Esperienza reale Una famiglia perfetta parte 1

mitcho

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Bel racconto ben scritto. I contenuti sono all’altezza degli argomenti trattati in questo forum.
Fatti scivolare le critiche dei pochi eterni insoddisfatti e continua
 

anatsmile

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Lo avete massacrato... magari si è rotto i coglioni di finirlo! Alla fine queste continue polemiche stufano e fanno passare la voglia. A mio avviso è sempre questa storia del "storia vera" o "storia di fantasia" che rompe le palle, crea aspettative e quando poi il racconto diventa più "romanzato" scattano le polemiche, le accuse, ecc. Comunque speriamo che lo finisca perchè era davvero carino e scritto bene (vero o di fantasia mi frega zero).
 

Shamoan

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Lo avete massacrato... magari si è rotto i coglioni di finirlo! Alla fine queste continue polemiche stufano e fanno passare la voglia. A mio avviso è sempre questa storia del "storia vera" o "storia di fantasia" che rompe le palle, crea aspettative e quando poi il racconto diventa più "romanzato" scattano le polemiche, le accuse, ecc. Comunque speriamo che lo finisca perchè era davvero carino e scritto bene (vero o di fantasia mi frega zero)
Diciamo che a parte aver scritto il racconto la sua partecipazione al thread è stata pari a 0. Ha ricevuto da tutti i complimenti per come era scritto, per il tipo di storia, molto intrigante, ma non si è mai degnato di partecipare alla discussione.
Il fatto che sia di fantasia o meno non ha realmente molta importanza purchè non si metta in evidenza che sia una "esperienza reale" perchè molti si sono presi le peggio cazziate, passando per cazzari, per cui non vedo la differenza. Avrebbe potuto intervenire chiarendo come si sarebbe sviluppata la storia, a quel punto nessuno avrebbe detto niente.
Alla fine ci ha lasciato pure in sospeso, con una parte mancante, direi che non è proprio il comportamento migliore per un utente del forum.
Sicuramente avrà i suoi cazzi, impegni e quant'altro, ma un minimo di partecipazione in più non sarebbe stata male.
 

Abbonatoallaquinta

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Diciamo che a parte aver scritto il racconto la sua partecipazione al thread è stata pari a 0. Ha ricevuto da tutti i complimenti per come era scritto, per il tipo di storia, molto intrigante, ma non si è mai degnato di partecipare alla discussione.
Il fatto che sia di fantasia o meno non ha realmente molta importanza purchè non si metta in evidenza che sia una "esperienza reale" perchè molti si sono presi le peggio cazziate, passando per cazzari, per cui non vedo la differenza. Avrebbe potuto intervenire chiarendo come si sarebbe sviluppata la storia, a quel punto nessuno avrebbe detto niente.
Alla fine ci ha lasciato pure in sospeso, con una parte mancante, direi che non è proprio il comportamento migliore per un utente del forum.
Sicuramente avrà i suoi cazzi, impegni e quant'altro, ma un minimo di partecipazione in più non sarebbe stata male.
Secondo me vale tutto tranne che il macabro epilogo, ancor di più se viene etichettato come esperienza reale.
 

Shamoan

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Secondo me vale tutto tranne che il macabro epilogo, ancor di più se viene etichettato come esperienza reale.
Ma vabbè quello può valere tanto e non quanto, sempre a discrezione di chi narra, ma a maggior ragione, se dici essere una esperienza reale, sarebbe anche interessante argomentare una storia così "particolare"
Poi, ripeto ognuno ha le proprie opinioni, e mi pare anche un pò assurdo che uno si offenda, se qualcuno le esprime.
 

Maxtree

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Mi piacerebbe leggere l ultima parte per avere la stoeia compketa è un peccato lasciata li senza finale
 

Brodo37

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Parte 2

Non ho molti ricordi di quel giorno. Diciamo più: una serie di sensazioni. Mi ricordo che ero in camera mia a prepararmi per la scuola. Non che ne avessi particolarmente voglia, ad essere sinceri, ma sapevo di non avere molta scelta. Mi spogliai del mio pigiama preferito (quello che mi regalò mia madre per il compleanno dei miei cinque anni) e mi vestii con cura: una maglietta a righe, un paio di pantaloncini neri e le mie scarpe da ginnastica preferite; quelle della Nike con le strisce colorate sui lati (le avevo messe così tanto che mi stupisco ancora di come non siano cadute a pezzi). Ispezionai lo zaino, per sincerarmi che ci fosse tutto il necessario, poi passai al volo in bagno a lavarmi i denti; mia madre prima di uscire, controllava sempre che me li fossi lavati per bene. Infine lanciai un’occhiata all’orologio con le lancette di topolino, appeso sopra la scrivania e mi resi conto che erano già quasi le nove. Mi stupii che la mamma non fosse già salita a bussare per dirmi che rischiavo di farle fare tardi a lavoro. Tra l’altro sapevo che quello sarebbe stato un giorno particolare per lei, visto il processo che doveva affrontare in tribunale. Così decisi di raggiungerla io al piano di sotto, pensando che potesse essersi dilungata a parlare con mio padre per qualche motivo che non conoscevo.

Già aprendo la porta della mia stanza mi resi conto che stava accadendo qualcosa di diverso dal solito. Non sentivo le voci dei miei genitori provenire dal piano inferiore; sentivo soltanto degli strani rumori, come il cigolio di una delle sedie della cucina e una sorta di respirare affannoso che non riuscii a riconoscere. Una volta arrivato in cima alle scale vidi mia madre seduta a cavalcioni di mio padre. Non che la cosa mi stupisse particolarmente, più di una volta li avevo visti in quella posizione, anche io sedevo spesso sulle gambe di mia madre. Quello che mi diede da pensare fu il loro atteggiamento ed il fatto che mia madre sembrasse piuttosto scompigliata. Ricordo che notai chiaramente un rossore diffuso sul suo volto. Mi riuscì impossibile capire bene cosa stessero facendo, tantomeno riuscii a sentire di cosa stessero parlando. Eppure la situazione mi mise non poco a disagio. I miei genitori erano sempre molto affiatati tra di loro e spesso li vedevo scambiarsi qualche bacio o qualche carezza, ma mai mi era capitato di assistere ad una situazione così strana.

Perciò decisi di annunciare loro la mia presenza. Come sospettavo, li avevo colti di sorpresa. Infatti mia madre si alzò di scatto e mi rivolse un’occhiata indecifrabile, mio padre invece restò seduto a trafficare con qualcosa che sembrava avere sulle gambe, ma non riuscii a capire cosa. Ebbi come l’impressione che mia madre fosse mezza nuda, ma all’epoca non diedi troppa importanza alla cosa, o forse non volli dargliela. Ero piuttosto sensibile a quegli argomenti; mi trovavo in quella fase in cui il corpo è una continua scoperta e in cui certi temi sono oggetto di interesse misto ad imbarazzo (in particolar modo quando si trattava di mia madre).

Corsi giù dalle scale e le dissi che ero pronto per andare.
“Tu perché non sei ancora pronta?” le chiesi
“Hai ragione tesoro. Dammi un minuto e usciamo” mi rispose lei. Poi fece a mio padre una carezza sul viso e si diresse in fretta verso la camera da letto.
“Ma guarda che la tua giacca è qui!” esclamai. Mio padre mi disse che la mamma si era scordata una cosa, ma che sarebbe stata questione di un minuto. Aveva un’espressione parecchio triste, mio padre, quel giorno… più triste del solito, insomma. Restammo in silenzio qualche istante, ma io morivo dalla voglia di sapere, per cui alla fine domandai:
“Che stavate facendo?”
Lo colsi del tutto alla sprovvista con quella domanda e lui tentò di balbettare qualcosa, senza però riuscire a dissipare la mia curiosità. Ci pensò mia madre ad interrompere quel momento di imbarazzo. Apparve sulle scale, si infilò la giacca e prese la cartella in fretta e furia. Poi, alla fine, con un sorriso sul volto, disse:
“Mamma e papà si stavano solo abbracciando, amore” e mi assestò una carezza sulla testa. Mi ricordo che la sua spiegazione non mi convinse appieno, ma me la feci andar bene. Dopodiché salutammo mio padre, uscimmo di casa e io mi trascinai appresso i miei dubbi e le mie domande in quella mattinata splendente di sole.



L’aula di tribunale era immersa nel silenzio, spezzato a volte da brusii sommessi. Il giudice si era ritirato per deliberare, lasciando come unici presenti – nella grande sala semivuota – soltanto l’accusa, Lucia ed il suo cliente. Alim era un immigrato di origini africane sulla trentina; la camicia che indossava per l’occasione metteva in evidenza i muscoli possenti del petto e delle braccia e dal collo – su cui si intravedeva la trama fitta dei suoi tatuaggi – gli pendevano delle collanine dorate e calzava un berretto sui capelli tagliati corti.
“Stia tranquillo” gli sussurrò Lucia.
“Pensa che andrà bene?” chiese Alim, tamburellandosi nervosamente la coscia con le dita.
“Ma certo. Vedrà che il giudice non potrà che pronunciarsi positivamente sulla sentenza.” ci tenne a rassicurarlo lei, intenta a sistemare le carte sparse sul tavolo.
Alim la osservò con aria seria. I suoi occhi seguirono la linee del viso di Lucia con profondo interesse, scivolando giù fino al collo, al seno prominente che faceva capolino dalla maglia incrociata sul petto, ai fianchi stretti da una cintura, fino al sedere sodo fasciato dalla gonna nera e aderente. Per quanto in ansia per la sentenza, non riusciva a staccarle gli occhi di dosso; le avrebbe volentieri passato le mani tra i capelli, gliele avrebbe infilate sotto la maglia a sfiorare la pelle, avrebbe voluto sentirla – calda e soffice – sotto i palmi. La sua fantasia prese il volo e immaginò di spogliarla, baciarle la schiena, caricarla di peso sul tavolo e, dopo averle aperto le gambe, tuffare il viso nella sua fica. Fu costretto ad accavallare le gambe, per nascondere l’erezione prepotente che gli bussava dai pantaloni, all’idea di scoparsela lì, incurante degli sguardi altrui.
“Va tutto bene?”
La voce di Lucia lo riportò alla realtà. Si accorse che lo stava scrutando a fondo. Fece un cenno di assenso con la testa e bevve un sorso d’acqua, nel tentativo di placare quei pensieri infuocati che gli rimbalzavano nel cervello.
“Stavo solo fantasticando.” le rispose poi, mascherando il tremolio eccitato della sua voce.
“Non per vantarmi, ma so fare bene il mio lavoro, se è di questo che si preoccupa...” esclamò lei, con un sorriso.
“Ne sono sicuro. No, stavo pensando ad altro… ma niente di importante.”
La fissò a lungo negli occhi, fino a che lei non fu costretta a distogliere lo sguardo. Il ritorno in aula del giudice e della giuria spezzarono quel momento di lieve imbarazzo tra i due. Lucia si alzò in piedi e gli fece cenno di fare altrettanto. Alim non poté farci nulla, tornò con lo sguardo alle sue gambe e dovette scacciare a forza l’immagine di lei inginocchiata ai suoi piedi con il suo membro tra le labbra e quegli stupendi occhi scuri che lo fissavano maliziosamente.
“Siamo giunti ad una conclusione all’unanimità” sentenziò il giudice, con voce stentorea.
“In base all’articolo 73, comma 5 d.P.R. 309/1990, il qui presente Alim [cognome] è stato giudicato colpevole di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti e psicotrope.” continuò.
Alim, a sentire quelle parole, trasalì; ma Lucia tentò di tranquillizzarlo con cenno della mano. Il giudice proseguì nel suo discorso:“Ma pertanto, viste le prove presentate dalla difesa e al cospetto di fatti assumibili nell’ambito dell’articolo 73, comma 5 del Testo Unico sugli stupefacenti, le accuse sopracitate rientrano nel campo dei cosiddetti ‘fatti di lieve entità’. Per l’accusato si commina, dunque, la pena di sei mesi agli arresti domiciliari...”
Alim tirò un sospiro di sollievo. Tutti quei paroloni a lui perlopiù incomprensibili, avevano acquisito senso quando il giudice aveva pronunciato le parole “arresti domiciliari”. In fondo sarebbe stato ingenuo da parte sua sperare in un’assoluzione totale; Alim si disse che sei mesi di arresti domiciliari sarebbero andati più che bene! Lucia si voltò verso di lui e gli sussurrò:
“Che le avevo detto? È un ottimo compromesso, nella sua condizione. Abbiamo evitato la prigione!” Poi tornò a prestare attenzione alle parole del giudice, che sembrava averla chiamata in causa personalmente.
“Viste le condizioni familiari dell’accusato, l’improprietà dell’eventuale decisione di assegnarlo ad una reclusione in casa di cura, il verdetto è il seguente: i primi due mesi degli arresti saranno da trascorrere nel domicilio dell’avvocato alla difesa, in attesa di un ulteriore procedimento probatorio.”
“Cosa?!” si lasciò sfuggire Lucia, ad alta voce. Dal tavolo dell’accusa si sollevarono delle risatine sommesse. Lucia fulminò il collega con lo sguardo.
“Chiedo scusa, Vostro Onore, posso avvicinarmi per parlamentare con lei in privato?” chiese poi. Il giudice acconsentì e Lucia si avvicinò a passi decisi al banco del giudice.
“Non capisco… è una formula quantomai bislacca, se posso permettermi. Io trovo che...” ma il giudice la interruppe con un gesto della mano.
“Mi rendo conto, Avvocato Esposito. Possiamo definirla una procedura di emergenza, visti i presupposti, ma abbiamo convenuto che, visto quanto a cuore sembra essersi presa questo caso, sia la soluzione migliore. In fin dei conti si tratta di un periodo piuttosto breve e posso assicurarle che non correrà alcun rischio.” Lucia, allora, tornò alla carica.
“Non mi permetterei mai di contestare una decisione presa all’unanimità, ma lei deve capire che io non vivo da sola. Ho un figlio piccolo e per quanto trovi che l’accusato non sia un soggetto pericoloso, non mi sembra il caso di...” il giudice la interruppe di nuovo e stavolta la sua sentenza fu lapidaria:
“O così o la prigione. Dipende da lei...”
Lucia restò a bocca aperta. Non sembrava avere possibilità di scelta. Aveva combattuto strenuamente perché il suo assistito non finisse in prigione, per cui quella le sembrò davvero l’unica possibilità. Annuì, con il viso contratto in una smorfia impenetrabile.
“D’accordo allora.” e in silenzio tornò dietro al suo tavolo. Fu accolta da Alim, che la osservava in silenzio, la fronte corrugata in un’espressione interrogativa; lei lo rassicurò con lo sguardo.
“Così la seduta è tolta.” esclamò il giudice e si ritirò. L’aula piombò in un silenzio denso.
“Beh, non so che dire...” sussurrò Alim.
“Non c’è bisogno di dire nulla, non si preoccupi, non dipende da lei.” ribatté Lucia. Poi, rendendosi conto di essere risultata alquanto brusca, si voltò verso il ragazzo e addolcì il tono.
“Sono sicura che sia la soluzione migliore.” aggiunse sorridendo.
Alim si sporse verso di lei e le prese la mano tra le sue.
“Non so davvero come ringraziarla. Nessuno aveva mai fatto tanto per me...”
Quel contatto inaspettato produsse in Lucia una cascata di brividi che le scivolarono lungo la schiena; le sue mani calde, la sua stretta decisa… si sentì scossa da un tremito di vulnerabilità di cui non seppe spiegarsi la ragione.
“Faccio solo il mio lavoro” balbettò. I due si fissarono per un istante, poi Lucia, per togliersi da quella situazione che iniziava a farsi imbarazzante, tornò a darsi un contegno e asserì di dover fare una telefonata. Motivare tutta quella storia a Marco non sarebbe stato per niente facile. Così infilò in tutta fretta i documenti nella cartella e si diresse verso la porta dell’aula, lasciando che due poliziotti scortassero Alim all’esterno.

Continua...
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Gando94

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Parte 10 - 2
Mi ricordo che mi svegliai di soprassalto quella notte. Ero convinto di aver sentito dei rumori al piano di sotto. Controllai l’orologio che proiettava i numeri sul soffitto e vidi che era l’una. Guardai nel materasso di sotto e mi stupii parecchio di non trovarci il mio amico Alim. Nonostante la porta chiusa della mia stanza potevo sentire dei tonfi e come delle voci; ma non era come quando sentivo mamma e papà discutere, erano più dei versi che delle parole. Mi alzai, incuriosito e scesi le scale del letto a castello. Mi avvicinai alla porta, cercando di fare meno rumore possibile. La accostai e spiai fuori. Le luci del corridoio erano spente. Mi lasciai guidare dai rumori che ora sentivo più forti. Era come se qualcuno stesse ansimando. Pensai che magari la mamma, o papà o forse Alim si stessero sentendo male. Così mi diressi a passi spediti verso le scale. Grazie alla moquette i miei piedi si posavano senza fare alcun rumore. Prima di scendere mi accucciai dietro alla ringhiera di legno e guardai di sotto.
Davanti ai miei occhi si svelò una visione che mi traumatizzò. Sul divano potevo vedere chiaramente il corpo nudo di Alim che si muoveva affannato. Il suo pene enorme entrava ed usciva dal corpo di mia madre, anche lei nuda. Vidi i suoi seni danzarle avanti e indietro sul petto, sotto le mani di Alim che glieli stringevano vigorosamente. Si mordeva un labbro ed il suo viso era stremato, contratto in un’espressione che mi sembrò di dolore. Solo ora capisco che quel dolore in realtà era un piacere sconvolgente. Mi aggrappai alla ringhiera, così forte che le mani dopo poco iniziarono a farmi male. Non riuscivo a formulare alcun pensiero. Quello che stavano facendo, per me, era ancora un mistero; ma capii che Alim si stava scopando mia madre. Sentii un fiotto di lacrime salirmi alla gola e non potei fare a meno di scoppiare a piangere. Loro non si accorsero di niente ed io mi rifugiai di corsa in camera mia. Risalii sul letto e, al riparo sotto le coperte, continuai a piangere, scosso dai singhiozzi, per tutta la notte.

Lucia ed Alim erano ancora stremati dall’orgasmo; lui sopra di lei. Sfilò piano il pene dalla sua vagina e si sedette sui talloni. Respirava pesantemente e si asciugò con il dorso della mano il sudore che gli colava dalla fronte. Anche Lucia, con un po’ di fatica, si tirò a sedere. Sul viso aveva ancora l’ombra del piacere che aveva appena provato. Alim le si avvicinò per abbracciarla, ma lei si divincolò debolmente. Lo allontanò, spingendolo via con una mano.

“Vado a sciacquarmi…” sussurrò con un filo di voce, arrochita dalle grida che aveva soffocato.
“Ehi, aspetta” cercò di dirle lui, ma Lucia si era già alzata e, camminando malferma sulle gambe, era sparita in cima alle scale.
Alim, rimasto solo, crollò con le spalle contro lo schienale del divano. Respirò a fondo. Poi all’improvviso gli balenò un pensiero nella mente. Si chinò accanto al bracciolo e raccolse da terra il telefono di Lucia. Lo accese e sbloccò il display. Lo schermo era invaso da notifiche di chiamate e messaggi. Alim ne aprì uno e lo lesse.

“Signora Esposito, sono l’Ispettore Ruggero. Ho provato a chiamarla più di una volta. Avrei preferito dirglielo di persona, ma la situazione è grave e ci tenevo che lo sapesse da me. Ci sono stati dei rivolgimenti nel caso di suo marito. Non positivi, purtroppo. Come le avevo preannunciato, era stato trasferito in prigione, in attesa del processo. Durante una rissa è stato ferito e mi dispiace annunciarle che, nonostante le cure immediate, non è stato possibile salvarlo. Mi richiami appena le è possibile, così che possa spiegarle in dettaglio lo svolgersi della vicenda. Mi rincresce davvero.”

Alim non poté fare a meno di lasciarsi scappare un sospiro di sollievo. Il suo piano aveva funzionato a meraviglia. Con Marco fuori dai piedi avrebbe avuto campo libero con Lucia. L’avrebbe consolata ed era sicuro di farla crollare tra le sue braccia in breve tempo. Quella donna gli piaceva davvero e anche suo figlio era un bravo marmocchio. Nessuno avrebbe sospettato di lui.
Controllò, per scrupolo, che Lucia fosse ancora lontana e si premurò di cancellare ogni traccia di quei messaggi e di quelle chiamate. Poi ripristinò la schermata principale, posò di nuovo il cellulare in terra e iniziò a vestirsi, ripercorrendo con la mente quella scopata sensazionale in ogni minimo particolare, ogni gesto, ogni espressione di lei, ogni suo fremito di piacere.
Poi si lasciò crollare di nuovo sul divano e, ad occhi socchiusi, restò ad aspettarla. Sul volto gli si delineò un sorriso trionfante.

Lucia, intanto, fissava il suo riflesso allo specchio. Aveva ancora le pupille dilatate ed il corpo scosso da spasmi incontrollabili. Si accarezzò il clitoride e strizzò gli occhi nel sentire la vagina indolenzita e dolorante. Era stata senza dubbio la scopata migliore della sua vita, quella che sognava da quando quel ragazzo sconosciuto era entrato in casa sua. Eppure nei meandri della sua mente cominciavano a fare di nuovo capolino i sensi di colpa, insistenti con un martello pneumatico. Pensò di nuovo a suo marito, a quanto avrebbe voluto che fosse lui a scoparla così, alla sua espressione disperata, quando solo poche ore prima era andata a trovarlo alla stazione di polizia e si chiese che cosa stesse passando in quel momento. Sperò che si facesse giorno in fretta per andare a trovarlo. Si disse che, quanto era successo quella sera con Alim, sarebbe rimasto per sempre un segreto. Si fece il bidet con cura, si sciacquò il viso, il corpo e si legò i capelli - fradici di sudore - sulla nuca. Poi, si coprì con un asciugamano e, senza incontrare nuovamente il suo sguardo nello specchio, uscì dal bagno. Mentre tornava al piano di sotto, passò davanti alla camera di Gabriele. Si paralizzò: le sembrava di averlo sentito piangere.

Si avvicinò alla porta e ci posò sopra l’orecchio. Era evidente che stesse piangendo a dirotto, anche se i suoi singhiozzi le arrivavano attutiti. Spinse appena la porta e infilò dentro la testa.

“Amore… sei sveglio?” chiese in un sussurro. Gabriele sussultò nel sentire la sua voce.
“Vattene.” farfugliò, con la bocca ancora impastata dal pianto.
“Da quanto sei sveglio?” chiese ancora sua madre, cercando di indagare se potesse aver sentito qualcosa.
“Ho solo fatto un brutto sogno. Vai via, per favore.”
“Sei sicuro che non vuoi che venga a leggerti una storia?”
“Sì.” sentenziò Gabriele.

Lucia allora, con un nodo in gola, richiuse piano la porta. Poggiò la fronte contro il muro e, con gli occhi stretti, lo sentì ricominciare a piangere. L’idea che suo figlio avesse potuto assistere alla scena di lei ed Alim che scopavano le spezzava il cuore. Avrebbe potuto nascondere tutto a suo marito, ma suo figlio lo avrebbe saputo. Se era vero, non avrebbe saputo in che modo spiegarglielo, né tantomeno come scusarsi con lui. Sentì il pianto farsi strada tra le palpebre e non riuscì a trattenere le lacrime. Corse in salotto e si gettò tra le braccia di Alim. Il ragazzo rimase sorpreso da quella reazione e la strinse a sé.

“Che succede?” chiese. Sapeva che Lucia si sarebbe potuta sentire in colpa verso il marito, ma di certo non si aspettava un pianto così disperato. Si convinse che si dovesse trattare per forza di qualcos’altro. Lucia cercò di parlare tra i singhiozzi.

“Gabri… Gabriele...” a sentire nominare il bambino Alim spalancò gli occhi.
“Che è successo a Gabriele, sta male?” chiese. Lucia annuì con veemenza.
“Sta piangendo. Io credo… credo che possa averci sentiti, o visti addirittura” e scoppiò di nuovo a piangere. Alim le accarezzò la testa come avrebbe fatto con una bambina e la lasciò sfogare. Quando si accorse che i singhiozzi scemavano si alzò e si diresse in cucina. Prese il whisky dal tavolo, riempì due bicchieri e tornò verso il divano. Con una mano le sollevò il viso, le asciugò le lacrime e la invitò a bere.

“Forza, vedrai che ti sentirai meglio.”
Lucia fece resistenza. Intanto si stringeva l’asciugamano contro il petto.
“Come faccio a sentirmi meglio? Mi sento uno schifo...”
“No, non è vero. Sei bellissima...” sussurrò Alim. Lei scoppiò in un riso amaro e gli riservò uno sguardo obliquo.
“Non è questo che intendevo.”
“Lo so. Ma è vero. Sei la donna più bella che io abbia mai visto. E sei buona, Lucia, sei una brava madre e una brava moglie. Non c’è nulla di male in quello che hai fatto.”
“Come fai a dirlo?”
“Mi sono accorto che con tuo marito le cose non andavano. Il tuo corpo aveva bisogno di sesso. E anche la tua mente. Bevi questo e fidati di me”

Lucia lo guardò per qualche istante. In effetti era vero, aveva bisogno di sesso. Nonostante il senso di colpa che ancora la attanagliava, fece un mezzo sorriso, si lasciò accarezzare la guancia e bevve un sorso di whisky.

“Andrà tutto meglio d’ora in poi” disse Alim, sorridendole di rimando.
“Ne sei sicuro?”
Alim bevve un sorso di whisky e disse:
“Oh sì. Ne sono più che sicuro. Andrà tutto a meraviglia.”

Fine
 

Aragorn187

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Parte 10 - 2
Mi ricordo che mi svegliai di soprassalto quella notte. Ero convinto di aver sentito dei rumori al piano di sotto. Controllai l’orologio che proiettava i numeri sul soffitto e vidi che era l’una. Guardai nel materasso di sotto e mi stupii parecchio di non trovarci il mio amico Alim. Nonostante la porta chiusa della mia stanza potevo sentire dei tonfi e come delle voci; ma non era come quando sentivo mamma e papà discutere, erano più dei versi che delle parole. Mi alzai, incuriosito e scesi le scale del letto a castello. Mi avvicinai alla porta, cercando di fare meno rumore possibile. La accostai e spiai fuori. Le luci del corridoio erano spente. Mi lasciai guidare dai rumori che ora sentivo più forti. Era come se qualcuno stesse ansimando. Pensai che magari la mamma, o papà o forse Alim si stessero sentendo male. Così mi diressi a passi spediti verso le scale. Grazie alla moquette i miei piedi si posavano senza fare alcun rumore. Prima di scendere mi accucciai dietro alla ringhiera di legno e guardai di sotto.
Davanti ai miei occhi si svelò una visione che mi traumatizzò. Sul divano potevo vedere chiaramente il corpo nudo di Alim che si muoveva affannato. Il suo pene enorme entrava ed usciva dal corpo di mia madre, anche lei nuda. Vidi i suoi seni danzarle avanti e indietro sul petto, sotto le mani di Alim che glieli stringevano vigorosamente. Si mordeva un labbro ed il suo viso era stremato, contratto in un’espressione che mi sembrò di dolore. Solo ora capisco che quel dolore in realtà era un piacere sconvolgente. Mi aggrappai alla ringhiera, così forte che le mani dopo poco iniziarono a farmi male. Non riuscivo a formulare alcun pensiero. Quello che stavano facendo, per me, era ancora un mistero; ma capii che Alim si stava scopando mia madre. Sentii un fiotto di lacrime salirmi alla gola e non potei fare a meno di scoppiare a piangere. Loro non si accorsero di niente ed io mi rifugiai di corsa in camera mia. Risalii sul letto e, al riparo sotto le coperte, continuai a piangere, scosso dai singhiozzi, per tutta la notte.

Lucia ed Alim erano ancora stremati dall’orgasmo; lui sopra di lei. Sfilò piano il pene dalla sua vagina e si sedette sui talloni. Respirava pesantemente e si asciugò con il dorso della mano il sudore che gli colava dalla fronte. Anche Lucia, con un po’ di fatica, si tirò a sedere. Sul viso aveva ancora l’ombra del piacere che aveva appena provato. Alim le si avvicinò per abbracciarla, ma lei si divincolò debolmente. Lo allontanò, spingendolo via con una mano.

“Vado a sciacquarmi…” sussurrò con un filo di voce, arrochita dalle grida che aveva soffocato.
“Ehi, aspetta” cercò di dirle lui, ma Lucia si era già alzata e, camminando malferma sulle gambe, era sparita in cima alle scale.
Alim, rimasto solo, crollò con le spalle contro lo schienale del divano. Respirò a fondo. Poi all’improvviso gli balenò un pensiero nella mente. Si chinò accanto al bracciolo e raccolse da terra il telefono di Lucia. Lo accese e sbloccò il display. Lo schermo era invaso da notifiche di chiamate e messaggi. Alim ne aprì uno e lo lesse.

“Signora Esposito, sono l’Ispettore Ruggero. Ho provato a chiamarla più di una volta. Avrei preferito dirglielo di persona, ma la situazione è grave e ci tenevo che lo sapesse da me. Ci sono stati dei rivolgimenti nel caso di suo marito. Non positivi, purtroppo. Come le avevo preannunciato, era stato trasferito in prigione, in attesa del processo. Durante una rissa è stato ferito e mi dispiace annunciarle che, nonostante le cure immediate, non è stato possibile salvarlo. Mi richiami appena le è possibile, così che possa spiegarle in dettaglio lo svolgersi della vicenda. Mi rincresce davvero.”

Alim non poté fare a meno di lasciarsi scappare un sospiro di sollievo. Il suo piano aveva funzionato a meraviglia. Con Marco fuori dai piedi avrebbe avuto campo libero con Lucia. L’avrebbe consolata ed era sicuro di farla crollare tra le sue braccia in breve tempo. Quella donna gli piaceva davvero e anche suo figlio era un bravo marmocchio. Nessuno avrebbe sospettato di lui.
Controllò, per scrupolo, che Lucia fosse ancora lontana e si premurò di cancellare ogni traccia di quei messaggi e di quelle chiamate. Poi ripristinò la schermata principale, posò di nuovo il cellulare in terra e iniziò a vestirsi, ripercorrendo con la mente quella scopata sensazionale in ogni minimo particolare, ogni gesto, ogni espressione di lei, ogni suo fremito di piacere.
Poi si lasciò crollare di nuovo sul divano e, ad occhi socchiusi, restò ad aspettarla. Sul volto gli si delineò un sorriso trionfante.

Lucia, intanto, fissava il suo riflesso allo specchio. Aveva ancora le pupille dilatate ed il corpo scosso da spasmi incontrollabili. Si accarezzò il clitoride e strizzò gli occhi nel sentire la vagina indolenzita e dolorante. Era stata senza dubbio la scopata migliore della sua vita, quella che sognava da quando quel ragazzo sconosciuto era entrato in casa sua. Eppure nei meandri della sua mente cominciavano a fare di nuovo capolino i sensi di colpa, insistenti con un martello pneumatico. Pensò di nuovo a suo marito, a quanto avrebbe voluto che fosse lui a scoparla così, alla sua espressione disperata, quando solo poche ore prima era andata a trovarlo alla stazione di polizia e si chiese che cosa stesse passando in quel momento. Sperò che si facesse giorno in fretta per andare a trovarlo. Si disse che, quanto era successo quella sera con Alim, sarebbe rimasto per sempre un segreto. Si fece il bidet con cura, si sciacquò il viso, il corpo e si legò i capelli - fradici di sudore - sulla nuca. Poi, si coprì con un asciugamano e, senza incontrare nuovamente il suo sguardo nello specchio, uscì dal bagno. Mentre tornava al piano di sotto, passò davanti alla camera di Gabriele. Si paralizzò: le sembrava di averlo sentito piangere.

Si avvicinò alla porta e ci posò sopra l’orecchio. Era evidente che stesse piangendo a dirotto, anche se i suoi singhiozzi le arrivavano attutiti. Spinse appena la porta e infilò dentro la testa.

“Amore… sei sveglio?” chiese in un sussurro. Gabriele sussultò nel sentire la sua voce.
“Vattene.” farfugliò, con la bocca ancora impastata dal pianto.
“Da quanto sei sveglio?” chiese ancora sua madre, cercando di indagare se potesse aver sentito qualcosa.
“Ho solo fatto un brutto sogno. Vai via, per favore.”
“Sei sicuro che non vuoi che venga a leggerti una storia?”
“Sì.” sentenziò Gabriele.

Lucia allora, con un nodo in gola, richiuse piano la porta. Poggiò la fronte contro il muro e, con gli occhi stretti, lo sentì ricominciare a piangere. L’idea che suo figlio avesse potuto assistere alla scena di lei ed Alim che scopavano le spezzava il cuore. Avrebbe potuto nascondere tutto a suo marito, ma suo figlio lo avrebbe saputo. Se era vero, non avrebbe saputo in che modo spiegarglielo, né tantomeno come scusarsi con lui. Sentì il pianto farsi strada tra le palpebre e non riuscì a trattenere le lacrime. Corse in salotto e si gettò tra le braccia di Alim. Il ragazzo rimase sorpreso da quella reazione e la strinse a sé.

“Che succede?” chiese. Sapeva che Lucia si sarebbe potuta sentire in colpa verso il marito, ma di certo non si aspettava un pianto così disperato. Si convinse che si dovesse trattare per forza di qualcos’altro. Lucia cercò di parlare tra i singhiozzi.

“Gabri… Gabriele...” a sentire nominare il bambino Alim spalancò gli occhi.
“Che è successo a Gabriele, sta male?” chiese. Lucia annuì con veemenza.
“Sta piangendo. Io credo… credo che possa averci sentiti, o visti addirittura” e scoppiò di nuovo a piangere. Alim le accarezzò la testa come avrebbe fatto con una bambina e la lasciò sfogare. Quando si accorse che i singhiozzi scemavano si alzò e si diresse in cucina. Prese il whisky dal tavolo, riempì due bicchieri e tornò verso il divano. Con una mano le sollevò il viso, le asciugò le lacrime e la invitò a bere.

“Forza, vedrai che ti sentirai meglio.”
Lucia fece resistenza. Intanto si stringeva l’asciugamano contro il petto.
“Come faccio a sentirmi meglio? Mi sento uno schifo...”
“No, non è vero. Sei bellissima...” sussurrò Alim. Lei scoppiò in un riso amaro e gli riservò uno sguardo obliquo.
“Non è questo che intendevo.”
“Lo so. Ma è vero. Sei la donna più bella che io abbia mai visto. E sei buona, Lucia, sei una brava madre e una brava moglie. Non c’è nulla di male in quello che hai fatto.”
“Come fai a dirlo?”
“Mi sono accorto che con tuo marito le cose non andavano. Il tuo corpo aveva bisogno di sesso. E anche la tua mente. Bevi questo e fidati di me”

Lucia lo guardò per qualche istante. In effetti era vero, aveva bisogno di sesso. Nonostante il senso di colpa che ancora la attanagliava, fece un mezzo sorriso, si lasciò accarezzare la guancia e bevve un sorso di whisky.

“Andrà tutto meglio d’ora in poi” disse Alim, sorridendole di rimando.
“Ne sei sicuro?”
Alim bevve un sorso di whisky e disse:
“Oh sì. Ne sono più che sicuro. Andrà tutto a meraviglia.”

Fine
Ci hai fatto penare ma ne è valsa la pena…Ora toglici ogni dubbio: come si chiama il libro? Perché io vorrei proseguire…
 

Shamoan

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Parte 10 - 2
Mi ricordo che mi svegliai di soprassalto quella notte. Ero convinto di aver sentito dei rumori al piano di sotto. Controllai l’orologio che proiettava i numeri sul soffitto e vidi che era l’una. Guardai nel materasso di sotto e mi stupii parecchio di non trovarci il mio amico Alim. Nonostante la porta chiusa della mia stanza potevo sentire dei tonfi e come delle voci; ma non era come quando sentivo mamma e papà discutere, erano più dei versi che delle parole. Mi alzai, incuriosito e scesi le scale del letto a castello. Mi avvicinai alla porta, cercando di fare meno rumore possibile. La accostai e spiai fuori. Le luci del corridoio erano spente. Mi lasciai guidare dai rumori che ora sentivo più forti. Era come se qualcuno stesse ansimando. Pensai che magari la mamma, o papà o forse Alim si stessero sentendo male. Così mi diressi a passi spediti verso le scale. Grazie alla moquette i miei piedi si posavano senza fare alcun rumore. Prima di scendere mi accucciai dietro alla ringhiera di legno e guardai di sotto.
Davanti ai miei occhi si svelò una visione che mi traumatizzò. Sul divano potevo vedere chiaramente il corpo nudo di Alim che si muoveva affannato. Il suo pene enorme entrava ed usciva dal corpo di mia madre, anche lei nuda. Vidi i suoi seni danzarle avanti e indietro sul petto, sotto le mani di Alim che glieli stringevano vigorosamente. Si mordeva un labbro ed il suo viso era stremato, contratto in un’espressione che mi sembrò di dolore. Solo ora capisco che quel dolore in realtà era un piacere sconvolgente. Mi aggrappai alla ringhiera, così forte che le mani dopo poco iniziarono a farmi male. Non riuscivo a formulare alcun pensiero. Quello che stavano facendo, per me, era ancora un mistero; ma capii che Alim si stava scopando mia madre. Sentii un fiotto di lacrime salirmi alla gola e non potei fare a meno di scoppiare a piangere. Loro non si accorsero di niente ed io mi rifugiai di corsa in camera mia. Risalii sul letto e, al riparo sotto le coperte, continuai a piangere, scosso dai singhiozzi, per tutta la notte.

Lucia ed Alim erano ancora stremati dall’orgasmo; lui sopra di lei. Sfilò piano il pene dalla sua vagina e si sedette sui talloni. Respirava pesantemente e si asciugò con il dorso della mano il sudore che gli colava dalla fronte. Anche Lucia, con un po’ di fatica, si tirò a sedere. Sul viso aveva ancora l’ombra del piacere che aveva appena provato. Alim le si avvicinò per abbracciarla, ma lei si divincolò debolmente. Lo allontanò, spingendolo via con una mano.

“Vado a sciacquarmi…” sussurrò con un filo di voce, arrochita dalle grida che aveva soffocato.
“Ehi, aspetta” cercò di dirle lui, ma Lucia si era già alzata e, camminando malferma sulle gambe, era sparita in cima alle scale.
Alim, rimasto solo, crollò con le spalle contro lo schienale del divano. Respirò a fondo. Poi all’improvviso gli balenò un pensiero nella mente. Si chinò accanto al bracciolo e raccolse da terra il telefono di Lucia. Lo accese e sbloccò il display. Lo schermo era invaso da notifiche di chiamate e messaggi. Alim ne aprì uno e lo lesse.

“Signora Esposito, sono l’Ispettore Ruggero. Ho provato a chiamarla più di una volta. Avrei preferito dirglielo di persona, ma la situazione è grave e ci tenevo che lo sapesse da me. Ci sono stati dei rivolgimenti nel caso di suo marito. Non positivi, purtroppo. Come le avevo preannunciato, era stato trasferito in prigione, in attesa del processo. Durante una rissa è stato ferito e mi dispiace annunciarle che, nonostante le cure immediate, non è stato possibile salvarlo. Mi richiami appena le è possibile, così che possa spiegarle in dettaglio lo svolgersi della vicenda. Mi rincresce davvero.”

Alim non poté fare a meno di lasciarsi scappare un sospiro di sollievo. Il suo piano aveva funzionato a meraviglia. Con Marco fuori dai piedi avrebbe avuto campo libero con Lucia. L’avrebbe consolata ed era sicuro di farla crollare tra le sue braccia in breve tempo. Quella donna gli piaceva davvero e anche suo figlio era un bravo marmocchio. Nessuno avrebbe sospettato di lui.
Controllò, per scrupolo, che Lucia fosse ancora lontana e si premurò di cancellare ogni traccia di quei messaggi e di quelle chiamate. Poi ripristinò la schermata principale, posò di nuovo il cellulare in terra e iniziò a vestirsi, ripercorrendo con la mente quella scopata sensazionale in ogni minimo particolare, ogni gesto, ogni espressione di lei, ogni suo fremito di piacere.
Poi si lasciò crollare di nuovo sul divano e, ad occhi socchiusi, restò ad aspettarla. Sul volto gli si delineò un sorriso trionfante.

Lucia, intanto, fissava il suo riflesso allo specchio. Aveva ancora le pupille dilatate ed il corpo scosso da spasmi incontrollabili. Si accarezzò il clitoride e strizzò gli occhi nel sentire la vagina indolenzita e dolorante. Era stata senza dubbio la scopata migliore della sua vita, quella che sognava da quando quel ragazzo sconosciuto era entrato in casa sua. Eppure nei meandri della sua mente cominciavano a fare di nuovo capolino i sensi di colpa, insistenti con un martello pneumatico. Pensò di nuovo a suo marito, a quanto avrebbe voluto che fosse lui a scoparla così, alla sua espressione disperata, quando solo poche ore prima era andata a trovarlo alla stazione di polizia e si chiese che cosa stesse passando in quel momento. Sperò che si facesse giorno in fretta per andare a trovarlo. Si disse che, quanto era successo quella sera con Alim, sarebbe rimasto per sempre un segreto. Si fece il bidet con cura, si sciacquò il viso, il corpo e si legò i capelli - fradici di sudore - sulla nuca. Poi, si coprì con un asciugamano e, senza incontrare nuovamente il suo sguardo nello specchio, uscì dal bagno. Mentre tornava al piano di sotto, passò davanti alla camera di Gabriele. Si paralizzò: le sembrava di averlo sentito piangere.

Si avvicinò alla porta e ci posò sopra l’orecchio. Era evidente che stesse piangendo a dirotto, anche se i suoi singhiozzi le arrivavano attutiti. Spinse appena la porta e infilò dentro la testa.

“Amore… sei sveglio?” chiese in un sussurro. Gabriele sussultò nel sentire la sua voce.
“Vattene.” farfugliò, con la bocca ancora impastata dal pianto.
“Da quanto sei sveglio?” chiese ancora sua madre, cercando di indagare se potesse aver sentito qualcosa.
“Ho solo fatto un brutto sogno. Vai via, per favore.”
“Sei sicuro che non vuoi che venga a leggerti una storia?”
“Sì.” sentenziò Gabriele.

Lucia allora, con un nodo in gola, richiuse piano la porta. Poggiò la fronte contro il muro e, con gli occhi stretti, lo sentì ricominciare a piangere. L’idea che suo figlio avesse potuto assistere alla scena di lei ed Alim che scopavano le spezzava il cuore. Avrebbe potuto nascondere tutto a suo marito, ma suo figlio lo avrebbe saputo. Se era vero, non avrebbe saputo in che modo spiegarglielo, né tantomeno come scusarsi con lui. Sentì il pianto farsi strada tra le palpebre e non riuscì a trattenere le lacrime. Corse in salotto e si gettò tra le braccia di Alim. Il ragazzo rimase sorpreso da quella reazione e la strinse a sé.

“Che succede?” chiese. Sapeva che Lucia si sarebbe potuta sentire in colpa verso il marito, ma di certo non si aspettava un pianto così disperato. Si convinse che si dovesse trattare per forza di qualcos’altro. Lucia cercò di parlare tra i singhiozzi.

“Gabri… Gabriele...” a sentire nominare il bambino Alim spalancò gli occhi.
“Che è successo a Gabriele, sta male?” chiese. Lucia annuì con veemenza.
“Sta piangendo. Io credo… credo che possa averci sentiti, o visti addirittura” e scoppiò di nuovo a piangere. Alim le accarezzò la testa come avrebbe fatto con una bambina e la lasciò sfogare. Quando si accorse che i singhiozzi scemavano si alzò e si diresse in cucina. Prese il whisky dal tavolo, riempì due bicchieri e tornò verso il divano. Con una mano le sollevò il viso, le asciugò le lacrime e la invitò a bere.

“Forza, vedrai che ti sentirai meglio.”
Lucia fece resistenza. Intanto si stringeva l’asciugamano contro il petto.
“Come faccio a sentirmi meglio? Mi sento uno schifo...”
“No, non è vero. Sei bellissima...” sussurrò Alim. Lei scoppiò in un riso amaro e gli riservò uno sguardo obliquo.
“Non è questo che intendevo.”
“Lo so. Ma è vero. Sei la donna più bella che io abbia mai visto. E sei buona, Lucia, sei una brava madre e una brava moglie. Non c’è nulla di male in quello che hai fatto.”
“Come fai a dirlo?”
“Mi sono accorto che con tuo marito le cose non andavano. Il tuo corpo aveva bisogno di sesso. E anche la tua mente. Bevi questo e fidati di me”

Lucia lo guardò per qualche istante. In effetti era vero, aveva bisogno di sesso. Nonostante il senso di colpa che ancora la attanagliava, fece un mezzo sorriso, si lasciò accarezzare la guancia e bevve un sorso di whisky.

“Andrà tutto meglio d’ora in poi” disse Alim, sorridendole di rimando.
“Ne sei sicuro?”
Alim bevve un sorso di whisky e disse:
“Oh sì. Ne sono più che sicuro. Andrà tutto a meraviglia.”

Fine
Perdonami Gando94, come ho già ripetuto più volte la storia è ben scritta e anche molto convolgente, ma dubito fortemente che tutto ciò che ho letto finora possa essere reale, per cui mi farebbe piacere che ci spiegassi un attimino come è nata tutta la trama e da cosa hai preso spunto, anche perchè partecipare attivamente alla discussione, non è affatto male 😅
Grazie.
 

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Ho riletto l'inizio...c'è scritto "questa storia prende spunto da fatti reali" quindi deduco che magari l'autore abbia letto un fatto di cronaca e ci abbia costruito sopra una storia. Ora, capisco chi dice che non importa se è una storia reale o inventata basta sia ben raccontata e molte volte anche io ho abbracciato questa teoria, ma in questo caso specifico il fatto di aver etichettato la storia come reale ha creato un mood nel lettore (o almeno a me) tale che poi l'evolversi del racconto ha portato una sorta di delusione prima vedendo che veniva esplorato il punto di vista di più personaggi (cosa impossibile narrando un fatto reale) e poi soprattutto l'epilogo con omicidio che "sporca" a mio avviso tutta la vicenda. De l'autore, che comunque ritengo bravo nel l'esposizione, ci vorrà dare qualche elemento in più sui dubbi che a noi tutti stanno venendo, sarebbe cosa gradita.
 

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