panna che indossava ai piedi, liberò i seni dal reggipetto che li conteneva e il perizoma scivolò via.
S'apprestò al tuffo. Nuda e bellissima in quello specchio calmo. Lo sciabordio dell'acqua che increspandosi fece capitare alcuni schizzi sull’ammattonato che circondava la piscina.

Continua…
 

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