Esperienza reale L'amico di famiglia

Alex666

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Faccio subito una premessa: questo è un racconto vero, e di conseguenza non è solo costituito da sesso ed eros, ma anche da altre dinamiche.
Forse non è inevitabile, ma a me piace sempre spiegare come e perché capitano certe cose, soprattutto quando in ambito sessuale si devia dal mainstream.
Per questo motivo chi nei racconti cerca sesso e scopate forse sarà deluso, e per questo ritengo corretto avvisare in partenza.
Gli altri, invece, possono continuare la lettura e spero godersela.

C’erano due amici, Umberto e Francesco.
Umberto era un piccolo imprenditore, la sua famiglia possedeva un mobilificio, Francesco era un impiegato.
Non c’era un abisso economico tra i due - non voglio tratteggiare una storia come Il principe e il povero, non sarebbe onesto - però c'erano delle differenze.
Umberto cambiava l’auto quando si stancava di quella precedente, Francesco aspettava che la sua percorresse l’ultimo chilometro prima di rottamarla.
Però non faceva mancare nulla alla sua famiglia ed io, che sono il figlio di Francesco, posso testimoniare come in casa nostra si mangiasse sempre bene e come ogni anno facessimo le vacanze.
Ecco, parliamo appunto di vacanze.
Quell’anno le due famiglie decisero di trascorrere le ferie assieme, circostanza agevolata dal fatto che anche le due mogli andassero d’accordo e che i due figli fossero anche loro amici.
Uno dei due figli ero io, come detto, l’altro si chiamava Riccardo e aveva due anni più di me.
Ad essere onesti non eravamo proprio amici. Andavamo d’accordo, quello sì, ma l’amicizia era una cosa diversa, e mi sento di dire che responsabile di questa distanza tra noi era soprattutto lui.
Benché non fossimo coetanei frequentavamo entrambi la stessa classe - anche se in scuole diverse - giacché Riccardo era riuscito a farsi bocciare una volta alle medie e un’altra al primo anno di superiori.
Pur non essendo un genio non era neppure stupido, semplicemente non aveva voglia di studiare (chi ne ha?) e soprattutto non aveva nessuno che lo spronasse a farlo.
I genitori erano convinti che la sorte del figlio sarebbe stata comunque l’azienda di famiglia e vedevano la scuola come un passaggio necessario per prendere un diploma e poi accantonarlo; lui non aveva neppure quello stimolo.
Era abituato a ottenere quello che voleva senza alcuno sforzo, e anche il diploma rientrava per lui in quella casistica.
Ma torniamo alle vacanze.
Quell’anno le due famiglie decisero di affittare una piccola casa nelle Marche; non era grande, ma vi era una stanza matrimoniale per i miei, una per Umberto e sua moglie e un’altra con due letti singoli per me e Riccardo.
Io all’epoca non avevo una ragazza e non ne avevo mai avuta una: ero molto timido e l’approccio con l’altro sesso era ancora un mistero; Riccardo invece diceva di stare con Anna.
Ho scritto “diceva” e non “stava con” poiché conoscevo questa Anna e mi risultava stesse con un altro.
Fossi stato un po’ più malizioso, o forse anche solo un po’ più maturo, avrei inoltre capito che la relazione con Anna non poteva esistere soprattutto poiché Riccardo era omosessuale.
Nel corso della sua vita si sarebbe dimostrato più incline alla bisessualità, ma in quel momento era evidente come fosse interessato soprattutto ai ragazzi, o forse semplicemente questi diventavano la sua unica opzione dal momento che le ragazze non lo consideravano.
Era un bel ragazzo, ma evidentemente il gentil sesso - a differenza mia - avvertiva questa sua ambiguità sessuale.
E con me, come si relazionava?
Con me allungava le mani, anche se non in maniera eccessiva, forse anche per timore di essere respinto; di fatto faceva quello che alcuni adolescenti fanno con le ragazze quando vogliono un contatto fisico: mi faceva il solletico.
Poco male, ma c’era un problema: a me piaceva - e piace tutt’ora - soffrire.
Sono un masochista, questo l’ho imparato nel tempo, e anche se all’epoca non sapevo dare un nome a questa attitudine, di fatto registravo che quando mi faceva il solletico da un lato soffrivo, ma dall’altro mi piaceva.
Questo purtroppo costituì per me in quel momento una sorta di droga mentale: gradivo che mi facesse il solletico, e il piacere era talmente preminente che non mi chiedevo per quale motivo lui fosse portato a farlo.
Tant’è che, ad un certo punto, mi trovai nella condizione di rincarare la dose.
Eravamo in auto ad attendere che i nostri padri uscissero da non so bene quale negozio e lui un attimo prima aveva provato a solleticarmi sotto le ascelle.
“Non sei bravo a fare il solletico - gli avevo detto - Tu mi fai male alle ascelle, non le solletichi!”.
Ero perfettamente consapevole che tra le righe lo stavo sfidando a farmene ancora.
“Perché quando ti tocco tu ti rannicchi e le dita rimangono imprigionate sotto le ascelle, per quello ti faccio male”, aveva risposto.
“Ma non posso fare diversamente, è un riflesso”, avevo spiegato.
Potevo osare un po’ di più? Potevo azzardare quella che era la mia più grande fantasia?
“Se fossi legato non succederebbe”, avevo aggiunto, quasi con indifferenza, mentre il mio cuore accelerava.
Spero che mi crediate, in quel momento non stavo minimamente pensando al sesso, stavo solo pensando che essere legato e torturato era la mia più grande fantasia da anni.
Mi ci masturbavo su quella fantasia, ma non la vedevo come un viatico sessuale, ma solo come qualcosa che mi piaceva.
“Non ho capito vuoi che ti leghi? - mi chiese - Guarda che lo faccio senza problemi”.
Ecco, me l’aveva chiesto. Era lì che volevo arrivare, no?
“Si potrebbe fare”, dissi cercando di ostentare indifferenza. Non volevo capisse quanto ci tenevo.
“Per quanto tempo?”, chiese.
Non avevo idea. Se da una parte il pensiero di essere legato e solleticato mi attraeva, dall’altra non volevo neppure soffrire più di quanto sarei riuscito a sopportare.
“Mezz’ora?”, azzardai.
Lui annuì.
In quel momento tornarono i nostri padri, così interrompemmo la conversazione e ripartimmo con l’auto.
“Dopo pranzo andiamo alla fiera, venite anche voi?”, chiese Umberto un attimo dopo.
“Quanto si dovrebbe stare via?”, domandò Riccardo.
“Non so, ma tra andare, vedere e tornare direi tutto il pomeriggio”.
Io e lui ci guardammo complici: avremmo potuto mettere in pratica il nostro progetto già quel pomeriggio.
“No, rimango a casa a fare i compiti”, rispose.
Ecco, quell’accenno a studiare forse avrebbe potuto far capire a suo padre che si trattava di una balla, ma non fece commento.
Entrambi diedero per scontato che io sarei rimasto con lui e non mi chiesero cosa avrei voluto fare.
Il cuore mi batteva forte e non solo.
Il mio cazzo si irrigidì, segno che il mio corpo sapeva cose che la mia mente ancora non aveva capito.

Quando i nostri genitori partirono per la fiera facemmo passare una decina di minuti, giusto per accertarci che non tornassero indietro a causa di una banale dimenticanza, durante i quali Riccardo si fumò una sigaretta, altro dettaglio di lui del quale i genitori non erano a conoscenza.
“Che dici, te la senti?”, chiese conferma.
Io mi sentivo eccitato e titubante allo stesso tempo.
“Certo”, risposi fingendo tranquillità.
Gettò la sigaretta dalla finestra e ci spostammo nella stanza da letto dei suoi genitori.
“Confermi mezz’ora?”, mi chiese.
Non avevo la minima idea se fosse tanto o poco, però confermai.
“Se però non ce la faccio più te lo dico”, precisai.
“Facciamo così - rilanciò - se tu resisti mezz’ora, per la mezz’ora successiva io sono a tua disposizione; se invece chiedi pietà sarà il contrario”.
“Cosa vuol dire a disposizione?”, domandai.
“Qualunque cosa”, rispose con un sorriso ambiguo.
I segnali di allarme c’erano tutti, ma a quel punto ero troppo eccitato dall’idea di farmi legare che acconsentii.
“Tu spogliati, io vado a prendere qualcosa con cui legarti”, disse allora.
Si spostò nel bagno mentre io mi liberavo della maglietta e dei pantaloncini, rimanendo in mutande.
Facevo bene?
Non è che stavo per fare una cazzata?
Alla fine era un gioco, no?
Mi sdraiai sul letto, forse per impedirmi di cambiare idea, mentre lui rientrava in camera con le cinture degli accappatoi in mano.
“Che cazzo fai?”, mi chiese quando mi vide.
Rimasi senza parole, non capendo il motivo del suo disappunto.
“Togliti ‘ste cazzo di mutande! - mi ordinò indicandole - Così sei ridicolo!”.
Ricordate quando prima dicevo che Riccardo era abituato ad ottenere quello che voleva? Ecco, questa è una dimostrazione.
Mi sfilai subito le mutande, anche se non capivo il motivo per cui, per farmi fare il solletico, avrei dovuto essere completamente nudo.
Riccardo mi prese un polso e lo assicurò all’angolo superiore del letto.
“Secondo te gli inquisitori quando torturavano le vittime gli facevano tenere le mutande?”, mi chiese mentre stringeva il laccio.
Mi legò anche l’altro polso, poi compì la stessa operazione con le caviglie.
Ero legato come una stella e non potevo muovere un muscolo.
Non era strano essere nudo di fronte a lui, ogni sera ci cambiavamo nella stessa stanza, ma essere legato, per di più in quella posizione, mi faceva sentire estremamente vulnerabile.
Riccardo si sedette accanto a me e mi passò la punta dei polpastrelli sul petto, poi guardò l’ora.
Come se un giudice di gara avesse dato lo start con le dita mi attaccò le ascelle.
Istintivamente provai a piegare le braccia, ma i legami mi impedivano di muovermi.
Le sue dita avevano libero accesso alle mie ascelle e il solletico mi sconquassava.
Mi agitavo come un ossesso, ridendo in maniera isterica.
Quando Riccardo sospese il supplizio avevo il fiatone e il cuore batteva forte.
Quanto era passato, due minuti?
Come avrei potuto resistere mezz’ora?
“Direi che le ascelle sono un punto sensibile per te”, disse ridacchiando, poi mi passò una mano aperta sul torace.
Era un tocco leggero, caldo.
Si alzò dal letto e andò nella stanza accanto, dalla quale tornò con in mano una piccola scopa di saggina.
Mi guardò con uno sguardo sadico e la passò sotto la pianta del piede destro.
Un turbine di sensazioni mi attraversò il corpo, mentre la gamba istintivamente provava inutilmente a flettersi per sottrarsi al supplizio.
Una risata incontrollata e incontrollabile uscì dalla mia gola, mentre mi agitavo vanamente.
Riccardo interruppe dopo pochi secondi e ridacchiò: “Sei ancora convinto che non sia capace a farti il solletico?”.
Non attese risposta - non che ce ne fosse bisogno - e spostò la scopettina sul piede sinistro.
Chiusi gli occhi sperando che questo mi consentisse di estraniarmi da quella condizione.
Mi tornò in mente l’immagine che Riccardo stesso aveva evocato poco prima: ero prigioniero degli inquisitori, che mi stavano torturando per conoscere i miei complici, ma dovevo resistere.
La scopa di saggina passò sotto la pianta del piede, il muscolo del polpaccio si contrasse, ma strinsi i denti per non produrmi in una risata sguaiata.
La sofferenza era estrema, ma concentrandomi riuscii a mantenere il controllo.
Almeno credevo.
“Ti sta piacendo, eh!”, commentò Riccardo con un risolino.
Aprii gli occhi e vidi: il cazzo mi si era irrigidito senza che me ne accorgessi.
Non era proprio marmoreo, ma era barzotto e si elevava sul mio corpo come una ciminiera.
Riccardo si protese sopra di me e lo prese in mano.
Nessuno me lo aveva mai toccato, tranne forse il medico.
Solo la mia mano aveva stretto il mio organo, e ora quella di Riccardo.
La fece scorrere avanti e indietro, provocando un ulteriore irrigidimento.
“Riccardo…”, dissi con un fil di voce.
“Se vuoi smetto”, mi disse cominciando a segarmi.
Volevo che smettesse?
Non risposi.
Il movimento era lento e fluido.
Molto piacevole.
Ora il mio organo era della stessa consistenza dell’alabastro e il glande era totalmente scoperto.
Riccardo smise di segarmi e con le dita mi sfiorò il fianco sinistro.
Il brusco cambiamento mi fece sobbalzare - anche perché avevo ancora gli occhi chiusi - e quasi urlai.
“Cazzo fai?”, chiesi, come se non fosse chiaro.
Senza rispondere continuò a solleticarmi sui fianchi e sul torso, provocando uno scoppio di risa.
Mi dimenavo come un’anguilla senza riuscire a sottrarmi al suo tocco.
“Aiuto…muoio!”, urlavo tra le risate.
Le sue dita mi solleticarono l’area attorno all’ombelico per poi risalire sul torace e sul collo.
Inarcai la schiena per provare a depistare le sue frenetiche dita, ma il margine di movimento era troppo ridotto per sortire un effetto.
Mi rassegnai al supplizio, ma fortunatamente dopo alcuni secondi cessò.
Mi abbandonai sul materasso ansimando, e quando ripresi fiato istintivamente guardai veros il mio inguine.
Il mio cazzo era sempre eretto, anche se rispetto a prima aveva perso un po’ di vigore.
Riccardo, forse notando la stessa cosa, lo riprese in mano e ricominciò a segarlo.
Riprese vigore quasi subito.
Meno sorpreso di prima chiusi gli occhi e mi abbandonai alle sensazioni, provando ad immaginare che fosse una ragazza a farlo.
Chi avrei voluto?
Carlotta? Monica? Marta?
Ora era veramente duro, sarei venuto dopo pochi secondi, e Riccardo di nuovo si interruppe.
Questa volta rimasi con gli occhi chiusi, mentre lui - lo avrei capito dopo - stava staccando alcune fibre di saggina dalla scopa.
Ne ricavò un ciuffetto sottile e con quello prese a stimolarmi la zona di pelle attorno al mio scroto.
Non era solletico violento come prima, era come una carezza un po’ urticante, e infatti il mio membro non perse vigore.
Scese sul perineo, poi sfruttando la lunghezza delle saggine andò a stimolarmi l’ano.
Era piacevole, non potevo negarlo.
Emisi un sospiro.
Sentivo il cazzo pulsare come se il cuore si fosse spostato più in basso.
Bramava una mano.
Riccardo poggiò la punta dell’indice sul glande, che era coperto da liquido seminale.
Trattenni il fiato, poi cominciò a farla scorrere.
Era bellissimo e sentivo che ero prossimo a venire.
Il mio corpo lo desiderava tantissimo, ma cosa volevo fare?
“Riccardo…forse è meglio se smetti”, dissi senza guardarlo.
“Non mi sembra ti stia dispiacendo”, rispose senza smettere di passare il dito sulla cappella.
No, non mi stava dispiacendo, ma era un altro ragazzo che mi stava segando.
Significava che ero gay?
Riccardo smise.
“Cosa fai?”, gli domandai.
“Non mi hai chiesto di smettere?”, rispose lui.
Me lo strinse di nuovo. e sospirai.
“Allora che faccio?”, domandò ancora passandomi le dita lungo l’asta.
Cosa volevo?
“Continua”, gli chiesi.
“E tu?”, chiese.
“E io cosa?”.
“Tu farai lo stesso a me?”.
Voleva che lo segassi; pareva equo.
Con la punta delle dita stimolò il mio scroto.
Cazzo se era bravo!
“Allora?”, mi incalzò.
“Va bene”, dissi con un filo di voce,
Sorrise e mi afferrò nuovamente il cazzo.
Paradossalmente, ora che sapevo cosa stava per capitare mi rilassai di più.
Strinse le dita attorno alla mia asta e prese a segarmi lentamente.
Ero eccitatissimo, sapevo che sarei durato molto poco.
Per un attimo ancora pensai che ero in tempo per farlo smettere, poi venni.
Il getto di sperma mi colpì il torace e l’eiaculazione durò parecchi secondi.
Riccardo mollò il mio cazzo e attese che il flusso di sperma terminasse.
“Ora tocca a me”, disse slegandomi i polsi.
 

Losdeotilla

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Mi pulii con un fazzoletto di carta che per fortuna trovai sul comodino mentre lui si spogliava e si sdraiava dove fino ad un attimo prima c’ero stato io.
Il suo cazzo, pur turgido, non era eretto.
Mi misi in ginocchio e allungai la mano verso il suo membro.
Non avevo mai toccato un cazzo che non fosse il mio, ero un po’ titubante.
Lo strinsi nella mano e lo sentii subito reagire.
Cominciai a segarlo.
Lui teneva gli occhi chiusi, gli passai una mano sulla pancia e gli strappai un sospiro.
Non avevo mai segato un altro ragazzo, ma l’avevo fatto diverse volte su me stesso, quindi applicai su di lui la medesima tecnica.
A me piaceva - e piace tutt’ora - un movimento lento e ampio, così feci lo stesso su di lui.
Evidentemente era anche di suo gradimento, perché lo sentii ulteriormente indurirsi.
Mentre lo segavo avevo tanti pensieri.
Cosa significava tutto ciò?
Ero omosessuale?
Lui mi aveva masturbato mentre ero legato, non avrei potuto oppormi.
Ma in quel momento? Avrei potuto smettere di toccarlo, nessuno mi stava obbligando; però gli avevo promesso che lo avrei fatto.
Interruppi queste mie elucubrazioni notando come, da eretto, il suo membro fosse molto più grosso del mio.
Anche questa per me era un’esperienza nuova: se in piscina e palestra un po’ di cazzi molli li avevo visti, era per me la prima volta che ne vedevo uno duro.
Qualche film e foto porno li avevo visti, ma sapevo che non erano realistici e non dovevo farmi influenzare, però lui - pur non raggiungendo le eccellenze dei porno attori - era grosso circa il doppio di me.
Teneva gli occhi chiusi e si godeva il momento, io ero sulle spine.
Se fossero tornati i nostri genitori?
In camera non c’erano orologi e non avevo idea di quanto a lungo stesse durando tutta quella situazione; a sensazione avrei detto da non più di un’ora, ma sapevo di essere stato a lungo estraniato dalla realtà.
Riccardo allungò la mano e cercò il mio cazzo.
Ora non sortirebbe nessun effetto, ma in quegli anni, nonostante fossi appena venuto, il suo tocco me lo fece nuovamente irrigidire.
Mi concentrai su di lui.
Lo sentivo pulsare nella mia mano, era caldo e incredibilmente duro.
Gli scoprii la cappella, cercando di passargli la mano lungo tutta l’asta.
Volevo baciarglielo?
Non mi sentivo ancora pronto.
Un gemito più acuto mi fece capire che avevo trovato la giusta maniera per fargli piacere, così continuai.
Con la mano sinistra me lo stringeva forsennatamente, ma evidentemente era più concentrato su se stesso per pensare a me e oltre a stringerlo non fece nulla.
Quando venne il fiotto di sperma gli arrivò fino alla base del collo e gli colò sullo sterno.
Allentò la presa dal mio pene.
“Rivestiamoci prima che tornino e ci becchino così”, dissi.
 
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Eravamo a quel punto circa a metà vacanza e quell’episodio - come prevedibile - condizionò fortemente i dieci giorni successivi, agevolato anche dalla logistica della casa.
I miei e i suoi genitori disponevano di una stanza con letto matrimoniale a coppia, Riccardo ed io eravamo sistemati in una piccola stanza con due letti singoli.
Ho specificato che la stanza era piccola per spiegare come il mio e il suo letto, addossati lungo due pareti opposte, di fatto erano distanziati tra loro da circa un metro, forse anche meno, e così la sera, dopo che ognuno aveva guadagnato la sua stanza, era piuttosto agevole passare da un letto all’altro.
Era agosto, dormivamo solo in mutande, e di conseguenza non ci voleva molto a trovarci entrambi nudi.
Ci sdraiavamo senza vestiti uno accanto all’altro e ci segavamo vicendevolmente, spesso in silenzio, talvolta aggiungendo qualcosa al mero atto sessuale.
L’episodio che sto raccontando avveniva ad agosto, il mese precedente ero andato una settimana al mare con i miei compagni di scuola e avevo portato con me alcune foto - rigorosamente cartacee - scattate in quella breve vacanza, e nei giorni passati le avevo fatte vedere a Riccardo, anche se sommariamente.
Una sera, sdraiato accanto a me, mi chiese di rivederle.
Le recuperai e alla luce di una piccola lucetta da comodino le sfogliammo assieme.
Riccardo fece scorrere rapidamente quelle che ritraevano tavolate imbandite e paesaggi marini e si soffermò quando arrivarono le foto delle ragazze.
La prima ritraeva una mia compagna sdraiata al sole con un bikini rosso.
Era molto magra e la foto era stata scattata i primi giorni, quando ancora il sole non le aveva brunito la pelle.
Teneva le gambe divaricate e attraverso la stoffa degli slip era ben visibile la forma della figa, quello che oggi si chiama camel toe e che all’epoca non aveva una definizione.
Mi prese la mano e la portò sul suo cazzo.
“Chi è sta maiala?”, mi chiese.
“Monica”, risposi.
“Lo vedi come si mette sta porca?”.
Me ne ero accorto già in spiaggia, e difatti le avevo scattato la foto solo per quel motivo.
“Sì”, risposi, mentre il suo cazzo si irrigidiva tra le mie dita.
“Una si mette così solo se vuole farsi guardare la figa”, proseguì.
Non ero così sicuro che se ne fosse accorta e glielo dissi.
“Ma che dici? - ribattè - Lo vedi come tiene le gambe larghe? Che altro motivo ci sarebbe?”.
Presi a segarlo lentamente ed emise un sospiro.
Voltò la pagina, dove c’era un’altra foto.
In questa c’era Marta, sempre in costume, presa dall’alto in modo da inquadrare bene la sua quinta di seno.
“Mmmmm, che bella questa! Quanto vorrei strapparle quel reggiseno!”.
Aumentai la frequenza.
Passò alla foto successiva.
Vi erano due ragazze identiche che sorridevano all’obiettivo cingendosi la vita vicendevolmente.
“Chi sono ‘ste troie? Sono gemelle?”.
“Sì”, risposi.
Sospirò ancora.
“Cazzo quante fantasie mi fanno venire! E poi guarda….”.
Avevo già notato quello a cui si riferiva.
La foto era stata scattata appena uscite dall’acqua e i capezzoli di entrambe erano ben visibili attraverso la stoffa del reggiseno.
Un po’ meno in quello di Gabriella, che indossava un bikini fucsia, ma erano ben evidenti in quello di Carlotta, con il costume bianco.
In quest’ultimo caso la mutandina bianca mostrava in maniera leggera anche la peluria della figa.
Era la prima volta che indossava quel costume e ancora non si era accorta di quel problema, non l’avrebbe più messo, almeno in quella vacanza, il che rendeva quella foto un pezzo unico.
Strinsi il cazzo di Riccardo, che era durissimo.
“Dimmi qualcosa su di loro!”, mi esortò.
Ora anche io ero duro.
“Sembra che si divertano con carote e zucchine”, riferii.
“Lo sapevo che erano due troie!”, disse, e venne.
Ancora non sapevo che Gabriella qualche anno dopo sarebbe stata la prima ragazza a farmi un pompino - a me e ad un amico a dire il vero - e che Carlotta sarebbe diventata la mia compagna di vita.
Venni anche io immaginando le due gemelle che lesbicavano.
 
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Alex666

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Nei giorni successivi ci segammo vicendevolmente ancora qualche volta, talvolta guardando le foto ma anche senza.
Sarei bugiardo se non dicessi che la situazione mi turbava parecchio: io - che non avevo mai avuto una ragazza - ora stavo imbastendo una specie di relazione con un ragazzo.
Non ci baciavamo, non c’era nessuna tenerezza tra di noi, neppure un abbraccio, però ovviamente una parte di me si chiedeva se non mi trovassi di fronte all’evidenza di essere omosessuale.
Però, d’altra parte, era vero che gli uomini non mi piacevano: non capitava mai per strada di indugiare con lo sguardo su un altro ragazzo, cosa che invece facevo con le ragazze.
Se in spiaggia vedevo una tipa formosa non toglievo mai lo sguardo da lei, e se per caso ne individuavo qualcuna in topless dovevo fare attenzione a non avere un’erezione in pubblico, però non potevo ignorare il fatto che la sera mi togliessi i vestiti per lui e gli afferrassi il cazzo.
A porre fine ai miei turbamenti arrivò la fine delle vacanze e il rientro a scuola.
Avevo bisogno di rinfrancare la mia parte eterosessuale, così ci provai con una mia compagna di classe, Tiziana.
La scelsi solo perché era bruttina e non aveva un ragazzo, presupposti che credevo l’avrebbero spinta a dirmi di sì senza indugi, e invece mi rifilò la solita frase secondo la quale mi voleva bene ma non le interessavo come fidanzato.
Questo mi gettò ancora di più nello sconforto: non mi sembrava di essere brutto, facevo atletica e avevo un bel fisico, eppure neppure la cessa della classe era interessata a me.
Che si vedesse che ero omosessuale?
A fine ottobre vidi nuovamente Riccardo, a casa sua.
Mi aveva convocato il giorno prima con una telefonata molto scarna: “Domani inventa una scusa con i tuoi genitori e vieni da me”.
Avevo finto di andare a studiare da un amico ed ero andato a casa sua, che si trovava a qualche centinaio di metri dalla mia.
Tra le nostre famiglie c’era una certa differenza di ceto ma non così abissale da impedirci di abitare nello stesso quartiere.
Come ho raccontato all’inizio i suoi genitori avevano un negozio e quindi non rientravano mai prima di sera, e probabilmente anche questo era tra le cause del cattivo andamento scolastico del figlio, che in pratica non aveva nessuno che lo controllasse.
Come ebbi modo di constatare sulla mia pelle - in questo caso letteralmente - anche questo era tra i motivi per cui mi trovavo a casa sua: i suoi genitori avevano avuto un incontro con i suoi professori, i quali avevano loro detto, senza girarci attorno, che Riccardo era uno scansafatiche.
Erano tornati a casa ed erano andati in scontro con lui, lamentandosi che il suo rendimento scolastico fosse sempre pessimo e non, ad esempio, come il mio.
Forse un altro avrebbe reagito a questa osservazione dei genitori impegnandosi di più o forse ammettendo di non essere tagliato per lo studio, lui invece pensò che la cosa giusta fosse punire me, “colpevole” di andare bene a scuola.
Aveva senso tutto ciò?
Nulla, ma con la stessa logica secondo la quale il bullo quando è incazzato picchia la sua vittima, io a quel punto dovevo soffrire.
E a pensarci bene, cosa c’era di meglio che sfogare la rabbia verso uno che non opponeva resistenza o che, per di più, gradiva?
E così, se durante il nostro primo incontro il fatto di legarmi e solleticarmi era stato essenzialmente un mezzo per arrivare al sesso, da quel momento in poi diventò il fine principale.
Durante quella sessione venni solleticato per oltre un’ora (vi invito a provarci per capire quanto sia pesante), e per finire con una candela mi rovesciò della cera fusa su capezzoli, ombelico e pancia.
Provò a farlo anche sul cazzo, ma gli chiesi di non farlo, e stranamente acconsentì.
Passata la sfuriata violenta, sempre senza slegarmi me lo prese in mano e lentamente mi segò, provocandomi una venuta molto copiosa e soddisfacente, poi una volta libero feci lo stesso con lui.
Dopo le seghe sembrava un altro: mi chiese se aveva esagerato e io gli dissi di no, anche se ero ancora debilitato.
Tornai a caso, presagendo che non sarebbe stata l’ultima volta, e difatti non mi sbagliavo.
Ora non starò a raccontare nei dettagli tutti gli incontri, che furono una mezza dozzina e che per sommi capi si somigliarono tutti tra loro: prima mi torturava, poi ci segavamo.
Devo riconoscere che, volta dopo volta, la sua tecnica si affinava, sia per la prima che per la seconda cosa; da parte mia provavo sempre meno imbarazzo se, nel durante, avevo un’erezione.
Fu già durante la sessione successiva alla prima che mi fece colare la cera sul cazzo, nonostante lo supplicassi di non farlo.
Prese una grossa candela e, goccia dopo goccia, mi coprì completamente il cazzo.
Devo dire, la sofferenza vera non fu tanto costituita dalla cera calda che colava sui genitali (e comunque non era un piacere), quanto dal toglierla.
Non ero depilato e la cera raffreddandosi era diventata un corpo solo con i miei peli pubici, e Riccardo non potè far altro che strapparli via, oltre tutto lentamente.
Quando terminò avevo le lacrime agli occhi.
Un’altra volta capitò un imprevisto che avrebbe potuto diventare spiacevole.
Ero come sempre legato e mi stava facendo il solletico con una specie di spazzola, quando sentimmo il rumore della porta di ingresso che si apriva.
Prudentemente aveva chiuso anche con la catena, che si tese ed impedì alla porta di spalancarsi.
“Riccardo! Apri la porta, sono nonna!”.
Riccardo, che era in mutande, si rivestì rapidamente, poi, incalzato dalla nonna che ancora strepitava, lasciò la stanza chiudendo la porta dietro alle spalle.
Io, legato, nudo e con il cazzo eretto, dietro alla porta capii cosa stava capitando: Riccardo il giorno dopo avrebbe avuto un’interrogazione di francese e la nonna, essendo di madre lingua, era stata precettata per seguirlo.
Non so quanto durò la lezione, ma penso più di un’ora, che fu per me molto impegnativa.
Certamente dal punto di vista fisico, visto che quando era arrivata la nonna ero già legato da un po’ e quindi protrassi la mia immobilità per un’altra ora, ma anche dal punto di vista emotivo.
Cosa sarebbe successo se l’anziana avesse aperto la porta e mi avesse trovato in quello stato?
Lei mi conosceva e conosceva mio padre, sarebbe stata una tragedia.
In almeno un paio di occasioni sentii la sua voce avvicinarsi alla porta, salvo poi allontanarsi nuovamente, ma rischiai l’infarto ogni volta.
Finalmente Riccardo riuscì ad imparare la lezione e la nonna tornò a casa sua.
Quando aprì la porta ero furioso.
Porca troia, ti rendi conto di quello che mi hai fatto passare? - lo aggredii verbalmente - Ci è mancato niente che entrasse in camera!”.
“Non sapevo sarebbe venuta”, si giustificò.
“Esticazzi, tanto ero io quello nudo come un verme! Liberami ora, che me ne vado!”.
Si sedette accanto a me e mi passò una mano sul torace.
“Cosa stai facendo?”, gli chiesi.
Non rispose, ma continuò a toccarmi.
Aveva una mano calda, molto delicata.
Il cazzo mi si drizzò nuovamente.
“Oggi non dovrai fare nulla - mi disse mentre lo impugnava - Offre la casa”.
Ero incazzato, ma sapevo anche che mi sarebbe piaciuto e che ero lì anche per quello.
Chiusi gli occhi e lo feci fare.
 

sormarco

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taranto
Nei giorni successivi ci segammo vicendevolmente ancora qualche volta, talvolta guardando le foto ma anche senza.
Sarei bugiardo se non dicessi che la situazione mi turbava parecchio: io - che non avevo mai avuto una ragazza - ora stavo imbastendo una specie di relazione con un ragazzo.
Non ci baciavamo, non c’era nessuna tenerezza tra di noi, neppure un abbraccio, però ovviamente una parte di me si chiedeva se non mi trovassi di fronte all’evidenza di essere omosessuale.
Però, d’altra parte, era vero che gli uomini non mi piacevano: non capitava mai per strada di indugiare con lo sguardo su un altro ragazzo, cosa che invece facevo con le ragazze.
Se in spiaggia vedevo una tipa formosa non toglievo mai lo sguardo da lei, e se per caso ne individuavo qualcuna in topless dovevo fare attenzione a non avere un’erezione in pubblico, però non potevo ignorare il fatto che la sera mi togliessi i vestiti per lui e gli afferrassi il cazzo.
A porre fine ai miei turbamenti arrivò la fine delle vacanze e il rientro a scuola.
Avevo bisogno di rinfrancare la mia parte eterosessuale, così ci provai con una mia compagna di classe, Tiziana.
La scelsi solo perché era bruttina e non aveva un ragazzo, presupposti che credevo l’avrebbero spinta a dirmi di sì senza indugi, e invece mi rifilò la solita frase secondo la quale mi voleva bene ma non le interessavo come fidanzato.
Questo mi gettò ancora di più nello sconforto: non mi sembrava di essere brutto, facevo atletica e avevo un bel fisico, eppure neppure la cessa della classe era interessata a me.
Che si vedesse che ero omosessuale?
A fine ottobre vidi nuovamente Riccardo, a casa sua.
Mi aveva convocato il giorno prima con una telefonata molto scarna: “Domani inventa una scusa con i tuoi genitori e vieni da me”.
Avevo finto di andare a studiare da un amico ed ero andato a casa sua, che si trovava a qualche centinaio di metri dalla mia.
Tra le nostre famiglie c’era una certa differenza di ceto ma non così abissale da impedirci di abitare nello stesso quartiere.
Come ho raccontato all’inizio i suoi genitori avevano un negozio e quindi non rientravano mai prima di sera, e probabilmente anche questo era tra le cause del cattivo andamento scolastico del figlio, che in pratica non aveva nessuno che lo controllasse.
Come ebbi modo di constatare sulla mia pelle - in questo caso letteralmente - anche questo era tra i motivi per cui mi trovavo a casa sua: i suoi genitori avevano avuto un incontro con i suoi professori, i quali avevano loro detto, senza girarci attorno, che Riccardo era uno scansafatiche.
Erano tornati a casa ed erano andati in scontro con lui, lamentandosi che il suo rendimento scolastico fosse sempre pessimo e non, ad esempio, come il mio.
Forse un altro avrebbe reagito a questa osservazione dei genitori impegnandosi di più o forse ammettendo di non essere tagliato per lo studio, lui invece pensò che la cosa giusta fosse punire me, “colpevole” di andare bene a scuola.
Aveva senso tutto ciò?
Nulla, ma con la stessa logica secondo la quale il bullo quando è incazzato picchia la sua vittima, io a quel punto dovevo soffrire.
E a pensarci bene, cosa c’era di meglio che sfogare la rabbia verso uno che non opponeva resistenza o che, per di più, gradiva?
E così, se durante il nostro primo incontro il fatto di legarmi e solleticarmi era stato essenzialmente un mezzo per arrivare al sesso, da quel momento in poi diventò il fine principale.
Durante quella sessione venni solleticato per oltre un’ora (vi invito a provarci per capire quanto sia pesante), e per finire con una candela mi rovesciò della cera fusa su capezzoli, ombelico e pancia.
Provò a farlo anche sul cazzo, ma gli chiesi di non farlo, e stranamente acconsentì.
Passata la sfuriata violenta, sempre senza slegarmi me lo prese in mano e lentamente mi segò, provocandomi una venuta molto copiosa e soddisfacente, poi una volta libero feci lo stesso con lui.
Dopo le seghe sembrava un altro: mi chiese se aveva esagerato e io gli dissi di no, anche se ero ancora debilitato.
Tornai a caso, presagendo che non sarebbe stata l’ultima volta, e difatti non mi sbagliavo.
Ora non starò a raccontare nei dettagli tutti gli incontri, che furono una mezza dozzina e che per sommi capi si somigliarono tutti tra loro: prima mi torturava, poi ci segavamo.
Devo riconoscere che, volta dopo volta, la sua tecnica si affinava, sia per la prima che per la seconda cosa; da parte mia provavo sempre meno imbarazzo se, nel durante, avevo un’erezione.
Fu già durante la sessione successiva alla prima che mi fece colare la cera sul cazzo, nonostante lo supplicassi di non farlo.
Prese una grossa candela e, goccia dopo goccia, mi coprì completamente il cazzo.
Devo dire, la sofferenza vera non fu tanto costituita dalla cera calda che colava sui genitali (e comunque non era un piacere), quanto dal toglierla.
Non ero depilato e la cera raffreddandosi era diventata un corpo solo con i miei peli pubici, e Riccardo non potè far altro che strapparli via, oltre tutto lentamente.
Quando terminò avevo le lacrime agli occhi.
Un’altra volta capitò un imprevisto che avrebbe potuto diventare spiacevole.
Ero come sempre legato e mi stava facendo il solletico con una specie di spazzola, quando sentimmo il rumore della porta di ingresso che si apriva.
Prudentemente aveva chiuso anche con la catena, che si tese ed impedì alla porta di spalancarsi.
“Riccardo! Apri la porta, sono nonna!”.
Riccardo, che era in mutande, si rivestì rapidamente, poi, incalzato dalla nonna che ancora strepitava, lasciò la stanza chiudendo la porta dietro alle spalle.
Io, legato, nudo e con il cazzo eretto, dietro alla porta capii cosa stava capitando: Riccardo il giorno dopo avrebbe avuto un’interrogazione di francese e la nonna, essendo di madre lingua, era stata precettata per seguirlo.
Non so quanto durò la lezione, ma penso più di un’ora, che fu per me molto impegnativa.
Certamente dal punto di vista fisico, visto che quando era arrivata la nonna ero già legato da un po’ e quindi protrassi la mia immobilità per un’altra ora, ma anche dal punto di vista emotivo.
Cosa sarebbe successo se l’anziana avesse aperto la porta e mi avesse trovato in quello stato?
Lei mi conosceva e conosceva mio padre, sarebbe stata una tragedia.
In almeno un paio di occasioni sentii la sua voce avvicinarsi alla porta, salvo poi allontanarsi nuovamente, ma rischiai l’infarto ogni volta.
Finalmente Riccardo riuscì ad imparare la lezione e la nonna tornò a casa sua.
Quando aprì la porta ero furioso.
Porca troia, ti rendi conto di quello che mi hai fatto passare? - lo aggredii verbalmente - Ci è mancato niente che entrasse in camera!”.
“Non sapevo sarebbe venuta”, si giustificò.
“Esticazzi, tanto ero io quello nudo come un verme! Liberami ora, che me ne vado!”.
Si sedette accanto a me e mi passò una mano sul torace.
“Cosa stai facendo?”, gli chiesi.
Non rispose, ma continuò a toccarmi.
Aveva una mano calda, molto delicata.
Il cazzo mi si drizzò nuovamente.
“Oggi non dovrai fare nulla - mi disse mentre lo impugnava - Offre la casa”.
Ero incazzato, ma sapevo anche che mi sarebbe piaciuto e che ero lì anche per quello.
Chiusi gli occhi e lo feci fare.
no non sei gay, ma solamente ti piace godere è con chi non fa differenza, se poi c'è questa confidenza anche dall'altra parte bingo.
cosa ti ha offerto la casa il quel giorno...........?
 
OP
Alex666

Alex666

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no non sei gay, ma solamente ti piace godere è con chi non fa differenza, se poi c'è questa confidenza anche dall'altra parte bingo.
cosa ti ha offerto la casa il quel giorno...........?
Nulla di nuovo: mi ha segato, ma senza pretendere lo stesso servizio in cambio
 

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