Esperienza reale Cambiamenti.

sormarco

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taranto
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Succede sempre così, nella vita: per ogni momento felice, o presunto tale, capita sempre qualcosa che riesca a rigettarti nella fossa. Non importa quanto tu possa aver goduto di una situazione, a volte basta poco per rovinare tutta l'euforia ricercata da tempo.
Così, dopo quella bella serata, inaspettata, passata a casa di Lucrezia, ora dovevo fare i conti con...
...Rebecca? Che cazzo voleva adesso? E soprattutto, di quale segreto stava parlando?
Balzai sul letto mettendomi seduto su un lato del materasso, gli occhi fissi sul freddo schermo del cellulare. Speravo quasi che le parole cambiassero, che avessi preso un granchio, addirittura sperai che avesse sbagliato numero. Per quanto mi sforzassi, non riuscivo ad immaginare il motivo di quel dannatissimo messaggio.
Non volevo risponderle, non volevo affrontare nessuna conversazione con lei, specie dopo quella avvenuta al pub: Rebecca era un'arpia, peggiore di come me la ricordavo. Non riuscivo a capire come Lucrezia potesse esserle ancora amica.
Più che la ragione, tuttavia, vinse la curiosità: per quanto fosse una persona lontana dai miei valori, volevo capire il perché di quell'alzata d'ingegno.
Decisi di procedere con cautela.
"Rebecca? Che vuoi? E sinceramente non capisco di cosa tu stia parlando."
Era online, mi stava aspettando. Visualizzò nel giro di qualche secondo ed inizò a scrivere subito.
"Non fare il finto tonto, stronzo. Lo so dove sei stato stasera. E tutte le sere di questa settimana. Aspetta che lo sappia Francesco."
Rimasi impietrito. Mi venne in mente che forse Lucrezia aveva detto qualcosa alle sue amiche, così non persi tempo e le scrissi di nuovo.
"Lù, ascolta. Hai raccontato a qualcuno tutta questa storia?"
Anche lei mi rispose subito, per fortuna.
"No, sei matto?"
"Nemmeno a Veronica o Rebecca?"
"Assolutamente. Sei l'unico che sa tutto. Perché me lo chiedi?"
Non era stata lei a spifferare, quindi.
"Poi te lo spiego, ora dormi tranquilla."
Lucrezia non rispose più, probabilmente era già in dormiveglia.
Io,invece, avevo ancora i miei demoni da combattere.
Riaprii la chat di Rebecca, iniziavo ad infastidirmi.
"Non ti deve fregare un cazzo di dove vado io."
"Neppure se vai a scoparti la moglie di un nostro compagno di classe? Io dico di sì. Sei un pezzo di merda, potevi rimediare con me l'altra sera, ma mi hai respinta per scoparti una donna sposata. Cos'è, c'è più brivido? Che ha più di me?"
Rebecca stava completamente delirando, ma capii al volo dove voleva andare a parare: nella sua mente io avevo rifiutato il suo corteggiamento, perciò con tutta probabilità si sentiva delusa, avvilita, cose che non potevo comprendere.
Ancora non sapevo quanto fosse diversa la realtà.
"Ascolta, sei completamente fuori strada, io non mi sono scopato nessuno né stasera né tantomeno ieri o ieri l'altro."
"E allora che cazzo ci sei andato a fare a casa sua, proprio quando Francesco non c'è?"
Quella domanda mi colse impreparato, non sapevo cosa scriverle. Non potevo dirle tutto, Lucrezia mi avrebbe ammazzato. Non darle una spiegazione, però, mi faceva sembrare decisamente colpevole.
In pratica, ero tra l'incudine ed il martello.
Presi del tempo per rispondere e alla fine decisi di non farlo per niente. Lasciai la conversazione a metà, non avevo voglia di portare avanti quel dialogo con lei.
Fu in quel preciso istante che iniziai ad elaborare una sorta di piano, nella mia testa. Mi allungai di nuovo e continuai a fissare il soffitto: le crepe sembravano illuminarsi una dopo l'altra stavolta, come le idee che pian piano stavano maturando nella mia mente. Ero stanco di tutta quella situazione, ne avevo le palle piene. Tra tutte le tattiche che potevo avere a disposizione, scelsi forse la più rischiosa: quella dell'anticipo, dell'attacco, del colpire prima di essere colpito. Le altre opzioni mi sembravano meno pericolose, vero, ma l'attesa di far andare le cose al verso giusto mi esponeva a rischi ben maggiori dilatati nel tempo. Ed io, in un certo senso, non brillo proprio per fortuna.
Ad ogni modo, per un attimo, un solo fugace istante, presi pure in considerazione la più assurda delle ipotesi, cioè che mi trovassi all'interno di un grosso inganno perpetuato dai miei aguzzini di un tempo, ingegnato dalle stesse carogne, architettato solo per loro diletto. Non potevo di certo escluderlo, ma avevo visto gli occhi di Lucrezia e non avevo notato menzogna in quegli smeraldi. Inoltre, non riuscivo a credere che qualcuno potesse arrivare a farsi picchiare realmente pur di costruire una burla ben fatta.
Insomma, iniziai a meditare a lungo, forse per almeno un'ora. Un giro di lancette, in cui il silenzio mi assalì. Nella testa, però, avevo una vera e propria tempesta di pensieri che iniziavano a logorarmi. Arrivai alla conclusione di dovermi muovere, ed in fretta, ma dovevo soltanto attendere che un tassello andasse al suo posto. Non avevo potere su quello: Francesco doveva tornare.
E come negli horror un tuono squarcia la quieta atmosfera quando il protagonista inizia a pensare al volto del cattivo, così in quel momento, con il bastardo per eccellenza nella testa, un rumore sordo infranse irrimediabilmente quel muro di silenzio che avevo eretto con fatica. Sinceramente ebbi una paura fottuta, il cuore saltò molto più di un battito quando riconobbi quel dannato suono: era l'inconfondibile fracasso di un vetro che va in mille pezzi.
Mi ci volle più di un istante per riprendermi, ma quando accadde balzai giù dal letto in boxer, la salivazione bloccata e la gola nodosa, nemmeno avessi ingoiato un gomitolo di aghi di pino. Afferrai la prima cosa che mi capitò a tiro, una dannata lampada da scrivania, e la impugnai come se fosse una mazza, per poi precitiparmi al piano di sotto per vedere che cosa fosse successo.
Non impiegai molto per capirlo: in mezzo al salotto, tra il divano ed il tavolo, c'era un'infinità di frammenti di vetro della finestra che dà sul vicolo. Il corpo del reato era un mattone, che ora campeggiava in mezzo al mio fottuto tappeto.
"Cazzo." bofonchiai cercando di evitare i vetri con i piedi scalzi. Uscii in strada, guardai in ogni direzione, ma la via era silente, buia, a parte la luce di qualche sporadico lampione. La calma regnava sovrana, non sentivo volare nemmeno una mosca.
Scossi la testa incredulo, il petto mi stava esplodendo: il cuore non pompava a quella velocità nemmeno quando giocavo a calcio.
Tornai in fretta e furia dentro casa, salii le scale a tre a tre ed afferrai il telefono.
Come sospettavo, c'era già un messaggio ad attendermi.
"E questo è niente, stronzo."
Era stata lei.
Era stata Rebecca.
Quella fu l'ennesima notte in bianco.
Non la prima.
Nemmeno l'ultima...
Per un motivo o per un altro i tuoi vecchi compaesani quelli che sono dalla tua parte si contano sulle dita di uno zoccolo di cammello.
Spero che tu abbia menato per primo ( metaforicamente parlando )
 
OP
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rancu

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Signori scusate la prolungata assenza ma è stato un periodo complicato (mai come quello che sto raccontando ovviamente.) Ho trovato un briciolo di tempo ora, ma è solo un antipasto, dovrei trovare tempo domani per andare avanti.

8.2

La mattina mi sentivo proprio come quel vetro mandato in frantumi: dovevo raccogliere i cocci della mia vita oltre a quelli disseminati nel soggiorno di casa mia.
Di nuovo, tornarono funesti pensieri ad animare la mia mente: perché ero lì? Perché ero tornato? Per quale motivo non mi stavo godendo quella stabilità emotiva che credevo di aver ritrovato su al Nord? La risposta non tardò ad arrivare: non avevo mai risolto i problemi del passato. Le ferite erano ancora lì, le avevo semplicemente nascoste, ma non ero riuscito a curarle del tutto. Ed ora, con una violenza inaudita, tornavano a chiedere un conto troppo salato.
Mi fermai a riflettere, per quanto mi fosse possibile. Mi misi seduto sul divano ed iniziai a valutare ogni aspetto della mia vita. In quel preciso istante, in quell'unico attimo, mi resi conto di non sentire niente. Ero vuoto, un involucro di carne privato della sua personalità e della sua anima, un ammasso di pelle, ossa, muscoli e nervi che viveva solo per una mera questione meccanica.
Non so cosa accadde, non ricordo di preciso le varie fasi che mi portarono a quel gesto. Rimembro soltanto di aver fissato la finestra sfondata e di aver sentito, in me, lo stesso buco che ora stavo guardando con tanta attenzione.
Chiusi gli occhi per un pò, venni avvolto dal buio.
Quando decisi di rialzare le palpebre, come il sipario di un teatro, vidi l'opera che avevo appena compiuto.
Nella mano stringevo un frammento di vetro lordo di sangue, lo stesso che ora sgorgava da una vistosa ferita sulla parte superiore del mio avambraccio. Fissavo quello squarcio nella pelle, vedevo quel liquido cremisi sporcarmi i vestiti. Non muovevo un muscolo, percepivo soltanto il petto gonfiarsi per i respiri calmi, tranquilli, come se nulla fosse successo. Quella ferita era uguale a quelle che deturpavano il mio spirito.
E continuavo a non sentire niente, solo l'impercettibile calore di una singola lacrima che mi rigava il volto.
Per quanto tempo rimasi lì, in quella posizione? Non saprei dirlo, non saprei quantificarlo: avevo perso ogni contatto con la vita terrena.
Mi ci volle uno stimolo esterno per riprendermi da quella situazione.
E quello stimolo, nuovamente, fu il ronzio del mio cellulare.
Scossi la testa, come ridestato da un lungo sonno. Guardai ciò che avevo fatto e mi maledii per aver compiuto un gesto tanto folle: giurai a me stesso di non ripetere quell'esperienza...ma non sapevo ancora che non sarebbe stata l'ultima volta.
Presi il telefono, vidi il messaggio.
Era lei, Lucrezia.
In quel momento riuscii a sorridere: era riuscita ad afferrarmi per i capelli mentre cadevo in un burrone senza fondo. Con una forza che probabilmente non sapeva di avere mi tirò su, dandomi l'opportunità di risolvere le cose.
Mi chiedeva cosa fosse successo la sera prima ed io evitai l'argomento, dicendole che le avrei spiegato di persona. Lei mangiò la foglia, ma mi disse che suo marito sarebbe tornato in anticipo quella sera stessa, perciò sarebbe andata da sola a fare la spesa.
Quella frase mi diede una scarica.
Di colpo il cuore tornò a pompare come la grancassa di una batteria, sentivo di nuovo il sangue farmi scoppiare le vene. Ed ora, ora sì che sentivo il dolore: la ferita faceva male, segno inconfondibile del fatto che ero tornato a vivere.
"Francesco torna stasera?" domandai per conferma.
"Sì perché?"
"Niente. Buona giornata."
Avevo già deciso cosa dovevo fare. Volevo affrontarlo, dovevo farlo: non sopportavo più l'idea di Lucrezia nella casa di un orco. In più dovevo evitare che Rebecca gli raccontasse cose non vere, motivo per cui dovevo parlarci faccia a faccia alla svelta, per non far degenererare le cose.
In quel momento ancora non lo sapevo. Quella sensazione che percepivo non era adrenalina, non era consapevolezza né sicurezza rinnovata.
Era solo ed esclusivamente Rabbia.
Tutta quella che avevo represso in quei lunghi anni.
 

popp

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La mattina mi sentivo proprio come quel vetro mandato in frantumi: dovevo raccogliere i cocci della mia vita oltre a quelli disseminati nel soggiorno di casa mia.
Di nuovo, tornarono funesti pensieri ad animare la mia mente: perché ero lì? Perché ero tornato? Per quale motivo non mi stavo godendo quella stabilità emotiva che credevo di aver ritrovato su al Nord? La risposta non tardò ad arrivare: non avevo mai risolto i problemi del passato. Le ferite erano ancora lì, le avevo semplicemente nascoste, ma non ero riuscito a curarle del tutto. Ed ora, con una violenza inaudita, tornavano a chiedere un conto troppo salato.
Mi fermai a riflettere, per quanto mi fosse possibile. Mi misi seduto sul divano ed iniziai a valutare ogni aspetto della mia vita. In quel preciso istante, in quell'unico attimo, mi resi conto di non sentire niente. Ero vuoto, un involucro di carne privato della sua personalità e della sua anima, un ammasso di pelle, ossa, muscoli e nervi che viveva solo per una mera questione meccanica.
Non so cosa accadde, non ricordo di preciso le varie fasi che mi portarono a quel gesto. Rimembro soltanto di aver fissato la finestra sfondata e di aver sentito, in me, lo stesso buco che ora stavo guardando con tanta attenzione.
Chiusi gli occhi per un pò, venni avvolto dal buio.
Quando decisi di rialzare le palpebre, come il sipario di un teatro, vidi l'opera che avevo appena compiuto.
Nella mano stringevo un frammento di vetro lordo di sangue, lo stesso che ora sgorgava da una vistosa ferita sulla parte superiore del mio avambraccio. Fissavo quello squarcio nella pelle, vedevo quel liquido cremisi sporcarmi i vestiti. Non muovevo un muscolo, percepivo soltanto il petto gonfiarsi per i respiri calmi, tranquilli, come se nulla fosse successo. Quella ferita era uguale a quelle che deturpavano il mio spirito.
E continuavo a non sentire niente, solo l'impercettibile calore di una singola lacrima che mi rigava il volto.
Per quanto tempo rimasi lì, in quella posizione? Non saprei dirlo, non saprei quantificarlo: avevo perso ogni contatto con la vita terrena.
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E quello stimolo, nuovamente, fu il ronzio del mio cellulare.
Scossi la testa, come ridestato da un lungo sonno. Guardai ciò che avevo fatto e mi maledii per aver compiuto un gesto tanto folle: giurai a me stesso di non ripetere quell'esperienza...ma non sapevo ancora che non sarebbe stata l'ultima volta.
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Era lei, Lucrezia.
In quel momento riuscii a sorridere: era riuscita ad afferrarmi per i capelli mentre cadevo in un burrone senza fondo. Con una forza che probabilmente non sapeva di avere mi tirò su, dandomi l'opportunità di risolvere le cose.
Mi chiedeva cosa fosse successo la sera prima ed io evitai l'argomento, dicendole che le avrei spiegato di persona. Lei mangiò la foglia, ma mi disse che suo marito sarebbe tornato in anticipo quella sera stessa, perciò sarebbe andata da sola a fare la spesa.
Quella frase mi diede una scarica.
Di colpo il cuore tornò a pompare come la grancassa di una batteria, sentivo di nuovo il sangue farmi scoppiare le vene. Ed ora, ora sì che sentivo il dolore: la ferita faceva male, segno inconfondibile del fatto che ero tornato a vivere.
"Francesco torna stasera?" domandai per conferma.
"Sì perché?"
"Niente. Buona giornata."
Avevo già deciso cosa dovevo fare. Volevo affrontarlo, dovevo farlo: non sopportavo più l'idea di Lucrezia nella casa di un orco. In più dovevo evitare che Rebecca gli raccontasse cose non vere, motivo per cui dovevo parlarci faccia a faccia alla svelta, per non far degenererare le cose.
In quel momento ancora non lo sapevo. Quella sensazione che percepivo non era adrenalina, non era consapevolezza né sicurezza rinnovata.
Era solo ed esclusivamente Rabbia.
Tutta quella che avevo represso in quei lunghi anni.
Bentornato, e a presto con il prossimo episodio.....👍👍👍👍👍
 

sormarco

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La mattina mi sentivo proprio come quel vetro mandato in frantumi: dovevo raccogliere i cocci della mia vita oltre a quelli disseminati nel soggiorno di casa mia.
Di nuovo, tornarono funesti pensieri ad animare la mia mente: perché ero lì? Perché ero tornato? Per quale motivo non mi stavo godendo quella stabilità emotiva che credevo di aver ritrovato su al Nord? La risposta non tardò ad arrivare: non avevo mai risolto i problemi del passato. Le ferite erano ancora lì, le avevo semplicemente nascoste, ma non ero riuscito a curarle del tutto. Ed ora, con una violenza inaudita, tornavano a chiedere un conto troppo salato.
Mi fermai a riflettere, per quanto mi fosse possibile. Mi misi seduto sul divano ed iniziai a valutare ogni aspetto della mia vita. In quel preciso istante, in quell'unico attimo, mi resi conto di non sentire niente. Ero vuoto, un involucro di carne privato della sua personalità e della sua anima, un ammasso di pelle, ossa, muscoli e nervi che viveva solo per una mera questione meccanica.
Non so cosa accadde, non ricordo di preciso le varie fasi che mi portarono a quel gesto. Rimembro soltanto di aver fissato la finestra sfondata e di aver sentito, in me, lo stesso buco che ora stavo guardando con tanta attenzione.
Chiusi gli occhi per un pò, venni avvolto dal buio.
Quando decisi di rialzare le palpebre, come il sipario di un teatro, vidi l'opera che avevo appena compiuto.
Nella mano stringevo un frammento di vetro lordo di sangue, lo stesso che ora sgorgava da una vistosa ferita sulla parte superiore del mio avambraccio. Fissavo quello squarcio nella pelle, vedevo quel liquido cremisi sporcarmi i vestiti. Non muovevo un muscolo, percepivo soltanto il petto gonfiarsi per i respiri calmi, tranquilli, come se nulla fosse successo. Quella ferita era uguale a quelle che deturpavano il mio spirito.
E continuavo a non sentire niente, solo l'impercettibile calore di una singola lacrima che mi rigava il volto.
Per quanto tempo rimasi lì, in quella posizione? Non saprei dirlo, non saprei quantificarlo: avevo perso ogni contatto con la vita terrena.
Mi ci volle uno stimolo esterno per riprendermi da quella situazione.
E quello stimolo, nuovamente, fu il ronzio del mio cellulare.
Scossi la testa, come ridestato da un lungo sonno. Guardai ciò che avevo fatto e mi maledii per aver compiuto un gesto tanto folle: giurai a me stesso di non ripetere quell'esperienza...ma non sapevo ancora che non sarebbe stata l'ultima volta.
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In quel momento riuscii a sorridere: era riuscita ad afferrarmi per i capelli mentre cadevo in un burrone senza fondo. Con una forza che probabilmente non sapeva di avere mi tirò su, dandomi l'opportunità di risolvere le cose.
Mi chiedeva cosa fosse successo la sera prima ed io evitai l'argomento, dicendole che le avrei spiegato di persona. Lei mangiò la foglia, ma mi disse che suo marito sarebbe tornato in anticipo quella sera stessa, perciò sarebbe andata da sola a fare la spesa.
Quella frase mi diede una scarica.
Di colpo il cuore tornò a pompare come la grancassa di una batteria, sentivo di nuovo il sangue farmi scoppiare le vene. Ed ora, ora sì che sentivo il dolore: la ferita faceva male, segno inconfondibile del fatto che ero tornato a vivere.
"Francesco torna stasera?" domandai per conferma.
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Avevo già deciso cosa dovevo fare. Volevo affrontarlo, dovevo farlo: non sopportavo più l'idea di Lucrezia nella casa di un orco. In più dovevo evitare che Rebecca gli raccontasse cose non vere, motivo per cui dovevo parlarci faccia a faccia alla svelta, per non far degenererare le cose.
In quel momento ancora non lo sapevo. Quella sensazione che percepivo non era adrenalina, non era consapevolezza né sicurezza rinnovata.
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bene allora fai tutto ciò che devi, un bel respiro con calma mettiti a scrivere che L'8.3 deve essere un capitolo per noi epocale, francesco ridotto al lumicino, cenere era e cenere tornerà (metaforicamente parlando)
 

Shamoan

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Personalmente credo che sia tutto il racconto epocale, ogni volta che vedo una notifica sono sempre indeciso se leggere con la consapevolezza di dover poi aspettare l'altro capitolo, oppure aspettare e leggere più capitoli tutti insieme...
Eh niente, non riesco ad aspettare, questo racconto crea dipendenza!
 

timassaggio

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Mi fermai a riflettere, per quanto mi fosse possibile. Mi misi seduto sul divano ed iniziai a valutare ogni aspetto della mia vita. In quel preciso istante, in quell'unico attimo, mi resi conto di non sentire niente. Ero vuoto, un involucro di carne privato della sua personalità e della sua anima, un ammasso di pelle, ossa, muscoli e nervi che viveva solo per una mera questione meccanica.
Non so cosa accadde, non ricordo di preciso le varie fasi che mi portarono a quel gesto. Rimembro soltanto di aver fissato la finestra sfondata e di aver sentito, in me, lo stesso buco che ora stavo guardando con tanta attenzione.
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Quando decisi di rialzare le palpebre, come il sipario di un teatro, vidi l'opera che avevo appena compiuto.
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Presi il telefono, vidi il messaggio.
Era lei, Lucrezia.
In quel momento riuscii a sorridere: era riuscita ad afferrarmi per i capelli mentre cadevo in un burrone senza fondo. Con una forza che probabilmente non sapeva di avere mi tirò su, dandomi l'opportunità di risolvere le cose.
Mi chiedeva cosa fosse successo la sera prima ed io evitai l'argomento, dicendole che le avrei spiegato di persona. Lei mangiò la foglia, ma mi disse che suo marito sarebbe tornato in anticipo quella sera stessa, perciò sarebbe andata da sola a fare la spesa.
Quella frase mi diede una scarica.
Di colpo il cuore tornò a pompare come la grancassa di una batteria, sentivo di nuovo il sangue farmi scoppiare le vene. Ed ora, ora sì che sentivo il dolore: la ferita faceva male, segno inconfondibile del fatto che ero tornato a vivere.
"Francesco torna stasera?" domandai per conferma.
"Sì perché?"
"Niente. Buona giornata."
Avevo già deciso cosa dovevo fare. Volevo affrontarlo, dovevo farlo: non sopportavo più l'idea di Lucrezia nella casa di un orco. In più dovevo evitare che Rebecca gli raccontasse cose non vere, motivo per cui dovevo parlarci faccia a faccia alla svelta, per non far degenererare le cose.
In quel momento ancora non lo sapevo. Quella sensazione che percepivo non era adrenalina, non era consapevolezza né sicurezza rinnovata.
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...ho deciso: cambio spacciatore.
La roba che mi rifili tu è di primissima scelta, mi rendo conto di esserne totalmente dipendente...

Quanto a pagina?
Me ne prenderei un due, trecento... 😉

Battute a parte, sei tremendo.
Credo che farò come @Shamoan, @slap ed altri: raccoglierò tutte le parti in un unico documento da leggere in un'unica soluzione sul Kindle...
 

Shamoan

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...ho deciso: cambio spacciatore.
La roba che mi rifili tu è di primissima scelta, mi rendo conto di esserne totalmente dipendente...

Quanto a pagina?
Me ne prenderei un due, trecento... 😉

Battute a parte, sei tremendo.
Credo che farò come @Shamoan, @slap ed altri: raccoglierò tutte le parti in un unico documento da leggere in un'unica soluzione sul Kindle...
Sinceramente credo che sia l'unico modo per apprezzare in toto questo racconto fantastico, carico di emozioni e stati d'animo che difficilmente vengono trasmessi così bene!
 

zagor85

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..e se fosse tutto "organizzato" dal gruppo per continuare a prendersi gioco di te?

Forse volo un po' troppo con la fantasia, o forse no. Intanto ti rinnovo i miei complimenti per la facilità e chiarezza di esposizione.
 

sormarco

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taranto
..e se fosse tutto "organizzato" dal gruppo per continuare a prendersi gioco di te?

Forse volo un po' troppo con la fantasia, o forse no. Intanto ti rinnovo i miei complimenti per la facilità e chiarezza di esposizione.
Si forse è stato tutto organizzato dal capo marito di Lucrezia, ma stavolta gli è andata male, per questo s'è incazzato alla domanda della mogli. Se si comportano male rischiano che rancu gli faccia un culo come un secchio.
 
OP
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rancu

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Il giorno stava cedendo il passo alle tenebre, il sole era una palla morente dietro la linea dell'orizzonte. Mi aggiravo nel paese come un'anima in pena, le mani in tasca ed una vistosa fasciatura al braccio per tamponare lo scempio della mattinata. Sentivo dolore, ma non lo allontanavo, anzi, lo accoglievo come la più splendida delle emozioni. Mi ricordava ciò che avevo fatto, e rammentava a me stesso di trovarmi ancora su questa terra, non a penzolare dal balcone con una corda al collo.
Il tripudio di pensieri che avevo avuto fino a qualche ora prima era ormai sparito del tutto. Al suo posto un cieco risentimento nei confronti di chi aveva fatto il passo più lungo della gamba.
Arrivai a casa di Lucrezia e del suo aguzzino, del mio aguzzino, del nostro aguzzino, in netto anticipo, ma non cercai una scusa per entrare né tantomeno di autoinvitarmi a casa loro. Non ero lì per vedere lei, per questo mi appostai in un vicolo appartato, lontano da sguardi indiscreti ma che mi consentisse di tenere sotto controllo lo stradello davanti all'ingresso.
Non ero lì per vedere lei, per l'appunto, ma non potevo fare a meno di sbirciare dal mio nascondiglio e di intravedere la sua sagoma al di là delle finestre. Eccola lì, in controluce, si avvicinava spesso al vetro nemmeno fosse stato un sognatore che scruta l'orizzonte. Tutt'altro: era una donna preoccupata del lupo che stava per rientrare in casa.
Non portavo l'orologio, non avevo il cellulare con me, motivo per cui non saprei quantificare quanto tempo rimasi nella stessa posizione. Gli occhi chiari bucavano il sipario dei miei capelli che cadevano sul mio faccione stravolto dalla rabbia, e cercavano gli smeraldi di lei per ritrovare la pace tanto agognata.
Quando le ombre si allungarono fino a sparire, quando la luce scomparve del tutto, quando le tenebre iniziarono a regnare sovrane, vidi una macchina avvicinarsi a grande velocità. I fari illuminarono il vialetto ed io dovetti coprirmi il volto con una mano per non rimanerne accecato. Si fermò in mezzo alla strada, e quello fu un ottimo indizio sull'identità dell'autista: chi mai si sarebbe potuto fermare così, incurante del fatto di aver praticamente occupato l'intera corsia?
Solo uno stronzo.
Francesco era tornato.
Ed io ero lì per lui.
Aspettai di avere conferma visiva, attesi di vederlo scendere dall'abitacolo, con quel suo pancione teso per l'alcool e quella faccia da schiaffi che avrei voluto gonfiare ancor di più a suon di pugni. Scossi la testa, stavo decisamente degenerando, stavo scivolando nella violenza gratuita.
Ma non ero forse lì per quello? Non ero lì per fargliela pagare, una volta per tutte?
Sì, ma non volevo ammazzarlo di botte. Volevo fargli soltanto abbassare la cresta, fargli comprendere che aveva finito di fare il buono ed il cattivo tempo con le persone.
In quel momento, come il calviniano visconte dimezzato, ero diviso in due. Da una parte la ragione, che con estrema razionalità mi consigliava di limitare i danni: io lì, in fondo, non dovevo nemmeno esserci.
Dall'altra l'istinto cercava in tutti i modi di alzare la voce: fallo a pezzi finalmente, ora che puoi, ora che ne sei in grado.
Entrambi, comunque, erano d'accordo su un solo, unico punto: Francesco doveva pagare.
Sputai a terra nemmeno fossi il boss di una gang di criminali.
Il marito di Lucrezia aprì lo sportello, uscì dalla macchina con una ventiuquattrore in mano e si diresse verso il bagagliaio, dal quale estrasse una piccola valigia. La moglie era alla finestra e lo guardava con un sorriso tirato, il volto che aveva perso gran parte del precedente gonfiore. Si voltò verso l'uscio, non aveva idea che qualcuno, cioè io, lo stesse osservando.
Stavo per uscire fuori dal mio nascondiglio, ma le gambe iniziarono ad essere molli, le mani cominciavano a tremare.
Cosa stava succedendo? Avevo paura? Temevo di non farcela con un inetto del genere? Quello era il momento che stavo aspettando da una vita!
Ma allora, se lo stavo attendendo da così tanto, per chi lo facevo in realtà? Per me, che da ragazzino ero stato vessato ripetutamente da Francesco e dai suoi compagni, o per Lucrezia, alla quale era spettato un destino forse peggiore del mio?
Stavo forse utilizzando ciò che era accaduto a lei per risvegliare la rabbia che avevo represso in venti anni? Il suo sacrificio era forse un mezzo per vendicarmi di lui?
Mi ci volle un pò per realizzare.
In un lasso di tempo incredibilmente breve riuscii ad elaborare la faccenda con estrema razionalità, qualcosa che credevo non mi appartenesse.
Convenni con me stesso che la verità si trovava nel mezzo: se non fosse toccato a Lucrezia, con la quale avevo scoperto di avere un legame profondo, probabilmente non mi sarei mai trovato lì. Lo facevo per lei, vero, ma visto che c'ero avrei fatto valere le mie ragioni.
Francesco deve pagare, urlarono all'unisono, di nuovo, l'istinto e la ragione.
E la forza tornò a scorrermi nelle gambe, che diventarono per l'ennesima volta i pilastri di sempre.
Uscii dalle tenebre del vicolo per gettarmi nella penombra del vialetto. Un lampione proiettava la mia sagoma a terra, nera come il mio umore. Stava quasi per rientrare in casa, Lucrezia era sparita dalla finestra. Io volevo affrontarlo faccia a faccia, non coglierlo alle spalle, così attirai la sua attenzione con un fischio.
Lui si girò di scatto, fu piuttosto sorpreso di vedermi. Gli ci vollero attimi interminabili per capire il perché della mia visita, poi sorrise, probabilmente ignaro del vero motivo per cui mi trovavo lì.
"Hey ciao!" fece lui lasciando la valigia a terra e poggiando la valigetta con estrema delicatezza.
Io non risposi, continuai a camminare verso di lui, lo sguardo torvo e un'espressione severa sul volto. I lunghi capelli e la barba incolta non miglioravano il mio aspetto, anzi, lo facevano rassomigliare a quello di un boia in cerca della sua vittima.
"Remo! Come mai da queste parti?"
"Sta zitto." dissi io ad un metro da lui. Era salito sul primo scalino che dava alla porta d'ingresso ma anche così continuava ad essere più basso di me, che invece ero rimasto a terra.
"Come scusa?" rispose lui decisamente sorpreso.
"TI ho detto che devi stare zitto. Sono io che devo parlare."
"Ma..."
Lo interruppi facendo un altro passo avanti, tuttavia senza salire sul gradino.
"Non importa chi tu sia, quanto sia importante il tuo ruolo nell'azienda in cui lavori, né le tue conoscenze."
Stavo per continuare, quando sentii la porta dietro le sue spalle aprirsi. Era lei, Lucrezia, che era totalmente incredula nel vedermi lì. Vidi la preoccupazione iniziare a serpeggiare sul suo volto, e quegli occhi smeraldini mi guardavano come a volermi chiedere "Perché lo hai fatto?"
La degnai di un debole sguardo, poi tornai a guardare Francesco.
"Tu sfiorala anche solo con la punta di un dito ed io ti faccio pagare con gli interessi tutto il male che le hai fatto. Tutto quello che hai fatto a me. Tutto quello che hai fatto a Giacomo." Non mi ero mai scordato di lui. Giacomo era sempre con me, soprattutto da quando lo avevo ritrovato. Non ci sentivamo spesso, ma lo avevo in testa in ogni istante: contavo le ore per il suo arrivo a casa mia.
Lui tentò di balbettare qualcosa mentre cercava di fare un passo indietro. Fu allora che avanzai di nuovo e salii lo scalino, sovrastandolo definitivamente.
"Tu...non puoi venire a casa mia a minacciarmi." tentò di difendersi in un disperato tentativo di far valere la sua mascolinità. "Chi ti credi di essere?" più rimanevo in silenzio più lui acquistava forza, ritrovava sicurezza.
"Sei solo un disperato..." disse ad una certa. "...un emigrato che se ne è andato, e che ora tenta di rimettere a posto i cocci della sua vita. Tu non sei niente, non vali niente."
"Francesco!" urlò Lucrezia.
"Sta zitta tu!" le gridò di rimando lui.
In quel momento anche la ragione si arrese all'istinto.
Io lo so che lui lo fece di proposito per provocarmi, lo so che sperava in una mia reazione. E se lui architettò tutto in quel breve lasso di tempo per farmi cadere nella sua trappola...bhè, ci riuscì.
Strinsi i denti, scattai in avanti ed allungai il braccio nella sua direzione, quello con la fasciatura per la ferita. Lo afferrai per la camicia e con violenza lo trascinai poco dietro di lui, facendolo sbattere con la colonna del porticato. Si dimenava, la carogna, ma senza nessuno sforzo riuscivo a tenerlo lì, immobile, in balia degli eventi. Dal canto suo, mi guardava con quegli occhi indecifrabili, che mi avevano ingannato alla cena, al campo, che tentavano di ingannarmi anche ora. Sembravano chiedermi scusa, ma c'era un'ombra di malvagità che strisciava sinuosa come una serpe maligna nelle sue iridi color nocciola.
Mi avvicinai alla sua fronte con la mia, sfiorandogliela appena.
"Ti piace ora? Ti piace sapere di non poter nulla? Non sono più il ragazzino che conoscevi, stronzo. Tu non devi toccarla, non devi guardarla, non devi parlarle." dissi convinto. Non avevo bisogno di urlare, mi bastava guardarlo con il mio sguardo che inquietante lo era da sempre. Solo che i miei occhi vitrei non erano più incastonati nel volto di un ragazzo mingherlino in procinto di spezzarsi, piuttosto in quello di un uomo robusto, che non avrebbe fatto sconti.
"Remo ti prego!" Lucrezia scattò verso di me afferrandomi per il braccio ferito. Lo sforzo aveva macchiato di sangue la fasciatura, e la sua mano ne subì le conseguenze sporcandosi di rimando. Tuttavia, in quel momento, a lei non sembrava importare.
"Remo!" Urlava.
"Voglio che sia chiaro." dissi io rivolgendomi di nuovo a Francesco.
"Voglio che tu capisca che stavolta non scherzo. Hai finito, hai chiuso." strinsi ancor di più la mano e lo spinsi con più forza verso la colonna, a tal punto da chiudergli il collo e causargli fatica nel respirare.
"Hai capito?"
Lui annuì, stavolta leggevo paura nel suo viso.
Rimasi a guardarlo, sul mio faccione una maschera d'odio.
Sì, d'odio. Non avevo mai provato quel sentimento prima d'ora. O forse avevo sempre conosciuto quella sensazione, ma l'avevo repressa perché come la rabbia era davvero troppo dispendiosa.
Mi portava via energie, vibrazioni positive, ma al contempo era terrificante ed appagante sapere di poter decidere le sorti di quell'uomo. Non avevo ovviamente intenzione di ammazzarlo, non l'avrei mai fatto, volevo piuttosto fargli provare un briciolo di tutto quello che aveva fatto vivere a me. E, probabilmente, anche a sua moglie.
Allentai lentamente la presa, la mano sciolse la sua morsa. Francesco tornò a respirare, mi guardava con aria stralunata, ma avevo piegato il suo sconfinato ego. O almeno, mi sembrava di averlo fatto. Rimase immobile per alcuni secondi fin quando io non gli sistemai il colletto della camicia. Gli diedi un buffetto sulla guancia, indicai la sua macchina e dissi:
"Sparisci."
Non raccolse nemmeno la valigia, tantomeno la ventiquattrore. Scese in fretta gli scalini, armeggiò con la sua tasca ed estrasse le chiavi della macchina, nella quale salì come se avesse un branco di lupi alle calcagna. In un lampo, la BMW sgommò furiosa e sparì dal vialetto, lasciando dietro di sé un forte odore di gomma usurata e di frizione.
Solo quando lo vidi andarsene iniziai a rilassarmi. Sentivo la testa pulsare, il cervello scoppiarmi nelle tempie. L'avevo fatto, ci ero riuscito davvero. Se me l'avessero raccontato non ci avrei mai creduto.
Non riuscivo ad esternare nessuna emozione, in quel preciso istante: ero ancora arrabbiato, ma in cuor mio mi sentivo felice di aver affrontato quel bastardo che mi, anzi, ci, aveva rovinato la vita.
In tutto questo, Lucrezia era lì di fronte a me, incredula per quanto accaduto.
"Sei uno stupido. Un cazzo di idiota." disse all'improvviso. Sorpreso, mi voltai verso di lei giusto in tempo per incassare uno schiaffo violento, talmente forte da risuonare per tutto il quartiere.
"Sparisci da casa mia." aggiunse.
Mi colpì più l'animo che il fisico. Di nuovo, il mio spirito andò in frantumi. Non dissi nulla, non annuii, non risposi, non fiatai. Semplicemente mi voltai, scesi le scale e senza girarmi mi immersi di nuovo nelle tenebre, con le mani in tasca, una delle quali sporche di sangue.
Quella ferita pulsava ancora.
Faceva ancora male.
Mai come le parole di Lucrezia.
 

sormarco

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Il giorno stava cedendo il passo alle tenebre, il sole era una palla morente dietro la linea dell'orizzonte. Mi aggiravo nel paese come un'anima in pena, le mani in tasca ed una vistosa fasciatura al braccio per tamponare lo scempio della mattinata. Sentivo dolore, ma non lo allontanavo, anzi, lo accoglievo come la più splendida delle emozioni. Mi ricordava ciò che avevo fatto, e rammentava a me stesso di trovarmi ancora su questa terra, non a penzolare dal balcone con una corda al collo.
Il tripudio di pensieri che avevo avuto fino a qualche ora prima era ormai sparito del tutto. Al suo posto un cieco risentimento nei confronti di chi aveva fatto il passo più lungo della gamba.
Arrivai a casa di Lucrezia e del suo aguzzino, del mio aguzzino, del nostro aguzzino, in netto anticipo, ma non cercai una scusa per entrare né tantomeno di autoinvitarmi a casa loro. Non ero lì per vedere lei, per questo mi appostai in un vicolo appartato, lontano da sguardi indiscreti ma che mi consentisse di tenere sotto controllo lo stradello davanti all'ingresso.
Non ero lì per vedere lei, per l'appunto, ma non potevo fare a meno di sbirciare dal mio nascondiglio e di intravedere la sua sagoma al di là delle finestre. Eccola lì, in controluce, si avvicinava spesso al vetro nemmeno fosse stato un sognatore che scruta l'orizzonte. Tutt'altro: era una donna preoccupata del lupo che stava per rientrare in casa.
Non portavo l'orologio, non avevo il cellulare con me, motivo per cui non saprei quantificare quanto tempo rimasi nella stessa posizione. Gli occhi chiari bucavano il sipario dei miei capelli che cadevano sul mio faccione stravolto dalla rabbia, e cercavano gli smeraldi di lei per ritrovare la pace tanto agognata.
Quando le ombre si allungarono fino a sparire, quando la luce scomparve del tutto, quando le tenebre iniziarono a regnare sovrane, vidi una macchina avvicinarsi a grande velocità. I fari illuminarono il vialetto ed io dovetti coprirmi il volto con una mano per non rimanerne accecato. Si fermò in mezzo alla strada, e quello fu un ottimo indizio sull'identità dell'autista: chi mai si sarebbe potuto fermare così, incurante del fatto di aver praticamente occupato l'intera corsia?
Solo uno stronzo.
Francesco era tornato.
Ed io ero lì per lui.
Aspettai di avere conferma visiva, attesi di vederlo scendere dall'abitacolo, con quel suo pancione teso per l'alcool e quella faccia da schiaffi che avrei voluto gonfiare ancor di più a suon di pugni. Scossi la testa, stavo decisamente degenerando, stavo scivolando nella violenza gratuita.
Ma non ero forse lì per quello? Non ero lì per fargliela pagare, una volta per tutte?
Sì, ma non volevo ammazzarlo di botte. Volevo fargli soltanto abbassare la cresta, fargli comprendere che aveva finito di fare il buono ed il cattivo tempo con le persone.
In quel momento, come il calviniano visconte dimezzato, ero diviso in due. Da una parte la ragione, che con estrema razionalità mi consigliava di limitare i danni: io lì, in fondo, non dovevo nemmeno esserci.
Dall'altra l'istinto cercava in tutti i modi di alzare la voce: fallo a pezzi finalmente, ora che puoi, ora che ne sei in grado.
Entrambi, comunque, erano d'accordo su un solo, unico punto: Francesco doveva pagare.
Sputai a terra nemmeno fossi il boss di una gang di criminali.
Il marito di Lucrezia aprì lo sportello, uscì dalla macchina con una ventiuquattrore in mano e si diresse verso il bagagliaio, dal quale estrasse una piccola valigia. La moglie era alla finestra e lo guardava con un sorriso tirato, il volto che aveva perso gran parte del precedente gonfiore. Si voltò verso l'uscio, non aveva idea che qualcuno, cioè io, lo stesse osservando.
Stavo per uscire fuori dal mio nascondiglio, ma le gambe iniziarono ad essere molli, le mani cominciavano a tremare.
Cosa stava succedendo? Avevo paura? Temevo di non farcela con un inetto del genere? Quello era il momento che stavo aspettando da una vita!
Ma allora, se lo stavo attendendo da così tanto, per chi lo facevo in realtà? Per me, che da ragazzino ero stato vessato ripetutamente da Francesco e dai suoi compagni, o per Lucrezia, alla quale era spettato un destino forse peggiore del mio?
Stavo forse utilizzando ciò che era accaduto a lei per risvegliare la rabbia che avevo represso in venti anni? Il suo sacrificio era forse un mezzo per vendicarmi di lui?
Mi ci volle un pò per realizzare.
In un lasso di tempo incredibilmente breve riuscii ad elaborare la faccenda con estrema razionalità, qualcosa che credevo non mi appartenesse.
Convenni con me stesso che la verità si trovava nel mezzo: se non fosse toccato a Lucrezia, con la quale avevo scoperto di avere un legame profondo, probabilmente non mi sarei mai trovato lì. Lo facevo per lei, vero, ma visto che c'ero avrei fatto valere le mie ragioni.
Francesco deve pagare, urlarono all'unisono, di nuovo, l'istinto e la ragione.
E la forza tornò a scorrermi nelle gambe, che diventarono per l'ennesima volta i pilastri di sempre.
Uscii dalle tenebre del vicolo per gettarmi nella penombra del vialetto. Un lampione proiettava la mia sagoma a terra, nera come il mio umore. Stava quasi per rientrare in casa, Lucrezia era sparita dalla finestra. Io volevo affrontarlo faccia a faccia, non coglierlo alle spalle, così attirai la sua attenzione con un fischio.
Lui si girò di scatto, fu piuttosto sorpreso di vedermi. Gli ci vollero attimi interminabili per capire il perché della mia visita, poi sorrise, probabilmente ignaro del vero motivo per cui mi trovavo lì.
"Hey ciao!" fece lui lasciando la valigia a terra e poggiando la valigetta con estrema delicatezza.
Io non risposi, continuai a camminare verso di lui, lo sguardo torvo e un'espressione severa sul volto. I lunghi capelli e la barba incolta non miglioravano il mio aspetto, anzi, lo facevano rassomigliare a quello di un boia in cerca della sua vittima.
"Remo! Come mai da queste parti?"
"Sta zitto." dissi io ad un metro da lui. Era salito sul primo scalino che dava alla porta d'ingresso ma anche così continuava ad essere più basso di me, che invece ero rimasto a terra.
"Come scusa?" rispose lui decisamente sorpreso.
"TI ho detto che devi stare zitto. Sono io che devo parlare."
"Ma..."
Lo interruppi facendo un altro passo avanti, tuttavia senza salire sul gradino.
"Non importa chi tu sia, quanto sia importante il tuo ruolo nell'azienda in cui lavori, né le tue conoscenze."
Stavo per continuare, quando sentii la porta dietro le sue spalle aprirsi. Era lei, Lucrezia, che era totalmente incredula nel vedermi lì. Vidi la preoccupazione iniziare a serpeggiare sul suo volto, e quegli occhi smeraldini mi guardavano come a volermi chiedere "Perché lo hai fatto?"
La degnai di un debole sguardo, poi tornai a guardare Francesco.
"Tu sfiorala anche solo con la punta di un dito ed io ti faccio pagare con gli interessi tutto il male che le hai fatto. Tutto quello che hai fatto a me. Tutto quello che hai fatto a Giacomo." Non mi ero mai scordato di lui. Giacomo era sempre con me, soprattutto da quando lo avevo ritrovato. Non ci sentivamo spesso, ma lo avevo in testa in ogni istante: contavo le ore per il suo arrivo a casa mia.
Lui tentò di balbettare qualcosa mentre cercava di fare un passo indietro. Fu allora che avanzai di nuovo e salii lo scalino, sovrastandolo definitivamente.
"Tu...non puoi venire a casa mia a minacciarmi." tentò di difendersi in un disperato tentativo di far valere la sua mascolinità. "Chi ti credi di essere?" più rimanevo in silenzio più lui acquistava forza, ritrovava sicurezza.
"Sei solo un disperato..." disse ad una certa. "...un emigrato che se ne è andato, e che ora tenta di rimettere a posto i cocci della sua vita. Tu non sei niente, non vali niente."
"Francesco!" urlò Lucrezia.
"Sta zitta tu!" le gridò di rimando lui.
In quel momento anche la ragione si arrese all'istinto.
Io lo so che lui lo fece di proposito per provocarmi, lo so che sperava in una mia reazione. E se lui architettò tutto in quel breve lasso di tempo per farmi cadere nella sua trappola...bhè, ci riuscì.
Strinsi i denti, scattai in avanti ed allungai il braccio nella sua direzione, quello con la fasciatura per la ferita. Lo afferrai per la camicia e con violenza lo trascinai poco dietro di lui, facendolo sbattere con la colonna del porticato. Si dimenava, la carogna, ma senza nessuno sforzo riuscivo a tenerlo lì, immobile, in balia degli eventi. Dal canto suo, mi guardava con quegli occhi indecifrabili, che mi avevano ingannato alla cena, al campo, che tentavano di ingannarmi anche ora. Sembravano chiedermi scusa, ma c'era un'ombra di malvagità che strisciava sinuosa come una serpe maligna nelle sue iridi color nocciola.
Mi avvicinai alla sua fronte con la mia, sfiorandogliela appena.
"Ti piace ora? Ti piace sapere di non poter nulla? Non sono più il ragazzino che conoscevi, stronzo. Tu non devi toccarla, non devi guardarla, non devi parlarle." dissi convinto. Non avevo bisogno di urlare, mi bastava guardarlo con il mio sguardo che inquietante lo era da sempre. Solo che i miei occhi vitrei non erano più incastonati nel volto di un ragazzo mingherlino in procinto di spezzarsi, piuttosto in quello di un uomo robusto, che non avrebbe fatto sconti.
"Remo ti prego!" Lucrezia scattò verso di me afferrandomi per il braccio ferito. Lo sforzo aveva macchiato di sangue la fasciatura, e la sua mano ne subì le conseguenze sporcandosi di rimando. Tuttavia, in quel momento, a lei non sembrava importare.
"Remo!" Urlava.
"Voglio che sia chiaro." dissi io rivolgendomi di nuovo a Francesco.
"Voglio che tu capisca che stavolta non scherzo. Hai finito, hai chiuso." strinsi ancor di più la mano e lo spinsi con più forza verso la colonna, a tal punto da chiudergli il collo e causargli fatica nel respirare.
"Hai capito?"
Lui annuì, stavolta leggevo paura nel suo viso.
Rimasi a guardarlo, sul mio faccione una maschera d'odio.
Sì, d'odio. Non avevo mai provato quel sentimento prima d'ora. O forse avevo sempre conosciuto quella sensazione, ma l'avevo repressa perché come la rabbia era davvero troppo dispendiosa.
Mi portava via energie, vibrazioni positive, ma al contempo era terrificante ed appagante sapere di poter decidere le sorti di quell'uomo. Non avevo ovviamente intenzione di ammazzarlo, non l'avrei mai fatto, volevo piuttosto fargli provare un briciolo di tutto quello che aveva fatto vivere a me. E, probabilmente, anche a sua moglie.
Allentai lentamente la presa, la mano sciolse la sua morsa. Francesco tornò a respirare, mi guardava con aria stralunata, ma avevo piegato il suo sconfinato ego. O almeno, mi sembrava di averlo fatto. Rimase immobile per alcuni secondi fin quando io non gli sistemai il colletto della camicia. Gli diedi un buffetto sulla guancia, indicai la sua macchina e dissi:
"Sparisci."
Non raccolse nemmeno la valigia, tantomeno la ventiquattrore. Scese in fretta gli scalini, armeggiò con la sua tasca ed estrasse le chiavi della macchina, nella quale salì come se avesse un branco di lupi alle calcagna. In un lampo, la BMW sgommò furiosa e sparì dal vialetto, lasciando dietro di sé un forte odore di gomma usurata e di frizione.
Solo quando lo vidi andarsene iniziai a rilassarmi. Sentivo la testa pulsare, il cervello scoppiarmi nelle tempie. L'avevo fatto, ci ero riuscito davvero. Se me l'avessero raccontato non ci avrei mai creduto.
Non riuscivo ad esternare nessuna emozione, in quel preciso istante: ero ancora arrabbiato, ma in cuor mio mi sentivo felice di aver affrontato quel bastardo che mi, anzi, ci, aveva rovinato la vita.
In tutto questo, Lucrezia era lì di fronte a me, incredula per quanto accaduto.
"Sei uno stupido. Un cazzo di idiota." disse all'improvviso. Sorpreso, mi voltai verso di lei giusto in tempo per incassare uno schiaffo violento, talmente forte da risuonare per tutto il quartiere.
"Sparisci da casa mia." aggiunse.
Mi colpì più l'animo che il fisico. Di nuovo, il mio spirito andò in frantumi. Non dissi nulla, non annuii, non risposi, non fiatai. Semplicemente mi voltai, scesi le scale e senza girarmi mi immersi di nuovo nelle tenebre, con le mani in tasca, una delle quali sporche di sangue.
Quella ferita pulsava ancora.
Faceva ancora male.
Mai come le parole di Lucrezia.
oltre la puzza di gomma e frizione un leggero puzzo di cacca no ?
lucrezia l'ha fatto per timore quello che ha fatto, ancora per insicurezza verso francesco.
lo schiaffo forse voleva dire perchè non sei venuto prima a mettere a posto le cose ?
 

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Non so se tutto questo sia reale o meno, ma ti ringrazio per averlo reso pubblico.
Una storia che riesce a suscitare mille emozioni per come è raccontata.
Dovresti fare un libro, catturerà l’attenzione di molti lettori.
 

Shamoan

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Il giorno stava cedendo il passo alle tenebre, il sole era una palla morente dietro la linea dell'orizzonte. Mi aggiravo nel paese come un'anima in pena, le mani in tasca ed una vistosa fasciatura al braccio per tamponare lo scempio della mattinata. Sentivo dolore, ma non lo allontanavo, anzi, lo accoglievo come la più splendida delle emozioni. Mi ricordava ciò che avevo fatto, e rammentava a me stesso di trovarmi ancora su questa terra, non a penzolare dal balcone con una corda al collo.
Il tripudio di pensieri che avevo avuto fino a qualche ora prima era ormai sparito del tutto. Al suo posto un cieco risentimento nei confronti di chi aveva fatto il passo più lungo della gamba.
Arrivai a casa di Lucrezia e del suo aguzzino, del mio aguzzino, del nostro aguzzino, in netto anticipo, ma non cercai una scusa per entrare né tantomeno di autoinvitarmi a casa loro. Non ero lì per vedere lei, per questo mi appostai in un vicolo appartato, lontano da sguardi indiscreti ma che mi consentisse di tenere sotto controllo lo stradello davanti all'ingresso.
Non ero lì per vedere lei, per l'appunto, ma non potevo fare a meno di sbirciare dal mio nascondiglio e di intravedere la sua sagoma al di là delle finestre. Eccola lì, in controluce, si avvicinava spesso al vetro nemmeno fosse stato un sognatore che scruta l'orizzonte. Tutt'altro: era una donna preoccupata del lupo che stava per rientrare in casa.
Non portavo l'orologio, non avevo il cellulare con me, motivo per cui non saprei quantificare quanto tempo rimasi nella stessa posizione. Gli occhi chiari bucavano il sipario dei miei capelli che cadevano sul mio faccione stravolto dalla rabbia, e cercavano gli smeraldi di lei per ritrovare la pace tanto agognata.
Quando le ombre si allungarono fino a sparire, quando la luce scomparve del tutto, quando le tenebre iniziarono a regnare sovrane, vidi una macchina avvicinarsi a grande velocità. I fari illuminarono il vialetto ed io dovetti coprirmi il volto con una mano per non rimanerne accecato. Si fermò in mezzo alla strada, e quello fu un ottimo indizio sull'identità dell'autista: chi mai si sarebbe potuto fermare così, incurante del fatto di aver praticamente occupato l'intera corsia?
Solo uno stronzo.
Francesco era tornato.
Ed io ero lì per lui.
Aspettai di avere conferma visiva, attesi di vederlo scendere dall'abitacolo, con quel suo pancione teso per l'alcool e quella faccia da schiaffi che avrei voluto gonfiare ancor di più a suon di pugni. Scossi la testa, stavo decisamente degenerando, stavo scivolando nella violenza gratuita.
Ma non ero forse lì per quello? Non ero lì per fargliela pagare, una volta per tutte?
Sì, ma non volevo ammazzarlo di botte. Volevo fargli soltanto abbassare la cresta, fargli comprendere che aveva finito di fare il buono ed il cattivo tempo con le persone.
In quel momento, come il calviniano visconte dimezzato, ero diviso in due. Da una parte la ragione, che con estrema razionalità mi consigliava di limitare i danni: io lì, in fondo, non dovevo nemmeno esserci.
Dall'altra l'istinto cercava in tutti i modi di alzare la voce: fallo a pezzi finalmente, ora che puoi, ora che ne sei in grado.
Entrambi, comunque, erano d'accordo su un solo, unico punto: Francesco doveva pagare.
Sputai a terra nemmeno fossi il boss di una gang di criminali.
Il marito di Lucrezia aprì lo sportello, uscì dalla macchina con una ventiuquattrore in mano e si diresse verso il bagagliaio, dal quale estrasse una piccola valigia. La moglie era alla finestra e lo guardava con un sorriso tirato, il volto che aveva perso gran parte del precedente gonfiore. Si voltò verso l'uscio, non aveva idea che qualcuno, cioè io, lo stesse osservando.
Stavo per uscire fuori dal mio nascondiglio, ma le gambe iniziarono ad essere molli, le mani cominciavano a tremare.
Cosa stava succedendo? Avevo paura? Temevo di non farcela con un inetto del genere? Quello era il momento che stavo aspettando da una vita!
Ma allora, se lo stavo attendendo da così tanto, per chi lo facevo in realtà? Per me, che da ragazzino ero stato vessato ripetutamente da Francesco e dai suoi compagni, o per Lucrezia, alla quale era spettato un destino forse peggiore del mio?
Stavo forse utilizzando ciò che era accaduto a lei per risvegliare la rabbia che avevo represso in venti anni? Il suo sacrificio era forse un mezzo per vendicarmi di lui?
Mi ci volle un pò per realizzare.
In un lasso di tempo incredibilmente breve riuscii ad elaborare la faccenda con estrema razionalità, qualcosa che credevo non mi appartenesse.
Convenni con me stesso che la verità si trovava nel mezzo: se non fosse toccato a Lucrezia, con la quale avevo scoperto di avere un legame profondo, probabilmente non mi sarei mai trovato lì. Lo facevo per lei, vero, ma visto che c'ero avrei fatto valere le mie ragioni.
Francesco deve pagare, urlarono all'unisono, di nuovo, l'istinto e la ragione.
E la forza tornò a scorrermi nelle gambe, che diventarono per l'ennesima volta i pilastri di sempre.
Uscii dalle tenebre del vicolo per gettarmi nella penombra del vialetto. Un lampione proiettava la mia sagoma a terra, nera come il mio umore. Stava quasi per rientrare in casa, Lucrezia era sparita dalla finestra. Io volevo affrontarlo faccia a faccia, non coglierlo alle spalle, così attirai la sua attenzione con un fischio.
Lui si girò di scatto, fu piuttosto sorpreso di vedermi. Gli ci vollero attimi interminabili per capire il perché della mia visita, poi sorrise, probabilmente ignaro del vero motivo per cui mi trovavo lì.
"Hey ciao!" fece lui lasciando la valigia a terra e poggiando la valigetta con estrema delicatezza.
Io non risposi, continuai a camminare verso di lui, lo sguardo torvo e un'espressione severa sul volto. I lunghi capelli e la barba incolta non miglioravano il mio aspetto, anzi, lo facevano rassomigliare a quello di un boia in cerca della sua vittima.
"Remo! Come mai da queste parti?"
"Sta zitto." dissi io ad un metro da lui. Era salito sul primo scalino che dava alla porta d'ingresso ma anche così continuava ad essere più basso di me, che invece ero rimasto a terra.
"Come scusa?" rispose lui decisamente sorpreso.
"TI ho detto che devi stare zitto. Sono io che devo parlare."
"Ma..."
Lo interruppi facendo un altro passo avanti, tuttavia senza salire sul gradino.
"Non importa chi tu sia, quanto sia importante il tuo ruolo nell'azienda in cui lavori, né le tue conoscenze."
Stavo per continuare, quando sentii la porta dietro le sue spalle aprirsi. Era lei, Lucrezia, che era totalmente incredula nel vedermi lì. Vidi la preoccupazione iniziare a serpeggiare sul suo volto, e quegli occhi smeraldini mi guardavano come a volermi chiedere "Perché lo hai fatto?"
La degnai di un debole sguardo, poi tornai a guardare Francesco.
"Tu sfiorala anche solo con la punta di un dito ed io ti faccio pagare con gli interessi tutto il male che le hai fatto. Tutto quello che hai fatto a me. Tutto quello che hai fatto a Giacomo." Non mi ero mai scordato di lui. Giacomo era sempre con me, soprattutto da quando lo avevo ritrovato. Non ci sentivamo spesso, ma lo avevo in testa in ogni istante: contavo le ore per il suo arrivo a casa mia.
Lui tentò di balbettare qualcosa mentre cercava di fare un passo indietro. Fu allora che avanzai di nuovo e salii lo scalino, sovrastandolo definitivamente.
"Tu...non puoi venire a casa mia a minacciarmi." tentò di difendersi in un disperato tentativo di far valere la sua mascolinità. "Chi ti credi di essere?" più rimanevo in silenzio più lui acquistava forza, ritrovava sicurezza.
"Sei solo un disperato..." disse ad una certa. "...un emigrato che se ne è andato, e che ora tenta di rimettere a posto i cocci della sua vita. Tu non sei niente, non vali niente."
"Francesco!" urlò Lucrezia.
"Sta zitta tu!" le gridò di rimando lui.
In quel momento anche la ragione si arrese all'istinto.
Io lo so che lui lo fece di proposito per provocarmi, lo so che sperava in una mia reazione. E se lui architettò tutto in quel breve lasso di tempo per farmi cadere nella sua trappola...bhè, ci riuscì.
Strinsi i denti, scattai in avanti ed allungai il braccio nella sua direzione, quello con la fasciatura per la ferita. Lo afferrai per la camicia e con violenza lo trascinai poco dietro di lui, facendolo sbattere con la colonna del porticato. Si dimenava, la carogna, ma senza nessuno sforzo riuscivo a tenerlo lì, immobile, in balia degli eventi. Dal canto suo, mi guardava con quegli occhi indecifrabili, che mi avevano ingannato alla cena, al campo, che tentavano di ingannarmi anche ora. Sembravano chiedermi scusa, ma c'era un'ombra di malvagità che strisciava sinuosa come una serpe maligna nelle sue iridi color nocciola.
Mi avvicinai alla sua fronte con la mia, sfiorandogliela appena.
"Ti piace ora? Ti piace sapere di non poter nulla? Non sono più il ragazzino che conoscevi, stronzo. Tu non devi toccarla, non devi guardarla, non devi parlarle." dissi convinto. Non avevo bisogno di urlare, mi bastava guardarlo con il mio sguardo che inquietante lo era da sempre. Solo che i miei occhi vitrei non erano più incastonati nel volto di un ragazzo mingherlino in procinto di spezzarsi, piuttosto in quello di un uomo robusto, che non avrebbe fatto sconti.
"Remo ti prego!" Lucrezia scattò verso di me afferrandomi per il braccio ferito. Lo sforzo aveva macchiato di sangue la fasciatura, e la sua mano ne subì le conseguenze sporcandosi di rimando. Tuttavia, in quel momento, a lei non sembrava importare.
"Remo!" Urlava.
"Voglio che sia chiaro." dissi io rivolgendomi di nuovo a Francesco.
"Voglio che tu capisca che stavolta non scherzo. Hai finito, hai chiuso." strinsi ancor di più la mano e lo spinsi con più forza verso la colonna, a tal punto da chiudergli il collo e causargli fatica nel respirare.
"Hai capito?"
Lui annuì, stavolta leggevo paura nel suo viso.
Rimasi a guardarlo, sul mio faccione una maschera d'odio.
Sì, d'odio. Non avevo mai provato quel sentimento prima d'ora. O forse avevo sempre conosciuto quella sensazione, ma l'avevo repressa perché come la rabbia era davvero troppo dispendiosa.
Mi portava via energie, vibrazioni positive, ma al contempo era terrificante ed appagante sapere di poter decidere le sorti di quell'uomo. Non avevo ovviamente intenzione di ammazzarlo, non l'avrei mai fatto, volevo piuttosto fargli provare un briciolo di tutto quello che aveva fatto vivere a me. E, probabilmente, anche a sua moglie.
Allentai lentamente la presa, la mano sciolse la sua morsa. Francesco tornò a respirare, mi guardava con aria stralunata, ma avevo piegato il suo sconfinato ego. O almeno, mi sembrava di averlo fatto. Rimase immobile per alcuni secondi fin quando io non gli sistemai il colletto della camicia. Gli diedi un buffetto sulla guancia, indicai la sua macchina e dissi:
"Sparisci."
Non raccolse nemmeno la valigia, tantomeno la ventiquattrore. Scese in fretta gli scalini, armeggiò con la sua tasca ed estrasse le chiavi della macchina, nella quale salì come se avesse un branco di lupi alle calcagna. In un lampo, la BMW sgommò furiosa e sparì dal vialetto, lasciando dietro di sé un forte odore di gomma usurata e di frizione.
Solo quando lo vidi andarsene iniziai a rilassarmi. Sentivo la testa pulsare, il cervello scoppiarmi nelle tempie. L'avevo fatto, ci ero riuscito davvero. Se me l'avessero raccontato non ci avrei mai creduto.
Non riuscivo ad esternare nessuna emozione, in quel preciso istante: ero ancora arrabbiato, ma in cuor mio mi sentivo felice di aver affrontato quel bastardo che mi, anzi, ci, aveva rovinato la vita.
In tutto questo, Lucrezia era lì di fronte a me, incredula per quanto accaduto.
"Sei uno stupido. Un cazzo di idiota." disse all'improvviso. Sorpreso, mi voltai verso di lei giusto in tempo per incassare uno schiaffo violento, talmente forte da risuonare per tutto il quartiere.
"Sparisci da casa mia." aggiunse.
Mi colpì più l'animo che il fisico. Di nuovo, il mio spirito andò in frantumi. Non dissi nulla, non annuii, non risposi, non fiatai. Semplicemente mi voltai, scesi le scale e senza girarmi mi immersi di nuovo nelle tenebre, con le mani in tasca, una delle quali sporche di sangue.
Quella ferita pulsava ancora.
Faceva ancora male.
Mai come le parole di Lucrezia.
Ti ho già detto che questa storia è incredibile e coinvolgente, credo sia inutile ripeterlo.
Sai come la penso sulle vicende accadute e sul tuo incredibile modo di scrivere; crei un pathos fuori dal comune e trasmetti le sensazioni e gli stati d'animo che hanno segnato la tua infanzia e questa tua esperienza in maniera così intensa che ad ogni capitolo ho provato dolore, eccitazione, odio ai limiti della "rabbia", sollievo e allegria a tratti. Se non fossi cosciente che sia tu il personaggio principale, potrei tranquillamente convincermi di esserci io li in quel casino!
Complimenti!!!!!!
 
OP
R

rancu

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Lo schiaffo di Lucrezia continuava a risuonare nella mia testa.
Era passato un giorno ma non riuscivo ancora a riprendermi dalle sue parole, dal suo gesto: era stato più doloroso il finale, di quell'episodio, che la mia sfuriata con Francesco. Anzi, quella era stata la parte più semplice, liberatoria oserei dire. Erano anni che desideravo farlo.
Non avrei mai creduto, tuttavia, di dover fare i conti con una donna, oltre che con lui. E non una donna qualsiasi: sua moglie, quella che un tempo credevo uno dei tanti aguzzini.
Passai l'intero giorno a bighellonare in giro per casa, tentando di tenermi occupato come meglio potevo. Riparai alla meglio la finestra applicando una tavola di multistrato per coprire il buco, poi me ne andai al lago a contemplare il silenzio e a godermi una pace che, in un certo senso, mi ero meritato.
Passai ore ad ascoltare il placido rumore delle acque, finché non venni sorpreso dalle tenebre e da una fame da lupi.
Ero già ai fornelli quando suonò il campanello.
Mi fermai di scatto con la padella in mano ed il mestolo nell'altra, imprecando nemmeno troppo sommessamente.
-Chi cazzo è adesso.- bofonchiai avvicinandomi all'uscio. Negli ultimi tempi ero sempre sull'attenti quando sentivo il ronzio del telefono o qualcuno bussare alla mia porta. Me ne stavano accadendo di tutti i colori, non c'era tregua, motivo per cui ero sempre, costantemente, sul chi va là, una sensazione di ansia perenne che sfociava fin troppo spesso in rabbia repressa.
Senza indugio aprii la porta, pronto al peggio...ma più che dall'oscurità venni invaso da una luce quasi celestiale.
Era lei, la femmina che aveva dato inizio a tutto. La donna dagli occhi di smeraldo.
Se ne stava ritta sul pianerottolo, le braccia conserte e un'espressione da cane bastonato in faccia. Il suo volto si era completamente ripreso e come al solito non presentava nemmeno un filo di trucco, cosa che io decisamente adoravo. Le sue rughe, seppur sporadiche, le decoravano gli occhi meglio di qualsiasi rimmel e mi rammentavano lo scorrere del tempo, gli anni che inesorabili passavano. Aveva addosso una felpa grigia della sua taglia (non una del marito come nei precedenti incontri) che nascondeva le sue forme, ed un paio di Jeans blu, sgualciti sul ginocchio destro.
-Senti...- fece lei, ma io la interruppi subito.
-Non c'è bisogno di niente.- dissi lapidario. -che vuoi?- la incalzai.
-Parlare.-
Rimasi a fissarla, di nuovo quel gioco di sguardi che tanto mi affascinava. Sospirai, alla fine cedetti e spalancai la porta, lasciandola entrare.
-Che profumo, che cucini?- cercò di sdrammatizzare.
-parla.- tagliai corto io. -Se sei qui per scusarti ti evito il disturbo. Non c'è bisogno.-
Scosse la testa.
-No, no. Volevo sapere...l'altra sera mi hai scritto chiedendomi di Veronica, di Rebecca, se avessi raccontato qualcosa a qualcuno. Mi avevi detto che mi avresti spiegato, ma non l'hai fatto.- Nel parlare si sedette sul divano ed immancabilmente vide la finestra spaccata con il rattoppo fatto da me quella stessa mattina. -Che diavolo è successo lì?- mi domandò stupita prima che io potessi risponderle.
-E' stata Rebecca.- mi avvicinai ai fornelli e spensi tutto, sospettavo una lunga chiacchierata. Tentai di essere breve e le raccontai tutto, di quello che aveva fatto la sua amica, del fatto che volesse raccntare tutto a Francesco. Dissi che l'avevo incontrata al pub, che l'avevo un pò "snobbata" per così dire, e ipotizzai che nelle sere successive mi avesse seguito, scoprendo così che mi recavo ogni volta a casa di Lucrezia.
La storia era assurda, francamente più la raccontavo e più mi metteva i brividi.
La mia interlocutrice, invece, sembrava credere ad ogni singola parola, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
-Ci sono cose che non sai su di lei.- mi disse. -A questo punto credo sia giusto raccontarti tutto.-
Venni a conoscenza che Rebecca, anni prima, era sul punto di sposarsi con un uomo, che la abbandonò sull'altare. Si scoprì successivamente che il presunto sposo aveva una vita parallela, un'altra moglie e figli a carico e che Rebecca doveva essere soltanto il suo passatempo. Semplicemente, si era spinto un pò troppo oltre. Per Rebecca fu un duro colpo, la sua psiche ebbe un tracollo tanto da farla entrare in cura. Aveva un mezzo esaurimento con scatti di violenza gratuita anche verso i suoi familiari, motivo per cui per un lungo periodo entrò ed uscì da svariate cliniche per cercare di risolvere il suo problema. In più, nel quartiere, iniziarono a chiamarla "la matta del paese", cosa che non la aiutò di certo.
Impiegò molto tempo per ritornare ad una situazione pseudonormale, una sorta di equilbrio psicofisico che a quanto pare, io con il mio rifiuto, ero riuscito ad incrinare.
-Bene.- sospirai. -Ci mancava pure questa adesso.-
-Che intendi fare ora?- domandò lei.
-Che dovrei fare? Chiamare il vetraio e farmi fare un vetro nuovo, innanzitutto.- bofonchiai incazzato.
Lucrezia a stento riuscì a trattenere una risata.
-C'è altro?- la incalzai.
-Sì. Volevo dirti che sei uno stupido.- quando lo disse in quel modo, per un momento mi sciolsi. Era un complimento, forse il più bello che io ricevetti in tutta la mia vita.
-Uno stupido che fa cazzate.- aggiunse. -Cazzate che apprezzo.- sorrise arrossendo vistosamente.
-Pensavi che avrei lasciato tutto nelle tue mani? Sapevo che non avresti fatto un cazzo Lù. Mi è bastato guardarti negli occhi per capire quanto tu vivessi nel terrore. E sai perché lo so?- mi fermai a fissarla, il mio sguardo le bucava l'anima.
-Perché è quello che hai vissuto anche tu.- aggiunse lei convinta.
-Qualcuno doveva fermarlo.- confermai.
-Sì, ma ora non è finita. Reagirà. E non voglio immaginare come.-
-Mi hanno appena sfondato il vetro di casa, sono pronto a tutto.- lo dissi tra il serio ed il faceto. In effetti, la cosa mi faceva riflettere: in che cazzo di guaio mi stavo cacciando? Francesco sembrava davvero qualcuno di potente, o che per lo meno poteva conoscere qualcuno di importante. E Rebecca, per quanto non ami utilizzare questo termine, era una pazza. Una pazza da legare.
Di nuovo avevo duemila rovelli in testa: nel giro di un secondo la mia mente iniziava a vorticare furiosa, come un dannato frullatore.
Fu Lucrezia ad interrompere quel guazzabuglio infernale che mi stava dilaniando.
Si alzò dal divano, venne verso di me senza dire una parola. Mi guardava, mi fissava come se fossi l'unica persona al mondo, in quel momento, l'ultimo sopravvissuto dopo una violenta esplosione. Allungò le braccia verso di me e senza fiatare mi abbracciò, poggiando la sua testa sul mio petto.
Le mie mani si mossero di conseguenza, stringendole la nuca a mò di protezione: in quel periodo di tempesta, quell'istante fu uno dei pochi raggi di sole che ancora conservo nel mio cuore.
-Grazie.- sussurrò alla fine rimanendo in quella posizione. -Poi mi dirai anche che cosa hai fatto al braccio.-
-...-
 

kata

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Lo schiaffo di Lucrezia continuava a risuonare nella mia testa.
Era passato un giorno ma non riuscivo ancora a riprendermi dalle sue parole, dal suo gesto: era stato più doloroso il finale, di quell'episodio, che la mia sfuriata con Francesco. Anzi, quella era stata la parte più semplice, liberatoria oserei dire. Erano anni che desideravo farlo.
Non avrei mai creduto, tuttavia, di dover fare i conti con una donna, oltre che con lui. E non una donna qualsiasi: sua moglie, quella che un tempo credevo uno dei tanti aguzzini.
Passai l'intero giorno a bighellonare in giro per casa, tentando di tenermi occupato come meglio potevo. Riparai alla meglio la finestra applicando una tavola di multistrato per coprire il buco, poi me ne andai al lago a contemplare il silenzio e a godermi una pace che, in un certo senso, mi ero meritato.
Passai ore ad ascoltare il placido rumore delle acque, finché non venni sorpreso dalle tenebre e da una fame da lupi.
Ero già ai fornelli quando suonò il campanello.
Mi fermai di scatto con la padella in mano ed il mestolo nell'altra, imprecando nemmeno troppo sommessamente.
-Chi cazzo è adesso.- bofonchiai avvicinandomi all'uscio. Negli ultimi tempi ero sempre sull'attenti quando sentivo il ronzio del telefono o qualcuno bussare alla mia porta. Me ne stavano accadendo di tutti i colori, non c'era tregua, motivo per cui ero sempre, costantemente, sul chi va là, una sensazione di ansia perenne che sfociava fin troppo spesso in rabbia repressa.
Senza indugio aprii la porta, pronto al peggio...ma più che dall'oscurità venni invaso da una luce quasi celestiale.
Era lei, la femmina che aveva dato inizio a tutto. La donna dagli occhi di smeraldo.
Se ne stava ritta sul pianerottolo, le braccia conserte e un'espressione da cane bastonato in faccia. Il suo volto si era completamente ripreso e come al solito non presentava nemmeno un filo di trucco, cosa che io decisamente adoravo. Le sue rughe, seppur sporadiche, le decoravano gli occhi meglio di qualsiasi rimmel e mi rammentavano lo scorrere del tempo, gli anni che inesorabili passavano. Aveva addosso una felpa grigia della sua taglia (non una del marito come nei precedenti incontri) che nascondeva le sue forme, ed un paio di Jeans blu, sgualciti sul ginocchio destro.
-Senti...- fece lei, ma io la interruppi subito.
-Non c'è bisogno di niente.- dissi lapidario. -che vuoi?- la incalzai.
-Parlare.-
Rimasi a fissarla, di nuovo quel gioco di sguardi che tanto mi affascinava. Sospirai, alla fine cedetti e spalancai la porta, lasciandola entrare.
-Che profumo, che cucini?- cercò di sdrammatizzare.
-parla.- tagliai corto io. -Se sei qui per scusarti ti evito il disturbo. Non c'è bisogno.-
Scosse la testa.
-No, no. Volevo sapere...l'altra sera mi hai scritto chiedendomi di Veronica, di Rebecca, se avessi raccontato qualcosa a qualcuno. Mi avevi detto che mi avresti spiegato, ma non l'hai fatto.- Nel parlare si sedette sul divano ed immancabilmente vide la finestra spaccata con il rattoppo fatto da me quella stessa mattina. -Che diavolo è successo lì?- mi domandò stupita prima che io potessi risponderle.
-E' stata Rebecca.- mi avvicinai ai fornelli e spensi tutto, sospettavo una lunga chiacchierata. Tentai di essere breve e le raccontai tutto, di quello che aveva fatto la sua amica, del fatto che volesse raccntare tutto a Francesco. Dissi che l'avevo incontrata al pub, che l'avevo un pò "snobbata" per così dire, e ipotizzai che nelle sere successive mi avesse seguito, scoprendo così che mi recavo ogni volta a casa di Lucrezia.
La storia era assurda, francamente più la raccontavo e più mi metteva i brividi.
La mia interlocutrice, invece, sembrava credere ad ogni singola parola, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
-Ci sono cose che non sai su di lei.- mi disse. -A questo punto credo sia giusto raccontarti tutto.-
Venni a conoscenza che Rebecca, anni prima, era sul punto di sposarsi con un uomo, che la abbandonò sull'altare. Si scoprì successivamente che il presunto sposo aveva una vita parallela, un'altra moglie e figli a carico e che Rebecca doveva essere soltanto il suo passatempo. Semplicemente, si era spinto un pò troppo oltre. Per Rebecca fu un duro colpo, la sua psiche ebbe un tracollo tanto da farla entrare in cura. Aveva un mezzo esaurimento con scatti di violenza gratuita anche verso i suoi familiari, motivo per cui per un lungo periodo entrò ed uscì da svariate cliniche per cercare di risolvere il suo problema. In più, nel quartiere, iniziarono a chiamarla "la matta del paese", cosa che non la aiutò di certo.
Impiegò molto tempo per ritornare ad una situazione pseudonormale, una sorta di equilbrio psicofisico che a quanto pare, io con il mio rifiuto, ero riuscito ad incrinare.
-Bene.- sospirai. -Ci mancava pure questa adesso.-
-Che intendi fare ora?- domandò lei.
-Che dovrei fare? Chiamare il vetraio e farmi fare un vetro nuovo, innanzitutto.- bofonchiai incazzato.
Lucrezia a stento riuscì a trattenere una risata.
-C'è altro?- la incalzai.
-Sì. Volevo dirti che sei uno stupido.- quando lo disse in quel modo, per un momento mi sciolsi. Era un complimento, forse il più bello che io ricevetti in tutta la mia vita.
-Uno stupido che fa cazzate.- aggiunse. -Cazzate che apprezzo.- sorrise arrossendo vistosamente.
-Pensavi che avrei lasciato tutto nelle tue mani? Sapevo che non avresti fatto un cazzo Lù. Mi è bastato guardarti negli occhi per capire quanto tu vivessi nel terrore. E sai perché lo so?- mi fermai a fissarla, il mio sguardo le bucava l'anima.
-Perché è quello che hai vissuto anche tu.- aggiunse lei convinta.
-Qualcuno doveva fermarlo.- confermai.
-Sì, ma ora non è finita. Reagirà. E non voglio immaginare come.-
-Mi hanno appena sfondato il vetro di casa, sono pronto a tutto.- lo dissi tra il serio ed il faceto. In effetti, la cosa mi faceva riflettere: in che cazzo di guaio mi stavo cacciando? Francesco sembrava davvero qualcuno di potente, o che per lo meno poteva conoscere qualcuno di importante. E Rebecca, per quanto non ami utilizzare questo termine, era una pazza. Una pazza da legare.
Di nuovo avevo duemila rovelli in testa: nel giro di un secondo la mia mente iniziava a vorticare furiosa, come un dannato frullatore.
Fu Lucrezia ad interrompere quel guazzabuglio infernale che mi stava dilaniando.
Si alzò dal divano, venne verso di me senza dire una parola. Mi guardava, mi fissava come se fossi l'unica persona al mondo, in quel momento, l'ultimo sopravvissuto dopo una violenta esplosione. Allungò le braccia verso di me e senza fiatare mi abbracciò, poggiando la sua testa sul mio petto.
Le mie mani si mossero di conseguenza, stringendole la nuca a mò di protezione: in quel periodo di tempesta, quell'istante fu uno dei pochi raggi di sole che ancora conservo nel mio cuore.
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Lo schiaffo di Lucrezia continuava a risuonare nella mia testa.
Era passato un giorno ma non riuscivo ancora a riprendermi dalle sue parole, dal suo gesto: era stato più doloroso il finale, di quell'episodio, che la mia sfuriata con Francesco. Anzi, quella era stata la parte più semplice, liberatoria oserei dire. Erano anni che desideravo farlo.
Non avrei mai creduto, tuttavia, di dover fare i conti con una donna, oltre che con lui. E non una donna qualsiasi: sua moglie, quella che un tempo credevo uno dei tanti aguzzini.
Passai l'intero giorno a bighellonare in giro per casa, tentando di tenermi occupato come meglio potevo. Riparai alla meglio la finestra applicando una tavola di multistrato per coprire il buco, poi me ne andai al lago a contemplare il silenzio e a godermi una pace che, in un certo senso, mi ero meritato.
Passai ore ad ascoltare il placido rumore delle acque, finché non venni sorpreso dalle tenebre e da una fame da lupi.
Ero già ai fornelli quando suonò il campanello.
Mi fermai di scatto con la padella in mano ed il mestolo nell'altra, imprecando nemmeno troppo sommessamente.
-Chi cazzo è adesso.- bofonchiai avvicinandomi all'uscio. Negli ultimi tempi ero sempre sull'attenti quando sentivo il ronzio del telefono o qualcuno bussare alla mia porta. Me ne stavano accadendo di tutti i colori, non c'era tregua, motivo per cui ero sempre, costantemente, sul chi va là, una sensazione di ansia perenne che sfociava fin troppo spesso in rabbia repressa.
Senza indugio aprii la porta, pronto al peggio...ma più che dall'oscurità venni invaso da una luce quasi celestiale.
Era lei, la femmina che aveva dato inizio a tutto. La donna dagli occhi di smeraldo.
Se ne stava ritta sul pianerottolo, le braccia conserte e un'espressione da cane bastonato in faccia. Il suo volto si era completamente ripreso e come al solito non presentava nemmeno un filo di trucco, cosa che io decisamente adoravo. Le sue rughe, seppur sporadiche, le decoravano gli occhi meglio di qualsiasi rimmel e mi rammentavano lo scorrere del tempo, gli anni che inesorabili passavano. Aveva addosso una felpa grigia della sua taglia (non una del marito come nei precedenti incontri) che nascondeva le sue forme, ed un paio di Jeans blu, sgualciti sul ginocchio destro.
-Senti...- fece lei, ma io la interruppi subito.
-Non c'è bisogno di niente.- dissi lapidario. -che vuoi?- la incalzai.
-Parlare.-
Rimasi a fissarla, di nuovo quel gioco di sguardi che tanto mi affascinava. Sospirai, alla fine cedetti e spalancai la porta, lasciandola entrare.
-Che profumo, che cucini?- cercò di sdrammatizzare.
-parla.- tagliai corto io. -Se sei qui per scusarti ti evito il disturbo. Non c'è bisogno.-
Scosse la testa.
-No, no. Volevo sapere...l'altra sera mi hai scritto chiedendomi di Veronica, di Rebecca, se avessi raccontato qualcosa a qualcuno. Mi avevi detto che mi avresti spiegato, ma non l'hai fatto.- Nel parlare si sedette sul divano ed immancabilmente vide la finestra spaccata con il rattoppo fatto da me quella stessa mattina. -Che diavolo è successo lì?- mi domandò stupita prima che io potessi risponderle.
-E' stata Rebecca.- mi avvicinai ai fornelli e spensi tutto, sospettavo una lunga chiacchierata. Tentai di essere breve e le raccontai tutto, di quello che aveva fatto la sua amica, del fatto che volesse raccntare tutto a Francesco. Dissi che l'avevo incontrata al pub, che l'avevo un pò "snobbata" per così dire, e ipotizzai che nelle sere successive mi avesse seguito, scoprendo così che mi recavo ogni volta a casa di Lucrezia.
La storia era assurda, francamente più la raccontavo e più mi metteva i brividi.
La mia interlocutrice, invece, sembrava credere ad ogni singola parola, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
-Ci sono cose che non sai su di lei.- mi disse. -A questo punto credo sia giusto raccontarti tutto.-
Venni a conoscenza che Rebecca, anni prima, era sul punto di sposarsi con un uomo, che la abbandonò sull'altare. Si scoprì successivamente che il presunto sposo aveva una vita parallela, un'altra moglie e figli a carico e che Rebecca doveva essere soltanto il suo passatempo. Semplicemente, si era spinto un pò troppo oltre. Per Rebecca fu un duro colpo, la sua psiche ebbe un tracollo tanto da farla entrare in cura. Aveva un mezzo esaurimento con scatti di violenza gratuita anche verso i suoi familiari, motivo per cui per un lungo periodo entrò ed uscì da svariate cliniche per cercare di risolvere il suo problema. In più, nel quartiere, iniziarono a chiamarla "la matta del paese", cosa che non la aiutò di certo.
Impiegò molto tempo per ritornare ad una situazione pseudonormale, una sorta di equilbrio psicofisico che a quanto pare, io con il mio rifiuto, ero riuscito ad incrinare.
-Bene.- sospirai. -Ci mancava pure questa adesso.-
-Che intendi fare ora?- domandò lei.
-Che dovrei fare? Chiamare il vetraio e farmi fare un vetro nuovo, innanzitutto.- bofonchiai incazzato.
Lucrezia a stento riuscì a trattenere una risata.
-C'è altro?- la incalzai.
-Sì. Volevo dirti che sei uno stupido.- quando lo disse in quel modo, per un momento mi sciolsi. Era un complimento, forse il più bello che io ricevetti in tutta la mia vita.
-Uno stupido che fa cazzate.- aggiunse. -Cazzate che apprezzo.- sorrise arrossendo vistosamente.
-Pensavi che avrei lasciato tutto nelle tue mani? Sapevo che non avresti fatto un cazzo Lù. Mi è bastato guardarti negli occhi per capire quanto tu vivessi nel terrore. E sai perché lo so?- mi fermai a fissarla, il mio sguardo le bucava l'anima.
-Perché è quello che hai vissuto anche tu.- aggiunse lei convinta.
-Qualcuno doveva fermarlo.- confermai.
-Sì, ma ora non è finita. Reagirà. E non voglio immaginare come.-
-Mi hanno appena sfondato il vetro di casa, sono pronto a tutto.- lo dissi tra il serio ed il faceto. In effetti, la cosa mi faceva riflettere: in che cazzo di guaio mi stavo cacciando? Francesco sembrava davvero qualcuno di potente, o che per lo meno poteva conoscere qualcuno di importante. E Rebecca, per quanto non ami utilizzare questo termine, era una pazza. Una pazza da legare.
Di nuovo avevo duemila rovelli in testa: nel giro di un secondo la mia mente iniziava a vorticare furiosa, come un dannato frullatore.
Fu Lucrezia ad interrompere quel guazzabuglio infernale che mi stava dilaniando.
Si alzò dal divano, venne verso di me senza dire una parola. Mi guardava, mi fissava come se fossi l'unica persona al mondo, in quel momento, l'ultimo sopravvissuto dopo una violenta esplosione. Allungò le braccia verso di me e senza fiatare mi abbracciò, poggiando la sua testa sul mio petto.
Le mie mani si mossero di conseguenza, stringendole la nuca a mò di protezione: in quel periodo di tempesta, quell'istante fu uno dei pochi raggi di sole che ancora conservo nel mio cuore.
-Grazie.- sussurrò alla fine rimanendo in quella posizione. -Poi mi dirai anche che cosa hai fatto al braccio.-
-...-
Stupendo come sempre, speravo in una mossa da parte di Lucrezia, e sinceramente la condizione di Rebecca, insieme a quella degli altri personaggi mi fa pensare che tutto il male che fai, prima o poi torna, non importa come, dove, quando, perché ed in che forma, ma prima o poi torna, ed in questo per alcuni è già tornato, per gli altri sta per bussare alla porta!
 

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