Racconto di fantasia oh, Alessia...

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La nottata fu inaspettatamente “normale”, considerando come normali due sole ore di sonno, la mattina invece fu piuttosto travagliata perché appena aperti gli occhi tornarono ad affacciarsi nella mente tutti, ma proprio tutti i ricordi della sera precedente.

Dialoghi, foto, confessioni, ammissioni: c’era qualcosa di critico in quello che stava succedendo, ancora non lo avevo decifrato e al momento mi sfuggiva, ma… non ero certo che la cosa fosse né giusta né sana, almeno per me.

In quanto a cercare di entrare nella testa di Alessia… peggio che andare di notte.

E scoprii che tutto mi dava noia.

Perfino la corsetta mattutina di un paio di chilometri mi sembrò insopportabile, era quasi estate ma piovigginava come a novembre, ma non era di sicuro l’inclemenza del tempo a farmi stare male.

In ogni caso il tempo passò, comunque, e alle nove puntuale mi presentai in reception al lavoro.

“Buongiorno signor Enrico” di qui, “buongiorno Enrico” di qua, “ciao Ric”... insomma, la solita routine ripetuta per anni dal lunedì al venerdì, le stesse facce, le stesse voci, gli stessi gesti.

Tutto estremamente noioso.

Quel mercoledì mattina però c’era sicuramente la più grossa novità emotiva da quando lavoravo in quell’azienda: certo, stava soprattutto a me trasformarla in una bella novità o in una brutta novità, ma le premesse c’erano, si trattava solo di capire come avveniva… l’approccio, perché quello che mi stava disturbando era proprio l’approccio.

Salii in ufficio e ovviamente trovai Simone già alla sua postazione, indaffarato con chissà quali inutili scartoffie, lo salutai distrattamente e poi entrai nel mio regno, logistica e movimentazione, presi il comando della mia scrivania e automaticamente, in sequenza, accensione pc, accensione interfono magazzino, sblocco deviazione telefono da quello di Alessia al mio, inserimento password pc, apertura posta elettronica, controllo messaggi…

Simone venne da me un paio di minuti dopo, mi chiese di confermare tutti i trasferimenti della giornata e insieme controllammo se c’erano noie con i vari sospesi, e proprio mentre facevamo la verifica incrociata arrivò Alessia.

“Buongiorno a tutti…” salutò come sempre, portando in ufficio quel… raggio di sole del mattino, così la chiamavo nei tempi d’oro, quando ancora non era sposata ed era una ragazza di ventisei anni che emanava luce propria.

Mi ero fatto mille idee su che cosa avrebbe scelto di indossare per l’occasione, magari un vestitino corto di quelli svolazzanti che le lasciava scoperte le cosce quando si sedeva e che di tanto in tanti mi regalava la visione delle mutandine, o qualcosa di più sofisticato come un tailleur con il tacco alto, molto più raro, o lo spezzato con gonna e camicetta.

Invece arrivò in jeans bianchi e maglietta con sopra uno spolverino.

‘Quei’ jeans bianchi, non un altro paio qualsiasi, ma proprio ‘quelli’, quelli che secondo me le disegnavano il culo come un’opera d’arte e che erano anche… discretamente trasparenti lasciando vedere forma, colore e trama degli slip che indossava sotto.

“Ciao Ale…” la salutai e lo stesso fece Simone anche se troppo concentrato per badare a certi dettagli (aveva ventidue o ventitré anni ed era da noi per uno stage universitario di due mesi che si stava per concludere, per lui Alessia era quasi una MILF di scarso interesse).

Con la coda dell’occhio la vidi attaccare all’appendiabiti la sua giacca, sistemare quello che doveva sistemare e poi sedersi alla sua postazione mettendo su le cuffie.

Anche quella mattina aveva i capelli legati a coda, segno che non aveva avuto il tempo per lisciarli o che era nervosa, sospettai la seconda ipotesi.

Distolsi lo sguardo per non farmi beccare ma tanto era tardi, lo sapevo, e infatti quando si voltò mi sgamò immediatamente.

Le sorrisi debolmente e in cambio ebbi lo stesso debole sorriso, poi ognuno si immerse nel proprio lavoro e via con la routine, almeno fino a che Simone non raccolse tutta la documentazione che avevo siglato e accettato e la portò con sé in direzione, per registrarla e passarla al legale.

Calò il silenzio, Alessia non parlava e sembrava realmente indaffarata, così toccò a me rompere il ghiaccio.

“Simone non ha ancora molto da stare qui con noi, giusto?” le chiesi.

“No… due o tre giorni” rispose, senza distogliere lo sguardo dal monitor, “poi credo vada al marketing” aggiunse, prese il telefono e chiamò qualcuno estromettendomi dal suo orizzonte degli interessi.

‘ok, messaggio ricevuto’

Evitai di dire altro, avevo troppa “paura” di sbagliare tempi, parole e approccio, così la nostra mattinata risultò esattamente uguale a tutte le altre, con diverse incazzature, qualche risata, molto lavoro da sbrigare infarcito da richieste dell’ultim’ora e improvvisate di colleghi in cerca di qualcosa da fare, e senza che ce ne rendessimo conto arrivò mezzogiorno.

A ricordarcelo si fece vivo il fattorino che quel giorno, oltre a consegnare la solita la posta, ci lasciò anche un pacco di stampati e flyer per l’incontro di direzione del giorno successivo in sala riunioni, depositandolo sul pavimento.

Ovviamente ‘quella’ sala riunioni.

Ero al telefono così ci pensò Alessia a firmare la ricevuta, e quando provò ad alzare il pacco rimase bloccata.

“Ma quanto pesa?” mi disse, meravigliata, “Cosa c’è dentro, marmo? Non poteva portarlo dentro lui?”

“Ma sì, dai…” le risposi dopo aver tappato il microfono del telefono, “lascialo lì, che faccio io…”

Sbuffando come una locomotiva spostò lo scatolone con i piedi fino a portarlo davanti alla porta che dava sulla sala, e piegandosi per spingerlo oltre la canalina elettrica fissata a terra mi mise praticamente davanti il culone.

Giuro, non lo feci apposta, ero al telefono e quando mi voltai verso di lei facendo rotazione sulla poltrona me lo trovai davanti, tondo, grosso, sodo.

Esattamente come volevo vederlo.

Fu come ricevere una secchiata di acqua gelida dritta sulla schiena: conoscevo bene le qualità dei suoi pantaloni bianchi leggerissimi e traslucidi, ma così, gonfiati e tesi dalle chiappone che faticavano a trattenere mi stavano regalando la mappatura di ogni brufolo ed imperfezione della pelle che c’erano sotto…

Anche perché non si vedeva traccia di slip… cosa che avevo notato fin dal suo ingresso in ufficio quella mattina, ma che in quel frangente potei verificare direttamente.

‘perizoma? commando? ma non dire cazzate!’

C’era da perdere la testa…

Distolsi lo sguardo e lo riportai sul monitor pochi istanti prima che Alessia (forse) si rendesse conto della sua posizione e si voltasse di scatto per beccarmi, ma quando lo fece ero tutto intento a fare le mie cose quindi…

Tornò alla sua postazione lanciandomi delle occhiatine ma senza aprire bocca, e quando misi giù il telefono si alzò.

“Vado un attimo… in bagno” mi disse mettendosi in tasca il cellulare, “poi quanto torno ci prendiamo un caffè giù?”

“Sì, volentieri” le risposi, “io intanto vado a mettere via la scatola” aggiunsi.

“Come vuoi…” rispose, passò oltre ed uscì lasciando socchiusa la porta (segnale o semplice distrazione?).

Poi improvvisamente trasalii.

‘bagno… telefonino…”

Presi il mio di telefonino e lo piazzai davanti alla tastiera, pronto per ricevere qualche eventuale messaggio speciale, continuai ad aggiornare ma non arrivò nulla e pochi minuti dopo Alessia tornò.

‘peccato… ci avevo sperato…’

“Allora caffè?” le chiesi, e lei annuì, allegra.

‘buon segno!’

Chiusi l’ufficio dopo averla lasciata uscire per prima (mi sfiorò la coscia con la sua gamba) e scendendo le scale arrivammo al punto di ristoro come al solito deserto, la piccola area relax che condividevamo con l’azienda del piano di sotto i cui dipendenti però preferivano farsi servire direttamente dal bar (bancari, altro livello…).

“Cosa ti posso offrire?” le chiesi mentre lei si accomodava su una delle poltrone del salottino, “Caffè o the?”

“The, grazie” rispose, selezionai il tasto corrispondente e mentre la macchinetta preparava mi avvicinai a lei.

“The con questo caldo?” le chiesi rompendo ancora una volta il ghiaccio, “Ma come fai?”

“Io ho sempre un freddo…” mi rispose, “ho le mani ghiacciate, senti…” aggiunse porgendomele entrambe per farmele toccare.

Esitai solo una frazione di secondo, la guardai negli occhi e vidi la stessa esitazione.

Gliele presi e davvero non so come le nostre dita si intrecciarono.

I nostri occhi continuarono ad essere agganciati gli uni agli altri così come le nostre dita, tutto in perfetto silenzio, ma il “beeep” insistente della macchinetta che aveva finito il the ci fece separare con una specie di strappo doloroso.

Le porsi il bicchiere con il suo the bollente e le sfiorai le dita ricevendo in cambio un mezzo sorriso, e mentre lei cominciava a sorseggiarlo io presi il mio caffè amaro doppia tostatura, più cattivo del diavolo.

Il tutto nel più estremo silenzio, quando invece quella pausa era sempre fatta di chiacchiere, di risate, di battute anche pesanti e di sfottò calcistici: non mi poteva andare bene, sembrava che avessimo litigato invece di aver condiviso qualcosa…

“Posso… farti una domanda?” mi chiese improvvisamente, sottovoce, ma le sue parole sembravano cannonate in quel silenzio surreale.

Mi voltai e annuii, mentre deglutivo caffè incandescente.

“Cosa…” cominciò, e poi abbassando ulteriormente la voce aggiunse “cosa ti aspetti… da me?”

Feci la faccia stupita.

“Cosa ti aspetti che faccia?” mi chiese, finendo di sorseggiare il suo the che evidentemente o era più fresco del mio caffè o Alessia aveva la bocca rivestita di amianto.

“Io… non mi aspetto…” farfugliai, e poi le chiesi “in che senso cosa mi aspetto da te?”

Sospirò, certa di avere a che fare con un coglione.

“Cosa ti aspetti da me… da quel punto di vista” ricominciò, e si alzò passandomi accanto per andare a gettare il suo bicchierino, fermandosi davanti alla vetrata dandomi le spalle.

“Ieri sera… quello che ci siamo scritti…” volle chiarire, “pensavo che…”

Che le dovevo rispondere?

“Io… niente” replicai, “in realtà non mi aspetto… niente, niente di diverso dal solito…”

Che le dovevo rispondere? Tre pompini al giorno?

“So che è… insomma, difficile, complicato…” farfugliai, “ecco, non saprei…”

‘il solito coniglio che c’è in te, giusto? la solita mezza sega che non è capace di prendere una decisione...'

“Quindi… tutto normale” riprese, voltandosi, “come se niente fosse?”

Feci una smorfia.

Ci guardammo negli occhi, poi Alessia annuì.

“Ieri sera” sussurrò, “ti ho scritto… certe cose…”

“Pensavo che… capissi…”

Botta in mezzo al petto: dal tono in cui lo diceva, poteva sicuramente esserci un problema, o si voleva rimangiare tutto, o mi chiedeva di ignorarlo.

“…che avevo bisogno di te…” aggiunse.

‘wow… certo che tu di donne ci capisci proprio tutto, vero? coglione…’

“S-sì…” risposi, un po' preso alla sprovvista.

“Ma… ti ho visto… distaccato e freddo” sussurrò, mogia, “e ho pensato che… volevi farmi capire…”

Sorrisi e scossi la testa.

‘fa l’uomo, invece di fare l’amico delle donne… coglione!’

“No” le risposi deciso, sicuro di me, sereno e terribile come un Apollo Creed, “non è così, non ero distaccato, anzi…”

Fece una smorfia, che forse era anche un mezzo sorriso.

Così giocai il mio jolly.

“È tutta mattina che mi passi davanti con il tuo bel culo stretto nei jeans…” le sussurrai, “è l’unica cosa che riesco a pensare è toglierteli…”

Inspirò profondamente e poi sorrise.

“E… non lo vuoi fare?” mi chiese improvvisamente, avvicinandosi, e allungando la mano me la posò sul pacco, accarezzandomelo prima di toglierla.

“Ieri sera mi sembravi molto più sicuro di te…” aggiunse.

Mi stava sicuramente provocando o forse voleva mettermi alla prova: era meglio farle capire subito con chi aveva a che fare…

Allungai le mani e gliele misi sui fianchi, poi lentamente le avvicinai entrambe ai bottoni dei suoi jeans e cominciai a fare il gesto come se glieli volessi aprire.

Cacciò gli occhi fuori dalle orbite e arretrò spaventata e quasi piegandosi in due.

“Ma… sei impazzito?” mi sibilò guardandosi attorno, “Cosa ti salta in mente?”

“Te li toglievo…” risposi, tranquillo.

“Non qui!” sibilò ancora, ingenua e a quel punto eccitata, “Ma se ci vedono? Ma ti rendi conto???”

Alzai le mani in segno di resa e finalmente la vidi di nuovo tranquilla e rilassata (o forse iper eccitata), e Alessia, in un impeto di ritrovata allegria arrivò al punto di abbracciarmi, facendomi sentire le tettone contro il petto.

I nostri occhi si trovarono quasi alla stessa altezza, le bocche e i nasi pericolosamente vicini.

Così pericolosamente vicini che ci separammo e restammo fianco contro fianco a guardare fuori dalla vetrata.

“Questi jeans ti fanno un culo strepitoso” le dissi, senza distogliere lo sguardo da fuori.

“Lo so” rispose, “li ho messi apposta…”

“Davvero?”

Annuì.

“È tutta mattina che ti sculetto attorno e te lo metto davanti, per vedere come reagivi” continuò, seria, “ma sei bravo, non lasci trapelare le emozioni…”

Pensai bene alle parole ad effetto.

“Però me lo fai diventare duro…” le risposi.

Alessia si voltò lentamente verso di me, feci lo stesso e le sorrisi.

Semplicemente allungò la mano e me lo tastò, dalla base fino alla cappella, e impercettibilmente annuì.

“È vero, ce l’hai duro…” mugolò sensuale, “non mi racconti balle…”

“Se non ci credi posso dimostrartelo” le risposi, sempre sottovoce, “ti metti come sai tu e ti faccio provare l’emozione…”

“mmm… lo so come si sente dentro…” rispose sempre mugolando sensuale, “ieri l’ho provato…”

“Sì, ma non l'hai ancora provato dappertutto” replicai, serio.

La vidi colpita, senza parole, mezza sorridente.

“È vero…” ammise, ma non aggiunse altro.

“E comunque, hai messo il solito profumo?” le chiesi per cambiare argomento, “Sembra diverso…”

“Diverso”

“Buono” continuai, “ma… l’hai messo dappertutto?”

Sorrise.

“Sì”

“Ottimo… non vedo l’ora di sentirmelo addosso…”

Ridacchiò, e mi diede una spallata, cui seguirono alcuni istanti di silenzio.

“Ho voglia di leccarti il buco del culo” le dissi improvvisamente.

“E anche la figa” aggiunsi.

“E succhiarti le tette…”

“E leccarti dalla pancia al…”

“Ho capito, cazzo!” mi bloccò, dandomi una pacca sulla spalla.

“Magari… più tardi” mugolò, “vediamo…”

“Vediamo…” replicai, e stavo per aggiungere qualcosa quando sentimmo entrambi delle voci avvicinarsi e allora levammo le tende prima di fare incontri poco simpatici e inopportuni, puntammo verso le scale e ce li lasciammo dietro.

Le scale…

Le scale, due rampe, collegavano il piano rialzato con il secondo, quello dei nostri uffici, ed erano solo per uso interno, nessuno ci poteva accedere.

E allora…

Aspettai che mi passasse davanti e poi le misi entrambe le mani sul culo.

“Ma…” provò a dire, e a quel punto con una mano le scesi anche sotto, agguantandole i tesori e avvertendo a pelle la sensazione di caldo umido tipica di quelle zone.

Si fermò e si lasciò toccare e accarezzare e palpare, ma quando provai ad intrufolarmi sotto, passando tra pantaloni e pelle nuda allora Alessia mi spinse via, e poi scappò su per le scale.

La inseguii ma una volta riaperta la porta di sopra ci ritrovammo in zona pericolosa, affollata e soprattutto controllata, quindi fine dei giochi.

Tornammo in ufficio e ci trovammo Simone che aveva finito i suoi lavori del mattino e si preparava ad andarsene.

Chiacchierammo un po' con lui e quando se ne andò era già ora di pranzo.

Ci sganciammo, come sempre, ritrovandoci un’ora dopo pronti per la parte più pallosa della giornata, il pomeriggio.

Come sempre la anticipai con il ritorno in ufficio e una decina di minuti dopo la sentii arrivare, ridendo come i vecchi tempi (il giorno prima…) insieme ad altre ragazze degli altri settore: e la cosa mi fece piacere, un sano piacere, perché voleva dire che era serena…

Entrò e sospirò, mi raccontò delle peripezie di una collega che sembrava diventata la barzelletta di turno e poi, come sempre, prese la sua borsetta con dentifricio e spazzolino e andò in bagno.

Nel frattempo ricevetti una telefonata noiosa e arrivai anche al punto di litigare buttando giù la comunicazione, e pochi istanti dopo Alessia tornò, mise via la borsetta e poi si lasciò andare sulla poltrona alla postazione, si stiracchiò e poi cominciò a parlare di questo e quello, distraendomi.

E poi si muoveva, agitava le braccia, si alzava e tornava a sedersi e io in tutti quei suoi movimenti la vedevo nuda, le vedevo le tettone che ballavano, le chiappe che si agitavano…

Avevo delle scadenze da rispettare, dovevo dare risposte ad altri uffici e anche ai clienti, c’era da rivedere la tabella dei costi di spedizione ma la mia mente era da tutt’altra parte.

Le donne hanno un sesto senso, questo è un dato di fatto, ma proprio nel mio momento di distrazione massima si alzò e andò ad aprire uno degli sportelli dietro alla mia schiena, quello più in alto, dove tenevamo nascosti i registri fiscali, e sollevandosi sulle punte dei piedi alzò le braccia per arrivare sul ripiano più alto.

Cosa può fare un povero diavolo in quelle condizioni?

Mi voltai verso di lei e le misi le mani sui fianchi facendola quasi spaventare, le scivolai sotto la maglietta e lentamente salii fino a prenderle le tettone anche se da sopra il reggiseno, e scoprendole la schiena cominciai prima a baciarla e poi a leccarle la pelle calda e vellutata.

“No, dai… basta, che se entra qualcuno…” mugolò ma senza sottrarsi alle mie cure, anche quando le feci uscire le tettone dal reggiseno e cominciai a palparle come si deve, strizzandole anche i capezzoli tra le dita delle mani.

Mi abbandonai alla lussuria e una mano gliela feci scivolare dentro i jeans e sotto le mutandine e con la punta delle dita riuscii a raggiungere il morbido calore umido della vagina prima che me la bloccasse e subito dopo si divincolasse da quell’abbraccio “mortale” ed arretrasse fino a mettersi con la schiena contro la parete.

Non potevo resistere più di così, oltre al suo profumo avevo sentito anche il suo sapore…

Mi succhiai il dito con il quale le avevo quasi violato la figa e la vidi accusare il colpo, allora la andai a prendere per mano e la portai di nuovo in sala riunioni, lasciandola accanto al grosso tavolo mentre io mi occupavo di bloccare tutte le porte, esattamente come il giorno prima.

Feci tutto da solo perché Alessia era poco collaborativa per via dell’eccitazione o solo dell’imbarazzo, le slacciai i jeans e glieli abbassai velocemente insieme agli slip liberandole la figa pelosa, ci incollai sopra la bocca leccandola come riuscivo e poi la feci voltare, piegare sul tavolo e aprire bene le cosce e poi finalmente le aprii le chiappe.

Non c’era tempo quindi partii subito alla carica, le diedi una leccata nel solco delle chiappe e…

Mi bloccai prima di dargliene una seconda perché c’era qualcosa che non andava nel sapore che sentivo in bocca…

Ci guardammo a vicenda, io perché ancora stentavo ad… accettare quello che ormai avevo capito, lei perché aveva realizzato e sembrava morire per l’imbarazzo.

Che potevo farci in quel momento?

Mi avvicinai nuovamente e ricominciai a leccarla furiosamente concentrandomi sul buco del culo, e pazienza se non si era pulita proprio benissimo dopo averla fatta perché tanto a quello ci avevo pensato io…

Anche perché come diceva sempre un vecchio amico e mentore dopo qualche giro di grappa “un bravo leccatore di figa nella sua carriera mangia almeno un chilo di m…”

Vinto il primo istante di imbarazzo Alessia si lasciò andare, aprì bene le cosce per farsi leccare anche la figa e accettò di buon grado due dita dentro che la penetravano fino in fondo, ma quando le feci capire che me la volevo scopare allora mi bloccò.

“No, ho paura” mugugnò, “e poi… non posso stare qui al lavoro e avere addosso quell’odore, dai…”

Ero frustrato, inutile nasconderlo! Con tutto il casino fatto per… arrivarci a quel momento, si tirava indietro!

“Ma se non viene mai nessuno…” le dissi, quasi spazientito, e sollevandole la maglietta le tirai fuori le tettone cominciando prima a palparle e poi a succhiarle i capezzoli alternatamente, facendola gemere e sospirare mentre mi schiacciava la faccia contro il suo petto tenendomi le mani nei capelli.

“No, non voglio…” protestò ancora quando finito il trattamento sul davanti provai a rimetterla a novanta gradi, “non voglio… qui…” aggiunse con la vocina di una bambina che fa i capricci.

“Voglio che mi lecchi come mi hai promesso…” mugolò stendendosi di schiena sul tavolo tenendo le gambe alzate e le cosce aperte, pur limitata nell’apertura dai jeans che le erano finiti alle caviglie, “voglio che mi fai quella cosa che mi hai scritto ieri…”

“Così è un po’ difficile però…” le dissi, “dovresti essere nuda per quello…”

Fece una smorfia e sbuffò.

“Non voglio togliermi tutto… ho paura che arrivi qualcuno…” sussurrò, cercando di sorridermi.

Non aveva tutti i torti.

Ero frustrato, sì, ma ce l’avevo lì davanti con le cosce aperte… che stavo aspettando?

Presi posizione e cominciai a baciarle l’interno delle cosce scendendo sempre di più fino ad arrivare alla fessura ormai slabbrata, ci posai sopra un bacino e poi con la punta della lingua scesi giù e le “tintinnai” l’ano che si contraeva ad ogni toccata.

“Cosa… fai?” mugolò eccitata.

“Lo sai cosa voglio fare…” sussurrai, mentre con il dito gli disegnavo dei cerchi attorno, divertendomi a vederlo contrarsi.

“Cosa?” mi chiese, cominciando il gioco.

“Lo sai, non serve che te lo dico…” le risposi dopo averle dato altre leccatine sia sulla figa aperta che sul buchino.

“Dimmelo… dai, dimmelo…” mugolò con la voce quasi roca.

Era il suo gioco speciale…

“Lo preparo…” le dissi guardandola negli occhi, “poi ti inculo…”



Alla prossima (e ultima) puntata prima dell’epilogo.
 
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Ancora sembrava una cosa surreale, ero praticamente immerso nelle sue belle chiappone con figa e buco del culo a mia completa disposizione.

Il tempo comunque era tiranno e più ne passava più correvamo il rischio che qualcuno bussasse alla porta del nostro ufficio e non trovandoci ci venisse a cercare, magari nel retro, quindi… lo feci e basta.

Immersi il medio della mano destra dentro la sua vagina spalancata e lo lubrificai per bene, poi lo tolsi e lentamente lo feci strisciare fino al buchino, usando quel lubrificante naturale mescolato ad abbondante saliva per agevolarmi nell’ingresso.

E funzionò, perché il dito entrò quasi senza sforzo per i primi due o tre centimetri, e lo fece a fatica per i successivi perché Alessia stringeva così tanto i muscoli che non mi permetteva di passare.

Usai tutta la pazienza di questo mondo ma non ci fu nulla da fare, ci giocai ancora ma Alessia cominciò a diventare insofferente per via della posizione scomoda, e allora decisi che poteva bastare così.

“Ma… sicuro?” mi chiese per nulla convinta, desiderosa che ci riprovassi.

“Sì, dai, è meglio così…” le dissi tirandomi su e aiutando lei a mettersi seduta sul tavolo, con le gambe a penzoloni, “è meglio che usciamo di qui, lo so che non ti senti sicura…”

‘testa di cazzo… almeno diglielo, ammettilo che sei tu che te la fai sotto… e non dare la colpa a lei, coniglio!’

“Ok…” rispose quasi rassegnata, e saltando giù dal tavolo ricominciò a rivestirsi rimettendo via le sue grazie e lanciandomi di tanto in tanto delle occhiatine interrogative.

‘hai visto? visto come ti guarda? lo sai cosa pensa di te? che sei uno senza palle, sei un coniglio senza palle! uno che non è capace di prenderla e di scoparla come si deve, come lei si aspetta!’

“Sei… delusa?” le chiesi, facendola girare di scatto.

“No…” rispose subito, “no, non sono… delusa” rispose, forse dopo averci ripensato ed aver ammesso almeno a sé stessa che sì, in realtà lo era.

“Solo pensavo che… che volessi…” cominciò a dire, ma poi si fermò.

“Lo volevo” la anticipai, “lo volevo eccome…”

“Io… guarda che…” provò a dire ma la fermai, posandole un dito sulle labbra, dolcemente.

Era il primo gesto “amorevole” che facevo verso di lei da quando avevamo cominciato tutto, e infatti non dico che non la prese bene ma sembrò… infastidita da quella smanceria.

Quella di non cedere alle effusioni non era un accordo preso, era solo una constatazione di cose, ci eravamo scambiati confessioni e fluidi corporei ma nemmeno un bacetto: quella relazione che avevamo intrapreso doveva essere solo sesso e nient’altro che sesso, ci dovevamo considerare il giocattolo sessuale dell’altro e non un surrogato del partner.

Certo, per lei era molto più difficile, lei un partner già ce l’aveva e sicuramente non l’avrebbe scambiato con me (come gli spot di tanti anni fa dei fustini di detersivo): anche se da qullo che avevo intuito era un partner che evidentemente non la appagava carnalmente, e forse proprio per questo Alessia si era aperta verso me, che al contrario non avevo mai dimostrato mire “amorose”.

Eppure…

Eppure avrei dato tutto quello che avevo di più caro per vivere la vita con lei…

Certo, erano passati gli anni da quando ci eravamo conosciuti e le persone che nel frattempo erano arrivate nelle nostre rispettive vite (e se n’erano andate) avevano lasciato cicatrici e strascichi difficili da dimenticare, ma Alessia la vedevo ancora come tanti e tanti anni fa, quando era in grado di cambiarmi la giornata con un sorriso.

Addormentarmi insieme a lei… svegliarmi insieme a lei giorno dopo giorno, fare l’amore con lei e non… prenderla e usarla.

“Stiamo sfidando la sorte…” le sussurrai.

‘sfidando la sorte? ah ah ah ah ah ah ah… non farmi venire da ridere!’

“Sì, hai ragione” rispose, non del tutto sicura di quel che aveva detto, poi sorrise e mi precedette nel nostro ufficio, lasciato incustodito per sopravvenute… urgenze.

Riaprii la porta e controllai eventuali messaggi o email urgenti, poi mi venne in mente la scatola dei documenti.

“Ale, puoi pensarci tu ai documenti da mettere sul tavolo?” le chiesi mentre stava per sedersi alla sua postazione, e ovviamente disse sì, e mentre eravamo di là per distribuire stampati e opuscoli su ogni posto a sedere la porta principale si aprì facendoci voltare di scatto.

“Oh, buonasera…” ci salutò niente di meno che il presidente in persona, “bravi, preparate per l’incontro di domani?”

Riuscimmo solo a rispondere all’unisono con un “buonasera…” e a guardarci negli occhi.

C’eravamo andati molto, ma molto vicini.

“C’è un odore strano qui dentro” ci disse l'anziano fiutando l’aria come un cane da tartufo, e ancora una volta Alessia ed io ci scambiammo un’occhiata a metà tra il preoccupato e il divertito.

“Sembra… odore di… cucina…” concluse, alzò le spalle, ci salutò distrattamente e se ne andò nello stesso modo in cui era arrivato, spalancando le porte come se fosse a casa sua (perché lo era…).

Tornati alle nostre scrivanie non ne parlammo, ma l’improvvisata ci fece riflettere e per il resto della giornata ci limitammo a lavorare e a parlare di lavoro senza altre… divagazioni, ma quando arrivò l’ora di andarcene allora mi potei permettere una battutina.

“Lo sapevi che odori di cucina?” le dissi, serio.

Mi guardò senza aver capito subito, un istante dopo realizzò e scoppiò a ridere, abbracciandomi e facendomi sentire ancora una volta le tettone schiacciate sul mio petto.

“Secondo te… ha capito?” mi chiese, dubbiosa.

“No, non credo proprio…” risposi, ma non ne ero sicuro.

Restammo a guardarci troppo vicini, così ci separammo ma Alessia allungò la mano e me la prese intrecciando le dita con le mie.

“Che ragazza dolce che sei…” le sussurrai, alludendo alla mano, e lei non negò, sorrise e abbassò lo sguardo.

“Non dire queste cose” mi sgridò, “lo sai che non voglio… non è giusto…”

‘ovvio, te la scopi e la lecchi dappertutto ma non puoi dirle che è una ragazza dolce!’

“Devo andare” disse improvvisamente sciogliendo l’intreccio di dita e allontanandosi da me, poi si fermò, esitò se dire qualcosa e poi prese la porta e uscì.

Sospirai e tornai a sedermi, cominciai tutte le operazioni di chiusura, inverse a quelle del mattino, e prima di alzarmi presi il telefono.

E aprii whatsapp.

E guardai le foto che mi aveva mandato, le ingrandii una per una, le chiusi e poi le riaprii perché c’era un piccolo particolare che non avevo visto bene, e quando arrivai alla prima, quella in cui mi faceva la linguaccia, ebbi una stretta allo stomaco.

E guardai la porta, chiusa.

Pochi istanti dopo mi alzai, afferrai borsa del pc e giacca e uscii dall’ufficio sbattendo la porta: la rincorsi giù per le scale, ovviamente senza dare nell’occhio, seguii il suo stesso percorso e mi precipitai nel parcheggio ma tutto quello che vidi di lei fu il retro della sua auto che usciva dallo stop e si immetteva nel traffico.

Troppo tardi.

Mentre guidavo verso casa la mia mente vagava libera, tutto sembrava ancora così strano…

Non mi fermai né a prendere qualcosa da mangiare né in tintoria per ritirare le camicie, e quando arrivai sotto casa mi resi contro che praticamente c’ero arrivato automaticamente, mi ero disconnesso.

“Fantastico” sussurrai, “cominci a perdere i colpi…”

Entrai in casa e il silenzio mi aggredì le orecchie, accesi la tv a volume alto e cercai conforto nei gesti semplici di tutti i giorni, e mentre stavo sistemando le scarpe al loro posto… ding.

Presi il telefono e lo sbloccai.

Bolletta energia elettrica.

“Ma vaffanc…” sibilai, e gettai il telefono sul divano prima di mettermi comodo e cercare di dimenticare tutto.

Mi misi in doccia e ci restai a lungo, e quando uscii evitai anche di rivestirmi restando con i soli boxer, e mi gettai sul letto.

E cercai di ragionare, di fare il punto della situazione.

Non potevo farne la ragione della mia vita, mi stavo scopando la collega d’ufficio, e basta: non c’erano implicazioni, era la storia più bella del mondo, così mi imposi di pensare.

Fino a che mi arrivò un messaggio, e subito dopo un altro ancora, e un altro: solo una persona che conoscevo spediva i messaggi senza terminare la frase o fare punto e a capo.

“sono uscita per andare in palestra, ma non ho più voglia”

“devo rientrare a casa per le sette, ho più di un’ora libera”

“e noi due abbiamo ancora una questione in sospeso”

Avevo il cuore che andava a mille.

“ti aspetto” le scrissi, e lei rispose con il pollice in su.

Meno di cinque minuti dopo la facevo entrare in casa, e meno di un minuto dopo che avevo richiuso la porta Alessia era alla pecorina sul mio divano con il sedere scoperto, e la mia lingua che le “danzava” tra figa e buco del culo in un valzer di gemiti.

Le regalai il trattamento che tanto gradiva, passandole la lingua dalla pancia scendendo per il triangolo peloso e risalendo sulla schiena passando per i suoi tesori, e quando lo tirai fuori pronto all’uso Alessia me lo prese e ci mise subito sopra la bocca attaccando un pompino frettoloso e violento, quasi doloroso.

Ma non era venuta per quello…

Bastò scambiarci uno sguardo per arrivare proprio la.

Alessia prese nuovamente posto sul divano, si mise in ginocchio e sporgendo il culone verso di me di fatto me lo consegnò, abbandonandosi con la faccia immersa nei cuscini, e da lì in avanti ero io al comando.

Le aprii le chiappe e ricominciai a leccarla, sopra e sotto, le scavai nella figa assaporando l’acre sentore della donna eccitata e poi rivolsi le mie attenzioni al forellino grinzoso, leccandolo e insalivandolo abbondantemente prima di dare fuoco alle polveri.

Glielo preparai usando le dita e dilatandolo per bene, e quando giudicai che fosse pronto mi tirai su e glielo appoggiai.

Usai la mia stessa saliva per lubrificarlo e quando finalmente provai a spingere… entrai con una facilità disarmante.

“Piano…” la sentii gemere da sotto i cuscini.

Feci piano, ma (probabilmente, e che ne so io?) quando ti entra qualcosa su per il culo non può essere una sensazione piacevole.

Alessia riemerse dai cuscini e mi guardò con espressione sofferente, provò a divincolarsi ma a quel punto feci l’uomo.

‘e che cazzo! finalmente…!’

Una mano gliela misi sulla schiena “costringendola” a stare giù e l’altra la usai per bloccarle la sua mano sinistra con cui provava a spingermi via, e nel contempo forzavo con la schiena per penetrarla sempre più in profondità, senza dare ascolto a gemiti, ahia e lamentele varie.

Funzionò, le entrai nel culo e mi ritrovai piantato dentro quasi tutto: gliel’avevo dilatato così tanto che la pelle sembrava tesa come la membrana del tamburo, ma così riempita aveva smesso sia di lamentarsi che di protestare.

Azzardai a togliere la mano dalla sua e gliela posi sul fianco destro, la sinistra la feci scivolare dalla schiena all’altro fianco e in quella posizione dominante cominciai a muovermi avanti e indietro, scopandola nel culo.

Ecco, ci voleva qualcuno che immortalasse il tutto: stavo inculando alla pecorina la mia collega d’ufficio, quella col culone che ammiravo e desideravo da anni!

Cominciai a sbatterla per davvero, Alessia subiva in silenzio e rispondeva ad ogni affondo con un “ah” sommesso accompagnando la mia spinta con un movimento in avanti, e ad ogni colpo che le infliggevo vedevo le sue chiappone ballare come gelatine alla pesca, e le sue tettone che dondolavano allo stesso ritmo.

Era una scena che avrebbe fatto sborrare un novantenne, senza contare che c’era anche il ciac ciac delle nostre cosce che collidevano.

Andai avanti per una manciata di secondi in completo silenzio, poi improvvisamente Alessia di svegliò.

“Sbattimi” mugolò eccitatissima, “così, sbattimi forte” cominciò a dire, e quegli “ah” sommessi diventarono degli “Ah!” secchi e vigorosi, fino a che da vero coglione esagerai rovinando tutto accelerando troppo e facendole male.

Tirò un verso e se lo sfilò da dentro facendomi vedere il buco del culo ridotto ad un tunnel scuro e profondo, poi si mise seduta, ansimante, ma con lo sguardo assatanato.

“Battere il ferro fin che è caldo…” mi dissi, e passai subito all’azione.

Mi guardò spaventata mentre la prendevo e la tiravo giù sul pavimento, ma quando me la feci venire sopra a cavalcioni e invece di puntarglielo dietro glielo appoggiai sul davanti si rilassò, anzi, me lo prese e se lo guidò alla fessurina facendolo abboccare bene prima di lasciarsi scendere e penetrarsi, anzi, impalarsi.

Se lo fece adattere bene, poi mi mise entrambe le mani sul petto e cominciò a cavalcare, muovendo il bacino ma anche le cosce per saltellarmi sopra: e quel gran spettacolo della natura che erano le sue tettone fecero il resto, regalandomi una scena che ancora oggi, a distanza di anni, spesso rivivo nei miei sogni.

Già, perché dopo Alessia di donne ne ho avute altre, prestazioni occasionali ma anche “residenti”, ma lei… lei mi è rimasta davvero dentro: quando fai sesso con una che non hai mai visto prima e che sai che non la vedrai ancora per molto… è un conto, quando lo fai con una donna che poi sei obbligato a rivedere sul lavoro o nella vita di tutti i giorni è un altro.

Avevamo fatto entrambi questa scelta, ci usavamo, ci divertivamo, ma non ci sarebbero mai state complicanze di tipo affettivo o amoroso.

Non so quante volte riuscì a venire quella sera, tre, quattro o cinque, non glielo chiesi nemmeno, era sudata ed iper eccitata ed aveva addosso un’energia che veniva senz’altro dal suo stato di esaltazione sessuale.

Cominciò a cedere perché aveva bisogno di fermarsi e rifiatare e quando si muoveva faceva anche qualche smorfia, allora evitai di correre con il freno tirato e mi lasciai andare: così quando Alessia cercò l’ennesimo orgasmo trovò il mio.

“Devi sborrare?” mi chiese sempre eccitatissima ma anche desiderosa di essere in controllo.

“Sì, sto per venire…” le confermai mentre le accarezzavo le tettone.

“Non venirmi dentro” mi disse seria, “non facciamo cazzate, eh?”

“Ok… tranquilla…” le risposi, ed assecondandola nel suoi movimenti arrivai a sentire l’ondata… emotiva arrivare da sotto e quando capii che ero in dirittura d’arrivo la sollevai e glielo puntai alla pancia, spruzzandola sull’ombelico e sulle tettone prima di crollare esausto ed ansimante a braccia aperte, come se mi avessero appena sparato.

Alessia mi rimase seduta sulle cosce per qualche istante, poi si sollevò (a fatica, era distrutta anche lei dall’intensità esplosiva di quel rapporto) e si venne a mettere in ginocchio, guardandomi con un misto di eccitazione residua ma anche di preoccupazione.

Guardava alternativamente il mio viso e il mio cazzo, e sicuramente cedendo all’impulso allungò una mano verso quest’ultimo e lo tenne dritto muovendola su e giù per scappellarlo lentamente e poi risalire altrettanto lenta “chiudendo” lo cappella con la pelle e radunando le ultime gocce di liquido biancastro, e restando ferma per non so quanto maturò l’idea, che poi mise in pratica: calò velocemente con la bocca e si risucchiò dentro tutto, scappellandomi l’affare e ciucciando via tutta la schifezza rimasta lì sopra e continuando a pomparmelo fino ad arrivare con il naso contro la mia pancia.

La guardavo… atterrito, con la bocca aperta, incrociai il suo sguardo e solo allora Alessia si tirò su abbandonandolo al suo destino.

Restammo lì sul pavimento credo per un paio di minuti, in silenzio, a guardaci senza che nessuno dei due aprisse bocca.

Eravamo a casa mia, dovevo essere un bravo ospite, quindi ruppi per primo il silenzio radio.

“Sono… distrutto, mi hai massacrato…” le dissi, in quello che doveva essere un complimento.

“Davvero?” mugolò sensuale, evidentemente soddisfatta sia dell’apprezzamento ricevuto che della prestazione.

“Sei… eccezionale” le dissi, e allungando una mano per accarezzarle la schiena incrociai la sua che avanzava verso di me, e le nostre dita ancora una volta si intrecciarono, ancora una volta involontariamente.

Ma volontariamente ci restarono, intrecciate.

“Anche tu mi hai distrutto” mi disse, ricordandosi che forse i complimenti servono anche all’uomo, “anzi…” ridacchiò, e non terminò la frase.

Toccava ancora me, e visto che aveva ridacchiato per prima perché non continuare?

“Ti brucia il culo?” le sussurrai, sornione.

“Stronzo!” rispose fingendosi arrabbiata e dandomi un pugno su una spalla, ma poi fece diverse smorfie e aggiunse “Mi brucia un sacco…”

“Ottima occasione per salutarla come si deve” pensai, mi tirai su e la feci mettere a quattro zampe, le andai dietro (sempre tenuto sotto controllo, casomai avessi idee strane…) e le aprii le chiappe, le accarezzai i due globi sudati e morbidissimi e poi cominciai a leccarla ancora tutta, da sotto a sopra, dalla figa alla schiena sudata passando per il bucone ancora aperto, insistendo su di lui per cercare di alleviarle il bruciore.

Ma era troppo sensibile e spingendomi via delicatamente con una mano sulla mia fronte si sottrasse alle mie attenzioni e si mise seduta a terra, raccogliendo le gambe e abbracciandosi le ginocchia tirate al petto, come se volesse proteggersi.

Era stato un rapporto breve ma esplosivo, esattamente come l’aveva desiderato.

Entrambi eravamo sudati e appiccicaticci, così di nuovo le proposi di farsi la doccia e stavolta non rifiutò.

Dal suo borsone prese le mutandine pulite e lo shampoo e poi mi seguì in bagno senza alcuna vergogna né imbrazzo.

“Qui ci sono gli asciugamani” le dissi, “quando li hai usati lasciali pure appesi lì sopra” aggiunsi facendole vedere i ganci di metallo al muro, e pronto per andarmene le feci un ultimo sorriso e le guardai ancora le grosse tettone, ma Alessia mi fermò.

“N-non vieni?” mi chiese, esitando.

Sorrisi, annuii ed entrai con lei.

Sotto la doccia cominciammo a sciacquarci in silenzio, ma poi la sfiorai, la sfiorai ancora, le feci solletico sotto le ascelle e Alessia si lasciò andare cominciando a ridere, fino a che ci ritrovammo abbracciati uno all’altra, con il mio affare che stava riprendendo consistenza “appoggiato” sul solco delle sue chiappone.

“Non provarci neanche…” sibilò, e mettendo una mano dietro me lo prese per allontanarlo, ma ottenne esattamente il risultato opposto, me lo fece diventare duro e se lo trovò puntato alla pancia, come un’arma.

“Basta che te lo tocco e sei già pronto per ricominciare?” mi chiese maliziosa e sicuramente anche ben impressionata dalle mie doti di recupero, ben sapendo che era anche (anzi, soprattutto) merito suo.

“Non ci posso fare niente” le risposi, senza fare nulla per nasconderlo, “ti… voglio così tanto che ti scoperei tutti i giorni, mattina e sera, come faccio a controllarmi?”

Sicuramente usai parole esagerate, ma la colpirono, me ne resi conto, ma al tempo stesso la fecero intristire.

Mi lasciò perdere e si andò a mettere sotto il getto di faccia, chiudendo gli occhi anche per evitare di vedermi così le lasciai la sua tranquillità e mi preparai per uscire.

“Devo fare la pipì” mi disse, rendendosi conto che stavo per abbandonare la nave.

“Caspita” pensai, “si deve essere messa davvero a suo agio per dire una cosa del genere…”, alla mia ex moglie c’erano voluti anni per convincerla a farla, con una delle ultime “compagne di giochi” non mordi e fuggi era stato anche solo impossibile nominare la cosa…

“Ok…” risposi, e fingendo di non guardarla non mi persi lo spettacolo: da brava ragazza tuttavia si accovacciò e la fece direttamente nella piletta di scarico, e quando sollevò lo sguardo mi beccò ovviamente a guardarla, ma non disse nulla, sorrise e finì il suo bisogno tirandosi su e pulendosela con un po’ di sapone liquido prima di sciacquarla e chiudere l’acqua.

Quando fu pronta per andarsene mi abbracciò e senza dire una parola uscì di casa e scese le scale senza voltarsi, affrettando il passo perché era già in ritardo.

Quella sera mangiai con appetito, guardai il calcio in tv e una volta finita la partita spensi e andai a letto addormentandomi quasi subito, ma di lì a poco… ding.

“dormi?”

“no, non ancora”

“come mai?”

“penso”

“a cosa?”

“a tante cose… a tante persone”

“pensi a me?”

“no, perché dovrei?” risposi, ottenendone in cambio le faccine che ridevano.

“giusto, hai ragione” replicò, “ricorda sempre quello che abbiamo deciso, solo sesso”

“brava” risposi, con il pollice in su.

Silenzio, nessuno dei due voleva replicare o aggiungere ma aspettava l’altro.

‘ecco, come i bambini dell’asilo…’

Ma Alessia era evidentemente di buon umore, dovevo sfruttare la cosa.

“sai una cosa?” le scrissi, “sai cosa mi piacerebbe fare?”

“con te, intendo…”

“che cosa?” mi chiese, curiosissima.

“non so se dirtelo o no, però…” scrissi.

“senti, non cominciare” scrisse, con le faccine rosse incazzate, “se mi vuoi dire le cose dille, sennò sta zitto e non rompere i coglioni, intesi?”, frase minacciosa seguita dalla faccina che sghignazzava.

“ok, allora te lo dico” scrissi, pensai bene, ci ripensai ancora e poi lo feci.

“mi piacerebbe portarti a letto” scrissi, “dormire con te e svegliarmi con te”

Silenzio.

“lo so che non si può” scrissi allora, “ma mi piacerebbe…”

E fu lì che ebbi una delle più grandi sorprese della mia vita.

“sabato se vuoi si può fare” scrisse.

“wow…” risposi, “sarebbe magnifico…”

“lui è via tutto il fine settimana” scrisse, riferendosi al marito come ‘lui’ senza chiamarlo per nome, “e posso portare Gioia dai nonni che non vedono l’ora di tenerla”

Mi tremavano le gambe.

“lì da te, ovviamente, se non ci sono problemi…” aggiunse.

“sarebbe magnifico” scrissi con le faccine esaltate, e lei rispose con quelle che facevano l’occhiolino.

“però ho bisogno di recuperare, e riposare le mie… parti femminili” scrisse, senza il minimo pudore, “sono state sfruttate troppo ultimamente, e tu ne sai qualcosa, vero?”

Risposi con le faccine angeliche.

“ho dovuto mettere la crema per le irritazioni, giù di sotto” mi scrisse, ormai persa e senza alcuna vergogna, “dovresti vedere come me l’hai conciato…” aggiunse con la faccina rossa di rabbia.

“fammelo vedere” le risposi, sfacciato.

Non replicò, aspettai, aspetta e aspetta e… ding.

Mi mandò la foto delle sue tettone immortalate mentre si teneva sollevata la maglietta.

“ti deve bastare questa… buonanotte” scrisse, mi mandò una faccina con il bacio e poi scrisse ancora “a domani”, e si disconnesse.

“A domani” sussurrai, guardai ancora a lungo le sue foto tra cui quella che mi aveva appena mandato e poi chiusi tutto.

Era stata una giornata impegnativa, ma fantastica.

Alessia si era completamente disinibita, e oltre a trovare una compagna di giochi mi ero anche rimediato una bella gatta da pelare…

Mi misi a ridere, e continuando a ridere come un cretino gettai il telefono sul tappeto a terra e mi misi a pancia in giù sul materasso, ricordo che riuscii solo a pensare al fatto che sabato mattina avrei dovuto cambiare le lenzuola e ripulire la casa e poi mi addormentai, felice, sereno e rilassato come non lo ero stato da mesi.

‘e il bello deve ancora arrivare…’



Alla prossima, l’epilogo.
 
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La sveglia mi sorprese nel sonno, ed era da tanto tempo che non succedeva più.

Buon segno, stava a significare che ero rilassato.

Mi misi pantaloncini, scarpe e maglietta e… subito fuori a correre, senza nemmeno una minima preparazione: era la mattina degli otto chilometri quindi dovevo partire prima se volevo tornare a casa in tempo, ma come si dice… la mia testa era altrove, così finii per indugiare troppo battendo la fiacca e non ce la feci a tornare a casa nei tempi previsti, poi barba, doccia e vestizione a tempo di record e puntualmente arrivai al lavoro in ritardo.

Ancora prima di entrare in ufficio la sentii ridere, era parecchio tempo che non la sentivo: entrai e la trovai al telefono, mi salutò con un gesto veloce della mano e continuò a parlare, ridere e ancora ridere per diversi minuti, e quando mise giù si sentì in dovere di dirmi con chi aveva parlato, di che cosa e perché era tutto così divertente.

La stetti a sentire ma in realtà la guardavo e basta, era talmente… solare, quella mattina.

Alessia non era una che ti giravi per guardarla, altezza nella media, capelli scuri, occhi scuri, bel sorriso, sempre trucco leggerissimo o assente, pelle molto chiara, classiche imperfezioni sul viso, naso un po’ tozzo, taglio degli occhi banale, sopracciglia troppo corte, niente di ché.

Quella mattina i capelli non li aveva legati a coda ma li aveva lasciati fluenti sulle spalle, ed invece dei soliti pantaloni morbidi o jeans ampi con maglietta o vestito “di maglina” si era messa una camicetta scollata entro la quale si vedevano i due grossi globi che spingevano per uscire e un paio di short color crema con dei sandali estivi, abbigliamento abbastanza insolito per lei che non era proprio amante del mettere in mostra né le gambe né altro.

Non ebbi nemmeno il tempo di aprire bocca che arrivò Simone.

Era il suo ultimo giorno da noi, finalmente (sono abbastanza solitario nel lavoro, non mi piace avere attorno gente, tollero a malapena lei…), ma invece di prendersela comoda come avrebbe fatto uno stagista qualsiasi arrivò preparatissimo con tutto il sospeso arretrato, e puntando alla mia scrivania appoggiò sopra il malloppo.

Avrei voluto rimandare il tutto molto volentieri ma solo il nome del cliente sul primo fascicolo mi fece cambiare idea, e allora… sotto, una pratica dopo l’altra, controllo contabile, fattura, ordine, documenti…

Finimmo alle undici e mezza, esausti entrambi, e la prima cosa che feci una volta liberato fu quella di andare in bagno, poi caffè e poi di nuovo ufficio.

Alessia non era ancora tornata, era uscita diverso tempo prima per andare ad un incontro interno che doveva essere terminato già da parecchio, così feci un po’ di cavoli miei e poco prima di mezzogiorno tornò anche lei.

Sembrava allegra, molto più del solito, canticchiava e tamburellava le dita sulla scrivania per tenere il ritmo, e tutto questo buonumore mi fece stare davvero bene.

E dentro di me pensai che la sua felicità fosse anche un po' merito mio…

Non avevamo ancora parlato di niente, né del passato né del prossimo futuro, ci guardavamo, magari… solo… pensandoci, ma nessuno dei due aprì bocca.

Poco prima della pausa pranzo ricevette una chiamata sul cellulare, guardò lo schermo e sbuffò, poi rispose.

Era il maritino, in procinto di preparare il bagaglio per il viaggio di tre giorni che l’avrebbe tenuto fuori dalle p… dal Paese: Alessia lo trattò davvero con poco garbo per essere qualcuno che ami, ma quando le passò la figlia allora tornò ad essere dolcissima.

E lì… ebbi la prima “vampata” di caldo.

Ma cosa stavo combinando? Stavo mettendo il classico dito tra moglie e marito?

Rischiavo di far naufragare un matrimonio? Ero forse io la causa della loro tensione?

Preferii non pensarci, del resto… toccava a lei mettere ordine nelle sue cose, e non a me.

Alessia salutò la sua bimba dandole appuntamento al pomeriggio (già, mi ricordai che aveva chiesto un permesso per uscire prima), poi mise giù.

“Per prepararsi un paio di cose…” bofonchiò senza spiegarmi nulla, spense il computer e si alzò.

“Vado a pranzo…” mi disse laconicamente prendendo la borsa, “ci vediamo dopo…”

Non le risposi, limitandomi a guardare la sua tenuta.

Non era di certo questa gran bellezza ma… colpiva.

“Che c’è?” mi chiese maliziosa, lasciandosi scorrere addosso il mio sguardo.

Ecco, eccola lì la Alessia che avevo imparato a conoscere…

“Stai davvero bene” le dissi, alzando le spalle.

“Grazie!” rispose allegra, “Mi fa piacere…”

“Ho visto anche i capelli… non li hai legati a coda… stai davvero bene…” aggiunsi, facendola quasi arrossire.

“Mi fa piacere che l’hai notato” rispose, sempre maliziosa, “davvero…”

“Noto tutto di te, e mi piace tutto, penso che tu l’abbia capito…” le dissi, forse esagerando.

E infatti esagerai, perché quello che ottenni fu un sorriso sbiadito e nient’altro.

Ancora una volta non ero stato capace di dividere l’attrazione puramente sessuale da quella romantica, diciamo così, perché quella Alessia non la voleva proprio.

“Bravo stronzo…” sussurrai una volta rimasto solo, e per evitare di pensarci lasciai l’ufficio e andai a pranzo con l’intenzione di restare solo anche se alla fine mi unii alla solita banda dei soliti dementi che infestava il locale, compagnia di menti fini e ottimi conversatori che però avevano il pregio di farmi sempre stare bene.

Il resto del pomeriggio passò lentamente, c’era tanto da fare ma poca voglia di farlo né lì da noi né in giro, quindi tutto si congelò in attesa del lunedì successivo, e mentre Alessia faceva avanti e indietro nelle sue pubbliche relazioni io mi dedicai a cose di minor conto fino a che arrivarono le tre.

Alessia prese le sue cose, spense tutto e fece per andarsene, ma si fermò.

“Dopo… ti scrivo” disse, forse per farmi capire che non mi voleva proprio escludere, mi sorrise e poi se ne andò come se nulla fosse, senza aggiungere una parola sul fatto che dovevamo vederci e soprattutto passare la notte insieme.

Io non stavo più nella pelle e lei, almeno all’apparenza, sembrava non essere quasi toccata.

‘Sempre il solito coniglio! Perché invece di roderti il fegato non la fermi e glielo chiedi? Troppa paura?’

Non potevo darle torto, del resto dopo lo spavento preso avevamo deciso di comune accordo di evitare di fare “cose” sul lavoro, ma Alessia l’aveva proprio messa in pratica alla lettera quella decisione, perché oltre al non fare niente era anche diventato un “non dire niente”, cosa davvero strana per una che aveva dimostrato certe disinibizioni…

Cercai di lasciare perdere e di concentrarmi sul lavoro (per fare passare il tempo, ovviamente) e proprio mentre ero nel bel mezzo di una telefonata antipatica ma chiarificatrice… ding.

“ha il treno alle sei e mezza” scrisse, “lo accompagno in stazione e poi porto Gioia dalla nonna”

Eccoci, cominciamo…

“sono da te alle otto e mezza”

Nient’altro, niente cuoricini o faccine o foto, solo un messaggio breve e quasi cifrato.

Mah…

Esitai, ma poi le risposi.

“ok, ti aspetto” scrissi, ma poi cancellai e le inviai “non vedo l’ora…”

Lesse ma non rispose, non subito, ma alla fine lo fece.

Nel modo migliore in cui lo poteva fare.

Aprii l’immagine e ma la ritrovai davanti completamente nuda ad eccezione degli slip, in uno scatto riflesso nello specchio della sua camera da letto, con i capelli che le fluivano davanti sfiorandole le tettone.

“wow” le risposi, “sei assolutamente fantastica”

E in risposta ebbi un altro dei suoi messaggi del tutto espliciti.

“ricordati che cosa mi hai promesso,” scrisse, “voglio una notte di sesso”

Cosa può pretendere di più un uomo?

“non vedo l’ora” scrissi, Alessia rispose con un pollice in su e poi chiuse.

Fu durissima tirare le cinque, praticamente scappai via dall’ufficio perché mi sembrava di esplodere e prima di tornare a casa mi fermai al supermercato dove presi alcuni “generi di conforto” come fragole, lamponi, cioccolatini e Nutella, lo champagne era già nel frigo quindi… via, a casa.

Cambiai le lenzuola mettendole nuove, sistemai le ultime cose in bagno rendendolo female-ready e lo profumai per bene e poi… aspettai.

Il tempo non passò più, arrivarono le otto e poi le otto e venti e poi le otto e mezza, sbirciavo continuamente fuori dalla finestra quando… ding.

“sono un po’ in ritardo”

“arrivo verso le nove e mezza”

“scusa”

“poi mi faccio perdonare”

Sorrisi e le mandai un bacio a cui non rispose, ma era più che sufficiente così.

Alle nove e trentacinque, mentre spiavo fuori, vidi passare la sua auto, si fermò allo stop, passò oltre e poi nulla, ma un paio di minuti dopo la vidi tornare, rallentare e finalmente fermarsi in un parcheggio libero.

La vidi scendere in tuta e prendere un borsone dai sedili posteriori, era evidente anche dal suo abbigliamento che quello non era un appuntamento romantico ma quasi professionale.

La accorsi sulla porta e la lasciai entrare, aggredito dal profumo di violetta che lasciava dietro di sé, chiusi la porta e la raggiunsi facendola accomodare sul divano.

“Che caldo che fa” disse, “ieri faceva freddo e oggi ci sono trenta gradi…”

Restammo a guardarci quasi imbarazzati per qualche istante, poi mi ripresi e mi alzai in piedi.

“Bevi qualcosa?” le chiesi, “Ho preparato il gin tonic analcolico, lo vuoi?”

“No, grazie, non adesso” rispose, e alzandosi in piedi pure lei si levò la giacca della tuta restando con una maglietta bianca sotto la quale si vedevano le tettone trattenute a stento dal reggiseno.

“Ok, se vuoi qualcosa… magari p-più tardi… dimmelo… o fai come se fossi a casa tua…” farfugliai strappandole un sorrisetto.

“Ok…” rispose sempre con lo stesso sorrisetto, e poi aggiunse “magari… in realtà c’è qualcosa che puoi offrirmi… adesso…”

Anche uno come me poteva capire…

Era ora di fare l’uomo, senza indugi e senza timori di fare brutte figure.

Mi avvicinai e la presi per mano, come sempre intrecciò le dita con le mie e si fece condurre in camera da letto e lì non oppose resistenza nemmeno quando la misi in ginocchio sul materasso e andandole dietro cominciai ad accarezzarle il culone.

Anzi, cominciò a muoverlo e a fare risatine infantili e sciocche che erano poi il suo modo di… abbandonarsi.

Le misi due dita negli elastici dei pantaloni da yoga e assicurandomi di aver preso anche quelli degli slip cominciai ad abbassare tutto scoprendole centimetro dopo centimetro il solco delle chiappe e finalmente i suoi tesori, primo su tutti il buco del culo.

Senza nemmeno aver terminato di abbassare tutto cominciai ad accarezzare la pelle nuda e riempirle le chiappone di baci, poi completai l’opera e le tolsi tutto, calze e scarpe comprese, e con tutto quel popò di roba a disposizione cominciai il divertimento

“Sì, così…” mugolò quando le passai la prima leccata da sotto a sopra, immergendomi nel suo sapore di donna eccitata e umida, e ricominciando tutto daccapo le diedi quello che più le piaceva, le famose leccate dalla pancia alla schiena passando tra le cosce, insistendo particolarmente a lungo sul buchino iper sensibile ma gratificando anche la deliziosa vagina spalancata che non smetteva di regalarmi umori dolcissimi.

La feci venire non so quante volte, tutte accompagnate da contrazioni fortissime e respiri affannosi ma mai “completate” dalla parola ‘vengo’, che sarebbe stata la ciliegina sulla torta: ma di ciliegine ne avevo anche fin troppe, anzi, rischiavo di strozzarmi.

Dopo averla leccata per più di mezz’ora le tolsi anche il resto che aveva addosso lasciandola nuda sul mio letto, poi mi tolsi tutto anch’io e accolto dalle sue braccia aperte la raggiunsi e cominciai a palparle le tettone e a succhiargliele facendola gemere nuovamente, mentre lei con le unghie piantate nella schiena mi graffiava pericolosamente e mi incitava (o ordinava?) a non smettere.

Non so quanti arretrati aveva, ma dovevano essere davvero tanti…

Con i baci salii sul collo ma capii che non erano zone gradite, allora scesi sulla pancia e finii ancora di sotto, aprendole la passera con le dita e stringendole il grilletto con le labbra: fu come se l’avesse punta una vespa, cominciò a contorcersi e a gemere in modo sconfusionato fino a che mi spinse via e si mise a pancia in giù cercando di proteggersi, ma così facendo le restò scoperto il culone…

Quando glielo aprii e ci passai dentro la lingua non si oppose, mi lasciò fare ciò che volevo e così mi dedicai a quegli splendidi globi da baciare e leccare e mordicchiare, senza disdegnare attenzioni al suo bel buco del culo che mi permetteva di ispezionare e di penetrare con le dita pur contraendolo ad ogni tocco.

Avevo scoperto di avere un debole per il suo forellino posteriore, non che la cosa con altre partner mi fosse sgradita ma con quello di Alessia era stato amore a prima vista.

Dopo tanto orale, solo mio, però, era ora di passare a qualcosa di più serio.

Approfittando della sua posizione la feci mettere in ginocchio e senza molte cerimonie glielo puntai alla fessura e senza nemmeno spingere troppo entrai al primo colpo.

Cominciai con calma ma non era quello che voleva da me e allora giù di brutto, come meglio mi veniva.

Tra le chiappe che ballavano come budini e le tettone che rimbalzavano sembrava fatta di gelatina, anche se non è un gran bel complimento, e quello fu l’inizio perché nell’ora successiva praticamente ripassammo tutto il campionario tra pause per rifiatare, risatine, ritorni di fiamma orali e nuove botte da dietro e da sopra, ma visto che “non è mica fatta di gomma” e tutta quell’attività evidentemente l’aveva messa a dura prova, mi chiese una pausa di riflessione.

Andò in bagno e ci restò per parecchi minuti facendo scorrere ettolitri di acqua, e quando tornò si venne a distendere accanto a me, serena e sorridente.

“Posso chiederti una cosa?” mi disse, accarezzandomi il petto.

Annuii.

“Cosa pensi di me?”

Domanda di riserva? Aiuto da casa?

“Lo sai cosa penso di te” risposi diplomaticamente, “ci conosciamo da dieci anni, sai che ti considero una gran bella donna e una bella persona…”

“Non volevo dire quello” mi chiarì interrompendomi, “volevo sapere un’altra cosa…”

Ovviamente si riferiva alla deriva sessuale che aveva avuto nei miei confronti.

Annuii e sorrisi.

“Beh, è il mio sogno che si è avverato” risposi, “sei il mio sogno che si è avverato” aggiunsi, ma non era la risposta corretta.

“Credo che tu ne avessi bisogno” risposi, più serio, “e hai… afferrato uno dei tanti segnali che ti ho lanciato negli ultimi anni, e ti sei lasciata andare”

Annuì lei, stavolta.

“Nessun giudizio, quindi” volli chiarire, “hai reagito ad uno stimolo e ti sei solo divertita, ti stai divertendo”

“Senza complicazioni” aggiunse, quasi a chiudere.

“Esatto” replicai, “senza complicazioni, senza secondi fini…”

“Senza coinvolgimento”

“Solo sesso”

“Soltanto sesso…”

Rotolò a pancia in giù, appoggiandosi sui gomiti, con le tettone che le ballavano sotto, impossibile per me non esserne attratto.

“Posso fartela io una domanda?” le chiesi.

“Certo…” rispose dolcemente.

“Ma… le hai sempre avute… così?” azzardai a chiedere, “Non mi sembravano così… grandi… prima…”

Sorrise.

“Il corpo di una donna cambia” rispose, “a volte in meglio” e si toccò il seno, “a volte in peggio” e si toccò il sedere.

“No, non sono d’accordo” la interruppi, “non trattarmi male il tuo bel culo, potrei offendermi…”

Ridacchiò e si lasciò nuovamente andare sul letto, mettendosi a pancia in su come me.

Era il momento delle confessioni.

“Sai” cominciò, “speravo che tu mi chiedessi di passare una notte con te…”

“Davvero?”

Annuì.

“Volevo… conoscerti meglio, da questo punto di vista” ridacchiò, “e fare le cose così, con comodo, senza nessuno che ti pressa… è meglio…”

“È la prima volta, sai?” aggiunse, “La prima volta che… lo faccio… hai capito, sì?”

“Sì, ho capito”

“Ma non sto male, anzi” si affrettò a dire, “me lo meritavo, sono anni che… non… faccio più niente del genere con… con lui”

Rimasi in silenzio.

“Da quando è nata Gioia praticamente l’avremo fatto sì e no dieci volte” ridacchiò, amara, “ma anche prima non è che fossimo questa coppia… affiatata”

“Mi dispiace…” risposi.

“A te è mai capitato, prima?” mi chiese, “Quando eri sposato? Di aver bisogno di… sfoghi?”

“Sì, certo” risposi.

“E?”

“E… mi sono tenuto la voglia…” risposi, enigmatico.

Sembrò rabbuiarsi.

“Non hai mai… provato a… cercare altro?” volle sapere.

La guardai negli occhi e sorrisi.

“Mi hai sempre detto di no…” borbottai, e allora Alessia scoppiò a ridere.

Ci abbracciammo, ci facemmo il solletico a vicenda e rotolando me la trovai sopra, occhi negli occhi, mani nelle mani con le dita intrecciate.

“Non fare cazzate” sibilò, “smettila di guardarmi così perché non ho voglia di… provare qualcosa... per te, voglio solo che mi scopi, ok?”

“Ok”

“Non devi sedurmi, devi scoparmi” sibilò, “ti do anche il culo se lo vuoi, ma devi vedermi solo come oggetto di piacere, intesi?”

“Proprio come io vedo te, un cazzo e basta”

Brutale ma sincera. E anche un po' avvilente, ma se era quello voleva da me…

“Intesi” risposi, da bravo soldatino.

“Bravo!” esclamò, e cercando il cazzo se lo guidò alla fessurina facendolo abboccare, e una manciata di secondi dopo ero dentro.

Quello fu il secondo round ma durò poco perché era ancora parecchio indolenzita e le bruciava, e allora di comune accordo ci fermammo: era quasi mezzanotte e non sarebbe stato male chiudere gli occhi per un po’…

Dovetti convincerla perché si sentiva in colpa per non… darmi piacere, ma riuscii a farla stare buona.

“Posso chiederti un’altra cosa?” sussurrò nel completo silenzio della mia camera.

“Ma certo” le risposi.

“Secondo te… sono… brava?”

“Ah, sei bravissima…” le risposi, sincero, “non penso che ci sia da lamentarsi, anzi…”

“Ok…” rispose, in un sospiro.

Ne fu felice, e mi disse che una delle cose che si era sempre chiesta visto il… fallimento sessuale con il marito era se lui la trovasse poco valida, poco stimolante o poco attraente.

“Posso essere estremamente sincero?” le dissi, “Sei una donna che merita, anche solo a guardarti, e quando uno ti prova… beh, ancora meglio, ne vuole sempre di più…”

Ridacchiò, forse perché era felice: non ne ero certo, stava diventando troppo difficile per me.

“Magari a casa sei una rompiballe colossale” ricominciai strappandole una risatina, “e chi ti sta insieme per tanto tempo non ti sopporta più…”

“E non me lo dà più!” volle aggiungere.

“Esatto” ripresi, “e non ti scopa più, ma presa a piccole dosi… diciamo… tre, quattro volte…”

“Al giorno?”

“Alla settimana…” risposi rimediando una gomitata, “

“Presa a piccole dosi, dicevo, sei… sei…” buttai lì, e voltandomi verso il suo viso aggiunsi “assolutamente fantastica…”

“Smettila” sussurrò, “ti ho detto di piantarla”

“Smettila cosa?” mormorai, “Di dirti quanto sei gnocca?”

“Sì, smettila” rispose, “non ti voglio sentire dire che sono bella o gnocca o… o fantastica” aggiunse, “voglio solo che fai sesso con me, tanto, tantissimo sesso, che ti devo fermare perché me la stai rompendo!”

Parole che non ammettevano replica.

“Intesi?” volle sapere.

“Ok…” risposi amaro.

Non sono mai riuscito a dividere le due cose, sesso e amore (parola grossa), evidentemente Alessia ci riusciva eccome.

“Non voglio che mi vedi come una conquista” continuò, forse decisa a spiegarmi la cosa una volta per tutte, “per te devo essere solo qualcosa di sessuale, senza che ci provi attrazione, come una… bambola gonfiabile, che quando hai bisogno la prendi le apri le gambe e la usi, e una volta fatto la rimetti via e non ci pensi più”

“Addirittura…” pensai, “sei questo punto?”

“Quindi finiamola qui con i ‘sei fantastica’ e tutte le altre cazzate” concluse in modo molto diretto.

Quasi seccato.

Restammo in silenzio, interrotto solo dai nostri respiri.

“Ti sei offeso?” mi chiese improvvisamente.

“Io? Per niente…” risposi.

“Ecco, bene” aggiunse mugolando e voltandosi verso di me dopo essersi messa sul fianco, “perché tanto non me ne frega niente…”

Annuì, a metà fra il divertito e il perplesso.

“Allora?” mi chiese, “Vogliamo continuare a parlare di cazzate o…”

E visto che la conversazione aveva preso quella piega… mi venne in mente una cosa, già che eravamo in tema, e allora gliela chiesi.

L’ultima volta che l’avevo fatto, qualche anno prima, avevo preso una ginocchiata nelle palle.

“Ma tu, mandi giù o sputi?”

Mi guardò con gli occhi ridotti a due fessure.

“Signor Enrico” sibilò, “ma per chi cazzo mi hai preso?”

Per un istante pensai che l’aveva presa veramente male, ma poi la vidi sorridere.

“In un altro contesto ti avrei già preso a sberle…” rispose tagliente, “ma qui… oggi… è tutta un’altra cosa” aggiunse sospirando.

“No, farmi venire in bocca non è una cosa che amo particolarmente” rispose, “l’ho fatto ancora, ma non posso dire che mi piace”

“L’hai fatto solo… con lui?” azzardai a chiedere.

Mi guardò sempre tagliente.

“No” rispose, “non solo con lui…”

Stavo per continuare ma mi blocco.

“Tu… vorresti un bel pompino con l’ingoio, dì la verità…” mi chiese, a bruciapelo, lasciando poco spazio alla replica.

“Chi non lo vorrebbe da questa splendida donna?” le sussurrai, stava per replicare ma toccandole le labbra con un dito la zittii.

Sembrò esitare, ma poi sorrise ancora.

“Oggi le regole non valgono…” rispose, mi accarezzò una spalla e mettendomi un dito sotto il mento mi sorrise.

“Stasera sono tutta tua” rispose sensuale con la bocca molto, molto vicina alla mia, tanto che sentii il profumo del suo alito, “e faccio tutto quello che mi chiedi di fare… e se quello che mi chiedi è un pompino con l’ingoio, lo faccio”

“Wow…” le dissi, “non credo che una donna mi abbia mai proposto una cosa del genere…”

“Anzi, forse una sì…” aggiunsi, ma provvidenzialmente mi fermai.

Diventò molto perfida dopo quella mia uscita.

“Senti, signor cazzo moscio…” sibilò, alludendo al mollaccione che si era preso un attimo di riposo, “sono qui nel tuo letto e tu mi parli di altre donne?”

“Ma non ti vergogni?” aggiunse sdegnosa, “Roba da… implorare la mia pietà… in ginocchio…”

“Hai cominciato tu a mettere i puntini sulle i” le ricordai, sempre tenendo la cosa sul ridere, “io che c’entro?”

“E poi” continuai, “sei tu che ti sei fermata per prima, perché ti brucia la cosina… senno in questo momento… non ce l’avrei moscio…”

“Sei uno stronzo…” mugugnò, ma subito cambiò tono.

“Vedrai se non mi implorerai… di avere pietà di te” sibilò perfida, “vedrai…”

“Imploro pietà solo se prima mi fai… morire…” le risposi, “hai capito a cosa mi riferisco, vero…?”

“Mmm… interessante prospettiva…” mugolò, “vuoi sfidarmi? Vuoi davvero sfidarmi?”

Sorrisi sarcasticamente, rimediando un pugno sullo sterno che mi fece piegare in due.

“Non prendermi in giro” ringhiò, “non te lo consiglio…”

Allora fu lei a sorridere sarcasticamente.

“Posso… portarti allo stremo delle tue forze” mi sussurrò avvicinandosi pericolosamente con la bocca alla mia, “roba che davvero mi dovrai chiedere pietà…”

“Mai” sentenziai, sicuro di me, “scordatelo!”

“Vedremo…” mugolò ancora, “vedremo…”

Capii al volo dove voleva arrivare, e infatti…

Non mi diede il tempo di dire o fare altro, si alzò e si piazzò tra le mie gambe, e dopo avermelo afferrato e ripulito da peli superflui e pelucchi lo prese in bocca ancora mezzo molliccio e cominciò a fare su e giù con la testa, e a me non restò altro da fare che abbandonarmi e gustarmi quella meravigliosa prestazione orale che mi gratificò e ricompensò di tanti anni in cui avevo sognato le sue labbra su di me.

Al diavolo la sfida…

Non era la migliore pompinara con la quale avessi avuto a che fare ma si difendeva egregiamente, soprattutto per la qualità dell’impegno che ci metteva, l’uso sapiente della lingua e delle mani ma anche delle labbra.

Inutile dire che dopo quello che già avevamo combinato, l’eccitazione del momento e il grande desiderio di venirle in bocca non mi fecero durare come un Rocco Siffredi, e bastarono davvero un paio di minuti di lavorio che ero già bello pronto per concludere.

“Sto… venendo…” riuscii solo a dirle quando sentii arrivare l’onda, Alessia non si scompose e semplicemente smise di succhiare e si tenne la cappella stretta tra le labbra aspettando lo schizzo che inevitabilmente arrivò, tenendomi le palle con l’altra mano: non mi sarei mai perso quella scena, e infatti non me la persi.

E quello che vidi rimarrà negli annali delle mie memorie…

Le schizzai in bocca una, due, tre, quattro volte, al primo schizzo Alessia chiuse gli occhi e poi stoicamente accettò tutto, e quando non ce ne fu proprio più deglutì vistosamente e forzatamente ricominciando poi a fare su e giù come se nulla fosse, mandandomi a vedere le stelle!

Non dico che fu il migliore, ma senza dubbio il pompino più… agognato della mia vita.

La lasciai lavorare allegramente resistendo virilmente solo per pochissimo ma poi, pur sapendo che me ne sarei pentito, la dovetti fermare: ero diventato troppo sensibile perché potessi farla continuare e lei, approfittando ‘vigliaccamente’ del mio momento di debolezza, non fece altro che saltare in piedi sul letto e cominciare a ballare felice per avermi sconfitto in quella gara di resistenza, prendendomi in giro.

Da sotto, dove mi trovavo, era una visione… onirica.

Era tutto un ballare di chiappe, tettone e cosce con scorci sulla figa aperta che ad ogni suo movimento sembrava volersi aprire ancora di più.

La lasciai ballare e sbeffeggiarmi, e quando aprii le braccia perché tornasse da me Alessia semplicemente si abbandonò, atterrandomi sopra e ricoprendomi con il suo corpo bollente, fermandosi con il viso sopra il mio.

Eravamo in silenzio, due amanti “normali” si sarebbero già baciati, ma noi non eravamo amanti normali, anzi, non eravamo proprio amanti… quindi che potevo dire?

“Perché adesso non ci ubriachiamo?” le chiesi.

Spalancò gli occhi come se avesse sentito chissà quale bestemmia, poi semplicemente scoppiò a ridere (sputandomi involontariamente in faccia) e si rotolò dalla sua parte del letto, tenendosi la pancia.

“Sì” rispose, “sì, sarebbe un’idea…” aggiunse, ma capii che non era una cosa praticabile.

“Adesso devo fare una telefonata” mi disse, “privata, poi ci beviamo qualcosa, ok?”

“Ok…” le risposi, e la guardai mentre si rimetteva il reggiseno ma non le mutandine e prendeva il telefono, poi la vidi uscire dalla camera e andare in soggiorno.

Non volevo origliare, ma il mio appartamento è piccolo e comunque si sente tutto…

Parlò con qualcuno e rise, chiese se andava tutto bene con la voce un po' tesa e sembrò rasserenarsi per le risposte ricevute, parlottò e poi chiuse, senza molte cerimonie.

Poi ne fece un’altra ma sentii che parlava con una segreteria dicendo “va tutto bene, dorme ed è tranquilla, ci sentiamo domani” anche lì senza molte cerimonie, e dopo un paio di minuti tornò da me, affacciandosi sulla porta.

“Allora?” mi chiese, “Terzo round o… alcool?”

“Ovviamente alcool!” le risposi, ricevendo in cambio una cosa del tipo “cazzo moscio” o “mollaccione”.

Andai a prendere lo champagne con tutti i frutti di bosco e organizzammo un pic-nic sul mio lettone, sparlammo dei colleghi e dei capi e ci raccontammo storielle sempre su colleghi e clienti, e ridendo e scherzando ci scolammo tutto lo champagne passando poi ad un più volgare bollicine, passandoci la bottiglia che ciucciammo a canna e ritrovandoci stanchi morti, alticci e mezzi assonnati sul letto, pance all’aria.

“Adesso voglio dormire un po'…” mugolò, “poi voglio scopare ancora…” aggiunse ridendo da sbronza, esagerando un po' il suo stato.

“Certo, come no…” le risposi spegnendo la luce, e pochi minuti dopo il suo respiro si era fatto lento e cadenzato.

Restai a guardarla non so per quanto mentre dormiva, e ancora non mi sembrava vero: certo, non era lì per restare, al mattino sarebbe tornata dai suoi affetti ma… in quel momento era lì, nel mio letto con me.

Cedetti anch’io e quando ormai la luce aveva invaso la camera da letto (mi ero dimenticato di abbassare le tapparelle…) mi svegliai di soprassalto, sentendo un rumore.

Mesi e mesi di vita da single mi avevano disabituato al fatto che la casa possa essere abitata anche da qualcun altro…

Il rumore veniva dal bagno, era acqua che scorreva nel lavandino ma anche quella che stava riempiendo la cassetta del water: aguzzai l’udito ma non sentii nient’altro e pochi istanti dopo invece sentii la porta del bagno aprirsi.

Finsi di dormire e un attimo Alessia tornò a letto, fermandosi immobile.

Avevo una specie di… sensazione, così…

“Tu mi stai guardando, vero?” le chiesi.

“Puoi scommetterci…” rispose, sibilando.

“Mi sentivo una specie di fitta sulla schiena…” aggiunsi girandomi verso di lei, “e mi sono venuti i brividi…”

Ridacchiò.

“Che ore sono?” le chiesi, senza riferimenti.

“Presto…” rispose, “presto abbastanza…” aggiunse.

“Abbastanza per che cosa?” le chiesi, abboccando alla sua trappola.

“Abbastanza per divertirci ancora un po'…” mugolò, e in un attimo mi si piazzò sopra.

Aveva ancora addosso il reggiseno, glielo accarezzai e la guardai.

“Lo metto a dormire perché mi fanno male, sono troppo grosse” ridacchiò, “sotto invece… tutto libero” aggiunse, forse per farmi capire che dovevo darmi una mossa.

Le accarezzai le chiappone nude risalendo fino alla schiena, poi le feci l’occhiolino.

“Perché non mi vieni sopra?” le sussurrai, “Voglio fare un giochetto…”

“Quale giochetto?”

“Un sessantanove…”

Fece una smorfia impercettibile, poi sorrise e fece come le avevo chiesto, piazzandomi il culone aperto proprio davanti alla faccia: glielo aprii con le due mani e mi trovai davanti la figa aperta e senza indugiare oltre cominciai subito a leccargliela.

Aveva il classico “sapore” di donna misto a qualcosa di indefinito, non mi feci di certo fermare e continuai a darle delle passate che le facevano contrarre il culo anche perché Alessia aveva già cominciato a ciucciarmelo, e quando piegai il collo per passarle la lingua anche sul buchetto… ecco ancora quel saporaccio.

E collegando i puntini… capii che le stavo leccando il culo dopo che era andata al cesso!

La simpaticona non me l’aveva ovviamente detto…

Continuai imperterrito (e mi stupii, perché non sono mai stato avvezzo a certe pratiche estreme) anche per non imbarazzarla, e mentre lei pompava da maledetta io facevo il mio, preparando bene la strada.

La fermai e tornai a farmela venire sopra, le guidai il cazzo dove era più larga e un istante dopo ero dentro.

Socchiuse gli occhi quando la penetrai fino in fondo e dopo averla “invitata” a muovere il sedere la accompagnai nei suoi saltelli prima leggeri e poi sempre più marcati perché Alessia cercava la stimolazione giusta per raggiungere il piacere: la assecondai spingendo da sotto e andando addirittura fuori ritmo per spingerlo mentre lei scendeva, strappandole un gemito ad ogni botta che le assestavo, e dopo non so quanti minuti di su e giù finalmente la vidi godere, trovando l’orgasmo liberatorio.

Ero riuscito a farle raggiungere entrambi i piaceri, quello clitorideo e anche quello vaginale, potevo essere soddisfatto di me stesso!

Si rilassò, sudata e in affanno, si sollevò sfilandoselo da dentro e si andò a stendere a pancia in su, liberandosi finalmente del reggiseno facendo uscire le gemelle che immediatamente ricevettero le mie cure sotto forma di ciucciatine e strizzatine che la fecero ridacchiare.

Le leccai tutto il corpo scendendo fino ai piedi per poi risalire, e transitando ancora dalle chiappe gliele aprii slappandole ancora il buchino prima di passarle la lingua sulla schiena e terminando alla base del collo.

In bocca avevo un mix inebriante di sapore di donna, sudore e deodorante, qualcosa che in altre occasioni forse mi sarebbe sembrato poco… piacevole, ma che quella mattina, nel mio letto, sembravano la cosa più buona di questo mondo.

“È tardi per queste cose…” mugolò, “tra poco devo tornare a casa…”

“Ok…” sussurrai baciandole le spalle.

Non sembrava più infastidita, mi lasciava fare e forse… le piaceva pure.

Però un attimo dopo allungò la mano e mi afferrò il cazzo dandogli tre o quattro “scosse”, mi guardò con gli occhi che erano due fessure e mi sussurrò “Adesso lo voglio nel culo…”, e senza attendere oltre si mise alla pecorina in attesa che facessi l’uomo.

Ma non era così che la volevo…

“Cosa… fai?” mi chiese mentre me la facevo venire sopra dandomi la schiena.

“Fidati…” le sussurrai baciandole ancora una spalla, e sistemandola bene, facendola mettere in sospensione con braccia e piedi puntellati per sostenerla le guidai l’affare al buchetto, già abbondantemente pronto per accogliermi ma che lubrificai ancora con la mia saliva.

“Ma… così?” mi chiese, nervosissima e non preparata a quella novità.

Non le risposi, glielo puntai per bene e poi la feci scendere lentamente, e impalarsi.

“Oh cazzo…” mugolò sofferente, “mi sta… aprendo… in due…”

Con l’aiuto del suo peso la penetrai per quello che mi permise, e una volta sistemata bene con la schiena appoggiata alla mia le sollevai le gambe e cominciai a scoparla da sotto.

Sembrò un’altra Alessia, si lasciò scopare nel culo gemendo di piacere (simulando, ne sono certo) e incitandomi a continuare e non fermarmi, ma quando arrivai all’inevitabile conclusione e glielo dissi si voltò verso di me.

“Sborrami dentro!” mi ordinò, “Dai, sborrami nel culo!”

Nessuna donna mi aveva mai… incitato così.

Le sborrai dentro tutto quello che avevo, dandole gli ultimi colpo e facendola lamentare forse per il dolore, e quando tutto finì ci ritrovammo stesi uno accanto all’altra, ancora una volta ansimanti, sudati e appiccicati.

Porca puttana…” sussurrò provata, “ma… dove l’hai imparato?”

Evitai di risponderle, ma Alessia tornò alla carica.

“Io… non ho mai fatto una cosa del genere…” mi disse ridendo, e mettendosi di fianco aggiunse “certo che ne hai di fantasia…”

‘Poveretta… sei proprio digiuna…’

“E non hai ancora visto niente… verginella!” le risposi, provocandola.

“Stronzo…” sussurrò.

Restammo lì a parlare e a provocarci, a ridere e a cercare di rendere normale quello che normale non era, addirittura mi permise di giocare con il suo buchino da cui usciva parte del liquido che le avevo iniettato dentro, ma eravamo alla fine.

La tensione sessuale e la voglia di trasgressione che restando alte avevano sostenuto quella nottata stavano scemando, ed entrambi lo sapevamo, dovevano rientrare nei ranghi.

Un po’ come Adamo ed Eva dopo aver assaggiato il frutto proibito ci scoprimmo nudi, e lì cominciò la vergogna: improvvisamente le sue tettone esposte non erano più un vanto per lei ma qualcosa da nascondere, e il mio affare che catturava sempre il suo sguardo era un’inutile antipatico orpello.

“Vado a fare la doccia… ne ho bisogno” mi disse, e in quelle poche parole capii che desiderava farla da sola, e infatti non mi chiese né di raggiungerla né fece o disse altro.

Approfittai per ripulirmi un po' con delle salviettine detergenti e per rivestirmi, maglietta e boxer, e quando Alessia uscì dalla doccia era avvolta in una grossa spugna che la copriva dalla linea del seno fino alle ginocchia, ben stretta.

Più chiaro di così…

Le lasciai il suo spazio per rivestirsi, le chiesi se voleva mangiare qualcosa ma disse “no, grazie” con un sorriso scialbo e allora… mollai la presa.

Feci una puntatina in bagno pure io e quando uscii Alessia era già pronta, seduta sul letto, i capelli ancora bagnati legati a coda di cavallo.

Ancora la coda di cavallo.

“…già pronta?” le chiesi, sempre cercando di sorridere anche se in realtà ero giù: stava andando via e qualcosa mi diceva che… ma forse era solo una sensazione.

“Che c’è?” mi chiese, “Guarda che ci rivediamo in ufficio, eh?” aggiunse, sforzandosi di essere serena anche se non lo era, perché dentro di lei c’era qualcosa che le rodeva.

“Certo, assolutamente…” le risposi, ma restammo a guardarci troppo a lungo.

Accadde velocemente, Alessia appoggiò la fronte alla mia e un istante dopo mi posò un bacio leggero sulle labbra, e bastò… aspettare perché scoppiasse tutto.

Ci baciammo profondamente, con le lingue che sembravano guizzare senza controllo, in un cozzare unico di denti e nasi: alla faccia che non dovevano esserci scambi di… smancerie.

Continuammo a baciarci come due folli innamorati, ci separammo e poi ricominciammo non so quante volte prima che Alessia si ricordasse cosa stesse facendo.

Si fermò ma non scappò via come avevo immaginato, restammo ancora abbracciati in silenzio, poi Alessia si alzò.

“Adesso però è ora che vada” mi disse, recuperando le sue cose.

“Di già?” le chiesi, dispiaciuto, “Non puoi fermarti per un caffè?”

“Hai già approfittato troppo di me…” rispose, “fatti bastare quello che hai avuto, ok?”

Annuii, ed evitai di replicare.

Raccolse il suo borsone e mi precedette in soggiorno, le aprii la porta e ancora prima che fosse uscita mi gettò di nuovo le braccia al collo e mi baciò, profondamente.

“Adesso però vado via…” sbottò staccandosi e raccattando il borsone scappò giù dalle scale quasi di corsa, sparendo.

Fu un sabato piuttosto vuoto, dopo tutto quel movimento anche il solo tran tran quotidiano era una noia mortale.

La sera le mandai un messaggio perché si era dimenticata la spazzola in bagno, mi rispose “me la puoi riportare lunedì?” senza né bacini né faccine, e quello era già un segnale.



E quella fu l’ultima volta che Alessia volle fare sesso con me.

Il lunedì sera mi fece una lunga telefonata perché non aveva trovato… il coraggio di parlarmi a quattr’occhi, e così le veniva più facile.

Mi chiese anche di “aiutarla” e non cercarla più, non provocarla e non… farla cedere in tentazione, in nome della nostra amicizia: non si era pentita, anzi, era felice di quanto era successo, ma… era finita lì.

La sua famiglia era più importante, e c’era sua figlia, e questo doveva prevalere.

Accettai tutto, senza nemmeno chiederle un confronto, e le promisi che in ufficio sarebbe stato tutto come… come prima.

Ma sapevo che non poteva essere così.

Nei giorni successivi sul lavoro ci sforzammo di fare i distaccati, ogni tanto involontariamente qualcosa sfuggiva sia a me che a lei ma non lo vidi mai come un ritorno di desiderio, anzi.

E passarono i giorni, poi le settimane, e passarono i mesi, durante la cena di natale volle sedersi accanto a me e ancora conservo gelosamente una foto che ci fece un collega, definendoci “la coppia più bella dell’ufficio”, e quella foto è ancora sul desktop del mio pc di casa!

Poi arrivò la pandemia, e Alessia nella nostra città fu una delle prime persone contagiate che dovettero essere trattate in emergenza, non rischiò mai la vita ma se la vide molto brutta: per fortuna guarì senza riportare danni se non nel morale, scoprendosi fragile e indifesa.

Ci sentimmo spesso, soltanto come amici, ovviamente, e non parlammo mai più quel che avevamo fatto.

Quando ci rivedemmo al lavoro era ormai estate: e a dispetto del clima tornato rovente la mia amica Alessia ormai era una persona diversa, almeno nei miei confronti.

Nei mesi successivi abbiamo lavorato insieme, abbiamo riso e scherzato, ci siamo incazzati e “abbiamo fatto pace”, ma nessuno dei due ha mai ricordato quei giorni pazzi dell’estate prima.

E vedendola sempre più distante da me cominciai a stare male: la vedevo e la desideravo, il suo profumo era come quello delle Madeleine de Proust, che facevano fare corto circuito al mio equilibrio mentale.

Dovevo fare qualcosa per disintossicarmi dal suo ricordo, e a nulla servirono le storielle banali e le avventure mordi e fuggi che collezionai (una, tra l’altro, si chiamava Alessia), e quando un cliente per l’ennesima volta mi propose di lavorare per lui… non ci pensai due volte.

Alessia è stata la prima persona alla quale l’ho confidato, anche contravvenendo alle regole aziendali.

E quando l’ho fatto, dopo un primo attimo di sorpresa… l’ho vista sorridere, felice.

Felice, perché uscivo dalla sua vita.

Felice, perché anche per lei doveva essere stata dura (‘bravo Einstein, ci sei arrivato alla fine!’) vedermi tutti i giorni e sforzarsi di ignorarmi, di fare finta di nulla.

Ed è finita così, lasciai la città poche settimane dopo e non la vidi né sentii più, nemmeno un messaggio, uscendo dalla sua vita per sempre.

Invece lei dalla mia vita non uscirà mai.

Non ti dimenticherò mai… “Alessia”
 

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Ancora sembrava una cosa surreale, ero praticamente immerso nelle sue belle chiappone con figa e buco del culo a mia completa disposizione.

Il tempo comunque era tiranno e più ne passava più correvamo il rischio che qualcuno bussasse alla porta del nostro ufficio e non trovandoci ci venisse a cercare, magari nel retro, quindi… lo feci e basta.

Immersi il medio della mano destra dentro la sua vagina spalancata e lo lubrificai per bene, poi lo tolsi e lentamente lo feci strisciare fino al buchino, usando quel lubrificante naturale mescolato ad abbondante saliva per agevolarmi nell’ingresso.

E funzionò, perché il dito entrò quasi senza sforzo per i primi due o tre centimetri, e lo fece a fatica per i successivi perché Alessia stringeva così tanto i muscoli che non mi permetteva di passare.

Usai tutta la pazienza di questo mondo ma non ci fu nulla da fare, ci giocai ancora ma Alessia cominciò a diventare insofferente per via della posizione scomoda, e allora decisi che poteva bastare così.

“Ma… sicuro?” mi chiese per nulla convinta, desiderosa che ci riprovassi.

“Sì, dai, è meglio così…” le dissi tirandomi su e aiutando lei a mettersi seduta sul tavolo, con le gambe a penzoloni, “è meglio che usciamo di qui, lo so che non ti senti sicura…”

‘testa di cazzo… almeno diglielo, ammettilo che sei tu che te la fai sotto… e non dare la colpa a lei, coniglio!’

“Ok…” rispose quasi rassegnata, e saltando giù dal tavolo ricominciò a rivestirsi rimettendo via le sue grazie e lanciandomi di tanto in tanto delle occhiatine interrogative.

‘hai visto? visto come ti guarda? lo sai cosa pensa di te? che sei uno senza palle, sei un coniglio senza palle! uno che non è capace di prenderla e di scoparla come si deve, come lei si aspetta!’

“Sei… delusa?” le chiesi, facendola girare di scatto.

“No…” rispose subito, “no, non sono… delusa” rispose, forse dopo averci ripensato ed aver ammesso almeno a sé stessa che sì, in realtà lo era.

“Solo pensavo che… che volessi…” cominciò a dire, ma poi si fermò.

“Lo volevo” la anticipai, “lo volevo eccome…”

“Io… guarda che…” provò a dire ma la fermai, posandole un dito sulle labbra, dolcemente.

Era il primo gesto “amorevole” che facevo verso di lei da quando avevamo cominciato tutto, e infatti non dico che non la prese bene ma sembrò… infastidita da quella smanceria.

Quella di non cedere alle effusioni non era un accordo preso, era solo una constatazione di cose, ci eravamo scambiati confessioni e fluidi corporei ma nemmeno un bacetto: quella relazione che avevamo intrapreso doveva essere solo sesso e nient’altro che sesso, ci dovevamo considerare il giocattolo sessuale dell’altro e non un surrogato del partner.

Certo, per lei era molto più difficile, lei un partner già ce l’aveva e sicuramente non l’avrebbe scambiato con me (come gli spot di tanti anni fa dei fustini di detersivo): anche se da qullo che avevo intuito era un partner che evidentemente non la appagava carnalmente, e forse proprio per questo Alessia si era aperta verso me, che al contrario non avevo mai dimostrato mire “amorose”.

Eppure…

Eppure avrei dato tutto quello che avevo di più caro per vivere la vita con lei…

Certo, erano passati gli anni da quando ci eravamo conosciuti e le persone che nel frattempo erano arrivate nelle nostre rispettive vite (e se n’erano andate) avevano lasciato cicatrici e strascichi difficili da dimenticare, ma Alessia la vedevo ancora come tanti e tanti anni fa, quando era in grado di cambiarmi la giornata con un sorriso.

Addormentarmi insieme a lei… svegliarmi insieme a lei giorno dopo giorno, fare l’amore con lei e non… prenderla e usarla.

“Stiamo sfidando la sorte…” le sussurrai.

‘sfidando la sorte? ah ah ah ah ah ah ah… non farmi venire da ridere!’

“Sì, hai ragione” rispose, non del tutto sicura di quel che aveva detto, poi sorrise e mi precedette nel nostro ufficio, lasciato incustodito per sopravvenute… urgenze.

Riaprii la porta e controllai eventuali messaggi o email urgenti, poi mi venne in mente la scatola dei documenti.

“Ale, puoi pensarci tu ai documenti da mettere sul tavolo?” le chiesi mentre stava per sedersi alla sua postazione, e ovviamente disse sì, e mentre eravamo di là per distribuire stampati e opuscoli su ogni posto a sedere la porta principale si aprì facendoci voltare di scatto.

“Oh, buonasera…” ci salutò niente di meno che il presidente in persona, “bravi, preparate per l’incontro di domani?”

Riuscimmo solo a rispondere all’unisono con un “buonasera…” e a guardarci negli occhi.

C’eravamo andati molto, ma molto vicini.

“C’è un odore strano qui dentro” ci disse l'anziano fiutando l’aria come un cane da tartufo, e ancora una volta Alessia ed io ci scambiammo un’occhiata a metà tra il preoccupato e il divertito.

“Sembra… odore di… cucina…” concluse, alzò le spalle, ci salutò distrattamente e se ne andò nello stesso modo in cui era arrivato, spalancando le porte come se fosse a casa sua (perché lo era…).

Tornati alle nostre scrivanie non ne parlammo, ma l’improvvisata ci fece riflettere e per il resto della giornata ci limitammo a lavorare e a parlare di lavoro senza altre… divagazioni, ma quando arrivò l’ora di andarcene allora mi potei permettere una battutina.

“Lo sapevi che odori di cucina?” le dissi, serio.

Mi guardò senza aver capito subito, un istante dopo realizzò e scoppiò a ridere, abbracciandomi e facendomi sentire ancora una volta le tettone schiacciate sul mio petto.

“Secondo te… ha capito?” mi chiese, dubbiosa.

“No, non credo proprio…” risposi, ma non ne ero sicuro.

Restammo a guardarci troppo vicini, così ci separammo ma Alessia allungò la mano e me la prese intrecciando le dita con le mie.

“Che ragazza dolce che sei…” le sussurrai, alludendo alla mano, e lei non negò, sorrise e abbassò lo sguardo.

“Non dire queste cose” mi sgridò, “lo sai che non voglio… non è giusto…”

‘ovvio, te la scopi e la lecchi dappertutto ma non puoi dirle che è una ragazza dolce!’

“Devo andare” disse improvvisamente sciogliendo l’intreccio di dita e allontanandosi da me, poi si fermò, esitò se dire qualcosa e poi prese la porta e uscì.

Sospirai e tornai a sedermi, cominciai tutte le operazioni di chiusura, inverse a quelle del mattino, e prima di alzarmi presi il telefono.

E aprii whatsapp.

E guardai le foto che mi aveva mandato, le ingrandii una per una, le chiusi e poi le riaprii perché c’era un piccolo particolare che non avevo visto bene, e quando arrivai alla prima, quella in cui mi faceva la linguaccia, ebbi una stretta allo stomaco.

E guardai la porta, chiusa.

Pochi istanti dopo mi alzai, afferrai borsa del pc e giacca e uscii dall’ufficio sbattendo la porta: la rincorsi giù per le scale, ovviamente senza dare nell’occhio, seguii il suo stesso percorso e mi precipitai nel parcheggio ma tutto quello che vidi di lei fu il retro della sua auto che usciva dallo stop e si immetteva nel traffico.

Troppo tardi.

Mentre guidavo verso casa la mia mente vagava libera, tutto sembrava ancora così strano…

Non mi fermai né a prendere qualcosa da mangiare né in tintoria per ritirare le camicie, e quando arrivai sotto casa mi resi contro che praticamente c’ero arrivato automaticamente, mi ero disconnesso.

“Fantastico” sussurrai, “cominci a perdere i colpi…”

Entrai in casa e il silenzio mi aggredì le orecchie, accesi la tv a volume alto e cercai conforto nei gesti semplici di tutti i giorni, e mentre stavo sistemando le scarpe al loro posto… ding.

Presi il telefono e lo sbloccai.

Bolletta energia elettrica.

“Ma vaffanc…” sibilai, e gettai il telefono sul divano prima di mettermi comodo e cercare di dimenticare tutto.

Mi misi in doccia e ci restai a lungo, e quando uscii evitai anche di rivestirmi restando con i soli boxer, e mi gettai sul letto.

E cercai di ragionare, di fare il punto della situazione.

Non potevo farne la ragione della mia vita, mi stavo scopando la collega d’ufficio, e basta: non c’erano implicazioni, era la storia più bella del mondo, così mi imposi di pensare.

Fino a che mi arrivò un messaggio, e subito dopo un altro ancora, e un altro: solo una persona che conoscevo spediva i messaggi senza terminare la frase o fare punto e a capo.

“sono uscita per andare in palestra, ma non ho più voglia”

“devo rientrare a casa per le sette, ho più di un’ora libera”

“e noi due abbiamo ancora una questione in sospeso”

Avevo il cuore che andava a mille.

“ti aspetto” le scrissi, e lei rispose con il pollice in su.

Meno di cinque minuti dopo la facevo entrare in casa, e meno di un minuto dopo che avevo richiuso la porta Alessia era alla pecorina sul mio divano con il sedere scoperto, e la mia lingua che le “danzava” tra figa e buco del culo in un valzer di gemiti.

Le regalai il trattamento che tanto gradiva, passandole la lingua dalla pancia scendendo per il triangolo peloso e risalendo sulla schiena passando per i suoi tesori, e quando lo tirai fuori pronto all’uso Alessia me lo prese e ci mise subito sopra la bocca attaccando un pompino frettoloso e violento, quasi doloroso.

Ma non era venuta per quello…

Bastò scambiarci uno sguardo per arrivare proprio la.

Alessia prese nuovamente posto sul divano, si mise in ginocchio e sporgendo il culone verso di me di fatto me lo consegnò, abbandonandosi con la faccia immersa nei cuscini, e da lì in avanti ero io al comando.

Le aprii le chiappe e ricominciai a leccarla, sopra e sotto, le scavai nella figa assaporando l’acre sentore della donna eccitata e poi rivolsi le mie attenzioni al forellino grinzoso, leccandolo e insalivandolo abbondantemente prima di dare fuoco alle polveri.

Glielo preparai usando le dita e dilatandolo per bene, e quando giudicai che fosse pronto mi tirai su e glielo appoggiai.

Usai la mia stessa saliva per lubrificarlo e quando finalmente provai a spingere… entrai con una facilità disarmante.

“Piano…” la sentii gemere da sotto i cuscini.

Feci piano, ma (probabilmente, e che ne so io?) quando ti entra qualcosa su per il culo non può essere una sensazione piacevole.

Alessia riemerse dai cuscini e mi guardò con espressione sofferente, provò a divincolarsi ma a quel punto feci l’uomo.

‘e che cazzo! finalmente…!’

Una mano gliela misi sulla schiena “costringendola” a stare giù e l’altra la usai per bloccarle la sua mano sinistra con cui provava a spingermi via, e nel contempo forzavo con la schiena per penetrarla sempre più in profondità, senza dare ascolto a gemiti, ahia e lamentele varie.

Funzionò, le entrai nel culo e mi ritrovai piantato dentro quasi tutto: gliel’avevo dilatato così tanto che la pelle sembrava tesa come la membrana del tamburo, ma così riempita aveva smesso sia di lamentarsi che di protestare.

Azzardai a togliere la mano dalla sua e gliela posi sul fianco destro, la sinistra la feci scivolare dalla schiena all’altro fianco e in quella posizione dominante cominciai a muovermi avanti e indietro, scopandola nel culo.

Ecco, ci voleva qualcuno che immortalasse il tutto: stavo inculando alla pecorina la mia collega d’ufficio, quella col culone che ammiravo e desideravo da anni!

Cominciai a sbatterla per davvero, Alessia subiva in silenzio e rispondeva ad ogni affondo con un “ah” sommesso accompagnando la mia spinta con un movimento in avanti, e ad ogni colpo che le infliggevo vedevo le sue chiappone ballare come gelatine alla pesca, e le sue tettone che dondolavano allo stesso ritmo.

Era una scena che avrebbe fatto sborrare un novantenne, senza contare che c’era anche il ciac ciac delle nostre cosce che collidevano.

Andai avanti per una manciata di secondi in completo silenzio, poi improvvisamente Alessia di svegliò.

“Sbattimi” mugolò eccitatissima, “così, sbattimi forte” cominciò a dire, e quegli “ah” sommessi diventarono degli “Ah!” secchi e vigorosi, fino a che da vero coglione esagerai rovinando tutto accelerando troppo e facendole male.

Tirò un verso e se lo sfilò da dentro facendomi vedere il buco del culo ridotto ad un tunnel scuro e profondo, poi si mise seduta, ansimante, ma con lo sguardo assatanato.

“Battere il ferro fin che è caldo…” mi dissi, e passai subito all’azione.

Mi guardò spaventata mentre la prendevo e la tiravo giù sul pavimento, ma quando me la feci venire sopra a cavalcioni e invece di puntarglielo dietro glielo appoggiai sul davanti si rilassò, anzi, me lo prese e se lo guidò alla fessurina facendolo abboccare bene prima di lasciarsi scendere e penetrarsi, anzi, impalarsi.

Se lo fece adattere bene, poi mi mise entrambe le mani sul petto e cominciò a cavalcare, muovendo il bacino ma anche le cosce per saltellarmi sopra: e quel gran spettacolo della natura che erano le sue tettone fecero il resto, regalandomi una scena che ancora oggi, a distanza di anni, spesso rivivo nei miei sogni.

Già, perché dopo Alessia di donne ne ho avute altre, prestazioni occasionali ma anche “residenti”, ma lei… lei mi è rimasta davvero dentro: quando fai sesso con una che non hai mai visto prima e che sai che non la vedrai ancora per molto… è un conto, quando lo fai con una donna che poi sei obbligato a rivedere sul lavoro o nella vita di tutti i giorni è un altro.

Avevamo fatto entrambi questa scelta, ci usavamo, ci divertivamo, ma non ci sarebbero mai state complicanze di tipo affettivo o amoroso.

Non so quante volte riuscì a venire quella sera, tre, quattro o cinque, non glielo chiesi nemmeno, era sudata ed iper eccitata ed aveva addosso un’energia che veniva senz’altro dal suo stato di esaltazione sessuale.

Cominciò a cedere perché aveva bisogno di fermarsi e rifiatare e quando si muoveva faceva anche qualche smorfia, allora evitai di correre con il freno tirato e mi lasciai andare: così quando Alessia cercò l’ennesimo orgasmo trovò il mio.

“Devi sborrare?” mi chiese sempre eccitatissima ma anche desiderosa di essere in controllo.

“Sì, sto per venire…” le confermai mentre le accarezzavo le tettone.

“Non venirmi dentro” mi disse seria, “non facciamo cazzate, eh?”

“Ok… tranquilla…” le risposi, ed assecondandola nel suoi movimenti arrivai a sentire l’ondata… emotiva arrivare da sotto e quando capii che ero in dirittura d’arrivo la sollevai e glielo puntai alla pancia, spruzzandola sull’ombelico e sulle tettone prima di crollare esausto ed ansimante a braccia aperte, come se mi avessero appena sparato.

Alessia mi rimase seduta sulle cosce per qualche istante, poi si sollevò (a fatica, era distrutta anche lei dall’intensità esplosiva di quel rapporto) e si venne a mettere in ginocchio, guardandomi con un misto di eccitazione residua ma anche di preoccupazione.

Guardava alternativamente il mio viso e il mio cazzo, e sicuramente cedendo all’impulso allungò una mano verso quest’ultimo e lo tenne dritto muovendola su e giù per scappellarlo lentamente e poi risalire altrettanto lenta “chiudendo” lo cappella con la pelle e radunando le ultime gocce di liquido biancastro, e restando ferma per non so quanto maturò l’idea, che poi mise in pratica: calò velocemente con la bocca e si risucchiò dentro tutto, scappellandomi l’affare e ciucciando via tutta la schifezza rimasta lì sopra e continuando a pomparmelo fino ad arrivare con il naso contro la mia pancia.

La guardavo… atterrito, con la bocca aperta, incrociai il suo sguardo e solo allora Alessia si tirò su abbandonandolo al suo destino.

Restammo lì sul pavimento credo per un paio di minuti, in silenzio, a guardaci senza che nessuno dei due aprisse bocca.

Eravamo a casa mia, dovevo essere un bravo ospite, quindi ruppi per primo il silenzio radio.

“Sono… distrutto, mi hai massacrato…” le dissi, in quello che doveva essere un complimento.

“Davvero?” mugolò sensuale, evidentemente soddisfatta sia dell’apprezzamento ricevuto che della prestazione.

“Sei… eccezionale” le dissi, e allungando una mano per accarezzarle la schiena incrociai la sua che avanzava verso di me, e le nostre dita ancora una volta si intrecciarono, ancora una volta involontariamente.

Ma volontariamente ci restarono, intrecciate.

“Anche tu mi hai distrutto” mi disse, ricordandosi che forse i complimenti servono anche all’uomo, “anzi…” ridacchiò, e non terminò la frase.

Toccava ancora me, e visto che aveva ridacchiato per prima perché non continuare?

“Ti brucia il culo?” le sussurrai, sornione.

“Stronzo!” rispose fingendosi arrabbiata e dandomi un pugno su una spalla, ma poi fece diverse smorfie e aggiunse “Mi brucia un sacco…”

“Ottima occasione per salutarla come si deve” pensai, mi tirai su e la feci mettere a quattro zampe, le andai dietro (sempre tenuto sotto controllo, casomai avessi idee strane…) e le aprii le chiappe, le accarezzai i due globi sudati e morbidissimi e poi cominciai a leccarla ancora tutta, da sotto a sopra, dalla figa alla schiena sudata passando per il bucone ancora aperto, insistendo su di lui per cercare di alleviarle il bruciore.

Ma era troppo sensibile e spingendomi via delicatamente con una mano sulla mia fronte si sottrasse alle mie attenzioni e si mise seduta a terra, raccogliendo le gambe e abbracciandosi le ginocchia tirate al petto, come se volesse proteggersi.

Era stato un rapporto breve ma esplosivo, esattamente come l’aveva desiderato.

Entrambi eravamo sudati e appiccicaticci, così di nuovo le proposi di farsi la doccia e stavolta non rifiutò.

Dal suo borsone prese le mutandine pulite e lo shampoo e poi mi seguì in bagno senza alcuna vergogna né imbrazzo.

“Qui ci sono gli asciugamani” le dissi, “quando li hai usati lasciali pure appesi lì sopra” aggiunsi facendole vedere i ganci di metallo al muro, e pronto per andarmene le feci un ultimo sorriso e le guardai ancora le grosse tettone, ma Alessia mi fermò.

“N-non vieni?” mi chiese, esitando.

Sorrisi, annuii ed entrai con lei.

Sotto la doccia cominciammo a sciacquarci in silenzio, ma poi la sfiorai, la sfiorai ancora, le feci solletico sotto le ascelle e Alessia si lasciò andare cominciando a ridere, fino a che ci ritrovammo abbracciati uno all’altra, con il mio affare che stava riprendendo consistenza “appoggiato” sul solco delle sue chiappone.

“Non provarci neanche…” sibilò, e mettendo una mano dietro me lo prese per allontanarlo, ma ottenne esattamente il risultato opposto, me lo fece diventare duro e se lo trovò puntato alla pancia, come un’arma.

“Basta che te lo tocco e sei già pronto per ricominciare?” mi chiese maliziosa e sicuramente anche ben impressionata dalle mie doti di recupero, ben sapendo che era anche (anzi, soprattutto) merito suo.

“Non ci posso fare niente” le risposi, senza fare nulla per nasconderlo, “ti… voglio così tanto che ti scoperei tutti i giorni, mattina e sera, come faccio a controllarmi?”

Sicuramente usai parole esagerate, ma la colpirono, me ne resi conto, ma al tempo stesso la fecero intristire.

Mi lasciò perdere e si andò a mettere sotto il getto di faccia, chiudendo gli occhi anche per evitare di vedermi così le lasciai la sua tranquillità e mi preparai per uscire.

“Devo fare la pipì” mi disse, rendendosi conto che stavo per abbandonare la nave.

“Caspita” pensai, “si deve essere messa davvero a suo agio per dire una cosa del genere…”, alla mia ex moglie c’erano voluti anni per convincerla a farla, con una delle ultime “compagne di giochi” non mordi e fuggi era stato anche solo impossibile nominare la cosa…

“Ok…” risposi, e fingendo di non guardarla non mi persi lo spettacolo: da brava ragazza tuttavia si accovacciò e la fece direttamente nella piletta di scarico, e quando sollevò lo sguardo mi beccò ovviamente a guardarla, ma non disse nulla, sorrise e finì il suo bisogno tirandosi su e pulendosela con un po’ di sapone liquido prima di sciacquarla e chiudere l’acqua.

Quando fu pronta per andarsene mi abbracciò e senza dire una parola uscì di casa e scese le scale senza voltarsi, affrettando il passo perché era già in ritardo.

Quella sera mangiai con appetito, guardai il calcio in tv e una volta finita la partita spensi e andai a letto addormentandomi quasi subito, ma di lì a poco… ding.

“dormi?”

“no, non ancora”

“come mai?”

“penso”

“a cosa?”

“a tante cose… a tante persone”

“pensi a me?”

“no, perché dovrei?” risposi, ottenendone in cambio le faccine che ridevano.

“giusto, hai ragione” replicò, “ricorda sempre quello che abbiamo deciso, solo sesso”

“brava” risposi, con il pollice in su.

Silenzio, nessuno dei due voleva replicare o aggiungere ma aspettava l’altro.

‘ecco, come i bambini dell’asilo…’

Ma Alessia era evidentemente di buon umore, dovevo sfruttare la cosa.

“sai una cosa?” le scrissi, “sai cosa mi piacerebbe fare?”

“con te, intendo…”

“che cosa?” mi chiese, curiosissima.

“non so se dirtelo o no, però…” scrissi.

“senti, non cominciare” scrisse, con le faccine rosse incazzate, “se mi vuoi dire le cose dille, sennò sta zitto e non rompere i coglioni, intesi?”, frase minacciosa seguita dalla faccina che sghignazzava.

“ok, allora te lo dico” scrissi, pensai bene, ci ripensai ancora e poi lo feci.

“mi piacerebbe portarti a letto” scrissi, “dormire con te e svegliarmi con te”

Silenzio.

“lo so che non si può” scrissi allora, “ma mi piacerebbe…”

E fu lì che ebbi una delle più grandi sorprese della mia vita.

“sabato se vuoi si può fare” scrisse.

“wow…” risposi, “sarebbe magnifico…”

“lui è via tutto il fine settimana” scrisse, riferendosi al marito come ‘lui’ senza chiamarlo per nome, “e posso portare Gioia dai nonni che non vedono l’ora di tenerla”

Mi tremavano le gambe.

“lì da te, ovviamente, se non ci sono problemi…” aggiunse.

“sarebbe magnifico” scrissi con le faccine esaltate, e lei rispose con quelle che facevano l’occhiolino.

“però ho bisogno di recuperare, e riposare le mie… parti femminili” scrisse, senza il minimo pudore, “sono state sfruttate troppo ultimamente, e tu ne sai qualcosa, vero?”

Risposi con le faccine angeliche.

“ho dovuto mettere la crema per le irritazioni, giù di sotto” mi scrisse, ormai persa e senza alcuna vergogna, “dovresti vedere come me l’hai conciato…” aggiunse con la faccina rossa di rabbia.

“fammelo vedere” le risposi, sfacciato.

Non replicò, aspettai, aspetta e aspetta e… ding.

Mi mandò la foto delle sue tettone immortalate mentre si teneva sollevata la maglietta.

“ti deve bastare questa… buonanotte” scrisse, mi mandò una faccina con il bacio e poi scrisse ancora “a domani”, e si disconnesse.

“A domani” sussurrai, guardai ancora a lungo le sue foto tra cui quella che mi aveva appena mandato e poi chiusi tutto.

Era stata una giornata impegnativa, ma fantastica.

Alessia si era completamente disinibita, e oltre a trovare una compagna di giochi mi ero anche rimediato una bella gatta da pelare…

Mi misi a ridere, e continuando a ridere come un cretino gettai il telefono sul tappeto a terra e mi misi a pancia in giù sul materasso, ricordo che riuscii solo a pensare al fatto che sabato mattina avrei dovuto cambiare le lenzuola e ripulire la casa e poi mi addormentai, felice, sereno e rilassato come non lo ero stato da mesi.

‘e il bello deve ancora arrivare…’



Alla prossima, l’epilogo.
molto ben scritto bravo
 

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