Alex666
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Faccio subito una premessa: questo è un racconto vero, e di conseguenza non è solo costituito da sesso ed eros, ma anche da altre dinamiche.
Forse non è inevitabile, ma a me piace sempre spiegare come e perché capitano certe cose, soprattutto quando in ambito sessuale si devia dal mainstream.
Per questo motivo chi nei racconti cerca sesso e scopate forse sarà deluso, e per questo ritengo corretto avvisare in partenza.
Gli altri, invece, possono continuare la lettura e spero godersela.
C’erano due amici, Umberto e Francesco.
Umberto era un piccolo imprenditore, la sua famiglia possedeva un mobilificio, Francesco era un impiegato.
Non c’era un abisso economico tra i due - non voglio tratteggiare una storia come Il principe e il povero, non sarebbe onesto - però c'erano delle differenze.
Umberto cambiava l’auto quando si stancava di quella precedente, Francesco aspettava che la sua percorresse l’ultimo chilometro prima di rottamarla.
Però non faceva mancare nulla alla sua famiglia ed io, che sono il figlio di Francesco, posso testimoniare come in casa nostra si mangiasse sempre bene e come ogni anno facessimo le vacanze.
Ecco, parliamo appunto di vacanze.
Quell’anno le due famiglie decisero di trascorrere le ferie assieme, circostanza agevolata dal fatto che anche le due mogli andassero d’accordo e che i due figli fossero anche loro amici.
Uno dei due figli ero io, come detto, l’altro si chiamava Riccardo e aveva due anni più di me.
Ad essere onesti non eravamo proprio amici. Andavamo d’accordo, quello sì, ma l’amicizia era una cosa diversa, e mi sento di dire che responsabile di questa distanza tra noi era soprattutto lui.
Benché non fossimo coetanei frequentavamo entrambi la stessa classe - anche se in scuole diverse - giacché Riccardo era riuscito a farsi bocciare una volta alle medie e un’altra al primo anno di superiori.
Pur non essendo un genio non era neppure stupido, semplicemente non aveva voglia di studiare (chi ne ha?) e soprattutto non aveva nessuno che lo spronasse a farlo.
I genitori erano convinti che la sorte del figlio sarebbe stata comunque l’azienda di famiglia e vedevano la scuola come un passaggio necessario per prendere un diploma e poi accantonarlo; lui non aveva neppure quello stimolo.
Era abituato a ottenere quello che voleva senza alcuno sforzo, e anche il diploma rientrava per lui in quella casistica.
Ma torniamo alle vacanze.
Quell’anno le due famiglie decisero di affittare una piccola casa nelle Marche; non era grande, ma vi era una stanza matrimoniale per i miei, una per Umberto e sua moglie e un’altra con due letti singoli per me e Riccardo.
Io all’epoca non avevo una ragazza e non ne avevo mai avuta una: ero molto timido e l’approccio con l’altro sesso era ancora un mistero; Riccardo invece diceva di stare con Anna.
Ho scritto “diceva” e non “stava con” poiché conoscevo questa Anna e mi risultava stesse con un altro.
Fossi stato un po’ più malizioso, o forse anche solo un po’ più maturo, avrei inoltre capito che la relazione con Anna non poteva esistere soprattutto poiché Riccardo era omosessuale.
Nel corso della sua vita si sarebbe dimostrato più incline alla bisessualità, ma in quel momento era evidente come fosse interessato soprattutto ai ragazzi, o forse semplicemente questi diventavano la sua unica opzione dal momento che le ragazze non lo consideravano.
Era un bel ragazzo, ma evidentemente il gentil sesso - a differenza mia - avvertiva questa sua ambiguità sessuale.
E con me, come si relazionava?
Con me allungava le mani, anche se non in maniera eccessiva, forse anche per timore di essere respinto; di fatto faceva quello che alcuni adolescenti fanno con le ragazze quando vogliono un contatto fisico: mi faceva il solletico.
Poco male, ma c’era un problema: a me piaceva - e piace tutt’ora - soffrire.
Sono un masochista, questo l’ho imparato nel tempo, e anche se all’epoca non sapevo dare un nome a questa attitudine, di fatto registravo che quando mi faceva il solletico da un lato soffrivo, ma dall’altro mi piaceva.
Questo purtroppo costituì per me in quel momento una sorta di droga mentale: gradivo che mi facesse il solletico, e il piacere era talmente preminente che non mi chiedevo per quale motivo lui fosse portato a farlo.
Tant’è che, ad un certo punto, mi trovai nella condizione di rincarare la dose.
Eravamo in auto ad attendere che i nostri padri uscissero da non so bene quale negozio e lui un attimo prima aveva provato a solleticarmi sotto le ascelle.
“Non sei bravo a fare il solletico - gli avevo detto - Tu mi fai male alle ascelle, non le solletichi!”.
Ero perfettamente consapevole che tra le righe lo stavo sfidando a farmene ancora.
“Perché quando ti tocco tu ti rannicchi e le dita rimangono imprigionate sotto le ascelle, per quello ti faccio male”, aveva risposto.
“Ma non posso fare diversamente, è un riflesso”, avevo spiegato.
Potevo osare un po’ di più? Potevo azzardare quella che era la mia più grande fantasia?
“Se fossi legato non succederebbe”, avevo aggiunto, quasi con indifferenza, mentre il mio cuore accelerava.
Spero che mi crediate, in quel momento non stavo minimamente pensando al sesso, stavo solo pensando che essere legato e torturato era la mia più grande fantasia da anni.
Mi ci masturbavo su quella fantasia, ma non la vedevo come un viatico sessuale, ma solo come qualcosa che mi piaceva.
“Non ho capito vuoi che ti leghi? - mi chiese - Guarda che lo faccio senza problemi”.
Ecco, me l’aveva chiesto. Era lì che volevo arrivare, no?
“Si potrebbe fare”, dissi cercando di ostentare indifferenza. Non volevo capisse quanto ci tenevo.
“Per quanto tempo?”, chiese.
Non avevo idea. Se da una parte il pensiero di essere legato e solleticato mi attraeva, dall’altra non volevo neppure soffrire più di quanto sarei riuscito a sopportare.
“Mezz’ora?”, azzardai.
Lui annuì.
In quel momento tornarono i nostri padri, così interrompemmo la conversazione e ripartimmo con l’auto.
“Dopo pranzo andiamo alla fiera, venite anche voi?”, chiese Umberto un attimo dopo.
“Quanto si dovrebbe stare via?”, domandò Riccardo.
“Non so, ma tra andare, vedere e tornare direi tutto il pomeriggio”.
Io e lui ci guardammo complici: avremmo potuto mettere in pratica il nostro progetto già quel pomeriggio.
“No, rimango a casa a fare i compiti”, rispose.
Ecco, quell’accenno a studiare forse avrebbe potuto far capire a suo padre che si trattava di una balla, ma non fece commento.
Entrambi diedero per scontato che io sarei rimasto con lui e non mi chiesero cosa avrei voluto fare.
Il cuore mi batteva forte e non solo.
Il mio cazzo si irrigidì, segno che il mio corpo sapeva cose che la mia mente ancora non aveva capito.
Quando i nostri genitori partirono per la fiera facemmo passare una decina di minuti, giusto per accertarci che non tornassero indietro a causa di una banale dimenticanza, durante i quali Riccardo si fumò una sigaretta, altro dettaglio di lui del quale i genitori non erano a conoscenza.
“Che dici, te la senti?”, chiese conferma.
Io mi sentivo eccitato e titubante allo stesso tempo.
“Certo”, risposi fingendo tranquillità.
Gettò la sigaretta dalla finestra e ci spostammo nella stanza da letto dei suoi genitori.
“Confermi mezz’ora?”, mi chiese.
Non avevo la minima idea se fosse tanto o poco, però confermai.
“Se però non ce la faccio più te lo dico”, precisai.
“Facciamo così - rilanciò - se tu resisti mezz’ora, per la mezz’ora successiva io sono a tua disposizione; se invece chiedi pietà sarà il contrario”.
“Cosa vuol dire a disposizione?”, domandai.
“Qualunque cosa”, rispose con un sorriso ambiguo.
I segnali di allarme c’erano tutti, ma a quel punto ero troppo eccitato dall’idea di farmi legare che acconsentii.
“Tu spogliati, io vado a prendere qualcosa con cui legarti”, disse allora.
Si spostò nel bagno mentre io mi liberavo della maglietta e dei pantaloncini, rimanendo in mutande.
Facevo bene?
Non è che stavo per fare una cazzata?
Alla fine era un gioco, no?
Mi sdraiai sul letto, forse per impedirmi di cambiare idea, mentre lui rientrava in camera con le cinture degli accappatoi in mano.
“Che cazzo fai?”, mi chiese quando mi vide.
Rimasi senza parole, non capendo il motivo del suo disappunto.
“Togliti ‘ste cazzo di mutande! - mi ordinò indicandole - Così sei ridicolo!”.
Ricordate quando prima dicevo che Riccardo era abituato ad ottenere quello che voleva? Ecco, questa è una dimostrazione.
Mi sfilai subito le mutande, anche se non capivo il motivo per cui, per farmi fare il solletico, avrei dovuto essere completamente nudo.
Riccardo mi prese un polso e lo assicurò all’angolo superiore del letto.
“Secondo te gli inquisitori quando torturavano le vittime gli facevano tenere le mutande?”, mi chiese mentre stringeva il laccio.
Mi legò anche l’altro polso, poi compì la stessa operazione con le caviglie.
Ero legato come una stella e non potevo muovere un muscolo.
Non era strano essere nudo di fronte a lui, ogni sera ci cambiavamo nella stessa stanza, ma essere legato, per di più in quella posizione, mi faceva sentire estremamente vulnerabile.
Riccardo si sedette accanto a me e mi passò la punta dei polpastrelli sul petto, poi guardò l’ora.
Come se un giudice di gara avesse dato lo start con le dita mi attaccò le ascelle.
Istintivamente provai a piegare le braccia, ma i legami mi impedivano di muovermi.
Le sue dita avevano libero accesso alle mie ascelle e il solletico mi sconquassava.
Mi agitavo come un ossesso, ridendo in maniera isterica.
Quando Riccardo sospese il supplizio avevo il fiatone e il cuore batteva forte.
Quanto era passato, due minuti?
Come avrei potuto resistere mezz’ora?
“Direi che le ascelle sono un punto sensibile per te”, disse ridacchiando, poi mi passò una mano aperta sul torace.
Era un tocco leggero, caldo.
Si alzò dal letto e andò nella stanza accanto, dalla quale tornò con in mano una piccola scopa di saggina.
Mi guardò con uno sguardo sadico e la passò sotto la pianta del piede destro.
Un turbine di sensazioni mi attraversò il corpo, mentre la gamba istintivamente provava inutilmente a flettersi per sottrarsi al supplizio.
Una risata incontrollata e incontrollabile uscì dalla mia gola, mentre mi agitavo vanamente.
Riccardo interruppe dopo pochi secondi e ridacchiò: “Sei ancora convinto che non sia capace a farti il solletico?”.
Non attese risposta - non che ce ne fosse bisogno - e spostò la scopettina sul piede sinistro.
Chiusi gli occhi sperando che questo mi consentisse di estraniarmi da quella condizione.
Mi tornò in mente l’immagine che Riccardo stesso aveva evocato poco prima: ero prigioniero degli inquisitori, che mi stavano torturando per conoscere i miei complici, ma dovevo resistere.
La scopa di saggina passò sotto la pianta del piede, il muscolo del polpaccio si contrasse, ma strinsi i denti per non produrmi in una risata sguaiata.
La sofferenza era estrema, ma concentrandomi riuscii a mantenere il controllo.
Almeno credevo.
“Ti sta piacendo, eh!”, commentò Riccardo con un risolino.
Aprii gli occhi e vidi: il cazzo mi si era irrigidito senza che me ne accorgessi.
Non era proprio marmoreo, ma era barzotto e si elevava sul mio corpo come una ciminiera.
Riccardo si protese sopra di me e lo prese in mano.
Nessuno me lo aveva mai toccato, tranne forse il medico.
Solo la mia mano aveva stretto il mio organo, e ora quella di Riccardo.
La fece scorrere avanti e indietro, provocando un ulteriore irrigidimento.
“Riccardo…”, dissi con un fil di voce.
“Se vuoi smetto”, mi disse cominciando a segarmi.
Volevo che smettesse?
Non risposi.
Il movimento era lento e fluido.
Molto piacevole.
Ora il mio organo era della stessa consistenza dell’alabastro e il glande era totalmente scoperto.
Riccardo smise di segarmi e con le dita mi sfiorò il fianco sinistro.
Il brusco cambiamento mi fece sobbalzare - anche perché avevo ancora gli occhi chiusi - e quasi urlai.
“Cazzo fai?”, chiesi, come se non fosse chiaro.
Senza rispondere continuò a solleticarmi sui fianchi e sul torso, provocando uno scoppio di risa.
Mi dimenavo come un’anguilla senza riuscire a sottrarmi al suo tocco.
“Aiuto…muoio!”, urlavo tra le risate.
Le sue dita mi solleticarono l’area attorno all’ombelico per poi risalire sul torace e sul collo.
Inarcai la schiena per provare a depistare le sue frenetiche dita, ma il margine di movimento era troppo ridotto per sortire un effetto.
Mi rassegnai al supplizio, ma fortunatamente dopo alcuni secondi cessò.
Mi abbandonai sul materasso ansimando, e quando ripresi fiato istintivamente guardai veros il mio inguine.
Il mio cazzo era sempre eretto, anche se rispetto a prima aveva perso un po’ di vigore.
Riccardo, forse notando la stessa cosa, lo riprese in mano e ricominciò a segarlo.
Riprese vigore quasi subito.
Meno sorpreso di prima chiusi gli occhi e mi abbandonai alle sensazioni, provando ad immaginare che fosse una ragazza a farlo.
Chi avrei voluto?
Carlotta? Monica? Marta?
Ora era veramente duro, sarei venuto dopo pochi secondi, e Riccardo di nuovo si interruppe.
Questa volta rimasi con gli occhi chiusi, mentre lui - lo avrei capito dopo - stava staccando alcune fibre di saggina dalla scopa.
Ne ricavò un ciuffetto sottile e con quello prese a stimolarmi la zona di pelle attorno al mio scroto.
Non era solletico violento come prima, era come una carezza un po’ urticante, e infatti il mio membro non perse vigore.
Scese sul perineo, poi sfruttando la lunghezza delle saggine andò a stimolarmi l’ano.
Era piacevole, non potevo negarlo.
Emisi un sospiro.
Sentivo il cazzo pulsare come se il cuore si fosse spostato più in basso.
Bramava una mano.
Riccardo poggiò la punta dell’indice sul glande, che era coperto da liquido seminale.
Trattenni il fiato, poi cominciò a farla scorrere.
Era bellissimo e sentivo che ero prossimo a venire.
Il mio corpo lo desiderava tantissimo, ma cosa volevo fare?
“Riccardo…forse è meglio se smetti”, dissi senza guardarlo.
“Non mi sembra ti stia dispiacendo”, rispose senza smettere di passare il dito sulla cappella.
No, non mi stava dispiacendo, ma era un altro ragazzo che mi stava segando.
Significava che ero gay?
Riccardo smise.
“Cosa fai?”, gli domandai.
“Non mi hai chiesto di smettere?”, rispose lui.
Me lo strinse di nuovo. e sospirai.
“Allora che faccio?”, domandò ancora passandomi le dita lungo l’asta.
Cosa volevo?
“Continua”, gli chiesi.
“E tu?”, chiese.
“E io cosa?”.
“Tu farai lo stesso a me?”.
Voleva che lo segassi; pareva equo.
Con la punta delle dita stimolò il mio scroto.
Cazzo se era bravo!
“Allora?”, mi incalzò.
“Va bene”, dissi con un filo di voce,
Sorrise e mi afferrò nuovamente il cazzo.
Paradossalmente, ora che sapevo cosa stava per capitare mi rilassai di più.
Strinse le dita attorno alla mia asta e prese a segarmi lentamente.
Ero eccitatissimo, sapevo che sarei durato molto poco.
Per un attimo ancora pensai che ero in tempo per farlo smettere, poi venni.
Il getto di sperma mi colpì il torace e l’eiaculazione durò parecchi secondi.
Riccardo mollò il mio cazzo e attese che il flusso di sperma terminasse.
“Ora tocca a me”, disse slegandomi i polsi.
Forse non è inevitabile, ma a me piace sempre spiegare come e perché capitano certe cose, soprattutto quando in ambito sessuale si devia dal mainstream.
Per questo motivo chi nei racconti cerca sesso e scopate forse sarà deluso, e per questo ritengo corretto avvisare in partenza.
Gli altri, invece, possono continuare la lettura e spero godersela.
C’erano due amici, Umberto e Francesco.
Umberto era un piccolo imprenditore, la sua famiglia possedeva un mobilificio, Francesco era un impiegato.
Non c’era un abisso economico tra i due - non voglio tratteggiare una storia come Il principe e il povero, non sarebbe onesto - però c'erano delle differenze.
Umberto cambiava l’auto quando si stancava di quella precedente, Francesco aspettava che la sua percorresse l’ultimo chilometro prima di rottamarla.
Però non faceva mancare nulla alla sua famiglia ed io, che sono il figlio di Francesco, posso testimoniare come in casa nostra si mangiasse sempre bene e come ogni anno facessimo le vacanze.
Ecco, parliamo appunto di vacanze.
Quell’anno le due famiglie decisero di trascorrere le ferie assieme, circostanza agevolata dal fatto che anche le due mogli andassero d’accordo e che i due figli fossero anche loro amici.
Uno dei due figli ero io, come detto, l’altro si chiamava Riccardo e aveva due anni più di me.
Ad essere onesti non eravamo proprio amici. Andavamo d’accordo, quello sì, ma l’amicizia era una cosa diversa, e mi sento di dire che responsabile di questa distanza tra noi era soprattutto lui.
Benché non fossimo coetanei frequentavamo entrambi la stessa classe - anche se in scuole diverse - giacché Riccardo era riuscito a farsi bocciare una volta alle medie e un’altra al primo anno di superiori.
Pur non essendo un genio non era neppure stupido, semplicemente non aveva voglia di studiare (chi ne ha?) e soprattutto non aveva nessuno che lo spronasse a farlo.
I genitori erano convinti che la sorte del figlio sarebbe stata comunque l’azienda di famiglia e vedevano la scuola come un passaggio necessario per prendere un diploma e poi accantonarlo; lui non aveva neppure quello stimolo.
Era abituato a ottenere quello che voleva senza alcuno sforzo, e anche il diploma rientrava per lui in quella casistica.
Ma torniamo alle vacanze.
Quell’anno le due famiglie decisero di affittare una piccola casa nelle Marche; non era grande, ma vi era una stanza matrimoniale per i miei, una per Umberto e sua moglie e un’altra con due letti singoli per me e Riccardo.
Io all’epoca non avevo una ragazza e non ne avevo mai avuta una: ero molto timido e l’approccio con l’altro sesso era ancora un mistero; Riccardo invece diceva di stare con Anna.
Ho scritto “diceva” e non “stava con” poiché conoscevo questa Anna e mi risultava stesse con un altro.
Fossi stato un po’ più malizioso, o forse anche solo un po’ più maturo, avrei inoltre capito che la relazione con Anna non poteva esistere soprattutto poiché Riccardo era omosessuale.
Nel corso della sua vita si sarebbe dimostrato più incline alla bisessualità, ma in quel momento era evidente come fosse interessato soprattutto ai ragazzi, o forse semplicemente questi diventavano la sua unica opzione dal momento che le ragazze non lo consideravano.
Era un bel ragazzo, ma evidentemente il gentil sesso - a differenza mia - avvertiva questa sua ambiguità sessuale.
E con me, come si relazionava?
Con me allungava le mani, anche se non in maniera eccessiva, forse anche per timore di essere respinto; di fatto faceva quello che alcuni adolescenti fanno con le ragazze quando vogliono un contatto fisico: mi faceva il solletico.
Poco male, ma c’era un problema: a me piaceva - e piace tutt’ora - soffrire.
Sono un masochista, questo l’ho imparato nel tempo, e anche se all’epoca non sapevo dare un nome a questa attitudine, di fatto registravo che quando mi faceva il solletico da un lato soffrivo, ma dall’altro mi piaceva.
Questo purtroppo costituì per me in quel momento una sorta di droga mentale: gradivo che mi facesse il solletico, e il piacere era talmente preminente che non mi chiedevo per quale motivo lui fosse portato a farlo.
Tant’è che, ad un certo punto, mi trovai nella condizione di rincarare la dose.
Eravamo in auto ad attendere che i nostri padri uscissero da non so bene quale negozio e lui un attimo prima aveva provato a solleticarmi sotto le ascelle.
“Non sei bravo a fare il solletico - gli avevo detto - Tu mi fai male alle ascelle, non le solletichi!”.
Ero perfettamente consapevole che tra le righe lo stavo sfidando a farmene ancora.
“Perché quando ti tocco tu ti rannicchi e le dita rimangono imprigionate sotto le ascelle, per quello ti faccio male”, aveva risposto.
“Ma non posso fare diversamente, è un riflesso”, avevo spiegato.
Potevo osare un po’ di più? Potevo azzardare quella che era la mia più grande fantasia?
“Se fossi legato non succederebbe”, avevo aggiunto, quasi con indifferenza, mentre il mio cuore accelerava.
Spero che mi crediate, in quel momento non stavo minimamente pensando al sesso, stavo solo pensando che essere legato e torturato era la mia più grande fantasia da anni.
Mi ci masturbavo su quella fantasia, ma non la vedevo come un viatico sessuale, ma solo come qualcosa che mi piaceva.
“Non ho capito vuoi che ti leghi? - mi chiese - Guarda che lo faccio senza problemi”.
Ecco, me l’aveva chiesto. Era lì che volevo arrivare, no?
“Si potrebbe fare”, dissi cercando di ostentare indifferenza. Non volevo capisse quanto ci tenevo.
“Per quanto tempo?”, chiese.
Non avevo idea. Se da una parte il pensiero di essere legato e solleticato mi attraeva, dall’altra non volevo neppure soffrire più di quanto sarei riuscito a sopportare.
“Mezz’ora?”, azzardai.
Lui annuì.
In quel momento tornarono i nostri padri, così interrompemmo la conversazione e ripartimmo con l’auto.
“Dopo pranzo andiamo alla fiera, venite anche voi?”, chiese Umberto un attimo dopo.
“Quanto si dovrebbe stare via?”, domandò Riccardo.
“Non so, ma tra andare, vedere e tornare direi tutto il pomeriggio”.
Io e lui ci guardammo complici: avremmo potuto mettere in pratica il nostro progetto già quel pomeriggio.
“No, rimango a casa a fare i compiti”, rispose.
Ecco, quell’accenno a studiare forse avrebbe potuto far capire a suo padre che si trattava di una balla, ma non fece commento.
Entrambi diedero per scontato che io sarei rimasto con lui e non mi chiesero cosa avrei voluto fare.
Il cuore mi batteva forte e non solo.
Il mio cazzo si irrigidì, segno che il mio corpo sapeva cose che la mia mente ancora non aveva capito.
Quando i nostri genitori partirono per la fiera facemmo passare una decina di minuti, giusto per accertarci che non tornassero indietro a causa di una banale dimenticanza, durante i quali Riccardo si fumò una sigaretta, altro dettaglio di lui del quale i genitori non erano a conoscenza.
“Che dici, te la senti?”, chiese conferma.
Io mi sentivo eccitato e titubante allo stesso tempo.
“Certo”, risposi fingendo tranquillità.
Gettò la sigaretta dalla finestra e ci spostammo nella stanza da letto dei suoi genitori.
“Confermi mezz’ora?”, mi chiese.
Non avevo la minima idea se fosse tanto o poco, però confermai.
“Se però non ce la faccio più te lo dico”, precisai.
“Facciamo così - rilanciò - se tu resisti mezz’ora, per la mezz’ora successiva io sono a tua disposizione; se invece chiedi pietà sarà il contrario”.
“Cosa vuol dire a disposizione?”, domandai.
“Qualunque cosa”, rispose con un sorriso ambiguo.
I segnali di allarme c’erano tutti, ma a quel punto ero troppo eccitato dall’idea di farmi legare che acconsentii.
“Tu spogliati, io vado a prendere qualcosa con cui legarti”, disse allora.
Si spostò nel bagno mentre io mi liberavo della maglietta e dei pantaloncini, rimanendo in mutande.
Facevo bene?
Non è che stavo per fare una cazzata?
Alla fine era un gioco, no?
Mi sdraiai sul letto, forse per impedirmi di cambiare idea, mentre lui rientrava in camera con le cinture degli accappatoi in mano.
“Che cazzo fai?”, mi chiese quando mi vide.
Rimasi senza parole, non capendo il motivo del suo disappunto.
“Togliti ‘ste cazzo di mutande! - mi ordinò indicandole - Così sei ridicolo!”.
Ricordate quando prima dicevo che Riccardo era abituato ad ottenere quello che voleva? Ecco, questa è una dimostrazione.
Mi sfilai subito le mutande, anche se non capivo il motivo per cui, per farmi fare il solletico, avrei dovuto essere completamente nudo.
Riccardo mi prese un polso e lo assicurò all’angolo superiore del letto.
“Secondo te gli inquisitori quando torturavano le vittime gli facevano tenere le mutande?”, mi chiese mentre stringeva il laccio.
Mi legò anche l’altro polso, poi compì la stessa operazione con le caviglie.
Ero legato come una stella e non potevo muovere un muscolo.
Non era strano essere nudo di fronte a lui, ogni sera ci cambiavamo nella stessa stanza, ma essere legato, per di più in quella posizione, mi faceva sentire estremamente vulnerabile.
Riccardo si sedette accanto a me e mi passò la punta dei polpastrelli sul petto, poi guardò l’ora.
Come se un giudice di gara avesse dato lo start con le dita mi attaccò le ascelle.
Istintivamente provai a piegare le braccia, ma i legami mi impedivano di muovermi.
Le sue dita avevano libero accesso alle mie ascelle e il solletico mi sconquassava.
Mi agitavo come un ossesso, ridendo in maniera isterica.
Quando Riccardo sospese il supplizio avevo il fiatone e il cuore batteva forte.
Quanto era passato, due minuti?
Come avrei potuto resistere mezz’ora?
“Direi che le ascelle sono un punto sensibile per te”, disse ridacchiando, poi mi passò una mano aperta sul torace.
Era un tocco leggero, caldo.
Si alzò dal letto e andò nella stanza accanto, dalla quale tornò con in mano una piccola scopa di saggina.
Mi guardò con uno sguardo sadico e la passò sotto la pianta del piede destro.
Un turbine di sensazioni mi attraversò il corpo, mentre la gamba istintivamente provava inutilmente a flettersi per sottrarsi al supplizio.
Una risata incontrollata e incontrollabile uscì dalla mia gola, mentre mi agitavo vanamente.
Riccardo interruppe dopo pochi secondi e ridacchiò: “Sei ancora convinto che non sia capace a farti il solletico?”.
Non attese risposta - non che ce ne fosse bisogno - e spostò la scopettina sul piede sinistro.
Chiusi gli occhi sperando che questo mi consentisse di estraniarmi da quella condizione.
Mi tornò in mente l’immagine che Riccardo stesso aveva evocato poco prima: ero prigioniero degli inquisitori, che mi stavano torturando per conoscere i miei complici, ma dovevo resistere.
La scopa di saggina passò sotto la pianta del piede, il muscolo del polpaccio si contrasse, ma strinsi i denti per non produrmi in una risata sguaiata.
La sofferenza era estrema, ma concentrandomi riuscii a mantenere il controllo.
Almeno credevo.
“Ti sta piacendo, eh!”, commentò Riccardo con un risolino.
Aprii gli occhi e vidi: il cazzo mi si era irrigidito senza che me ne accorgessi.
Non era proprio marmoreo, ma era barzotto e si elevava sul mio corpo come una ciminiera.
Riccardo si protese sopra di me e lo prese in mano.
Nessuno me lo aveva mai toccato, tranne forse il medico.
Solo la mia mano aveva stretto il mio organo, e ora quella di Riccardo.
La fece scorrere avanti e indietro, provocando un ulteriore irrigidimento.
“Riccardo…”, dissi con un fil di voce.
“Se vuoi smetto”, mi disse cominciando a segarmi.
Volevo che smettesse?
Non risposi.
Il movimento era lento e fluido.
Molto piacevole.
Ora il mio organo era della stessa consistenza dell’alabastro e il glande era totalmente scoperto.
Riccardo smise di segarmi e con le dita mi sfiorò il fianco sinistro.
Il brusco cambiamento mi fece sobbalzare - anche perché avevo ancora gli occhi chiusi - e quasi urlai.
“Cazzo fai?”, chiesi, come se non fosse chiaro.
Senza rispondere continuò a solleticarmi sui fianchi e sul torso, provocando uno scoppio di risa.
Mi dimenavo come un’anguilla senza riuscire a sottrarmi al suo tocco.
“Aiuto…muoio!”, urlavo tra le risate.
Le sue dita mi solleticarono l’area attorno all’ombelico per poi risalire sul torace e sul collo.
Inarcai la schiena per provare a depistare le sue frenetiche dita, ma il margine di movimento era troppo ridotto per sortire un effetto.
Mi rassegnai al supplizio, ma fortunatamente dopo alcuni secondi cessò.
Mi abbandonai sul materasso ansimando, e quando ripresi fiato istintivamente guardai veros il mio inguine.
Il mio cazzo era sempre eretto, anche se rispetto a prima aveva perso un po’ di vigore.
Riccardo, forse notando la stessa cosa, lo riprese in mano e ricominciò a segarlo.
Riprese vigore quasi subito.
Meno sorpreso di prima chiusi gli occhi e mi abbandonai alle sensazioni, provando ad immaginare che fosse una ragazza a farlo.
Chi avrei voluto?
Carlotta? Monica? Marta?
Ora era veramente duro, sarei venuto dopo pochi secondi, e Riccardo di nuovo si interruppe.
Questa volta rimasi con gli occhi chiusi, mentre lui - lo avrei capito dopo - stava staccando alcune fibre di saggina dalla scopa.
Ne ricavò un ciuffetto sottile e con quello prese a stimolarmi la zona di pelle attorno al mio scroto.
Non era solletico violento come prima, era come una carezza un po’ urticante, e infatti il mio membro non perse vigore.
Scese sul perineo, poi sfruttando la lunghezza delle saggine andò a stimolarmi l’ano.
Era piacevole, non potevo negarlo.
Emisi un sospiro.
Sentivo il cazzo pulsare come se il cuore si fosse spostato più in basso.
Bramava una mano.
Riccardo poggiò la punta dell’indice sul glande, che era coperto da liquido seminale.
Trattenni il fiato, poi cominciò a farla scorrere.
Era bellissimo e sentivo che ero prossimo a venire.
Il mio corpo lo desiderava tantissimo, ma cosa volevo fare?
“Riccardo…forse è meglio se smetti”, dissi senza guardarlo.
“Non mi sembra ti stia dispiacendo”, rispose senza smettere di passare il dito sulla cappella.
No, non mi stava dispiacendo, ma era un altro ragazzo che mi stava segando.
Significava che ero gay?
Riccardo smise.
“Cosa fai?”, gli domandai.
“Non mi hai chiesto di smettere?”, rispose lui.
Me lo strinse di nuovo. e sospirai.
“Allora che faccio?”, domandò ancora passandomi le dita lungo l’asta.
Cosa volevo?
“Continua”, gli chiesi.
“E tu?”, chiese.
“E io cosa?”.
“Tu farai lo stesso a me?”.
Voleva che lo segassi; pareva equo.
Con la punta delle dita stimolò il mio scroto.
Cazzo se era bravo!
“Allora?”, mi incalzò.
“Va bene”, dissi con un filo di voce,
Sorrise e mi afferrò nuovamente il cazzo.
Paradossalmente, ora che sapevo cosa stava per capitare mi rilassai di più.
Strinse le dita attorno alla mia asta e prese a segarmi lentamente.
Ero eccitatissimo, sapevo che sarei durato molto poco.
Per un attimo ancora pensai che ero in tempo per farlo smettere, poi venni.
Il getto di sperma mi colpì il torace e l’eiaculazione durò parecchi secondi.
Riccardo mollò il mio cazzo e attese che il flusso di sperma terminasse.
“Ora tocca a me”, disse slegandomi i polsi.