Racconto di fantasia UNA MOGLIE PERBENE: QUANDO LA VERGOGNA DIVENTA GODIMENTO (1)

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Dave35

Guest
Premessa:

La letteratura erotica è ricca di storie di mariti che sono attratti dall'idea di vedere le proprie mogli, apparentemente rispettabili, esplorare il confine estremo della sottomissione e vivere esperienze di vita come donne di strada. Una coppia mi ha proposto di scrivere una storia su questo argomento. Il racconto che ho scritto con la mia compagna Adriana è il frutto di un lavoro a quattro mani. La sua sensibilità ha contribuito a dare al testo un'intensità e una profondità che un solo autore non avrebbe potuto raggiungere. Inoltre le nostre scopate ci hanno aiutato a accendere la nostra immaginazione e a dare vita a questo lungo racconto che sarà pubblicato qui in vari episodi.

La lunghezza di questo racconto è dovuta a una serie di fattori, tra cui la ricchezza e la complessità della trama, la profondità delle emozioni dei personaggi e la necessità di offrire al lettore un'esperienza coinvolgente.

*****
Prologo:

Dietro la facciata di Valentina, quarantenne, stimata docente universitaria e rinomata ricercatrice, capace di destreggiarsi tra le lingue con la stessa facilità con cui naviga tra le complessità della scienza, si nasconde un conflitto interiore intricato. È l'epitome dell'ambivalenza: da un lato, c'è una sottile voglia di abbandonarsi a pratiche estreme, disprezzate dal suo stesso rigore accademico; dall'altro, il turbamento che prova nel perseguire una relazione clandestina, agli antipodi della sua esistenza ordinata e stimata, con l'ombra costante del pericolo di vedere la sua doppia vita esposta.

Da tempo sognavamo una vacanza a Parigi. Pochi però avrebbero potuto prevedere quanto e come quel viaggio avrebbe trasformato inaspettatamente molti aspetti della nostra vita.

L’inizio

Mi chiamo Valentina, e, nonostante abbia superato i quarant'anni, il mio aspetto è ancora quello di una donna più giovane, con una figura armoniosa, gambe affascinanti e un fisico tonico, caratteristiche che non passano inosservate anche dietro i banchi dell'università, dove esercito con passione il mio ruolo di docente. La serietà e la discrezione mi hanno sempre contraddistinto professionalmente. Al mio fianco, c'è Leonardo, 48 anni, mio marito, un uomo d'affari abile e intraprendente.

Il nostro è stato il vero matrimonio d’amore. Ci siamo amati da subito e da subito abbiamo deciso di vivere insieme. Il nostro matrimonio è andato avanti per anni molto felicemente, almeno io così pensavo sia per me che per lui. Facevamo tutto insieme, dalla spesa allo shopping, prendevamo insieme tutte le decisioni senza mai avere un alterco che durasse a lungo. I litigi, infatti, duravano al massimo un paio di ore, poi uno dei due, o anche entrambi, chiedevamo scusa all’altro ammettendo e condannando i nostri errori.

La svolta ebbe inizio due anni or sono, in coincidenza con il nostro anniversario. Fino a quel momento, la nostra intimità era contraddistinta da una routine tranquilla e priva di audacia. Leonardo era desideroso di ravvivare il fuoco della passione, mentre io tendevo a mantenere una certa riserva. La mia scelta di abbigliamento rifletteva questa tendenza: completi formali e gonne che superavano il ginocchio erano la norma nel mio armadio. Nonostante le ripetute richieste di Leonardo di osare con abiti più provocanti, la mia risposta era un sorriso e un veloce cambio di argomento.

Sessualmente non ci mancava nulla, almeno a me così sembrava. Io ero calda e pronta alle sue carezze e ai suoi baci e non ricordo una volta che uno dei due abbia mai trovato una scusa per evitare di far l’amore. Negli ultimi tempi cercammo anche di vivacizzare i nostri rapporti immaginando situazioni strane e piccanti, sicuramente trasgressive e per questo molto eccitanti. Come, ad esempio, immaginare un prato o una spiaggia deserti dove io ero tutta nuda e lui che mi rincorreva per poi prendermi con violenza.

Per me quella era una fantasia davvero enfatizzata e a volte credevo di aver esagerato anche troppo, ma notavo che mio marito si eccitava sempre più con quelle parole che ci dicevamo e io mi sentivo sempre più calda e attratta da lui.

In occasione del nostro anniversario, Leonardo mi ha sorpreso con un regalo straordinario: due settimane di vacanza a Parigi. A momenti saltavo dalla gioia. Parigi! La città che più di ogni altra al mondo desideravo visitare, il sogno che avevo fin da bambina.

Un giorno, mentre ero intenta a dare spiegazioni ai miei studenti all’università, rovistando nella borsetta alla ricerca di un fazzolettino, mi ritrovai tra le mani una lettera scritta da mio marito.

Mi sembrò strano perché in genere ci parlavamo a voce, ma la cosa m’incuriosì talmente che feci fatica a trattenermi e a non leggerla immediatamente davanti a tutti quei ragazzi.

Non appena fui nella mia stanza, non resistetti alla tentazione di aprire la lettera e leggerla tutta d'un fiato.

Leonardo aveva pensato al nostro anniversario e mi annunciava un viaggio di due settimane a Parigi. Continuai a leggere mentre lacrime di gioia rigavano il mio volto. La gioia però durò poco.

Carissima Valentina,
Il viaggio a Parigi sarà un inizio perfetto per festeggiare il nostro anniversario. Vorrei che, almeno per una sera, tu accettassi di vestirti in modo più audace e sexy, per creare un ricordo speciale. Sarà un'occasione per noi di esplorare una parte diversa di noi stessi in un luogo lontano da sguardi indiscreti.
Ti amo.”


Voleva qualcosa in cambio. Qualcosa a cui mai e poi mai avrei potuto pensare.

Voleva che mi trasformassi in una femmina sexy e voluttuosa. Certo non sempre, ma per il nostro soggiorno lì. Anzi mi chiedeva di essere così almeno per un giorno o per una sera, una sola sera. Avrei dovuto indossare biancheria molto sexy, minigonna o minabito, insomma voleva che per una sera mi vestissi da “troia” (mi vergogno anche a scrivere questa parola) e fossi molto “Femmina”.

Scrisse proprio così.

Chiusi la lettera tra le mani e rimasi pensierosa per qualche minuto.

Cambiare abbigliamento? Ma perché? Già quando indossavo gonne che mi arrivavano al ginocchio, mi sembrava di esagerare, i pantaloni poi non dovevano nemmeno essere attillati. Mostrare braccia o ginocchia per me era già troppo trasgressivo. Come poteva chiedermi una cosa simile?

Pensai e ripensai per giorni a quello che mi chiedeva e anche a come avrei dovuto rispondergli. Decisi, infatti, che non gli avrei risposto a voce, ma per lettera, come aveva fatto lui. Forse, evitando di guardarlo negli occhi, mi sarebbe stato più facile.

Così mi decisi.

La sera prima della partenza uscii a fare compere. Mi recai in un grande negozio di abbigliamento. Mi feci consigliare dalla commessa che mi suggerì della lingerie che io ritenevo scandalosa ma che per lei doveva essere invece qualcosa di normale, comprai anche calze e reggicalze. Comprai scarpe col tacco vertiginoso e anche un paio di gonne e un vestito che avrebbe coperto ben poco delle mie gambe, un giacchettino, un paio di camicie di seta e di cotone molto sexy (almeno così mi sembravano).

Felice e col cuore in tumulto feci ritorno a casa.

Lì faticai non poco a nascondere le mie compere e mi ritirai nel mio studiolo con la scusa di finire un lavoro prima della partenza e iniziai a scrivere la lettera di risposta.

"Amore mio, accetto la tua richiesta per rendere speciale questa vacanza a Parigi. Non è esattamente ciò che avrei desiderato, ma sono disposta a provare. Ho comprato qualcosa di audace per te. Sarà solo tu ed io, lontani da chi ci conosce, liberi di esprimerci.
Ti amo tanto."


Chiusi la lettera in una busta e andai a letto sperando che il sonno mi prendesse presto.

La mattina dopo mi alzai prima di lui e mi mossi lentamente e in silenzio per non svegliarlo. Andai in cucina e preparai una sostanziosa colazione per entrambi e, appoggiata al suo bicchiere, misi la lettera che avevo scritto la sera prima.

Venne finalmente il giorno della partenza. Mi svegliai felice e iniziai a prepararmi. Non ci volle molto, come sempre avevo preparato tutto la sera prima, anche le valige che ora bastava chiuderle. Le chiudo sempre un momento prima di partire per non stropicciare troppo i vestiti. Preparai la colazione che consumammo in terrazza, mi feci la doccia e indossai il tailleur che avevo deciso di indossare per il viaggio. Chiusi le valige e ci avviammo finalmente all’aeroporto.

Arrivammo in forte anticipo, per cui, dopo aver consegnato le valige, ci accomodammo nella sala d’attesa dove mi appisolai poggiando il capo sulla spalla di mio marito.

Mi svegliò una leggera carezza della sua mano su un mio ginocchio. Mi sono girata e ho visto che mi stava guardando le ginocchia, appena scoperte dall'orlo pudico della mia gonna. Non ci eravamo detti più nulla dopo esserci furtivamente scambiate le nostre lettere, ma i suoi occhi parlavano chiaro. Era incuriosito e eccitato, e io lo ero altrettanto. Lui appoggiò il suo capo sui miei capelli respirando il mio profumo. Appoggiai delicatamente la mano sul suo ginocchio facendola risvegliare. Lo guardai sorridendo, poi mi stiracchiai un pò e gli detti un piccolo bacio sulle labbra.

“Allora, mi puoi dire quali sono i tuoi acquisti per la nostra vacanza parigina?”

Lo guardai un attimo perplessa ma poi realizzai: avevo preparato il tutto la sera prima ma non avevo messo i miei acquisti in valigia, volevo farlo all’ultimo momento perché non volevo che me li vedesse. Volevo fargli una sorpresa lì, in albergo, prima di uscire per la nostra cenetta romantica. Che stupida che sono stata. La fretta e l’euforia mi avevano completamente distratta.

Cercai in tutti i modi di scusarmi con lui per la mia sbadataggine e distrazione. Non sapevo che dire, piansi quasi per questa dimenticanza. Sapevo quanto ci tenesse e sapevo come la mia distrazione lo aveva fatto rimanere male. Lessi la sua delusione nel suo sguardo e cercai di abbracciarlo chiedendogli perdono.

Pensai che non mi credesse e allora gli descrissi con estrema precisione i miei acquisti, il vestitino, la gonnellina, il reggicalze, le calze, le scarpe e tutto quello che avevo preparato.

Cercai di scusarmi in tutti i modi, promettendogli anche che avrei trovato il modo di farmi perdonare. Avrei fatto qualsiasi cosa per il suo perdono e glielo promisi.

“Dai, ora non piangere,” mi sussurrò sorridendo accarezzandomi il viso con un dito, “anche io ho acquistato qualcosa per te.”

Continuò dicendomi che probabilmente si era spinto un pò troppo oltre, ma in quella città così distante e così grande, certamente non avremmo incontrato nessuno che avrebbe potuto conoscerci e quindi avrei potuto stare tranquilla.

Felice di essere stata perdonata lo strinsi al collo e lo baciai con tutto l’amore che avevo. Proprio in quel momento chiamarono il volo e ci imbarcammo. Leonardo ha reso il volo più speciale per me, le sue carezze mi avvolsero in un abbraccio di tranquillità e felicità, trasformando la nostra partenza in un volo non solo tra le nuvole, ma anche tra i battiti del cuore.

Arrivammo a Parigi e gia mi sentivo eccitata per quella citta dei miei sogni, dell’atmosfera che già emanava Parigi in quel periodo. La nostra scelta è ricaduta sull'Hôtel D'Aubusson, un hotel esclusivo situato nel sesto arrondissement di Parigi, una delle zone più chic della città.

Appena arrivati in albergo pensai di prendere appuntamento col parrucchiere, in modo da essere all’altezza della serata e dell’atmosfera che già emanava Parigi in quel periodo. Devo dire che il parrucchiere fu davvero bravo e veloce. In poco tempo mi sistemò i capelli dando più luce al mio viso, tanto da darmi la sensazione di essere ringiovanita di qualche anno. Mi feci fare anche le unghie e un filo di trucco al viso, solo un’ombra, niente di esagerato, ho sempre odiato il trucco troppo pesante.

Nella hall mio marito mi venne incontro, mi baciò e mi disse “sei splendida”. Poi mi guidò verso il bar dove consumammo un aperitivo. Il suo sorriso mi sembrava quello di un bimbo in attesa di una sorpresa, eccitato e in tensione. Ne ebbi la conferma quando mi disse che questa doveva essere la nostra sera, quella che aspettava e desiderava, la sera in cui non avrei potuto negargli nulla. Mi disse che aveva preparato lui stesso le cose che avrei dovuto indossare e che le aveva poggiate sul letto. Mi chiese di salire su e di prepararmi, lui mi avrebbe aspettato giù.

Ecco, ora ero io ad essere in tensione. Chissà cosa mi aveva preparato e cosa avrei dovuto indossare. Nell’andare in camera mi vennero in mente i vestiti che avevo comprato io. Mi sembravano indecenti e pensavo, speravo che la sua scelta fosse un pò più sobria della mia.

Trovai il pacchetto sul letto e lo aprii. Emisi quasi un urlo strozzato e mi sedetti disperata sul letto.

Era un abbigliamento troppo indecente. Un abitino leggero e cortissimo, che dietro non aveva nulla fino alla vita. Come avrei mai potuto indossarlo? Avrei dovuto rinunciare al reggiseno? E poi era cortissimo, non so dove mi sarebbe arrivato ma praticamente sarei stata quasi nuda. Senza parlare poi di quel microscopico indumento, dire perizoma era eccessivo. Completava il tutto un reggicalze, le calze nere velate con una volgarissima riga nera e i sandali dal tacco a spillo vertiginoso.

No e poi no, non avrei mai indossato roba simile. Dissi queste parole a voce quasi alta gettando per terra le cose che mi aveva comprato.

Restai qualche minuto seduta a pensare. Come aveva potuto solo pensare che indossassi cose così volgari? Lo so, era la nostra serata trasgressiva, la nostra serata, ma … mi fermai per un attimo e pensai al suo desiderio, a quanto ci tenesse per questa serata, infine al fatto che io avevo dimenticato a casa quei vestiti che avevo acquistato la sera prima.

Così mi decisi e indossai gli abiti da lui scelti.

Mi guardai allo specchio. Mamma mia quanto ero volgare. Tutta la schiena scoperta fin quasi alle natiche, il vestito davanti che a stento copriva i miei seni, che pure non sono grandi, anzi. E la gonna cortissima, fin quasi all’attaccatura delle calze, di una stoffa talmente leggera, quasi trasparente, che si poteva anche vedere l’esatta sagoma del reggicalze. E i sandali col tacco così alto mi slanciavano ancora di più rendendo più corto il vestitino.

Forse sarebbe stato meglio toglierlo e scegliere qualcosa di più sobrio.

Il bussare alla porta mi fece trasalire. Andai ad aprire un pò impacciata su quei tacchi così alti. Mio marito mi guardò quasi a bocca aperta.

“Sei meravigliosa” mi disse abbracciandomi e strusciandosi su di me.

Quella sua espansività mi tolse ogni volontà facendomi rinunciare a cambiarmi.

Mi ricordò la mia promessa e mi disse di scendere ad aspettarlo giù mentre lui si sarebbe cambiato.

“Chiama anche un tassì” disse mentre chiudeva la porta.

Rimasi per qualche secondo a guardare la porta chiusa. Che fare ora? Mi faccio aprire e mi cambio?

Ricordai la promessa e mi dissi che in fondo era solo una sera. Presi l’ascensore e scesi nella hall.

Mi sentivo ridicola oltre che volgare e pensavo che tutti gli sguardi fossero su di me.

In effetti non passai inosservata. Gli uomini si giravano a guardarmi ed io già mi sentivo gelare. Timidamente andai alla reception e chiesi di chiamare un tassì.

Nell’attesa mi fermai a guardare delle vetrinette di souvenir che erano nella hall, ma era chiaro che quella era solo una scusa per nascondere il mio nervosismo.

Mi sentivo nuda e osservata. Sentivo su di me gli sguardi di tutti. Cercavo di essere disinvolta ma sentivo brividi di paura lungo la schiena.

Finalmente arrivò mio marito. Quasi di corsa mi avvicinai a lui e gli strinsi un braccio.

“Mi hai fatto fare la figura della prostituta.” gli dissi con un certo nervosismo, “Ti sto aspettando da tanto, tutti mi guardavano, mi scrutavano da capo a piedi, non sapevo che fare. Se avessi ancora ritardato sarei venuta su io.”

Appena uscita, mi accorsi che sedendomi la gonna si era alzata, mostrando il bordo delle mie calze. Con un gesto veloce, ne abbassai il bordo e chiesi di tornare subito in hotel. Mi sentivo così scoperta, quasi nuda, poiché sotto l'abito avevo soltanto un piccolo perizoma. Nel taxi, mentre il conducente era concentrato sulla strada, sentii la sua mano muoversi furtivamente sotto la mia gonna. Le sue dita scivolarono sulle calze e poi sulle mie cosce nude, arrivando infine al perizoma che copriva appena il mio intimo. Ero calda e, nonostante serrassi le gambe, non mi opposi al suo toccarmi. Lasciai che accarezzasse delicatamente il mio centro di calore che rapidamente divenne umido. E poi, sotto la sua insistente esplorazione, sentii cedere l'elastico del perizoma.

Lo gardai impaurita con uno sguardo pieno di terrore, mentre il fragile pezzo di stoffa che indossavo si allentava. Eravamo ormai giunti davanti al ristorante. Implorai ancora di tornare indietro, poiché sotto il vestito mi sentivo nuda, e in realtà lo ero. Il tassista ci segnalò che eravamo arrivate a destinazione. Lui scese e mi aprì la portiera. Nel tentativo di scendere, non riuscii a nascondere le gambe, che rivelarono le mie cosce nude e l’inizio del reggicalze. Cercavo disperatamente delle scuse per ritornare, spaventata all'idea di poter essere riconosciuta da qualcuno. Ma lui chiuse la porta dell'auto e mi prese per mano, ignorando le mie apprensioni. In quel momento non potevo immaginare quanto quella scelta avrebbe trasformato per sempre la nostra esistenza.

Ci stavamo incamminando quando il tassista diede un piccolo colpo di clacson, abbassò il finestrino e si rivolse a me insultandomi “Connasse ta culotte“ gettandole fuori dall’auto. Mi si sentì avvilita e Leonardo faticò molto a convincermi ad entrare nel ristorante; attraversammo il salone; i miei tacchi a spillo valorizzavano le mie gambe generosamente scoperte dalla minigonna ed il culo che ondeggiava volgarmente facendo voltare molti avventori. Ad un attento osservatore non sarebbe certo passato inosservato che sotto il vestito io ero completamente nuda.

Che vergogna attraversare il locale, tra i tavoli e sentirsi nuda e osservata. Con la coda dell’occhio vedevo che tutti si giravano a guardarmi. Cercai di arrivare presto al tavolino che avevamo prenotato, sperando di nascondermi dietro la tovaglia. Ma la tovaglia era troppo corta, insufficiente per coprirmi le gambe. Ero terrorizzata, non sapevo che fare. Al tavolo di fronte un gruppo di signori cominciarono a fissarmi, anche con una certa insistenza, guardando sotto il tavolo, certamente avevano capito che non avevo mutandine. Mi parve di scorgere un volto noto, ma quando sollevai la testa vidi quella figura lasciare la tavola. La mia paura stava giocandomi brutti scherzi se ora avevo l’impressione di essere notata da persone conosciute.

Comunque sentii la vergogna prendermi con forza, le gote avvamparsi: raccolsi il tovagliolo e me lo misi aperto sulle ginocchia. Tremavo come una foglia, ero imbarazzata e terrorizzata. Sentivo gli occhi di quegli uomini su di me, mi fissavano, mi spogliavano, ridevano di me. Guardai di nuovo la tavolata con attenzione, tirai un respiro di sollievo,nessuno che conoscevo, ma i loro sguardi sorrideti mi mettevano in forte imbarazzo. Mio marito mi prese per mano, pensai che volesse darmi sostegno e coraggio, invece la sua frase mi ghiacciò.

“Togli il tovagliolo dalle ginocchia.”

“Ma mi vergogno a morte,” risposi con una certa punta di rabbia e terrore, “ho tutti gli occhi addosso, sto facendo le figura di una … una … una di quelle.”

Lui mi sorrise, prese il tovagliolo dalle mie ginocchia e lo poggiò sul tavolo.

Mi sentii crollare tutto addosso. Cercai di darmi un certo contegno. Forse, se avessi mostrato indifferenza nessuno si sarebbe accorto di niente.

Ma quegli uomini mi guardavano, ormai era chiaro che guardassero e sapessero. Pensai di stringere le gambe, in modo da poter almeno chiudere la Valentina nudità alla loro vista. Cercai di farlo, ma qualcosa mi spinse invece a scostare le ginocchia, non molto, ma quel tanto che bastava a far sì che lo spettacolo fosse completo.

Vidi quei signori che si davano spinte con i gomiti e ridevano, ridevano, ridevano, ad ogni loro insinuazione (ero certa che fosse così dalle battute che si scambiavano e dagli sguardi così eloquenti).

Non mi nascosi, no, ma distrattamente accavallai più volte le gambe facendo sollevare la gonna ben oltre l’attaccatura delle calze, mostrando le cosce nude e certamente, ai loro sguardi, anche il mio inguine senza nessuna copertura.

Mi vergognavo, è vero, provavo una vergogna enorme, ero terrorizzata per questo e cercavo di non guardare nella loro direzione. Purtuttavia uno strano senso di leggero esibizionismo s’impadronì di me e non potei fare a meno di continuare a farmi guardare, anzi addirittura di facilitare la loro visione.

Mio marito non mi chiese niente sulla nostra discussione, e la cena proseguì in modo apparentemente tranquillo, con lui che parlava di tante cose.

Finita la cena, mentre stavamo uscendo, un uomo del gruppo si avvicinò a noi in modo molto gentile. Ci disse che stavano festeggiando il compleanno di uno dei loro amici, il quale era rimasto colpito dalla mia sensualità. Con un sorriso, mi chiese se avrei potuto portare personalmente la torta con le candeline al loro tavolo. Era evidente che tutti avevano il desiderio di vedermi sfilare davanti a loro, e devo ammettere che questa situazione mi stava intrigando. Ero senza parole, indecisa su come reagire.

Lo sconosciuto mi guardò con un'aria di approvazione, quasi incoraggiandomi. Incapace di resistere, lo seguii nella cucina e poco dopo riapparvi tenendo una torta imponente con le candeline. Ero pronta a portarla al tavolo del compleanno, ma lo sconosciuto mi fermò, trattenendomi per i fianchi. Un cameriere accese le candeline, e nel locale le luci si abbassarono, creando un'atmosfera di suspense.

Lo sconosciuto con movimenti impercettibili tenendo le mani sui miei fianchi mi aveva fatto risalire l’orlo della gonna, era evidente a tutti che indossavo calze e reggicalze, ma quel che era peggio arrivava a filo di culo. Alla fine mi lasciò sola, proprio mentre intorno a noi cantavano "Joyeux anniversaire!". Mi avvicinai al tavolo e posai la torta, ma quando le luci si accesero di nuovo, tutti notarono le mie gambe esposte in modo così audace. Ricevetti un'ovazione calorosa, ma solo in quel momento mi resi conto della mia situazione. In tutta fretta, cercai di riabbassare l'orlo della gonna e corsi verso di Leonardo, tra i fischi e le risatine degli altri presenti. Rapidamente, uscimmo dal ristorante e raggiungemmo l'auto, ma io ero senza parole.

Con lo sguardo chino, ammutolita per la vergogna, ci allontanammo da quel ristorante.

Forse mio marito capì il mio imbarazzo perché mi abbracciò camminando, fino ad arrivare in un viale alberato. Ci sedemmo su di una panchina in un angolo semibuio.

Rimasi a guardare il selciato mordendomi il labbro inferiore. Come avevo fatto ad arrivare fino a quel punto? Mi sembrava assurdo e inconcepibile aver accettato di indossare un abito come quello. Gli esternai i miei pensieri con un filo di voce, forse sperando di essere capita. Ma lui cominciò ad accarezzarmi le gambe fin oltre le calze, fino alla pelle nuda, facendomi provare un brivido.

Gli dissi di come mi ero sentita nel ristorante, con tutti quegli sguardi addosso. Gli parlai delle mie paure ma tacqui sul fatto che, pur vergognandomi di quella situazione, mi eccitava l’idea di essere guardata, di sentirmi desiderata anche da quegli estranei e di essermi in qualche modo esibita agli occhi di quegli estranei. Come mi avrebbe giudicata?

Le sue dita raggiunsero la mia vulva e io sussultai dal piacere quando le sentii entrare in me. Dovette accorgersi subito che ero bagnatissima.

Sperai che continuasse, volevo che continuasse. Avevo una gran voglia di godere e la situazione, il luogo, tutto, mi eccitavano da morire.

Invece lui si fermò, tolse la mano dalle mie gambe e accarezzandomi il collo, cominciò a slacciarmi il lembo del vestito.

Con un misto di vergogna e di eccitazione gli chiesti di non farlo, eravamo in un viale pubblico, sicuramente sarebbe passato qualcuno e mi avrebbe vista. La vergogna mi assaliva ma l’eccitazione era tale che lo lasciai fare.

Mi disse che in quel momento ero la sua puttana e mi chiese di ripeterglielo. Con titubanza, ma con altrettanta vergogna glielo ripetei. “Siiiiiiiiii…sono la tua puttana.”

Lentamente fece cadere prima un lembo e poi un altro del vestito. Mi trovai a seno nudo in quella pubblica via. Mi vergognavo, avevo paura ma non riuscivo a reagire. Guardavo solo un lato e poi l’altro della strada con la paura che passasse qualcuno e mi vedesse.

Paura? Sì, una paura pazza e una gran vergogna, ma come in quel ristorante mi sentivo in preda a una assurda e strana eccitazione. In cuor mio sperai addirittura che qualcuno mi vedesse.

Ebbi un colpo al cuore quando, all’improvviso, mi chiese di passeggiare ancheggiando davanti a lui in modo provocante.

“Ma sono tua moglie – gli dissi con la voce tremante di emozione – come puoi chiedermi questo. Se qualcuno mi vedesse?”

Non mi rispose, mi guardava con i suoi occhi pieni di desiderio. Avrei voluto alzarmi, rivestirmi e chiedergli di tornare in albergo, ma in quel momento, in quel luogo così assurdo, forse ricordando la promessa fatta all’aeroporto, mi decisi.

Raccolsi l’abito sui miei seni, coprendomi alla meno peggio, mi alzai e cominciai a passeggiare ancheggiando forse anche in maniera eccessiva.

Mi disse di passeggiare ancora più lontano, poi, al mio passaggio davanti a lui, mi chiese di lasciare che i lembi del vestito cadessero e mi scoprissero il seno.

Lo guardai incredula. Come poteva pensare che io facessi una cosa simile? Mi guardai intorno, poi guardai lui. Ripetè con insistenza la sua richiesta. Non sapevo che fare, che pensare, ero tentata di ricoprirmi e di chiedergli di tornare al nostro albergo. Continuai a guardarmi attorno. Poi, presa da non so quale sensazione, lasciai che il vestito cadesse e che mi scoprisse i seni. Ripresi a passeggiare.

Senza alcun preavviso, un fruscio di passi rompe il silenzio. In un gesto frettoloso, riparo la mia decenza abbassando la gonna e riposizionando con un nodo il nastro al collo. Nel brivido di quel momento, cerco rifugio nell'abbraccio consolatorio di mio marito. Ma ecco, come un fantasma dall'oscurità, si materializza un gentiluomo dai capelli d'argento: Gaston si rivela a noi per la prima volta. Si pianta, un'immagine di elegante calma, e con un gesto del capo ci saluta. I miei occhi, colti nella tempesta di quell'incontro, si abbassano, mi resi conto che forse aveva assistito poco distante a tutte le nostre effusioni.

“Ho visto che alla vostra donna piace come la trattate, le piace esibirsi, madame?” chiese.

Restammo senza parlare.

“Parigi è sicuramente il posto adatto per osare qualcosa di più, sono sicuro che a casa vostra madame è molto più riservata” .

“Beh, si in un certo qual modo, forse abbiamo esagerato, ma in fondo non c’era in giro nessuno.” Disse Leonardo senza molta convinzione.

“Qui forse, ma nel ristorante si è offerta a tutti mettendo in mostra tutte le sue grazie. Sicuramente è sempre piacevole ammirare una bella donna che si lascia guardare…ma mi stavo chiedendo se ci fosse stato qualcuno che avrebbe potuto riconoscerla?”

Sicuro di se almeno su questo, e quanto si sbagliassi l’avremmo scoperto solo qualche giorno dopo, gli disse che ci eravamo lanciati solo perché eravamo sicuri che nessuno ci potesse riconoscere.

“Quindi voi sareste anche disposto a lasciare che vostra moglie osassse qualcosa di più? ”

In un silenzio complice, senza che nessuna parola fosse scambiata tra di noi, lui con un gesto spontaneo ci propose di ritrovarci la sera dopo nello stesso ristorante.

Si girò e prima di andarsene aggiunse ”Spero ovviamente che la signora sia ancora vestita in modo così sexy….”, passò vicino a me e mi sfiorò il culo con la mano “e sempre senza mutandine.”

Ero senza voce. Le parole di quel perfetto estraneo mi martellavano il cervello; e per quanto mi sentissi divisa tra la gelosia e l'emozione, l'idea di essere io al centro delle sue attenzioni mi faceva battere forte il cuore. Il mio respiro era affannato e riuscivo a sussurrare solo poche parole con le labbra appena aperte.

“Che figura … Dio mio che figura … tu sei pazzo … e io che ti ho assecondato … non ti dovevo ascoltare … cosa mai penserà? … che vergogna, che vergogna …… ti rendi conto che figura?”

“Quell’uomo mi mette i brividi, non penserà davvero che ritorni in quel ristorante vestita così?”

“...e se ci ritornassimo?” mi chiese.

Mi sollevò la gonna scoprendomi il sesso ed appoggiandovi sopra la sua mano tittillandomi la vulva.

Se ci ritornassimo? Ma che domanda assurda mi stava ponendo. Mi chiedeva se io avessi intenzione di tornare in quella strada, in quel ristorante, rivedere quell’uomo così ambiguo.

Se ci ritornassimo? Le parole di mio marito mi misero più paura del ricordo stesso.

Avevamo corso un bel rischio. Avremmo potuto incontrare qualche malintenzionato. Qualcuno avrebbe potuto farci del male. Ma non si rendeva conto che anche quell’uomo si era posto la stessa domanda? era una supposizione logica.

Finalmente al sicuro nella nostra camera d'albergo, lui mi chiese di fare qualcosa che mi sembrava assurdo: tornare al ristorante con quei personaggi.

Ripensai a quegli attimi di terrore, all’uomo spuntato fuori dal nulla, al buio, alle carezze, al mio passeggiare come … come … una puttana, sì, proprio come una puttana. Ecco come mi ero sentita io stessa, come penso che mi abbiano considerata i clienti del ristorante, come mi aveva giudicata quell’uomo.

Lo guardai negli occhi, poi fissai l’infinito oltre la parete. Che vergogna, non potrò mai dimenticare quegli attimi, non potrò mai dimenticare gli sguardi dei clienti del locale, la mano di quell’uomo spaventoso che mi sfiorava le natiche, il suo sguardo misto di ambiguità e perversione. Avevo provato brividi, li provavo anche ora, provavo tensione, l’adrenalina che saliva vertiginosamente per quello che poteva succedere e non era successo e … forse, forse un sottile, impercettibile senso di piacere.

Sì, ricordo benissimo quei brividi, la vergogna, la paura … e quel sottile senso di piacere.

“Cosa succederebbe se ci tornassimo?” Chiesi alla fine con un filo di voce tremante.

Non so nemmeno come mi siano uscite di bocca quelle parole. Eppure le avevo dette, non saprei dire come e perché. Forse mi incuriosiva la cosa, eppure sapevo a cosa sarei andata incontro, anche se, me ne resi conto molto più in là, le mie paure non erano nulla in confronto a quello che mi sarebbe toccato nei giorni successivi.

Sentivo mio marito che mi chiamava puttana, che mi diceva, non me lo chiedeva, ma mi diceva che mi era piaciuto sentirmi una puttana. Io restavo in silenzio a guardarlo rendendomi conto che forse aveva ragione. Mentre si sbottonava i pantaloni e ne estraeva il membro già duro ebbi chiara la sensazione che quella situazione mi eccitava. Provavo una vergogna incredibile, è vero, ma l’eccitazione mi prendeva il cervello e non mi faceva più ragionare.

Senza nemmeno rendermene conto mi ritrovai a succhiare il suo membro con molta passione e devozione mentre la sua voce mi ripeteva che forse quell’uomo avrebbe potuto chiedermi di fare lo stesso a lui: “E poi ti potrebbe far inginocchiare sotto il tavolo e chiederti di succhiarglielo.”

Ripeteva queste cose e io non mi offendevo, anzi provavo una strana sensazione di piacere, qualcosa che non avevo mai provato prima, tanto piacevole che mi dedicai con maggior passione a quello che stavo facendo. Non mi ritrassi, o, per lo meno feci un solo piccolissimo tentativo di allontanarmi quando lo sentii godere, ma lo accolsi nella mia gola e poi sulle mie labbra e sul mio viso. Cosa mi stava succedendo? In quel momento non capivo più nulla, sentivo che il mio uomo godeva e ne avevo sul viso e nella gola i suoi segni evidenti.

Restando seduto sul letto lui mi trattenne il viso verso il suo cazzo in modo che parte del liquido mi colasse sul mio volto.

Sfuggito l’attimo del piacere assoluto lui continò a tenermi in ginocchio con la testa appoggiata sulle mie cosce ed il suo cazzo ancora colante che si appoggiava sulla mia guancia.

Non mi vergognavo, in un altro momento mi sarei anche arrabbiata, sarei corsa in bagno a lavarmi, mi sarei sentita sporca. In quel momento invece mi sentii felice di essere sporca, di aver donato al mio uomo tanto piacere.

Lo guardai e gli chiesi: “Allora ti è piaciuta la tua puttana?”

”i piace essere trattata come una puttana?”

“Siiii….” gemetti.

Leonardo non ha resistito a quella provocazione e continuò il suo gioco. Ci stendemmo sul letto, allungò la mano sul mio sesso per darmi quel piacere che io gli aveva dato con la mia bocca. Io non parlavo, ormai presa dall’euforia mi muovevo ritmicamente sulla sua mano.

Li continuava ad accarezzarmi sentendo il punto più intimo del mio piacere nelle sue mani.

“E se domani ti riportassi veramente da quel tizio?”, disse

Io non parlavo ma si lasciavo andare al piacere che mi davo masturbandomi.

“Ti farò camminare nuda davanti a lui e sarai la sua puttana”, si lanciò in una proposta senza senso, ma che mi portò in un orgasmo quasi incontenibile.

Credevamo solo di giocare, ma quella sera stavamo aprendo la porta ad un mondo nuovo in cui io in pochi giorni sarei sprofondata perdendo ogni pudore ed imparando a godere sempre più nell’abisso della completa sottomissione. Avevamo iniziato un gioco da cui non ne saremmo più usciti.

Fine della prima parte, continua.
 
OP
D

Dave35

Guest
Sono lieto che ti sia piaciuto il racconto. Il seguito è una vera e propria esplosione di erotismo. La coppia protagonista non riesce a trattenersi dal lasciarsi andare a un desiderio irrefrenabile di nuove emozionanti situazioni intriganti.
 

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