Esperienza reale Quell'estate in Grecia

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Ho iniziato a raccogliere ed a scrivere alcuni ricordi dell'ultima estate da fidanzato, prima di sposarmi con la mia prima moglie, quasi quaranta anni fa.
Il primo capitolo della storia l'ho già postato a questo indirizzo, ma per dare un'organicità al racconto lo riporto anche in questo thread. Spero che gli admin non se ne abbiano.
Seguiranno altri capitoli di quella storia, l'ultima estate nella quale ci siamo veramente divertiti, la mia prima moglie ed io.
Con lei c'era una buona intesa sessuale, anche se era molto trattenuta.
Dovetti faticare molto per tirarle fuori la porcaggine che sta più o meno nascosta in tutte le donne, basta scavare con pazienza.
Non ricordo quale scrittore o filosofo lo abbia detto, ma mi ha colpito molto questo pensiero: "La donna è un essere multiforme. In essa si nascondono facce e aspetti diversi, personalità contrastanti, spesso in contraddizione tra loro. Puoi conoscere la perfetta organizzatrice della tua vita che compete con la madre dei tuoi figli mentre fa la sordida sgualdrina che ti mangia il cuore ed il portafogli."
Parole di uno verità incontrovertibile.

Tornando al racconto, sto scrivendo i capitoli ed organizzando i ricordi. I nomi sono tutti di fantasia, ma spero che nessuno dei personaggi sia su Phica a leggermi, perchè potrebbe riconoscersi e riconoscermi, anche se è passato talmente tanto tempo che dubito che possa fare altro che dire "Che ficata, quell'estate!".

Altro dettaglio.
Le varie storie sono un po' romanzate, ma riflettono molto di ciò che effettivamente è successo a Naxos e dintorni.
La Grecia di allora era ancora una nazione povera, in cui si sopravviveva con fatica ma con grande onore e rispetto del prossimo.
Il turista, soprattutto italiano, era coccolato e trattato con grande simpatia quasi ovunque.
L'umanità di quella gente, la dignità con cui lavoravano e si accontentavano di essere pagati meno della metà di quanto pagavamo noi per gli stessi servizi in Italia mi colpì molto.
Quella Grecia non esiste più, spazzata via dall'Europa che ne ha cassato la libertà e messo in schiavitù i cittadini.
Ora quella Grecia è un troiaio in mano a strozzini tedeschi, cinesi e russi. che sono diventati i veri padroni. I greci sono solo schiavi sfruttati.
Mi si è stretto il cuore quando tornando a Naxos anni fa, dopo la spoliazione della troika, ho trovato tante cose cambiate: servizi al turista di livello, accoglienza top, mare, vitto, tempo bellissimi, ma nessun locale che sorrideva. E questo mi ha spezzato il cuore.
Speriamo che non tocchi anche a noi.
Perdonate questa digressione.

Last, but not least.
La Francesca di questa serie di racconti non è quella del romanzo "Paolo e Francesca - Dieci anni dopo".
E' la moglie che sposai quasi quarant'anni fa e da cui divorziai circa quindici anni fa. madre dei miei due figli.
Il caso ha voluto che avessero lo stesso nome, lei ed il mio perduto amore.
E ho deciso di dedicare ad entrambe lo stesso nome di finzione.

Spero che apprezzerete come avete apprezzato Paolo e Francesca - dieci anni dopo.

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Ad Atene si muore di caldo

(già postato qui)

Atene, agosto del 1986. Una delle estati più calde di sempre.
La mia futura prima moglie (che chiamerò Francesca) ed io eravamo in gruppo con altre due coppie di amici con le quali avremmo diviso un appartamento a Naxos.
L’unico modo per potervi arrivare senza spendere un patrimonio era l’aereo fino ad Atene e successivamente il traghetto fino a Paros, e poi Naxos. Il traghetto partiva dal Pireo alle 8 della mattina, il nostro aereo atterrava ad Atene la sera del giorno prima alle 20. Avevamo quindi prenotato tre stanze in un alberghetto nella Plaka, un quartiere ai tempi non molto sviluppato turisticamente. Per risparmiare, avevamo scelto stanze senza aria condizionata. Purtroppo, in quei giorni si sarebbe verificata ad Atene una delle settimane più torride della storia, con il picco proprio la notte in cui eravamo arrivati.
Avevamo spiluccato qualcosa alla taverna all’angolo perché quando arrivammo in città erano quasi le dieci di sera ed era praticamente tutto chiuso. Inoltre, il nostro albergo era in un vicolo accessibile solo a piedi ed il dover trascinare la mia sacca ed il baule della mia fidanzata (vizio mai perso!) per un tratto in salita, a 42°C, non era il massimo.
Arrivammo quindi in albergo e prendemmo possesso della camera, chiedendo la sveglia per la mattina successiva alle 6:00.
Riuscimmo per miracolo a comprare una bottiglia d’acqua minerale perché non era saggio bere l’acqua del rubinetto, allora.
Ci spogliamo, facciamo una doccia per cercare di togliere calore e sudore e ci buttiamo sul letto.
Tempo 10 minuti, mi rialzo con la schiena letteralmente bagnata. Stillo acqua dal torace, dalla pancia, dalle gambe. Francesca è nelle stesse condizioni.
“Apriamo gli scuri della finestra, qui si muore” le dico.
“No perché se no mi vedono” risponde. In effetti, al palazzo di fronte c’era giusto un altro alberghetto le cui finestre distavano al massimo due metri dalle nostre, ed erano tutte aperte. Ogni tanto si accendeva una luce, qualcuno si alzava, andava in bagno a farsi la doccia e poi rientrava in camera. Era impossibile dormire.
Alle tre di notte, Francesca si affaccia alla finestra che aveva gli scuri socchiusi e da una sbirciatina fuori.
Indossava solo un magliettone lungo senza intimo, come era usa fare quando stavamo insieme. La raggiungo, nudo come un verme, e mi appoggio a lei per vedere, sperando in un filo d’aria.
“Levati che mi fai caldo!” mi dice scostandomi.
“E tu togliti la maglietta se ha caldo.”
“Ma mi vedono!”
“E che ti frega? Sono tutti così, che credi?”
In effetti, giusto alla finestra accanto a quella di fronte c’era una coppia di ragazzi, anch’essi in finestra, entrambi nudi, almeno nella parte di sopra.
“Ecco, lo vedi?” le dico.
Vado a fare un'altra doccia calda, sperando nel sollievo momentaneo e ritorno da lei che era ancora in finestra.
“Vatti a fare un’altra doccia con l’acqua calda, stavolta” le suggerisco.
Stranamente accetta il suggerimento, si toglie la maglietta e va in bagno. Io nel frattempo apro le persiane e mi sporgo sul davanzale per vedere la situazione quando, proprio alla finestra di fronte, si accende la luce del bagno da cui esce una figura femminile nuda. La luce si spegne e la ragazza si affaccia anche lei in finestra. La raggiunge il suo ragazzo che le dice qualcosa all’orecchio. Lei sorride e fa un cenno di assenso, dopodiché si capisce che iniziano a scopare, con lui che la prende da dietro.
Non chiudo gli scuri, ma sento Francesca che chiude l’acqua e dopo qualche secondo arriva in finestra e mi chiede “Che stai a fare? Perché hai aperto? Chiudi che mi vedono!”. “Shhh, zitta!” e le indico la finestra di fronte.
La faccio passare davanti e mi appoggio alla sua schiena. Ho subito un’erezione al contatto con il suo culo ancora bagnato. Si accorge quindi che ci sono due persone in finestra e solo dopo, che stanno facendo sesso davanti a lei.
Nel frattempo glielo appizzo e sono pronto ad entrare dentro di lei.
“Ma che sei matto? Ma che ti dice il cervello?” mi apostrofa.
“Ma non vedi che lo stanno facendo tutti?” e le indico anche le due finestre dirimpetto. Una è occupata da un’altra coppia che sta scopando a pecora, sull’altra c’è una lei che sta facendo un pompino al suo lui.
Accanto a noi, un’altra coppia si sta dando da fare “Dai, dai, dai!”. Sembra che ci si sia dati un appuntamento per una bella scopata collettiva.
Bisticciamo un po’, ma mentre discutiamo le accarezzo le grandi labbra ed il grilletto. Lei alla fine cede e si fa infilare.
Le piace e la sbatto forte, talmente forte che ha un grido di piacere. La coppia dirimpettaia è anch’essa al termine: mentre anche lei viene sbattuta, alza una mano e saluta! Francesca, in preda ad un bagnatissimo orgasmo, le urla “Si ciao cara grazie… VENGO!!!”.
E nel giro di qualche secondo, una, due, cinque, dieci luci che si accendono in altrettante camere, ad illuminare altrettante coppie nude in finestra.
Un’apoteosi di urla e fischi mentre da sotto parte “Ullellè, ullallà, fajela vedè, faielà toccà!” intonato da quel coglione del mio amico che aveva sentito tutto il nostro dialogo…
Fu una vacanza particolarmente movimentata, quella.
Forzai molto la mano a Francesca in quella occasione a fare cose che non aveva mai fatto prima. Poi ci saremmo sposati l'anno successivo.
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Zitta che ci sentono!​

Arrivammo all’appartamento nel tardo pomeriggio, stanchi da una lunga giornata in traghetto tra Atene e Naxos. A quei tempi i traghetti erano lenti, puzzolenti di nafta e olio e di locali igienici mal lavati.

L’appartamento era abbastanza alto in collina, appena fuori il centro abitato di Naxos, non troppo lontano a piedi dal centro storico e dalla zona turistica. Era con tre stanze da letto, due bagni ed un soggiorno spazioso con un grande divano letto. C’erano la cucina ed un enorme terrazzo con vista sul mare, beh, diciamo in direzione del mare, arredato con un tavolo da ping-pong che aveva visto tempi migliori e delle sedie in plastica economiche. Oggi sarebbe impensabile offrire una casa arredata in questo modo, ma quarant’anni fa diciamo che non ci si faceva troppo caso.

Facemmo l’estrazione a sorte assieme alle altre tre coppie per decidere quale sarebbe stata la stanza di ciascuno. Mettemmo in un vaso i bigliettini con le varie stanze e con “soggiorno” tutti piegati nello stesso modo. La prima ragazza, Federica, estrasse il bigliettino della stanza A, la più piccola; alla seconda, Domitilla, toccò la C, di fronte alla A, un po’ più grande, con la porta finestra che dava sul terrazzo, accanto al salone.
Rimanevano il salone e la stanza B, la più grande, accanto al bagno e anch’essa con accesso al terrazzo, ma con vista sul retro. Francesca era l’ultima.
La ragazza prima di lei, Patrizia estrasse il soggiorno e a noi toccò la stanza più grande.

Decidemmo di usare i bagni in coppia per far prima visto che dovevamo ritornare in paese per andare a cena e non c’era molto tempo.
Mentre gli altri erano in bagno, noi approfittammo per disfare i bagagli mettere un po’ di cose a posto. Francesca tirò fuori una decina di cose dal “baule”: “Che dici? Metto questo o questo? Oppure questo?” mostrandomi tre capi diversi.
“Io direi questo” indicando una tuta pantaloni a salopette blu elettrico abbottonata fino all’altezza del pube con grandi bottoni bianchi e taglio dello scollo quadrato, senza maniche.
“Ma non sarebbe meglio questo?” mostrando un vestito a fiori sopra il ginocchio, con gonna a piegoni molto ampi e corpetto con la schiena nuda e scollo all’americana.
Ovviamente, avevo puntato sul capo che non mi piaceva certo che avrebbe scelto quell’altro, per definizione.
Per fortuna, la pratica abito si risolse facilmente.

Andammo a fare la doccia, io dopo di lei visto che non era possibile farla assieme. Mi lavai mentre si truccava, ancora avvolta nel telo da bagno.

Uscimmo dal bagno proprio mentre la quarta coppia stava già discutendo con gli altri per la mancanza di spazio per mettere le loro cose.
“Allora facciamo così: nella nostra stanza c’è un armadio a quattro ante. Noi prendiamo due sole ante e le altre le prendete voi, va bene?” proposi. Non immaginavo che questa soluzione avrebbe generato motivi di attrito con la mia fidanzata.
“Come ti sei permesso? Io ho tutte le mie cose da sistemare!” mi urlò a bassa voce, come solo le fidanzate incazzate sanno fare.
“Scusa, ma hai quasi un metro e mezzo di armadio tutto per te. Hai quattro cassetti più il comò. Hai lo spazio sotto il comò per le scarpe: cosa altro ti serve?”
“E i miei trucchi?”
“Dentro al comodino”
“Non c’entrano, ci sono le creme per la notte”.
“Nel primo cassetto del comò, allora”
“Ci sono i costumi e la biancheria”
“Li sposti nel secondo”
“Ci sono le mie magliette”
“Senti, ti do uno dei miei”
“Ne hai solo uno per la biancheria” mi disse.
“E tutto il resto della mia roba?”
“È nell’altro armadio”
Iniziavo a spazientirmi.
“Allora, facciamo una cosa. Esci e ci penso io. Vai, Smamma!” con tono seccato.
“A me smamma non me lo dici, CHIARO!” inveì.
“E invece si!”
Manco arrivati, e già stavamo discutendo. Avrei dovuto capire già da allora quanto avrei dovuto faticare con lei...
Comunque, riuscii a convincerla a uscire e ad avviarsi con gli altri. Io l’avrei raggiunta da lì a poco.
Mi misi a spostare la mia roba dal secondo armadio nel primo armadio, facendo un po’ di spazio tra le cose di mia moglie, quando entrò Patrizia. la ragazza della coppia che dormiva in salone.
“Paolo, aspetta un attimo a togliere tutto: molte delle cose rimangono nelle sacche, tipo la biancheria, i costumi, sono tutte cose che mi possono servire a prescindere” mi disse.
“Beh, ma qui c’è spazio!” le risposi, facendole notare che avevo liberato i cassetti e quasi tutto il resto dell’armadio.
“Guarda che non mi serve: magari giusto lo spazio per i pantaloni lunghi e per il vestito che in valigia si sgualcisce, perché tutto il resto è roba jeans che non si stropiccia. E poi ci sono le camicie di Andrea (il suo ragazzo) e sì, quelle devono essere stese. E anche le sue polo, visto che ci sono” aggiunse.

L’unico problema era che effettivamente il numero delle stampelle rimaste era veramente poco e Francesca ne aveva usate un gran numero. Mi misi allora ad accorpare più di capi su un'unica stampella, così come le mie camicie. Alla fine, recuperai sei o sette stampelle delle venti e più che Francesca aveva occupato.
Patrizia era una ragazza mora, minuta, lunghi capelli neri. Laureata in Economia, master alla London Business School, era da poco rientrata a Roma e si era appena fidanzata con Andrea. Diciamo che la conoscevo meglio io che il suo ragazzo. Aveva talmente poco seno che non l’avevo mai vista con un reggiseno, nemmeno in spiaggia, e girava di solito con camicette aperte fino allo stomaco senza il rischio di mostrare nulla. In quel momento aveva indosso solo una canottiera lunga senza nulla sotto, dalla cui scollatura potevo chiaramente osservare la sua nudità.

“Posso darti una mano?” le chiesi. Tra l’altro, ero ancora con il telo da bagno chiuso in vita, non avevo avuto modo ancora di rivestirmi.
“Se proprio insisti, potresti cortesemente prendere la sacca nera che sta di là? Pesa molto e dovrei trascinarla” mi disse.
Andai in soggiorno e presi la sacca. In effetti, era molto pesante. Sentivo scarpe, borse, oggetti densi e duri al tatto. Entrai in camera mentre Patrizia sta appendendo due stampelle piene delle mie camicie dentro la nostra parte di armadio.
Proprio mentre sto per poggiare la sacca, si staccò uno dei manici ed il suo contenuto si rovesciò fuori. Erano prevalentemente scarpe, ma anche una busta piena di intimo femminile, una borsa con trucchi e spazzole e una scatola lunga una trentina di centimetri, larga una dozzina ed alta otto.

Cercai di ovviare al pasticcio prendendo le cose cadute e porgendole a Patrizia che man mano le stava riponendo nella parte di armadio a loro disposizione.
“Queste no, mi servono di là” disse prendendo la busta dell’intimo, la borsa dei trucchi e la scatola misteriosa. Ma era destino che quella scatola dovesse mostrare il suo contenuto perché cadde di mano anche a lei, rovinò per terra aprendosi e disvelando il suo contenuto: un vibromassaggiatore con vari accessori a forma di palla, sfera, siluro, supposta gigante… insomma, un bel godemichet dell’epoca.
Feci finta di nulla e dissi “Andrea ha dolori articolari, vedo” facendo finta di non sapere cosa effettivamente erano quegli oggetti. Patrizia, arrossita, cercò di chiudere immediatamente la scatola ma, nella fretta, le cadde di mano uno degli accessori che rotolò sotto il nostro letto. Lei si chinò ed esponendo in toto le sue grazie, cercò di recuperarlo.

La aiutai andando dall’altra parte per spingerlo con il piede verso di lei e, nel farlo, mi si slacciò l’asciugamano che avevo drappeggiato ai fianchi a mo’ di pareo, mostrandole tutto il mio membro, per fortuna ancora a riposo.
Ci facemmo due risate ed esclamammo entrambi: “Pensa se entrassero ora i nostri partner, cosa direbbero? Crederebbero ad una sola parola di quel che ci è successo?” ridendo sulla situazione.
Fortunatamente non successe nulla di più e ci ricomponemmo senza ulteriori problemi.
Alla fine, dopo esserci vestiti, raggiungemmo gli altri presso il ristorante che avevamo adocchiato venendo verso casa.

Fu una cena piacevole. Il ristorante era all’interno del paese, in una piazzetta al cui centro c’era una fontana (cosa strana per un’isola greca) e lungo il lato più largo affacciava una chiesa. Tutte le pareti delle case erano rigorosamente bianche con gli infissi in legno dipinti di blu chiaro.
Dopo cena, uno di noi dispiegò una mappa dell’isola e propose di andare in una spiaggia non troppo lontana dal paese, raggiungibile tramite un breve tratto in autobus e poi con una piccola discesa lungo un dirupo di un centinaio di metri, non troppo agevole ma nemmeno particolarmente faticoso.
Ci consigliò l’oste che, in un gesto di simpatia, portò una bottiglia di ouzo gelato assieme a dei biscotti secchi locali all’anice e brindò al nostro arrivo “µία ϕάτσα, µία ράτσα - mia faza, mia raza” ovvero “una sola faccia, una sola razza”, detto che spesso i greci esclamavano per asserire la comune provenienza mediterranea e la pesante commistione di geni tra i due popoli.

Prendemmo quindi la volta di casa ma visto il precario equilibrio di molti, decidemmo di chiamare due tassì.
Quando arrivammo, Francesca ed io facemmo un rapido salto in bagno per prepararci per la notte.
Quando uscimmo, c’erano Patrizia e Andrea che aspettavano con Patrizia seminuda appoggiata ad Andrea che la sosteneva.
“Vabbè, abbiamo esagerato tutti: buona notte” augurammo loro e ci chiudemmo in stanza.
Era abbastanza caldo e non avevo alcuna intenzione di mettermi nulla per cui mi tolsi le mutande e mi buttai a letto. Francesca invece si infilò il magliettone già usato ad Atene, si tolse la biancheria, spense la luce e si mise anche lei a letto.

Ero brillo, un po’ di mal di testa, ma non mi sentivo troppo male. Allungai la mano tra le gambe di Francesca e le chiesi “E qui come sta?”.
Lei allargò le gambe per favorirmi e nel contempo allungò la mano a prendere il mio cazzo che nel frattempo si era risvegliato.
Dopo un po’ di carezze da parte sua e mia, decisi di leccarla e mi misi in posizione 69 sopra di lei mentre le succhiavo il clitoride, le labbra e le infilavo una o due dita nella vagina. Lei ricambio succhiandomi il pisello e leccandomi l’asta. Ad un certo punto smise di leccarmi ed iniziò ad ansimare. Anche il sapore era diverso, più aspro ed acidulo. Una colata di umori densi le uscì dalla fica mentre la penetravo con le dita.

Mi girai e le infilai il mio cazzo al volo. Iniziò a emettere una serie di gemiti sommessi, ma via via sempre più rumorosi.
“Zitta che ci sentono!” le dissi prima di metterle la lingua in bocca di baciarla per farla tacere.
Il tempo di una decina di pompate e lei proruppe in un urletto “SIIII!!!! VENGO!!!!” seguito da un copioso schizzo che bagnò maglietta, lenzuolo e materasso.
Sentimmo dopo un po’ bussare alla porta: “Francesca, Paolo, problemi?” chiesero da fuori.
“No, nulla, tutto a posto, Francesca ha sbattuto il piede contro il letto” mentii.
Cercammo di ripulire alla bell'e meglio il materasso con la bottiglia d'acqua che avevamo in camera, rimandando il resto all'indomani.
Aprimmo la serranda per far rinfrescare l’aria, ci adagiammo sul letto dalla mia parte e ci addormentammo abbracciati.
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Spiaggia o scoglio?​

Il mattino successivo il nostro arrivo a Naxos ci svegliammo tutti molto, molto tardi. Tra la stanchezza accumulata per il viaggio e per la notte caldissima di Atene, la giornata faticosa in traghetto e, soprattutto, la sbronza collettiva al ristorante, eravamo tutti abbastanza cotti e nessuno aveva messo sveglie.

Io fui il primo ad alzarmi verso le 10 del mattino. Con un bel alzabandiera mi infilai al volo un paio di pantaloncini e andai come prima cosa in bagno. Dopo i bisogni mattutini mi infilai al volo sotto la doccia. Dopo poco entrò in bagno Patrizia, anche lei ancora assonnata e con una maglietta tutta per traverso. Probabilmente non si era nemmeno accorta che c’ero io in bagno perché si sedette ad occhi chiusi sulla tazza ed iniziò a fare pipì. Solo quando fece per prendere la carta igienica per asciugarsi aprì gli occhi e quasi saltò per la sorpresa.
“Ma che stai facendo in bagno? Esci!!!” disse.
“Veramente in bagno c’ero già io, dentro la doccia” risposi.
“Perché non ti sei chiuso a chiave?”
“Semplicemente perché la chiave non c’è. E poi sei tu che non hai bussato!”.
“E poi, comunque, piantala … anzi, passami per favore il telo che non posso uscire così dalla doccia” aggiunsi.”
“Hai capito...tanto ti ho già visto nudo, pensi che mi scandalizzi?” ribbattè un po’ piccata.
La presi in parola, aprii la porta della cabina doccia ed uscii nudo, gocciolante ed anche un po’ barzotto.
Patrizia mi squadrò da cima a fondo, soffermandosi sul mio pisello che, seppur non eretto, era pur sempre abbastanza grosso da meritarsi anche una seconda occhiata.
Presi dal gancio il telo e me lo avvolsi attorno alla vita, appena in tempo per non essere scoperto da Filippo, il ragazzo di Federica, che entrava anche egli stropicciandosi gli occhi e con una vistosa erezione sotto le mutande.
“E che cazzo… manco in bagno si può entrare?” fu il suo buongiorno quando mi vide.
Poi realizzò che c’era pure Patrizia. “Che cazzo ci fai tu qui?” chiese.
Scoprimmo che Filippo, di prima mattina e dopo una sbronza, è da turpiloquio facile ed ha la simpatia di un pastore abruzzese a cui hanno appena chiuso il passo al pascolo.
Stavo giusto per uscire ed avevo appena aperto la porta che mi ritrovai davanti alla porta Domitilla detta Dede, la ragazza di Adriano, che voleva entrare anch’essa in bagno.
C’era più traffico lì che alla stazione metro A di Termini di prima mattina di un giorno lavorativo.
Salutai Dede con un sorriso che mi fu ricambiato con un cenno della testa, un occhio aperto ed uno chiuso. Era evidente che l’ouzo e la recina della sera prima avevano lasciato vistose tracce.
Andai in soggiorno ove Andrea, il ragazzo di Patrizia, ancora dormiva a pancia in su ed a gambe larghe, il lenzuolo in mezzo alle gambe e con il cazzo bello dritto mezzo scoperto.
Feci finta di niente ed andai verso la cucina a preparare il caffè.

Presi la moka gigante da 8 e quella media da 4 e le preparai entrambe con l’acqua minerale, Avevamo trovato solo caffè greco, marca impronunciabile e aroma improponibile. Mi resi conto, leggendo l’etichetta, che chi l’aveva preso dallo scaffale non si era reso conto che era caffè d’orzo.
“Καφές Κριθάρι” non era Caffè marca Krithari, ma caffè d’orzo!!!
Tornai verso il bagno per affrontare Filippo e Dede che il giorno prima erano andati a fare la spesa.
“Ma vi siete resi conto che avete preso il caffè d’orzo? Ma non sapete leggere?”
“Ma è greco!” rispose Patrizia.
Dimenticavo che non tutti avevano fatto il classico, e che il greco era una lingua con il suo alfabeto molto diverso da quello latino.
“Ora però bisogna andare a comprarlo!” esclamai un po’ seccato. Se c’era una cosa che mi metteva di cattivo umore, era il non poter prendere il caffè appena alzato.
Decisi di scendere giù, fare circa duecento metri verso il paese, fermarmi al bar e chiedergli se poteva vendermi del caffè per preparare un paio di macchinette.
Mi infilai al volo una maglietta ed un paio di scarpe, presi il portafogli e, dopo aver tranquillizzato Francesca (“Amore vado a comprare il caffè per te!”) mi avviai verso il bar,

Era un locale molto differente dai nostri bar. Era più una mescita di bevande e di alcolici, ed il caffè che bevevano era il caffè alla turca, denso da tagliarsi con un coltello e pieno di fondi. Però dietro al bancone c’era una macchina espresso Gaggia nuova di zecca con il suo bel macinacaffè pieno di chicchi.
Salutai prima in italiano e poi in inglese il barista il quale mi rispose in un italiano un po’ stentato ma comprensibilissimo.
Per fortuna, la comunicazione sarebbe stata facile.
Gli chiesi subito un espresso per me al banco e gli spiegai il problema. Lui andò dietro al retrobottega, separato da una di quelle tende a strisce di plastica tutte colorate anni 70, e ne tornò fuori con un pacchetto di caffè macinato di una marca italiana allora a me sconosciuta, la Borbone di Napoli. Mi raccontò che glielo portava un paio di volte a stagione, assieme al caffè in grani, il fratello che faceva il marittimo su una nave di linea che faceva la spola tra Napoli e Atene.
Mi preparò quindi il caffè e dovetti riconoscere che era sicuramente migliore di tante ciofeche bevute in giro per l’Italia. Gli chiesi quindi se mi poteva preparare alcuni caffè a portar via; lui tirò fuori una bottiglia in vetro del latte che lavò e sgrassò al vapore prima di riempirla a metà di caffè espresso. Gli promisi di riportargli la bottiglia vuota.
Pagai una manciata di dracme, una frazione di quanto avrei speso a Roma, e tornai verso casa.

“Ho portato il caffè per tutti!” dissi ad alta voce. Andai in cucina, presi una tazzina e vi versai un po’ del caffè dalla bottiglia. Poi presi lo zucchero in zollette e ne misi una nella tazzina, girai il tutto e lo portai a Francesca.
Buongiorno amore!” le dissi poggiando la tazzina sul comodino e chinandomi su di lei per baciarla. Era coperta fino al collo con il lenzuolo; lo presi e lo aprii scoprendola e provocandole una reazione stizzita “E lasciami in pace! Sto dormendo!”, riprese il lenzuolo e tentò di ricoprirsi. Il magliettone era salito fino alla pancia scoprendole il culo ed una spallina era arrivata a metà braccio lasciando fuori la tetta.
Approfittai, la riscoprii di nuovo ed iniziai a carezzarla sui capelli e dietro al collo, Poi scesi sul seno, lo scoprii del tutto ed iniziai a baciarle e leccarle i capezzoli. Francesca si schernì un attimo per poi accettare quelle coccole. Con la mano percorsi le cosce fino alla fica che era calda ed umidiccia. “Nooo, fermati! Devo andare a fare la pipì!” mi disse e si alzò di scatto, si rassettò il magliettone, infilò le ciabatte e si diresse al bagno. Aprì la porta e la richiuse alle spalle. Dopo dieci secondi sentimmo due urla in bagno. Ci affacciammo e trovammo Francesca seduta sul water che si copriva al meglio con la maglietta e Adriano, il ragazzo di Dede che era anche andato a fare la doccia, che si copriva con la mano il pacco mentre con l’altra cercava di prendere un telo. Decisamente la mancanza della chiave della porta del bagno era un problema.
Adriano riuscì a coprirsi e Francesca si alzò dal water dopo aver ottenuto che Adriano uscisse.

La giornata non era iniziata nel modo migliore.
Per calmare un po’ le acque chiesi a tutti di uscire in balcone per prendere il caffè che avevo portato.
“Pare che abbiamo un problema con il bagno” dissi.
“Siamo otto con un solo bagno, e questo è già di per sé un problema. In più manca la chiave” continuai.
“Quindi ci dobbiamo organizzare. Propongo che per andare in bagno, lavarci e farci la doccia ci andiamo a coppie: uno si lava ed uno sta in bagno. I capelli li asciughiamo in balcone o in camera da letto. La doccia dopo il mare possiamo farla qui in balcone: c’è il tubo per innaffiare che va benissimo” proposi.
Era una proposta di buon senso e fu accettata da tutti.
Giusto Dede disse “Ma non potremmo chiedere al padrone di casa di darci la chiave?”
Mi chiesero di chiamarlo al telefono in giornata ed esporgli il problema.

Erano già quasi le undici e mezza e stavamo ancora a girare a vuoto, ed ancora non avevamo deciso dove andare.
“Vista l’ora” intervenne Filippo “non abbiamo molti posti dove andare. Possiamo muoverci a piedi o con i bus, ma non possiamo andare molto lontano. Propongo la spiaggia di Agios Georgios che è abbastanza vicina e ci si può andare a piedi da qui”.
“Oppure?” chiese Patrizia.
“Oppure possiamo arrivare ad Agios Prokopios, che però è più lontano e dovremmo prendere due tassì” dissi io.
“E che differenza c’è” chiesero in coro le ragazze,
Risposi io.
“Agios Georgios è la Fregene di Naxos, Agios Prokopios è un po’ come Passoscuro” facendo i dovuti paragoni con il litorale romano.
“Ovviamente, parliamo sempre di spiagge in un isola greca!” aggiunsi.
“E comunque, ad Agios Prokopios ci sono anche un po’ di scogli e calette di sabbia tra gli scogli per cui l’acqua dovrebbe essere più bella” conclusi.
Votammo tutti per San Procopio.

Ci mettemmo i costumi, prendemmo le sacche con i teli ed i costumi di ricambio, un po’ di bottiglie d’acqua, dei crackers e gli immancabili Walkman a cassette e partimmo.
Scendemmo in piazza e incrociammo il tassista della sera prima che ci salutò “Romani! Buono ghiorno!”. Gli spiegammo che volevamo andare ad Agios Prokopios, lui ci fece l’occhiolino e disse “Aspettate che lo dico all’amico” e si mise a parlare gesticolando con un collega. Alla fine sembravano entrambi soddisfatti e ci disse: “Vi portiamo noi, però dobbiamo metterci d’accordo per il ritorno perché lì non c’è un telefono per chiamarci. Va bene se vi riprendiamo alla 6 del pomeriggio?”
Era oramai passato mezzogiorno, cinque ore di mare potevano bastare, come primo giorno.
Accettammo e ci mettemmo d’accordo per 1.500 dracme a tassì andata a ritorno, circa 15.000 lire in quattro.

Salimmo quindi sulle macchine e ci recammo alla spiaggia di Agio Prokopios. Il tassista, Ioannidis, cercava di attaccare bottone con Francesca, la mia fidanzata, e con Dede, Francesca non era di buon umore e rispose un po’ seccata, mentre Dede sfoggiò un fantastico francese con il quale interloquì con il guidatore.
Io ero un po’ fuori gioco, il mio francese era elementare, ma capivo quello che si dicevano.
Ad un certo punto Ioannidis chiese a Dede se sapevamo che stavamo andando in una spiaggia nudista. Dedè si bloccò e mi rivolse uno sguardo indagatore.
Feci finta di non aver capito.
“Ioannidis mi sta spiegando che Agios Prokopios è una spiaggia per nudisti. Lo sapevi?” mi chiede.
Scambiai uno sguardo di intesa con Adriano, il suo ragazzo, e negai decisamente.
Anche Francesca si unì all’azione di reprimenda “Figuriamoci se non lo sapeva…”.
Ovvio: poteva la mia ragazza, in questa situazione, darmi ragione? Nooo, figuriamoci.

“Io non ne sapevo nulla, Ho letto la cartina che ci hanno dato all’Ufficio turistico e c’è scritto solo che è una splendida spiaggia isolata con sabbia e qualche caletta intima racchiusa tra gli scogli” dissi leggendo l’opuscolo che avevo in tasca. In realtà, avevo già preparato il giro delle spiagge hot raccogliendo informazioni da amici che ci erano già stati prima. Agios Prokopios era solo una delle tappe.
Convinsi in qualche modo Dede e Francesca che non ne sapevo nulla e che comunque, non era detto che ci fosse tanta gente lì, che la spiaggia era grande e che ci sarebbe stato spazio per tutti, bla bla bla...
Ioannidis faceva cenni di assenso con il capo capendo all’incirca di cosa stavo parlando.
Dopo circa un quarto d’ora arrivammo a destinazione.
Il posto era bellissimo, la spiaggia era molto ampia e si estendeva verso sud per oltre un kilometro mentre a nord terminava in un gruppo di calette, tutte sabbiose, protette da vari scogli e raggiungibili solo via mare camminando in acqua.
Effettivamente non c’era molta gente ma i pochi presenti erano tutti nudi o al massimo con le ragazze in topless.
Tutti peraltro concordarono che la cosa non era fastidiosa e che, anzi, avevamo avuto una splendida idea,
Decidemmo di andare in una delle calette.
Le prime due erano già occupate, la terza invece, la più grande, era libera.
Stendemmo i teli e ci mettemmo in costume.

Una dopo l’altra, Dede, Patrizia e Federica decisero di mettersi in topless. Francesca non era molto convinta, indossava un costume intero sgambatissimo e profondamente scollato al giro ascella tanto da lasciare esposto il lato delle tette. Le altre invece indossavano tutte bikini con la mutanda a tanga con laccetti molto ridotta.
Alla fine, dopo qualche mia insistenza, anche Francesca decise di arrotolare il costume intero e scoprire il seno.
Facemmo il bagno in un’acqua limpida e tersa, di un azzurro intenso, ma molto fredda. Non era così piacevole, almeno in quel periodo.

Dopo poco più di un’ora, erano quasi le due, ci venne fame. C’era una sorta di trattoria sulla spiaggia e decidemmo di recarci lì per mangiare un boccone. Dopo esserci asciugati c’eravamo buttati le magliette addosso senza rivestirci. Le ragazze erano tutte senza reggiseno sotto le t-shirt, per lo più bagnate dai capelli proprio all’altezza dei seni che mostravano capezzoli eretti.
Riprendemmo le nostre cose e ci recammo all’osteria. Era una tettoia coperta di frasche con quattro tavolini per una ventina di persone al massimo. Unimmo due tavoli e facemmo un’unica tavolata.
Il cameriere/proprietario/cuoco ci consegnò un foglio di carta pane con scritto a mano il menù in greco.
Toccò a me capire di cosa si trattava e con qualche sforzo, lessi i vari piatti. Alla fine chiedemmo aiuto ad una coppia tedesca che stava lì che ci spiegò i vari piatti.
Chiedemmo un paio di porzioni di moussaka, una specie di parmigiana di melanzane, dei souvlaki, spiedini di pesce spada, un sarago arrosto per almeno tre persone, quattro patatine fritte e quattro insalate di pomodori, il tutto accompagnato da vino locale fresco e frizzantino.
Attendemmo circa venti minuti mentre scolammo un paio di caraffe di vino ed un cestino di pane al formaggio.
I piatti arrivarono tutti insieme.
Avevamo fame, e in men che non si dica spazzolammo tutto.

L’oste ci portò una bottiglia di ouzo gelata. La mia testa era già leggera per la quantità di vino, Francesca e le ragazze invece decisero di fare una sorta di passatella a chi trangugiava più velocemente un bicchierino di quel liquore ad alta gradazione senza lacrimare né tossire. Se si tossiva, se ne doveva bere un altro.
Adriano, Filippo ed io ci rifiutammo. Francesca non voleva ma poi fu convinta anche lei.
Inutile dire che la bottiglia arrivata fortunatamente già smezzata, dopo un paio di giri era stata completamente vuotata.
Chiedemmo il caffè dimenticando che allora, l’unico caffè era quello alla turca, ma necessità fece virtù.
Pagammo una sciocchezza, l’equivalente di diecimila lire a testa d’allora, per del buon cibo in un posto bellissimo.
Ci alzammo barcollando e decidemmo di fermarci prima delle calette, direttamente in spiaggia.
Stendemmo i teli e ci mettemmo a riposare al sole. Dopo una mezz’ora eravamo quasi in coma, cotti dall’alcol e dal sole.

Non faceva troppo caldo, si era alzato il meltemio che iniziava a soffiare intensamente trasversalmente alla spiaggia. Per fortuna eravamo sottovento ad una sorta di duna che ci copriva dal vento fresco.
Le ragazze si erano tutte addormentate. Francesca si era appoggiata con la testa sulla mia pancia, senza reggiseno e con la mano sul mio uccello. Dede era a pancia in giù, anche lei senza reggiseno, a cosce larghe e con il pezzo di sotto del costume messo per sghembo che le scopriva parte della fica. Federica era a pancia in su a prendere il sole in topless mentre Patrizia, anche lei seminuda, si era fatta abbracciare dal suo Andrea che le stava dietro.
Eravamo cotti. Letteralmente. Dal vino, dall’ouzo e dal sole.
Arrivarono le quattro del pomeriggio.

Ci risvegliammo e prima uno e poi l’altro iniziammo ad andare in acqua per trovare refrigerio.
Dopo poco arrivarono un gruppo di ragazzi olandesi che si sistemarono accanto ai nostri asciugamano, si spogliarono nudi e si gettarono in acqua schiamazzando e giocando tra di loro ad una lotta simulata. Una coppia di loro iniziò però a fare sesso in acqua davanti a tutti. Lui era tatuato in gran parte del corpo con un pene di dimensioni enormi, lei aveva una lunga capigliatura rasta e i piercing ai capezzoli oltre ad essere totalmente depilata. Poi, anche gli altri si unirono a quella che sembrava essere un’orgia in tutto e per tutto.
Noi tutti, soprattutto le ragazze, tacemmo ed assistemmo stupiti osservando da un lato quella ragazza minutina in grado di far sparire dentro di sé un cazzo di quella portata, e poi commentando con i gesti il bordello che si era creato in pochi secondi.

Francesca era quasi atterrita osservando quel gigantesco cazzo, si strinse a me e mi sussurrò “Ma come fa? Non le fa male? È …enorme!”.
“A quanto pare no, E mi pare che le piaccia pure!” le risposi stringendola a me da dietro facendole sentire il turgore delle mie parti basse.
“Ma che ti eccita?” mi chiese un po’ seccata.
“È meglio di un porno, no?” le dissi, accentuando la pressione sul suo culo mentre le presi le tette tra le mani.
“Stai fermo, che ci vedono!” disse stizzita togliendo le mani dal seno.
Le spostai allora il costume di lato e le infilai al volo il mio pisello nella sua micia, nascosto dall’acqua che ci arrivava alla pancia. Francesca protestò un attimo poi iniziò a muoversi ritmicamente.
Ma furono solo pochi colpi prima che Francesca stizzita riguadagnasse il controllo e se lo sfilasse.
Si era accorta che sulla spiaggia c’erano due coppie che ci stavano osservando con malcelata curiosità.
“ECCO HAI VISTO?” urlò Francesca. “BELLA FIGURA DI MERDA!”
“E fattela una risata ogni tanto, Fra’!” le dissi mentre andavamo verso la spiaggia.

Quando arrivammo sulla spiaggia, la lei dell’altra coppia mi disse sorridendo “I’m quite sure she isn’t interested to swing with us, is it?”
I’m afraid she is not!” replicai nel mio migliore inglese e ci facemmo una risata. Era una rossa molto, molto carina per essere un inglese.
Iniziammo a conversare mentre ritornavamo verso riva.
Le chiesi da dove venissero. Mi rispose che erano irlandesi di Dublino, in vacanza in Grecia da un mese e che avevano fatto un bel giro delle Cicladi in barca.
“Oh, molto interessante! E che barca è?”
“Abbiamo un motorsailer di 40 piedi. Giusto due cabine ed una toilette. Un camper marino” rispose.
Arrivai sulla spiaggia, raggiunsi la mia fidanzata e feci le presentazioni.
My name is Paolo and she’s Francesca, my fianceè. We will marry next february.” e poi, verso Francesca “Amore, loro sono?” e chiesi i loro nomi “what’s your name?” domandai.
“Oh, io sono Rebecca, lui è John” indicando il suo ragazzo, un omone alto almeno 1.90 che faceva sembrare Rebecca ancora più minuta di quanto non fosse.
“L’altra coppia sono Caitlin” e indicò la ragazza con lunghe trecce bionde piena di lentiggini “e Sean”, il suo ragazzo anch’egli ipervitaminizzato, con capelli rosso carota ed un collo taurino largo quanto la testa.
Ci stringemmo le mani facendo le presentazioni reciproche. Francesca aveva fatto scuola interpreti e parlava un ottimo inglese, io me la cavavo a sufficienza per intrattenere una conversazione di carattere generale.

Presto fummo raggiunti dagli altri amici.
Iniziai il giro delle presentazioni introducendo le varie coppie. Li invitammo a sederci con noi scusandoci se non avevamo nulla da offrire. Sean si alzò e si recò ai loro asciugamani poco distanti prendendo quello che sembrava un contenitore refrigerato.
Lo aprì di fronte a noi ed iniziò a distribuire bottiglie di birra irlandese a tutti noi.
Era bella ghiacciata ed era impossibile rifiutare, troppo invitante.
Iniziammo a chiacchierare e chiedemmo loro come mai in quella spiaggia.
Ci spiegarono che erano appena approdati da un giro per le Cicladi e avevano necessità di fermarsi per qualche giorno in attesa di poter riparare una pompa di bordo che si era rotta e non scaricava fuori l’acqua dalla sentina ed il motore elettrico dell’elica intubata. Era più di un mese che giravano per l’Egeo e avevano visitato almeno una quindicina di isole diverse, ma che ora volevano fermarsi un po’ e divertirsi a terra.

Anche i nostri amici romani non se la cavavano male con l’inglese e gli irlandesi, per cultura ed abitudine, non sono schizzinosi come gli inglesi che fanno finta di non capire chi parla male la loro lingua, per cui la conversazione scorreva tutto sommato liscia e piacevole in un misto di italiano ed inglese.
Si erano fatte quasi le sei ed era giunto il momento di andare al punto di incontro con Ioannidis ed il suo collega tassista.
Sean e John a quel punto ci proposero di andare tutti a cena da loro per una bella festa in barca.
Ci guardammo l’un con l’altro ed accettammo. Le ragazze, sempre un passo avanti a noi, dissero: “Possiamo portare qualcosa da mangiare? Possiamo preparare noi la pasta?”
Oh! Great! It would be so nice!” intervenne John. “E’ la volta buona che mangiamo la pasta come si deve. We really love pasta, honey, isnt’it?” disse abbracciando Rebecca da dietro.
Ci facemmo dare il nome della barca e dove era ormeggiata e ci demmo appuntamento per le otto e mezza di sera.
“A proposito, ricordatevi che poi ci divertiamo!” ci disse Caitlin. Ci guardammo con uno sguardo interrogativo, della serie: “In che senso?”.

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Spiaggia o scoglio?​

Il mattino successivo il nostro arrivo a Naxos ci svegliammo tutti molto, molto tardi. Tra la stanchezza accumulata per il viaggio e per la notte caldissima di Atene, la giornata faticosa in traghetto e, soprattutto, la sbronza collettiva al ristorante, eravamo tutti abbastanza cotti e nessuno aveva messo sveglie.

Io fui il primo ad alzarmi verso le 10 del mattino. Con un bel alzabandiera mi infilai al volo un paio di pantaloncini e andai come prima cosa in bagno. Dopo i bisogni mattutini mi infilai al volo sotto la doccia. Dopo poco entrò in bagno Patrizia, anche lei ancora assonnata e con una maglietta tutta per traverso. Probabilmente non si era nemmeno accorta che c’ero io in bagno perché si sedette ad occhi chiusi sulla tazza ed iniziò a fare pipì. Solo quando fece per prendere la carta igienica per asciugarsi aprì gli occhi e quasi saltò per la sorpresa.
“Ma che stai facendo in bagno? Esci!!!” disse.
“Veramente in bagno c’ero già io, dentro la doccia” risposi.
“Perché non ti sei chiuso a chiave?”
“Semplicemente perché la chiave non c’è. E poi sei tu che non hai bussato!”.
“E poi, comunque, piantala … anzi, passami per favore il telo che non posso uscire così dalla doccia” aggiunsi.”
“Hai capito...tanto ti ho già visto nudo, pensi che mi scandalizzi?” ribbattè un po’ piccata.
La presi in parola, aprii la porta della cabina doccia ed uscii nudo, gocciolante ed anche un po’ barzotto.
Patrizia mi squadrò da cima a fondo, soffermandosi sul mio pisello che, seppur non eretto, era pur sempre abbastanza grosso da meritarsi anche una seconda occhiata.
Presi dal gancio il telo e me lo avvolsi attorno alla vita, appena in tempo per non essere scoperto da Filippo, il ragazzo di Federica, che entrava anche egli stropicciandosi gli occhi e con una vistosa erezione sotto le mutande.
“E che cazzo… manco in bagno si può entrare?” fu il suo buongiorno quando mi vide.
Poi realizzò che c’era pure Patrizia. “Che cazzo ci fai tu qui?” chiese.
Scoprimmo che Filippo, di prima mattina e dopo una sbronza, è da turpiloquio facile ed ha la simpatia di un pastore abruzzese a cui hanno appena chiuso il passo al pascolo.
Stavo giusto per uscire ed avevo appena aperto la porta che mi ritrovai davanti alla porta Domitilla detta Dede, la ragazza di Adriano, che voleva entrare anch’essa in bagno.
C’era più traffico lì che alla stazione metro A di Termini di prima mattina di un giorno lavorativo.
Salutai Dede con un sorriso che mi fu ricambiato con un cenno della testa, un occhio aperto ed uno chiuso. Era evidente che l’ouzo e la recina della sera prima avevano lasciato vistose tracce.
Andai in soggiorno ove Andrea, il ragazzo di Patrizia, ancora dormiva a pancia in su ed a gambe larghe, il lenzuolo in mezzo alle gambe e con il cazzo bello dritto mezzo scoperto.
Feci finta di niente ed andai verso la cucina a preparare il caffè.

Presi la moka gigante da 8 e quella media da 4 e le preparai entrambe con l’acqua minerale, Avevamo trovato solo caffè greco, marca impronunciabile e aroma improponibile. Mi resi conto, leggendo l’etichetta, che chi l’aveva preso dallo scaffale non si era reso conto che era caffè d’orzo.
“Καφές Κριθάρι” non era Caffè marca Krithari, ma caffè d’orzo!!!
Tornai verso il bagno per affrontare Filippo e Dede che il giorno prima erano andati a fare la spesa.
“Ma vi siete resi conto che avete preso il caffè d’orzo? Ma non sapete leggere?”
“Ma è greco!” rispose Patrizia.
Dimenticavo che non tutti avevano fatto il classico, e che il greco era una lingua con il suo alfabeto molto diverso da quello latino.
“Ora però bisogna andare a comprarlo!” esclamai un po’ seccato. Se c’era una cosa che mi metteva di cattivo umore, era il non poter prendere il caffè appena alzato.
Decisi di scendere giù, fare circa duecento metri verso il paese, fermarmi al bar e chiedergli se poteva vendermi del caffè per preparare un paio di macchinette.
Mi infilai al volo una maglietta ed un paio di scarpe, presi il portafogli e, dopo aver tranquillizzato Francesca (“Amore vado a comprare il caffè per te!”) mi avviai verso il bar,

Era un locale molto differente dai nostri bar. Era più una mescita di bevande e di alcolici, ed il caffè che bevevano era il caffè alla turca, denso da tagliarsi con un coltello e pieno di fondi. Però dietro al bancone c’era una macchina espresso Gaggia nuova di zecca con il suo bel macinacaffè pieno di chicchi.
Salutai prima in italiano e poi in inglese il barista il quale mi rispose in un italiano un po’ stentato ma comprensibilissimo.
Per fortuna, la comunicazione sarebbe stata facile.
Gli chiesi subito un espresso per me al banco e gli spiegai il problema. Lui andò dietro al retrobottega, separato da una di quelle tende a strisce di plastica tutte colorate anni 70, e ne tornò fuori con un pacchetto di caffè macinato di una marca italiana allora a me sconosciuta, la Borbone di Napoli. Mi raccontò che glielo portava un paio di volte a stagione, assieme al caffè in grani, il fratello che faceva il marittimo su una nave di linea che faceva la spola tra Napoli e Atene.
Mi preparò quindi il caffè e dovetti riconoscere che era sicuramente migliore di tante ciofeche bevute in giro per l’Italia. Gli chiesi quindi se mi poteva preparare alcuni caffè a portar via; lui tirò fuori una bottiglia in vetro del latte che lavò e sgrassò al vapore prima di riempirla a metà di caffè espresso. Gli promisi di riportargli la bottiglia vuota.
Pagai una manciata di dracme, una frazione di quanto avrei speso a Roma, e tornai verso casa.

“Ho portato il caffè per tutti!” dissi ad alta voce. Andai in cucina, presi una tazzina e vi versai un po’ del caffè dalla bottiglia. Poi presi lo zucchero in zollette e ne misi una nella tazzina, girai il tutto e lo portai a Francesca.
Buongiorno amore!” le dissi poggiando la tazzina sul comodino e chinandomi su di lei per baciarla. Era coperta fino al collo con il lenzuolo; lo presi e lo aprii scoprendola e provocandole una reazione stizzita “E lasciami in pace! Sto dormendo!”, riprese il lenzuolo e tentò di ricoprirsi. Il magliettone era salito fino alla pancia scoprendole il culo ed una spallina era arrivata a metà braccio lasciando fuori la tetta.
Approfittai, la riscoprii di nuovo ed iniziai a carezzarla sui capelli e dietro al collo, Poi scesi sul seno, lo scoprii del tutto ed iniziai a baciarle e leccarle i capezzoli. Francesca si schernì un attimo per poi accettare quelle coccole. Con la mano percorsi le cosce fino alla fica che era calda ed umidiccia. “Nooo, fermati! Devo andare a fare la pipì!” mi disse e si alzò di scatto, si rassettò il magliettone, infilò le ciabatte e si diresse al bagno. Aprì la porta e la richiuse alle spalle. Dopo dieci secondi sentimmo due urla in bagno. Ci affacciammo e trovammo Francesca seduta sul water che si copriva al meglio con la maglietta e Adriano, il ragazzo di Dede che era anche andato a fare la doccia, che si copriva con la mano il pacco mentre con l’altra cercava di prendere un telo. Decisamente la mancanza della chiave della porta del bagno era un problema.
Adriano riuscì a coprirsi e Francesca si alzò dal water dopo aver ottenuto che Adriano uscisse.

La giornata non era iniziata nel modo migliore.
Per calmare un po’ le acque chiesi a tutti di uscire in balcone per prendere il caffè che avevo portato.
“Pare che abbiamo un problema con il bagno” dissi.
“Siamo otto con un solo bagno, e questo è già di per sé un problema. In più manca la chiave” continuai.
“Quindi ci dobbiamo organizzare. Propongo che per andare in bagno, lavarci e farci la doccia ci andiamo a coppie: uno si lava ed uno sta in bagno. I capelli li asciughiamo in balcone o in camera da letto. La doccia dopo il mare possiamo farla qui in balcone: c’è il tubo per innaffiare che va benissimo” proposi.
Era una proposta di buon senso e fu accettata da tutti.
Giusto Dede disse “Ma non potremmo chiedere al padrone di casa di darci la chiave?”
Mi chiesero di chiamarlo al telefono in giornata ed esporgli il problema.

Erano già quasi le undici e mezza e stavamo ancora a girare a vuoto, ed ancora non avevamo deciso dove andare.
“Vista l’ora” intervenne Filippo “non abbiamo molti posti dove andare. Possiamo muoverci a piedi o con i bus, ma non possiamo andare molto lontano. Propongo la spiaggia di Agios Georgios che è abbastanza vicina e ci si può andare a piedi da qui”.
“Oppure?” chiese Patrizia.
“Oppure possiamo arrivare ad Agios Prokopios, che però è più lontano e dovremmo prendere due tassì” dissi io.
“E che differenza c’è” chiesero in coro le ragazze,
Risposi io.
“Agios Georgios è la Fregene di Naxos, Agios Prokopios è un po’ come Passoscuro” facendo i dovuti paragoni con il litorale romano.
“Ovviamente, parliamo sempre di spiagge in un isola greca!” aggiunsi.
“E comunque, ad Agios Prokopios ci sono anche un po’ di scogli e calette di sabbia tra gli scogli per cui l’acqua dovrebbe essere più bella” conclusi.
Votammo tutti per San Procopio.

Ci mettemmo i costumi, prendemmo le sacche con i teli ed i costumi di ricambio, un po’ di bottiglie d’acqua, dei crackers e gli immancabili Walkman a cassette e partimmo.
Scendemmo in piazza e incrociammo il tassista della sera prima che ci salutò “Romani! Buono ghiorno!”. Gli spiegammo che volevamo andare ad Agios Prokopios, lui ci fece l’occhiolino e disse “Aspettate che lo dico all’amico” e si mise a parlare gesticolando con un collega. Alla fine sembravano entrambi soddisfatti e ci disse: “Vi portiamo noi, però dobbiamo metterci d’accordo per il ritorno perché lì non c’è un telefono per chiamarci. Va bene se vi riprendiamo alla 6 del pomeriggio?”
Era oramai passato mezzogiorno, cinque ore di mare potevano bastare, come primo giorno.
Accettammo e ci mettemmo d’accordo per 1.500 dracme a tassì andata a ritorno, circa 15.000 lire in quattro.

Salimmo quindi sulle macchine e ci recammo alla spiaggia di Agio Prokopios. Il tassista, Ioannidis, cercava di attaccare bottone con Francesca, la mia fidanzata, e con Dede, Francesca non era di buon umore e rispose un po’ seccata, mentre Dede sfoggiò un fantastico francese con il quale interloquì con il guidatore.
Io ero un po’ fuori gioco, il mio francese era elementare, ma capivo quello che si dicevano.
Ad un certo punto Ioannidis chiese a Dede se sapevamo che stavamo andando in una spiaggia nudista. Dedè si bloccò e mi rivolse uno sguardo indagatore.
Feci finta di non aver capito.
“Ioannidis mi sta spiegando che Agios Prokopios è una spiaggia per nudisti. Lo sapevi?” mi chiede.
Scambiai uno sguardo di intesa con Adriano, il suo ragazzo, e negai decisamente.
Anche Francesca si unì all’azione di reprimenda “Figuriamoci se non lo sapeva…”.
Ovvio: poteva la mia ragazza, in questa situazione, darmi ragione? Nooo, figuriamoci.

“Io non ne sapevo nulla, Ho letto la cartina che ci hanno dato all’Ufficio turistico e c’è scritto solo che è una splendida spiaggia isolata con sabbia e qualche caletta intima racchiusa tra gli scogli” dissi leggendo l’opuscolo che avevo in tasca. In realtà, avevo già preparato il giro delle spiagge hot raccogliendo informazioni da amici che ci erano già stati prima. Agios Prokopios era solo una delle tappe.
Convinsi in qualche modo Dede e Francesca che non ne sapevo nulla e che comunque, non era detto che ci fosse tanta gente lì, che la spiaggia era grande e che ci sarebbe stato spazio per tutti, bla bla bla...
Ioannidis faceva cenni di assenso con il capo capendo all’incirca di cosa stavo parlando.
Dopo circa un quarto d’ora arrivammo a destinazione.
Il posto era bellissimo, la spiaggia era molto ampia e si estendeva verso sud per oltre un kilometro mentre a nord terminava in un gruppo di calette, tutte sabbiose, protette da vari scogli e raggiungibili solo via mare camminando in acqua.
Effettivamente non c’era molta gente ma i pochi presenti erano tutti nudi o al massimo con le ragazze in topless.
Tutti peraltro concordarono che la cosa non era fastidiosa e che, anzi, avevamo avuto una splendida idea,
Decidemmo di andare in una delle calette.
Le prime due erano già occupate, la terza invece, la più grande, era libera.
Stendemmo i teli e ci mettemmo in costume.

Una dopo l’altra, Dede, Patrizia e Federica decisero di mettersi in topless. Francesca non era molto convinta, indossava un costume intero sgambatissimo e profondamente scollato al giro ascella tanto da lasciare esposto il lato delle tette. Le altre invece indossavano tutte bikini con la mutanda a tanga con laccetti molto ridotta.
Alla fine, dopo qualche mia insistenza, anche Francesca decise di arrotolare il costume intero e scoprire il seno.
Facemmo il bagno in un’acqua limpida e tersa, di un azzurro intenso, ma molto fredda. Non era così piacevole, almeno in quel periodo.

Dopo poco più di un’ora, erano quasi le due, ci venne fame. C’era una sorta di trattoria sulla spiaggia e decidemmo di recarci lì per mangiare un boccone. Dopo esserci asciugati c’eravamo buttati le magliette addosso senza rivestirci. Le ragazze erano tutte senza reggiseno sotto le t-shirt, per lo più bagnate dai capelli proprio all’altezza dei seni che mostravano capezzoli eretti.
Riprendemmo le nostre cose e ci recammo all’osteria. Era una tettoia coperta di frasche con quattro tavolini per una ventina di persone al massimo. Unimmo due tavoli e facemmo un’unica tavolata.
Il cameriere/proprietario/cuoco ci consegnò un foglio di carta pane con scritto a mano il menù in greco.
Toccò a me capire di cosa si trattava e con qualche sforzo, lessi i vari piatti. Alla fine chiedemmo aiuto ad una coppia tedesca che stava lì che ci spiegò i vari piatti.
Chiedemmo un paio di porzioni di moussaka, una specie di parmigiana di melanzane, dei souvlaki, spiedini di pesce spada, un sarago arrosto per almeno tre persone, quattro patatine fritte e quattro insalate di pomodori, il tutto accompagnato da vino locale fresco e frizzantino.
Attendemmo circa venti minuti mentre scolammo un paio di caraffe di vino ed un cestino di pane al formaggio.
I piatti arrivarono tutti insieme.
Avevamo fame, e in men che non si dica spazzolammo tutto.

L’oste ci portò una bottiglia di ouzo gelata. La mia testa era già leggera per la quantità di vino, Francesca e le ragazze invece decisero di fare una sorta di passatella a chi trangugiava più velocemente un bicchierino di quel liquore ad alta gradazione senza lacrimare né tossire. Se si tossiva, se ne doveva bere un altro.
Adriano, Filippo ed io ci rifiutammo. Francesca non voleva ma poi fu convinta anche lei.
Inutile dire che la bottiglia arrivata fortunatamente già smezzata, dopo un paio di giri era stata completamente vuotata.
Chiedemmo il caffè dimenticando che allora, l’unico caffè era quello alla turca, ma necessità fece virtù.
Pagammo una sciocchezza, l’equivalente di diecimila lire a testa d’allora, per del buon cibo in un posto bellissimo.
Ci alzammo barcollando e decidemmo di fermarci prima delle calette, direttamente in spiaggia.
Stendemmo i teli e ci mettemmo a riposare al sole. Dopo una mezz’ora eravamo quasi in coma, cotti dall’alcol e dal sole.

Non faceva troppo caldo, si era alzato il meltemio che iniziava a soffiare intensamente trasversalmente alla spiaggia. Per fortuna eravamo sottovento ad una sorta di duna che ci copriva dal vento fresco.
Le ragazze si erano tutte addormentate. Francesca si era appoggiata con la testa sulla mia pancia, senza reggiseno e con la mano sul mio uccello. Dede era a pancia in giù, anche lei senza reggiseno, a cosce larghe e con il pezzo di sotto del costume messo per sghembo che le scopriva parte della fica. Federica era a pancia in su a prendere il sole in topless mentre Patrizia, anche lei seminuda, si era fatta abbracciare dal suo Andrea che le stava dietro.
Eravamo cotti. Letteralmente. Dal vino, dall’ouzo e dal sole.
Arrivarono le quattro del pomeriggio.

Ci risvegliammo e prima uno e poi l’altro iniziammo ad andare in acqua per trovare refrigerio.
Dopo poco arrivarono un gruppo di ragazzi olandesi che si sistemarono accanto ai nostri asciugamano, si spogliarono nudi e si gettarono in acqua schiamazzando e giocando tra di loro ad una lotta simulata. Una coppia di loro iniziò però a fare sesso in acqua davanti a tutti. Lui era tatuato in gran parte del corpo con un pene di dimensioni enormi, lei aveva una lunga capigliatura rasta e i piercing ai capezzoli oltre ad essere totalmente depilata. Poi, anche gli altri si unirono a quella che sembrava essere un’orgia in tutto e per tutto.
Noi tutti, soprattutto le ragazze, tacemmo ed assistemmo stupiti osservando da un lato quella ragazza minutina in grado di far sparire dentro di sé un cazzo di quella portata, e poi commentando con i gesti il bordello che si era creato in pochi secondi.

Francesca era quasi atterrita osservando quel gigantesco cazzo, si strinse a me e mi sussurrò “Ma come fa? Non le fa male? È …enorme!”.
“A quanto pare no, E mi pare che le piaccia pure!” le risposi stringendola a me da dietro facendole sentire il turgore delle mie parti basse.
“Ma che ti eccita?” mi chiese un po’ seccata.
“È meglio di un porno, no?” le dissi, accentuando la pressione sul suo culo mentre le presi le tette tra le mani.
“Stai fermo, che ci vedono!” disse stizzita togliendo le mani dal seno.
Le spostai allora il costume di lato e le infilai al volo il mio pisello nella sua micia, nascosto dall’acqua che ci arrivava alla pancia. Francesca protestò un attimo poi iniziò a muoversi ritmicamente.
Ma furono solo pochi colpi prima che Francesca stizzita riguadagnasse il controllo e se lo sfilasse.
Si era accorta che sulla spiaggia c’erano due coppie che ci stavano osservando con malcelata curiosità.
“ECCO HAI VISTO?” urlò Francesca. “BELLA FIGURA DI MERDA!”
“E fattela una risata ogni tanto, Fra’!” le dissi mentre andavamo verso la spiaggia.

Quando arrivammo sulla spiaggia, la lei dell’altra coppia mi disse sorridendo “I’m quite sure she isn’t interested to swing with us, is it?”
I’m afraid she is not!” replicai nel mio migliore inglese e ci facemmo una risata. Era una rossa molto, molto carina per essere un inglese.
Iniziammo a conversare mentre ritornavamo verso riva.
Le chiesi da dove venissero. Mi rispose che erano irlandesi di Dublino, in vacanza in Grecia da un mese e che avevano fatto un bel giro delle Cicladi in barca.
“Oh, molto interessante! E che barca è?”
“Abbiamo un motorsailer di 40 piedi. Giusto due cabine ed una toilette. Un camper marino” rispose.
Arrivai sulla spiaggia, raggiunsi la mia fidanzata e feci le presentazioni.
My name is Paolo and she’s Francesca, my fianceè. We will marry next february.” e poi, verso Francesca “Amore, loro sono?” e chiesi i loro nomi “what’s your name?” domandai.
“Oh, io sono Rebecca, lui è John” indicando il suo ragazzo, un omone alto almeno 1.90 che faceva sembrare Rebecca ancora più minuta di quanto non fosse.
“L’altra coppia sono Caitlin” e indicò la ragazza con lunghe trecce bionde piena di lentiggini “e Sean”, il suo ragazzo anch’egli ipervitaminizzato, con capelli rosso carota ed un collo taurino largo quanto la testa.
Ci stringemmo le mani facendo le presentazioni reciproche. Francesca aveva fatto scuola interpreti e parlava un ottimo inglese, io me la cavavo a sufficienza per intrattenere una conversazione di carattere generale.

Presto fummo raggiunti dagli altri amici.
Iniziai il giro delle presentazioni introducendo le varie coppie. Li invitammo a sederci con noi scusandoci se non avevamo nulla da offrire. Sean si alzò e si recò ai loro asciugamani poco distanti prendendo quello che sembrava un contenitore refrigerato.
Lo aprì di fronte a noi ed iniziò a distribuire bottiglie di birra irlandese a tutti noi.
Era bella ghiacciata ed era impossibile rifiutare, troppo invitante.
Iniziammo a chiacchierare e chiedemmo loro come mai in quella spiaggia.
Ci spiegarono che erano appena approdati da un giro per le Cicladi e avevano necessità di fermarsi per qualche giorno in attesa di poter riparare una pompa di bordo che si era rotta e non scaricava fuori l’acqua dalla sentina ed il motore elettrico dell’elica intubata. Era più di un mese che giravano per l’Egeo e avevano visitato almeno una quindicina di isole diverse, ma che ora volevano fermarsi un po’ e divertirsi a terra.

Anche i nostri amici romani non se la cavavano male con l’inglese e gli irlandesi, per cultura ed abitudine, non sono schizzinosi come gli inglesi che fanno finta di non capire chi parla male la loro lingua, per cui la conversazione scorreva tutto sommato liscia e piacevole in un misto di italiano ed inglese.
Si erano fatte quasi le sei ed era giunto il momento di andare al punto di incontro con Ioannidis ed il suo collega tassista.
Sean e John a quel punto ci proposero di andare tutti a cena da loro per una bella festa in barca.
Ci guardammo l’un con l’altro ed accettammo. Le ragazze, sempre un passo avanti a noi, dissero: “Possiamo portare qualcosa da mangiare? Possiamo preparare noi la pasta?”
Oh! Great! It would be so nice!” intervenne John. “E’ la volta buona che mangiamo la pasta come si deve. We really love pasta, honey, isnt’it?” disse abbracciando Rebecca da dietro.
Ci facemmo dare il nome della barca e dove era ormeggiata e ci demmo appuntamento per le otto e mezza di sera.
“A proposito, ricordatevi che poi ci divertiamo!” ci disse Caitlin. Ci guardammo con uno sguardo interrogativo, della serie: “In che senso?”.

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Paolo, great as usual! Now, you can't miss the next appointment, what happened on the boat..
 
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Paolo, great as usual! Now, you can't miss the next appointment, what happened on the boat..
Aspetta, è in revisione...
Ma prima credo che esce un altro racconto in Massaggi erotici. Alcuni romani potranno forse riconoscere la persona... Ma non voglio spoilerare.
 
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Preparativi per la sera​

Arrivarono Ioannidis il tassista ed il suo collega che ci caricarono sui loro tassì e ci portarono a casa.
Strada facendo Francesca e Federica si fermarono al minimarket e comprarono un po’ di barattoli di pelati, della cipolla e dell’aglio oltre a basilico e peperoncino. Poi comprarono un paio di chili di pasta. Noi andammo invece a casa a fare la doccia e ad iniziare a prepararci.
Filippo e Andrea andarono a comprare del vino ed un paio di bottiglie di ouzo. A quanto pare, non erano sufficienti la sbronza a pranzo e quella a cena del giorno prima. Mi ripromisi che non avrei toccato alcol, quella sera.

Le due ragazze avevano occupato assieme il bagno per cui Adriano ed io decidemmo di lavarci in balcone. Ci spogliammo nudi e ci lavammo con il tubo dell’acqua per innaffiare fissato alla parete in qualche modo. Adriano sembrava decisamente mini dotato, un contrasto notevole rispetto alla sua stazza di un metro e ottanta per ottanta chili.
Ci lavammo di fretta e cercando di non farci vedere troppo dai vicini che abitavano le case circostanti.

Eravamo ancora nudi in balcone quando si affacciarono Patrizia e Dede, Patrizia era con una maglietta appena sotto il sedere, Dede invece aveva l’asciugamano avvolto attorno al corpo e stretto al seno, che però le scopriva gran parte delle cosce.
“Però potreste anche coprirvi!” ci disse Dede, senza distogliere però lo sguardo dal mio pacco, decisamente più in forma di quello del suo fidanzato.
“Amore, non è il caso che rientri, scusa?” la rimbrottò Adriano, con un tono seccato.
Le ragazze si scambiarono uno sguardo di intesa, fecero una risatina e poi rientrarono.
Sentii chiaramente Patrizia confessare a Dede “A Paolo gliel’ho visto già due o tre volte. È grosso!!!” e Dede che rispondeva “Si ma Adriano quando è duro è grosso anche lui… solo che da moscio sembra piccolo…”.
Chiacchere e confessioni tra ragazze.

Dopo un po’ tornarono Francesca e Federica con la spesa e, dopo poco, anche Filippo ed Andrea con le bottiglie.
Federica si fiondò in camera con Andrea. Sentimmo un bel po’ di movimento e, trascorsa una mezz’oretta, riapparirono trafelati.
“Avevamo sonno…” dissero, visibilmente rossi in viso.

Francesca invece approfittò per farsi la doccia e lavarsi i capelli poi, con il telo avvolto attorno al corpo, rientrò in camera, chiuse la porta e si denudò.
“Paolo, cosa mi metto stasera?”
Ne ero certo, ci stava pensando già dalla spiaggia.
Aprì l’armadio ed iniziò a scorrere i vari capi. Tirò fuori il vestitino del giorno prima, una tuta pantalone di cotone bianco, leggera e semi trasparente con degli inserti in tulle sul seno e sui fianchi ed un vestito lungo nero a canottiera con un lungo spacco sulla coscia.
“Io credo che il vestitino vada bene” le dissi, certo che l’avrebbe scartato.
“L’ho messo ieri, poi sembra che ho solo quello” rispose. Quod Erat Demonstrandum.
“Ok. Allora mettiti la tuta bianca” le dissi.
“Sono ancora troppo bianca per metterla!” esclamò.
Lo sapevo, avevo puntato il vestito nero dall’inizio, ma se le avessi detto subito quello, non l’avrebbe messo.
“Mi pare che allora non ci siano altre opzioni. Metti il vestito” dissi.
“Ma è scollata dietro, ho i segni del costume. A proposito, me lo metto il reggiseno?” chiese.
“Ma, ovvio che si, no?” ove l’obiettivo era esattamente il contrario.
“Ma si vedono i segni, non ti pare un po’ brutto?” Ovvio. Ovvio!
“Francè, fai un po’ come ti pare, allora!” sbottai.
“Ecco, mai che ti si possa chiedere qualcosa. Una ti chiede un consiglio, un parere e tu, nulla. Sei il solito!” rispose.
Che palle!!!!

Ad ogni modo, mi avvicinai a lei, la abbracciai da dietro e le diedi dei bacini sul collo e sul lobo dell’orecchio: sapevo che sarebbe impazzita, i capezzoli si sarebbero rizzati e le si sarebbero gonfiate le grandi labbra.
Feci quindi un rapido controllo: capezzoli ritti, grandi labbra gonfie, clitoride esposto.
Missione compiuta.
“Hai ragione amore, sarebbe brutto con il reggiseno sotto. Anzi, ti suggerisco di non mettere nemmeno le mutande, si vedrebbero troppo i segni. Metti il vestito così, senza niente” suggerii.
“Tanto sarà buio, chi vuoi che ti veda?”
“Ma si vede che non porto le mutande!” nicchiò.
“Ma dai, siamo in Grecia, chi vuoi che ci faccia caso?” cercai di convincerla.
Si infilò l’abito così, senza slip e senza reggiseno.
Poi si spostò verso la finestra cercando di specchiarvisi visto che in camera non c’era uno specchio.
“Non riesco a vedere nulla. Si vede che sono senza intimo?” chiese.
“No, non si vede nulla”. Se avessi avuto il naso di Pinocchio, sarebbe cresciuto di almeno un metro. In compenso il mio cazzo era bello gonfio…
“Perché ti sei eccitato?” mi chiese vedendomi in quello stato.
“Colpa tua, mi fai eccitare. Ora devi fare qualcosa!” le dissi.
Lei si inginocchiò, prese il mio cazzo in mano, gli si avvicinò e disse “Ora tu fai il bravo e ti prometto che più tardi ti farò divertire con la tua amichetta. Ora ti do un bacino e tu fai la ninna” gli parlò come a un ragazzino, quindi lo prese in bocca, leccò tutta la cappella, mi fece un po’ di su e giù e quindi si staccò, lasciandomi peggio di prima.
“Così impari!” mi disse facendomi un occhiolino.
Che stronza!!!

Pure io mi rivestii senza indossare l'intimo, e glielo feci notare.
"Giarda che si vede tutto!" disse.
"Bene, farò felici le altre!" risposi.
"STRONZO!"

Uscimmo dalla stanza ed andammo fuori in balcone dove c’erano già Patrizia e Andrea e Federica e Filippo.
Mi accorsi che la tenuta di Francesca non era passata inosservata per le rapide occhiate che si erano scambiate le ragazze. Loro peraltro non erano da meno. Patrizia indossava un vestito bianco leggero e molto scollato, visibilmente senza reggiseno. Federica invece portava una tuta pantalone molto larga, a fantasia di colori a strisce, di un tessuto leggerissimo, quasi organza, stretta sopra il seno da un elastico e con due fessure sui fianchi che arrivavano in alto fino all’elastico ed in basso fino alla cintura. Anche lei non indossava reggiseno.
“Dovremmo iniziare a muoverci. Ci vogliono una decina di minuti buoni ad andare a piedi e poi dobbiamo cucinare. Se andiamo di questo passo, ceniamo alle undici” dissi loro.
Patrizia ne convenne.
“E se intanto andassimo avanti noi tre con la pasta ed i pelati?” disse Federica rivolta a Francesca e Patrizia.
“È un’idea!” risposi annuendo. Anche Andrea e Filippo erano d’accordo.

“Io credo che se scendiamo alla cabina del telefono potremmo chiamare Ioannidis e farci venire a prendere. In fin dei conti dobbiamo portare anche le bottiglie di vino” dissi.
Scesi quindi alla cabina all’angolo e chiamai il numero del parcheggio di Ioannidis. Mi rispose un altro taxi al quale detti l’indirizzo e gli dissi dove doveva portare le ragazze.
Dopo cinque minuti il taxi arrivò e facemmo salire le ragazze con la spesa ed il vino
“Iniziate, ora arriviamo”
“Ma non so come si arriva al porto”
“Lo sa il tassista.”
“E la barca, come si chiama?”
“Lo sa il tassista.”
“Perché non vieni anche tu?” mi chiesero.
“Paolo, vai anche tu. Così possiamo prendere solo un altro taxi noi quattro” disse Andrea. Era un suggerimento di buon senso che accettai di buon grado.

Mi misi seduto accanto al guidatore e cercai di fare conversazione ma purtroppo parlava pochissimo l’inglese e non conosceva l’italiano. L’unica cosa che capimmo era che era un profugo libanese scappato in Grecia.
Arrivammo alla barca.
Francesca mi sussurrò all’orecchio “Cerca di starmi vicino. Anche il tassista si è accorto che sono senza mutande!”.
“Bene, vuol dire che stasera si farà una sega pensando a te!” risposi.
“PORCO!”.

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Paolo
 
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Pubblico due capitoli in fila, visto che il secondo è il seguito temporale del primo. Sono stati separati solo ai fini di individuare due diverse situazioni.
Buona lettura


La cena in barca​

La barca era un motorsailer in acciaio degli anni 70. Ormeggiata di poppa, aveva la passerella per salire a bordo piuttosto alta rispetto al pontile. Sullo specchio di poppa, c’era scritto il nome della barca, Áine, la dea irlandese dell’estate.

Hey people, requesting the permission to board!” urlai dal pontile.
Come on board, mate!” mi rispose la voce roboante di John.
“Dai, salite su. Avete bisogno di una mano?” ci chiese sporgendosi dalla battagliola.
“No, credo di no. Non so le ragazze” risposi. In effetti tutte e tre indossavano i tacchi: strano che nessuno avesse loro ricordato che a bordo si sta a piedi nudi, di solito. Comunque, né John né Sean obiettarono nulla quando le ragazze misero i piedi sul ponte, anzi, entrambi guardarono con ammirazione e malcelato interesse.

“E gli altri?” chiese Sean.
“Ora arrivano. Dede e Adriano erano un po’ in ritardo. Però ho portato il vino” dissi mostrando loro le bottiglie di vino e di ouzo che avevamo comprato nel tardo pomeriggio.
Dal boccaporto emerse la testa riccioluta di Caitlin.
Hey gals, I’m waiting for you! Come down and reach me in the galley!” disse, chiedendo alle ragazze di raggiungerle in cambusa.
Dopo qualche secondo uscì anche Rebecca, vestita con una gonnellina corta, una canottiera ed un grembiule da cucina.
“Voi ragazzi iniziate ad aprire il vino mentre noi cuciniamo!” disse.
Ci accomodammo nel quadrato a poppa, ove c’era un tavolo circondato da un po’ di sedie da regista ed un paio di divanetti.
Mentre preparavamo i beveraggi iniziammo a chiacchierare. Scoprimmo che Caitlin era la figlia del proprietario della barca, un piccolo imprenditore irlandese. Sean, il suo ragazzo, lavorava nell’impresa come impiegato da dopo il college e lì conobbe Caitlin. Ora era responsabile delle mostre e degli eventi in Irlanda.
John invece era invece da poco laureato in economia ed era uno sportivo, un velista con alle spalle la partecipazione a molti campionati di vela e, ovviamente, la patente nautica. Lavorava nell’azienda di famiglia da tempo ma si era preso un po’ di mesi di riposo sabbatico. Rebecca era la sua fidanzata fin dai tempi della scuola e lavorava anch’essa nell’azienda di John.
Dopo qualche minuto arrivarono Dede, anche lei stupenda con un abito di maglina lungo e molto attillato che ne evidenziava le forme (e le tette!), accompagnata dal suo Adriano e dagli altri amici. Anche Dede raggiunse subito le ragazze sotto coperta in cambusa.

Noi invece stappammo una delle bottiglie di vino bianco fresco del posto e facemmo il primo giro di brindisi, scambiandoci informazioni sulle nostre attività, lavoro, famiglie, studi, ecc.
Raggiungemmo poi le ragazze sotto coperta in cambusa, in realtà poco più di un angolo cottura, però c’era tutto: fornelli del gas a 4 fuochi, forno, frigo, ghiacciaia, insomma, tutto quanto si sarebbe trovato in un grosso camper.

Le ragazze erano tutte al lavoro, tutte con un grembiule. Chi preparava l’antipasto, chi stava cuocendo il sugo per la pasta (“Franci, amore, ricordati l’origano!”), chi tagliava a fette degli enormi pomodori locali che avevo già avuto il piacere di assaggiare in spiaggia la mattina.

“Ragazzi, salite su e portate a tavola l’antipasto e qualche bottiglia” disse Rebecca rivolta a noi.
Prendemmo un paio di vassoi e due bottiglie di bianco ghiacciato esattamente identiche a quelle che avevamo portato noi.
“Abbiamo scoperto anche noi questo vino locale, è molto buono ma deve essere mandato giù gelato!” disse John.
Dopo un po’ salirono le ragazze portando un altro vassoio di antipasti.

“L’acqua per la pasta è pronta. Visto che ci vogliono dodici minuti di cottura, iniziamo a mangiare qualcosa poi scendo in cucina a buttarla giù” disse Francesca che aveva preso il controllo delle operazioni di cottura della pasta. Era quasi maniaca e mi coinvolgeva sempre per controllare la giusta salatura e cottura.

Iniziammo a mangiare un antipasto a base di carpaccio di tonno e di pesce spada al limone, un po’ di insalata di mare e qualche alicetta marinata.
Il vino cominciava a scorrere a fiumi…
Francesca mi chiese di accompagnarla giù in cambusa, ma si unì a noi Rebecca “così mentre cuoce la pasta ne approfitto per andarmi a cambiare che così ho caldo”. In effetti indossava una sorta di felpa leggera, sicuramente utile per non sporcarsi ma probabilmente un po‘ troppo calda per stare davanti ai fornelli e poco elegante per una cena con le nostre ragazze. Si, perchè le donne amano mettersi in competizione. Se una si veste elegante e le altre hanno modo di cambiarsi, troveranno la scusa per allontanarsi ed andare a vestirsi differentemente. “Mi ero macchiata, avevo caldo, c’era un buchino, il colore attira le zanzare” ed altre balle del genere.

In effetti, riapparve dopo una decina di minuti giusto mentre Francesca stava per scolare la pasta. Indossava anche lei un abito di tessuto leggero color lilla allacciato al collo che le lasciava la schiena completamente nuda e che le fasciava i fianchi, arrivando poco sopra il ginocchio.
“Rebecca, per favore, prendi la pentola del sugo e versala dentro la ciotola” disse Francesca alla rossa, mentre scolava la pasta con il mio aiuto. Versai la pasta dentro la ciotola, Francesca aggiunse il sugo rimasto e poi un po’ d’olio d’oliva a crudo mentre Rebecca mescolava il tutto.

Mi dettero il compito di portare a tavola il piatto da portata mentre loro si toglievano i grembiuli.
Fummo accolti da un applauso innescato dai nostri ospiti. In effetti, nella sua semplicità quella conca piena di spaghetti fumanti così ricchi di sugo era uno spettacolo e stimolava l’appetito.

Lasciai a Francesca e Rebecca il compito di fare i piatti e mi misi a sedere accanto a Caitlin.
Mangiammo con voracità e di buon gusto tutta la pasta, non disdegnando di fare la scarpetta, imitati in questo anche dai nostri amici irlandesi, a digiuno di certe tradizioni forse poco diffuse nel bel mondo ma molto gradevoli e piacevoli.

La cena scorse leggera tra una chiacchera ed un brindisi, e svuotammo parecchie bottiglie.
Terminato di mangiare, le ragazze si alzarono per portare giù in cucina i piatti e per sparecchiare lasciando noi ragazzi a chiacchierare.

Sean da ottimo padrone di casa tirò fuori una delle bottiglie di ouzo che avevamo portato ed una bottiglia di whiskey irlandese.
Inutile dire che il suo liquore ebbe un successone mentre l’ouzo rimase lì in attesa che qualcuno lo aprisse. John invece fece girare una scatola di sigari cubani. Anche in questo caso, l’offerta fu apprezzata da tutti.

Arrivarono dopo un po’ le ragazze che si sedettero accanto a noi. Francesca si mise al mio fianco tirando le gambe sotto le cosce, mostrando peraltro il vistoso spacco che arrivava quasi alla vita. Non se ne fece una ragione e mi abbracciò stretto. Anche le altre si accoccolarono accanto ai propri partner.

Anche quella serata sembrava destinata a chiudersi per me e per gli altri con un alto tasso alcolemico, perchè le ragazze assaltarono la bottiglia di ouzo e la finirono in poco tempo.
Ma alto tasso alcolemico coniugato con ragazze e vacanza significa quasi sempre guai.
Guai piccoli, ma fastidiosi.

Iniziò Patrizia che era quella meno avvezza a bere e che sopportava meno di tutti l’alcol. Attanagliata dal mal di testa e dalla nausea, si sentì male e non fece in tempo a mettere la testa fuori bordo che dette fuori anche l’anima sporcando un po’ la murata e parte della coperta, ma soprattutto bagnò e sporcò tutto il suo vestito assieme ai pantaloni ed alla maglietta di Andrea che era andato in suo soccorso. Non contenta, subito dopo ebbe un attacco di risa isteriche da farsela letteralmente sotto. Dopodiché, in preda ad un attacco isterico, si sfilò il vestito rimanendo nuda. Si, nemmeno lei portava le mutande.

Andrea non si era accorto di nulla perché nel frattempo stava cercando di sfilarsi la polo tutta sporca cercando di non bagnarsi in viso, aiutato da Filippo e da Dede. Poi chiese la manichetta dell’acqua per sciacquarsi e per togliere i resti di vomito dalle gambe e dai pantaloni.
Nel frattempo Caitlin era scesa sotto coperta a prendere una felpa ed un paio di mutande per Patrizia oltre ad un telo per asciugarsi.

Noi “sobri” iniziammo cercammo invece di ripulire il macello della coperta e della murata.
Con una sorta di mocio ed un po’ di secchi d’acqua di mare ripulimmo dal vomito la zona imbrattata. Per fortuna, fu una cosa quasi agevole.
Più complicato da gestire fu il problema dei vestiti sporchi e bagnati.

Andrea era a torso nudo con la polo che era stata messa a bagno in un secchio d’acqua, ma i suoi pantaloni iniziavano a puzzare. Decise di toglierli, rimanendo anche lui in mutande che, essendo bianche, da bagnate erano totalmente trasparenti ed aderivano al suo “pacco”, e per questo fu oggetto di sguardi curiosi un po’ da tutte le ragazze presenti, compresa la mia Francesca che pizzicai a spizzare con lo sguardo lo spettacolo involontario.

Chiamammo dalla cabina telefonica antistante la barca un tassì per portarli a casa. Fu complicato convincere l’autista che i due non erano né esibizionisti né pervertiti, ma solo due che avevano bevuto troppo, ma alla fine con la promessa di 5.000 lire di mancia i due partirono.
Rimanemmo noi a chiacchierare cercando di smaltire l’eccesso di alcool.

Scoprimmo che Caitlin, pur vivendo a Dublino, era nata a Roma e vi era rimasta fino ai sei anni di età e che Sean, il suo fidanzato, non era irlandese ma americano di Boston e che aveva frequentato la John Cabot University a Roma prendendovi un Bachelor of Arts prima di andare a Dublino a trovare una vecchia zia. I due si incontrarono per caso, praticamente scontrandosi dietro un angolo e poi rincontrandosi dalla parte opposta della città. Quando si dice il destino.

Poi, purtroppo anche Federica si sentì male, ma fece in tempo ad andare a prua e buttare la testa fuori bordo senza sporcare nulla.
Filippo, cercando di tenerle la testa per aiutarla, sbattè con un piede su una galloccia e si fece male.
John, andando ad aiutarli, inciampò in una scotta che si era staccata dall’albero e urtò a sua volta la testa contro una sartia bassa. Mi alzai a mia volta per andare a vedere la situazione ma nel fare ciò feci cadere Francesca a cui si aprì del tutto la gonna mostrando ai presenti che non portava slip, e provocando la sua incazzatura nei miei confronti, ovviamente perché le avevo detto che non si vedeva nulla.
Insomma, in pochi minuti ci fu un’ecatombe.

John disse “So io come farvi passare la sbronza: vado a preparare una caraffa di caffè!” e scese in cambusa seguito al volo da Rebecca.

Sentimmo un po’ di strepiti venire da sotto, poi tutto tacque fino a che ci fu un po’ di rumore di cose che cadono e di cocci che si rompono.

Mi affacciai con circospezione al boccaporto cercando di capire cosa fosse successo e mi accorsi che Rebecca stava a pecorina con le mani appoggiate alla macchina del gas mentre John la trombava a ritmo sostenuto.

What’s up?” chiese Sean tornando da pruna con Caitlin
Uh, nothing, I suppose something broke down and Rebecca is collecting the pieces...” barai.
BIG PIECES!” aggiunse Francesca ridacchiando, visto che si era accorta anch’essa di quanto stava succedendo.
“I ...COME!” Rebecca urlò da sotto.
Do you need some help Reb?” chiese Caitlin.
Noooo… I said DON’T COME, it’s a plenty of broken glasses! I’m cleaning up the mess” rispose Rebecca ansimando.
“Vabbè… crediamoci” pensammo tutti.

Continuammo a chiacchierare un po’ ma eravamo un po ‘ a disagio.
Se ne accorsero Caitlin e Sean i quali cercarono di scusarsi per la figuraccia.
“Ma quale figuraccia? Ma beati loto che scopano!” aggiunse con voce impastata Federica. “A me da un po ‘ non capita più, HAI CAPITO FILIPPO?” proruppe nei confronti del suo ragazzo.
“Ma dai, lascialo in pace!” le rispose Francesca.
“E tu fatti i cazzi tuoi” ribattè Federica. “A te sta bene perché Paolo fa pure gli straordinari con te. E’ da Atene che state a scopare dalla mattina alla sera e dalla sera alla mattina!” concluse.
“C’è qualcuna che è invidiosa, qui?” si intromise Dede.
“Parla quella che si lamenta che il ragazzo ce l’ha piccolo!” rispose piccata l’altra.

Sean e Caitlin non riuscivano a seguire le battute, non conoscendo l’italiano.
Provai a tradurre ma poi, visto che si rischiava di esagerare, Adriano, Filippo ed io decidemmo di prendere le nostre ragazze per le mani e portarle via prima che scoppiase una lite ad alto contenuto alcolico!

We promised ourself to not drink anymore this night!” gli spiegai.
Someone did not comply to that promise, and this is the result!” aggiunsi.
Promesse da marinaio greco.

Alla fine ci salutammo e ci demmo appuntamento al mattino successivo giurando che sarebbe stato un giorno senz’alcool.
================================================================================

A casa, in terrazzo​

Francesca, Dede, Adriano ed io iniziammo a camminare verso la piazza mentre Filippo e Federica attendevano il tassì visto che Filippo zoppicava e Federica sbandava.
Convenimmo che avevamo proprio esagerato e che forse sarebbe stato meglio evitare l’alcool per qualche giorno.
Dede però ad un certo punto iniziò a lamentarsi che le scappava la pipì. Cercammo un ristorante aperto, un bar, un qualcosa con la toilette accessibile ma era tutto chiuso. Eravamo ancora vicini al lungoporto e proposi a Dede di tornare verso il mare per accucciarsi dietro uno dei gozzi da pesca tirati in secca.
Era l’unica cosa da fare e la mia proposta venne accettata.
Accompagnammo Dede verso la spiaggia e anche Francesca ne approfittò.
Dede si chinò, si alzò il vestito e si sfilò gli slip davanti a noi porgendoli ad Adriano “Tienimeli se no li bagno”. Poi disse a Francesca “Tu è inutile che te li togli, già li hai tolti!” provocando un’occhiataccia di Francesca nei miei riguardi.
Dopo aver visto la mia fidanzata barcollare e caracollare, decisi di accompagnarla.
Nonostante il suo evidente cattivo umore, mi dette la mano e poi mi affidò la sua borsa.
Poi, dietro il gozzo accanto a quello dove si era accomodata Dede, si accucciò e si liberò con una lunga ed intensa deiezione che si concluse con un “Ah” di liberatorio piacere. Quindi mi chiese un fazzolettino di carta che aveva in borsa per asciugarsi.
“Franci, hai un fazzoletto di carta per me?” chiese cantalenando Dede.
“Si, ora te lo passa Paolo” le rispose, porgendomi il pacchetto dei fazzoletti.
Mi appropinquai verso il gozzo e, dalla parte opposta a quella dietro cui si era accosciata, chiamai “Dede! Eccolo. Prendi!” tendendole il pacchetto aperto.
“Non ci arrivo, me li porti qui?”
“Per favore” aggiunse piagnucolando.
Feci il giro dall’altra parte e mi trovai Dede con il vestito tutto arrotolato fino alla vita, senza slip e con la patata quasi del tutto depilata in bella mostra.
“Che c’è? Non ne hai mai vista una? Ti piace la mia? Non è più bella di quella di Francesca?”
Era decisamente ed indecorosamente ubriaca.
Chiamai a gran voce Adriano intimandogli di raggiungermi subito.
In quel momento Francesca, finito di fare i suoi bisogni, ci raggiunse dall’altro lato e vide la scena.
Mi prese per mano e mi trascinò via “Hai chiamato Adriano? Bene, che sia lui a gestirla. Gliel’hai vista per bene? Gliela vuoi asciugare tu, magari?” sibilò con una voce così tagliente che mi si gelò il sangue. Per fortuna che era alticcia: se fosse stata sobria, probabilmente mi avrebbe ucciso lì sui due piedi ed avrebbe nascosto il mio cadavere sotto al gozzo.

“Adriano, noi ci incamminiamo” gli dissi non appena arrivò a sorreggere la sua ragazza.
Presi sotto braccio Francesca e tornammo lentamente verso casa.
Impiegammo circa venti minuti per arrivare a casa. Salimmo, aprimmo la porta e ci recammo direttamente in camera per finirci di spogliare e per andare in bagno.
“Vado a fumarmi una sigaretta in balcone” dissi a Francesca dopo essermi infilato un paio di pantaloncini molto larghi e comodi.
“Ti raggiungo quando ho finito” mi rispose seccamente.
Uscii passando dalla finestra e mi recai nella parte anteriore del balcone dove c’erano le sdraio, il tavolo da ping pong ed quella sorta di doccia fatta con il tubo per innaffiare.
Mi stesi sulla sedia sdraio con il portacenere accanto ed accesi la sigaretta. Solo allora mi accorsi che le finestre del salone erano spalancate e che Patrizia ed Andrea erano sul letto completamente nudi.
Mi alzai per spostarmi ed evitare di farmi vedere e di vedere e proprio in quel momento arrivò Francesca, praticamente nuda, con un pareo bianco trasparente indossato a pelle senza nulla sotto.
Al buio sembrava ancor più trasparente.
“Perché ti sei alzato? Dove vai” mi chiese?
Le indicai la finestra aperta ed il divano letto.
“Patrizia e Andrea dormono” le dissi.
“Mica tanto” rispose.
“In che senso?”
“Guarda” e mi indicò di nuovo la finestra. Ero di spalle e non avevo visto il movimento.
Mi girai e vidi Patrizia che si inchinava su Andrea e gli faceva un pompino.
“Vabbè, affari loro, no?” le dissi.
Per tutta risposta, mi calò i pantaloncini, si inginocchiò e mi iniziò a massaggiare la cappella con le mani mentre con la lingua mi leccò il frenulo.
“Tanto io sono più brava di lei” disse e iniziò a succhiare.
Tempo trenta secondi ed ero già in piena erezione, godendomi la sua bocca.
Ricambiai le attenzioni puntando al suo clitoride e massaggiandolo. Poi iniziai ad infilarle prima una e poi due dita nella sua vagina che aveva iniziato ad essere bagnata ed accogliente.
Francesca aumentò il ritmo aiutandosi con le mani.
“Ferma, non voglio venire ora!” sussurrai.
“Voglio sentirti in bocca” rispose.
“E io voglio mettertelo dentro!” la girai, la feci piegare a 90 gradi e la penetrai senza fatica per quanto era bagnata.
“Sii... dai... sbattimi!” disse mostrando tutto il suo piacere e la sua eccitazione.
Nonostante l’alcool e l’eccitazione, non volevo saperne di venire. Mi sentivo duro e lontano dall’orgasmo, e avevo voglia di scopare duro Francesca. Chissà, forse una forma di rivalsa per avermi trattato male prima. Sta di fatto che la fottei a lungo. Francesca aveva già avuto un orgasmo, avevo sentito bene le contrazioni della sua fica sul mio cazzo, ma avevo continuato a entrare ed uscire ora lentamente, ora freneticamente.
Poi le chiesi di mettersi sopra di me.
Mi stesi di nuovo sulla sdraio e la feci montare sul mio cazzo da dietro, spalle a me.
Francesca sussultò un momento, poi si distese ed iniziò lei a fare su e giù. Allungai le mani verso il suo clitoride ma lo trovai già occupato dalle sue. Mi dedicai allora a strizzarle i capezzoli quasi con cattiveria.
“Ahi, mi hai fatto male!” disse ad alta voce. Ed in quel momento sentimmo dei rumori.
“SII, DAI; ANCORA, VENGO!!!” sentimmo Patrizia urlare in salone. Ma il rumore che avevamo sentito non era quello.
Sentimmo due voci sussurrare indistintamente dei versi, poi dei mugolii accompagnati dal caratteristico rumore delle palle o di un pube che sbatte sulle chiappe di una donna.
Veniva da lì, praticamente dietro a noi. Francesca girò la testa e li vide.
Erano Dede e Adriano. Dede era a pecorina e si masturbava mentre Adriano la montava da dietro.
Credevo che Francesca avrebbe cacciato un urlo, si sarebbe levata di scatto e scappata via coprendosi alla bell’e meglio, e invece si sollevò e mi disse con voce abbastanza chiara, in modo da farsi sentire: “Voglio che me lo metti nel culo. Ora!”.
Rimasi basito. Avevamo provato più volte a fare sesso anale, una volta c’eravamo quasi riusciti ma Francesca dopo qualche pompata si era serrata dolorosamente per lei e per me, e non ci avevamo più riprovato da allora.
“Amore, sei sicura?” le chiesi.
“Si, lo voglio. Ma se a te non va…” mi rispose con tono sarcastico, della serie “Se non ti va, magari va a qualcun altro!”.
Bagnai la mano con la saliva e inumidii la cappella. Francesca se ne accorse e disse “Ci penso io”. Lo prese e lo infilò in bocca, lo bagnò per bene e poi ci sputò un po’ di saliva. Quindi si mise a pecorina, prese il mio cazzo e lo guidò verso il buco mentre le allargavo con le mani le chiappe.
“Fai piano, per favore” mi chiese.
“Ma non volevi farlo tuo?” le chiesi mentre appoggiavo la cappella sul suo sfintere ancora chiuso.
“Si, ma lui ancora non l’ha capito” rivolto al suo buchetto.
“Aspetta amore, che ti aiuto” le sussurrai.
Mi avvicinai con la lingua e le leccai il buco, poi iniziai a massaggiarla lentamente con un dito che introdussi piano piano fino alla seconda falange. Francesca trasalì un momento, poi si dimenò un poco cercando di accoglierlo al meglio. Lo tirai fuori e provai a divaricare meglio il buco inserendovi due dita. Era ancora un po’ duro, ma dopo qualche movimento circolare e qualche su e giù Francesca si rilassò. Presi la cappella, un altro sputacchio sul buco e piano piano lo appoggiai. Francesca a quel punto tolse la mia mano, lo prese con la sua, lo indirizzò per bene e ZAC!, lo infilò.
Sentii io dolore per lei. In effetti sussultò e si bloccò. I muscoli del suo sfintere mi stavano stritolando la cappella.
“Ahi, mi fai male, esco!” dissi.
“NO! Rimani dentro, ti prego, adesso passa” mi disse con la voce rotta dal dolore.
Rimasi fermo per qualche secondo ed in effetti sentii la morsa venire meno un po’ alla volta.
“Ora entra di più, ma PIANO!” mi disse.
Provai ad applicare una pressione continua ed in effetti lo sfintere e le pareti si allargarono un po’ alla volta. Sentivo tutte le sue rugosità interne, sensazioni molto diverse da quelle a cui ero abituato con lei.
Lentamente entrai fino per sei o sette centimetri, poi mi fermai, tornai indietro e mi fermai. Poi di nuovo dentro per un pezzetto in più, e poi ancora fuori. Francesca nel frattempo si rilassava e si scaldava. Si girò alla sua destra e vide Dede che stava guardandoci, anche lei presa a pecorina. In quel momento Francesca disse “Ora dagli dentro, fammelo sentire tutto nel culo” a voce sufficientemente alta da farsi sentire dai due vicino a noi, ma credo anche da Patrizia e Andrea.
Io non potevo vedere quel che stava succedendo, ero di spalle e la visione laterale era ostruita dalla pianta dietro cui c’era la doccia di fortuna, però sentii dei mugolii e capii che Andrea ci stava dando dentro.
La cosa mi fece arrapare ancora di più. Iniziai a pompare dentro il culo di Francesca con foga. La mia fidanzata, dopo un iniziale momento di fastidio, iniziò a godere e ad accompagnare i miei movimenti spingendo il culo indietro nel momento in cui la penetravo. Ero arrivato a fine corsa in tutti i sensi, il cazzo era dentro fino alla base, ed ero molto vicino alla conclusione.
“France’, sto per venire!” le dissi spingendo forte.
“Voglio sentirti!” rispose. “Dai, sfondami e sborrami dentro!”
MA CHE CAZZO S’ERA BEVUTA?
Non si era mai, ribadisco, mai comportata così. Mai, in due anni che stavamo assieme, aveva detto nulla, nemmeno all’apice dell’orgasmo e dell’eccitazione.
Comunque, quella frase ebbe il suo effetto. Iniziai ad accelerare il ritmo e a sbatterla duramente con le palle che rimbalzavano sulla sua fica. Portai una mano alla vagina per stimolarla e sentii che era completamente bagnata.
“Sii, dai… vengo anch’io... dai…”
Le inflissi gli ultimi colpi cercando quasi di arrivarle in gola da dietro e poi proruppi in una sborrata così lunga ed intensa che sembrava che non finisse mai. Anzi, mi sembrava di averla riempita perché sentii scendere del liquido caldo lungo le mie cosce e per le gambe.
“DAI, NON FERMARTI TI PREGO!” mi supplicò.
Detti gli ultimi colpi e allungai la mano di nuovo cercando di entrare nella sua fica con due dita quando sentii un’esplosione di liquido, uno schizzo intenso che rimbalzò per terra per quanto era forte.
Francesca fu squassata dall’orgasmo e iniziò a tremare talmente forte da non riuscire a stare in piedi.
Uscii dal suo culo grondante e la presi al volo per poggiarla delicatamente a terra, seduta in mezzo alla pozza del suo squirt. Non era una novità, era venuta più volte in quel modo, ma non pensavo che avrebbe goduto col culo in quella maniera.
Subito dopo toccò ai nostri amici accanto a noi. Anche Dede strillò dal piacere mentre Adriano quasi la sollevava da terra ad ogni colpo. Lei venne più volte, senza bagnare per terra, chiedendo al suo ragazzo di fermarsi ma Adriano non ne volle sapere e continuò fino a che non ebbe anche lui l’orgasmo.
La cosa strana fu che Francesca ed io guardammo lo spettacolo come se fosse una cosa normale, ed al termine ci venne spontaneo dire “Siete venuti anche voi…Bella scopata, vero?”
Proprio in quel momento si accese una luce in salone: erano Federica e Filippo, anche loro seminudi e coperti con i soli teli da doccia che, sentendo il casino, erano venuti a vedere di cosa si trattasse.
E rimasero sorpresi a vedere che eravamo tutti nudi, affaticati, sfranti, sudati ed appiccicaticci ma decisamente soddisfatti.
“Qualcuno ha scopato di brutto, stasera, eh?” disse Filippo.
“Loro si, noi no!” rispose Federica, generando una risata generale.
Devo dire che Francesca quella sera mi stupì. Fino ad allora non si era mai manifestata una tigre del materasso, tutt’altro. Si vede che la competizione le faceva bene…
Ma quella vacanza aveva altre sorprese da svelarmi.

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Pubblico due capitoli in fila, visto che il secondo è il seguito temporale del primo. Sono stati separati solo ai fini di individuare due diverse situazioni.
Buona lettura


La cena in barca​

La barca era un motorsailer in acciaio degli anni 70. Ormeggiata di poppa, aveva la passerella per salire a bordo piuttosto alta rispetto al pontile. Sullo specchio di poppa, c’era scritto il nome della barca, Áine, la dea irlandese dell’estate.

Hey people, requesting the permission to board!” urlai dal pontile.
Come on board, mate!” mi rispose la voce roboante di John.
“Dai, salite su. Avete bisogno di una mano?” ci chiese sporgendosi dalla battagliola.
“No, credo di no. Non so le ragazze” risposi. In effetti tutte e tre indossavano i tacchi: strano che nessuno avesse loro ricordato che a bordo si sta a piedi nudi, di solito. Comunque, né John né Sean obiettarono nulla quando le ragazze misero i piedi sul ponte, anzi, entrambi guardarono con ammirazione e malcelato interesse.

“E gli altri?” chiese Sean.
“Ora arrivano. Dede e Adriano erano un po’ in ritardo. Però ho portato il vino” dissi mostrando loro le bottiglie di vino e di ouzo che avevamo comprato nel tardo pomeriggio.
Dal boccaporto emerse la testa riccioluta di Caitlin.
Hey gals, I’m waiting for you! Come down and reach me in the galley!” disse, chiedendo alle ragazze di raggiungerle in cambusa.
Dopo qualche secondo uscì anche Rebecca, vestita con una gonnellina corta, una canottiera ed un grembiule da cucina.
“Voi ragazzi iniziate ad aprire il vino mentre noi cuciniamo!” disse.
Ci accomodammo nel quadrato a poppa, ove c’era un tavolo circondato da un po’ di sedie da regista ed un paio di divanetti.
Mentre preparavamo i beveraggi iniziammo a chiacchierare. Scoprimmo che Caitlin era la figlia del proprietario della barca, un piccolo imprenditore irlandese. Sean, il suo ragazzo, lavorava nell’impresa come impiegato da dopo il college e lì conobbe Caitlin. Ora era responsabile delle mostre e degli eventi in Irlanda.
John invece era invece da poco laureato in economia ed era uno sportivo, un velista con alle spalle la partecipazione a molti campionati di vela e, ovviamente, la patente nautica. Lavorava nell’azienda di famiglia da tempo ma si era preso un po’ di mesi di riposo sabbatico. Rebecca era la sua fidanzata fin dai tempi della scuola e lavorava anch’essa nell’azienda di John.
Dopo qualche minuto arrivarono Dede, anche lei stupenda con un abito di maglina lungo e molto attillato che ne evidenziava le forme (e le tette!), accompagnata dal suo Adriano e dagli altri amici. Anche Dede raggiunse subito le ragazze sotto coperta in cambusa.

Noi invece stappammo una delle bottiglie di vino bianco fresco del posto e facemmo il primo giro di brindisi, scambiandoci informazioni sulle nostre attività, lavoro, famiglie, studi, ecc.
Raggiungemmo poi le ragazze sotto coperta in cambusa, in realtà poco più di un angolo cottura, però c’era tutto: fornelli del gas a 4 fuochi, forno, frigo, ghiacciaia, insomma, tutto quanto si sarebbe trovato in un grosso camper.

Le ragazze erano tutte al lavoro, tutte con un grembiule. Chi preparava l’antipasto, chi stava cuocendo il sugo per la pasta (“Franci, amore, ricordati l’origano!”), chi tagliava a fette degli enormi pomodori locali che avevo già avuto il piacere di assaggiare in spiaggia la mattina.

“Ragazzi, salite su e portate a tavola l’antipasto e qualche bottiglia” disse Rebecca rivolta a noi.
Prendemmo un paio di vassoi e due bottiglie di bianco ghiacciato esattamente identiche a quelle che avevamo portato noi.
“Abbiamo scoperto anche noi questo vino locale, è molto buono ma deve essere mandato giù gelato!” disse John.
Dopo un po’ salirono le ragazze portando un altro vassoio di antipasti.

“L’acqua per la pasta è pronta. Visto che ci vogliono dodici minuti di cottura, iniziamo a mangiare qualcosa poi scendo in cucina a buttarla giù” disse Francesca che aveva preso il controllo delle operazioni di cottura della pasta. Era quasi maniaca e mi coinvolgeva sempre per controllare la giusta salatura e cottura.

Iniziammo a mangiare un antipasto a base di carpaccio di tonno e di pesce spada al limone, un po’ di insalata di mare e qualche alicetta marinata.
Il vino cominciava a scorrere a fiumi…
Francesca mi chiese di accompagnarla giù in cambusa, ma si unì a noi Rebecca “così mentre cuoce la pasta ne approfitto per andarmi a cambiare che così ho caldo”. In effetti indossava una sorta di felpa leggera, sicuramente utile per non sporcarsi ma probabilmente un po‘ troppo calda per stare davanti ai fornelli e poco elegante per una cena con le nostre ragazze. Si, perchè le donne amano mettersi in competizione. Se una si veste elegante e le altre hanno modo di cambiarsi, troveranno la scusa per allontanarsi ed andare a vestirsi differentemente. “Mi ero macchiata, avevo caldo, c’era un buchino, il colore attira le zanzare” ed altre balle del genere.

In effetti, riapparve dopo una decina di minuti giusto mentre Francesca stava per scolare la pasta. Indossava anche lei un abito di tessuto leggero color lilla allacciato al collo che le lasciava la schiena completamente nuda e che le fasciava i fianchi, arrivando poco sopra il ginocchio.
“Rebecca, per favore, prendi la pentola del sugo e versala dentro la ciotola” disse Francesca alla rossa, mentre scolava la pasta con il mio aiuto. Versai la pasta dentro la ciotola, Francesca aggiunse il sugo rimasto e poi un po’ d’olio d’oliva a crudo mentre Rebecca mescolava il tutto.

Mi dettero il compito di portare a tavola il piatto da portata mentre loro si toglievano i grembiuli.
Fummo accolti da un applauso innescato dai nostri ospiti. In effetti, nella sua semplicità quella conca piena di spaghetti fumanti così ricchi di sugo era uno spettacolo e stimolava l’appetito.

Lasciai a Francesca e Rebecca il compito di fare i piatti e mi misi a sedere accanto a Caitlin.
Mangiammo con voracità e di buon gusto tutta la pasta, non disdegnando di fare la scarpetta, imitati in questo anche dai nostri amici irlandesi, a digiuno di certe tradizioni forse poco diffuse nel bel mondo ma molto gradevoli e piacevoli.

La cena scorse leggera tra una chiacchera ed un brindisi, e svuotammo parecchie bottiglie.
Terminato di mangiare, le ragazze si alzarono per portare giù in cucina i piatti e per sparecchiare lasciando noi ragazzi a chiacchierare.

Sean da ottimo padrone di casa tirò fuori una delle bottiglie di ouzo che avevamo portato ed una bottiglia di whiskey irlandese.
Inutile dire che il suo liquore ebbe un successone mentre l’ouzo rimase lì in attesa che qualcuno lo aprisse. John invece fece girare una scatola di sigari cubani. Anche in questo caso, l’offerta fu apprezzata da tutti.

Arrivarono dopo un po’ le ragazze che si sedettero accanto a noi. Francesca si mise al mio fianco tirando le gambe sotto le cosce, mostrando peraltro il vistoso spacco che arrivava quasi alla vita. Non se ne fece una ragione e mi abbracciò stretto. Anche le altre si accoccolarono accanto ai propri partner.

Anche quella serata sembrava destinata a chiudersi per me e per gli altri con un alto tasso alcolemico, perchè le ragazze assaltarono la bottiglia di ouzo e la finirono in poco tempo.
Ma alto tasso alcolemico coniugato con ragazze e vacanza significa quasi sempre guai.
Guai piccoli, ma fastidiosi.

Iniziò Patrizia che era quella meno avvezza a bere e che sopportava meno di tutti l’alcol. Attanagliata dal mal di testa e dalla nausea, si sentì male e non fece in tempo a mettere la testa fuori bordo che dette fuori anche l’anima sporcando un po’ la murata e parte della coperta, ma soprattutto bagnò e sporcò tutto il suo vestito assieme ai pantaloni ed alla maglietta di Andrea che era andato in suo soccorso. Non contenta, subito dopo ebbe un attacco di risa isteriche da farsela letteralmente sotto. Dopodiché, in preda ad un attacco isterico, si sfilò il vestito rimanendo nuda. Si, nemmeno lei portava le mutande.

Andrea non si era accorto di nulla perché nel frattempo stava cercando di sfilarsi la polo tutta sporca cercando di non bagnarsi in viso, aiutato da Filippo e da Dede. Poi chiese la manichetta dell’acqua per sciacquarsi e per togliere i resti di vomito dalle gambe e dai pantaloni.
Nel frattempo Caitlin era scesa sotto coperta a prendere una felpa ed un paio di mutande per Patrizia oltre ad un telo per asciugarsi.

Noi “sobri” iniziammo cercammo invece di ripulire il macello della coperta e della murata.
Con una sorta di mocio ed un po’ di secchi d’acqua di mare ripulimmo dal vomito la zona imbrattata. Per fortuna, fu una cosa quasi agevole.
Più complicato da gestire fu il problema dei vestiti sporchi e bagnati.

Andrea era a torso nudo con la polo che era stata messa a bagno in un secchio d’acqua, ma i suoi pantaloni iniziavano a puzzare. Decise di toglierli, rimanendo anche lui in mutande che, essendo bianche, da bagnate erano totalmente trasparenti ed aderivano al suo “pacco”, e per questo fu oggetto di sguardi curiosi un po’ da tutte le ragazze presenti, compresa la mia Francesca che pizzicai a spizzare con lo sguardo lo spettacolo involontario.

Chiamammo dalla cabina telefonica antistante la barca un tassì per portarli a casa. Fu complicato convincere l’autista che i due non erano né esibizionisti né pervertiti, ma solo due che avevano bevuto troppo, ma alla fine con la promessa di 5.000 lire di mancia i due partirono.
Rimanemmo noi a chiacchierare cercando di smaltire l’eccesso di alcool.

Scoprimmo che Caitlin, pur vivendo a Dublino, era nata a Roma e vi era rimasta fino ai sei anni di età e che Sean, il suo fidanzato, non era irlandese ma americano di Boston e che aveva frequentato la John Cabot University a Roma prendendovi un Bachelor of Arts prima di andare a Dublino a trovare una vecchia zia. I due si incontrarono per caso, praticamente scontrandosi dietro un angolo e poi rincontrandosi dalla parte opposta della città. Quando si dice il destino.

Poi, purtroppo anche Federica si sentì male, ma fece in tempo ad andare a prua e buttare la testa fuori bordo senza sporcare nulla.
Filippo, cercando di tenerle la testa per aiutarla, sbattè con un piede su una galloccia e si fece male.
John, andando ad aiutarli, inciampò in una scotta che si era staccata dall’albero e urtò a sua volta la testa contro una sartia bassa. Mi alzai a mia volta per andare a vedere la situazione ma nel fare ciò feci cadere Francesca a cui si aprì del tutto la gonna mostrando ai presenti che non portava slip, e provocando la sua incazzatura nei miei confronti, ovviamente perché le avevo detto che non si vedeva nulla.
Insomma, in pochi minuti ci fu un’ecatombe.

John disse “So io come farvi passare la sbronza: vado a preparare una caraffa di caffè!” e scese in cambusa seguito al volo da Rebecca.

Sentimmo un po’ di strepiti venire da sotto, poi tutto tacque fino a che ci fu un po’ di rumore di cose che cadono e di cocci che si rompono.

Mi affacciai con circospezione al boccaporto cercando di capire cosa fosse successo e mi accorsi che Rebecca stava a pecorina con le mani appoggiate alla macchina del gas mentre John la trombava a ritmo sostenuto.

What’s up?” chiese Sean tornando da pruna con Caitlin
Uh, nothing, I suppose something broke down and Rebecca is collecting the pieces...” barai.
BIG PIECES!” aggiunse Francesca ridacchiando, visto che si era accorta anch’essa di quanto stava succedendo.
“I ...COME!” Rebecca urlò da sotto.
Do you need some help Reb?” chiese Caitlin.
Noooo… I said DON’T COME, it’s a plenty of broken glasses! I’m cleaning up the mess” rispose Rebecca ansimando.
“Vabbè… crediamoci” pensammo tutti.

Continuammo a chiacchierare un po’ ma eravamo un po ‘ a disagio.
Se ne accorsero Caitlin e Sean i quali cercarono di scusarsi per la figuraccia.
“Ma quale figuraccia? Ma beati loto che scopano!” aggiunse con voce impastata Federica. “A me da un po ‘ non capita più, HAI CAPITO FILIPPO?” proruppe nei confronti del suo ragazzo.
“Ma dai, lascialo in pace!” le rispose Francesca.
“E tu fatti i cazzi tuoi” ribattè Federica. “A te sta bene perché Paolo fa pure gli straordinari con te. E’ da Atene che state a scopare dalla mattina alla sera e dalla sera alla mattina!” concluse.
“C’è qualcuna che è invidiosa, qui?” si intromise Dede.
“Parla quella che si lamenta che il ragazzo ce l’ha piccolo!” rispose piccata l’altra.

Sean e Caitlin non riuscivano a seguire le battute, non conoscendo l’italiano.
Provai a tradurre ma poi, visto che si rischiava di esagerare, Adriano, Filippo ed io decidemmo di prendere le nostre ragazze per le mani e portarle via prima che scoppiase una lite ad alto contenuto alcolico!

We promised ourself to not drink anymore this night!” gli spiegai.
Someone did not comply to that promise, and this is the result!” aggiunsi.
Promesse da marinaio greco.

Alla fine ci salutammo e ci demmo appuntamento al mattino successivo giurando che sarebbe stato un giorno senz’alcool.
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A casa, in terrazzo​

Francesca, Dede, Adriano ed io iniziammo a camminare verso la piazza mentre Filippo e Federica attendevano il tassì visto che Filippo zoppicava e Federica sbandava.
Convenimmo che avevamo proprio esagerato e che forse sarebbe stato meglio evitare l’alcool per qualche giorno.
Dede però ad un certo punto iniziò a lamentarsi che le scappava la pipì. Cercammo un ristorante aperto, un bar, un qualcosa con la toilette accessibile ma era tutto chiuso. Eravamo ancora vicini al lungoporto e proposi a Dede di tornare verso il mare per accucciarsi dietro uno dei gozzi da pesca tirati in secca.
Era l’unica cosa da fare e la mia proposta venne accettata.
Accompagnammo Dede verso la spiaggia e anche Francesca ne approfittò.
Dede si chinò, si alzò il vestito e si sfilò gli slip davanti a noi porgendoli ad Adriano “Tienimeli se no li bagno”. Poi disse a Francesca “Tu è inutile che te li togli, già li hai tolti!” provocando un’occhiataccia di Francesca nei miei riguardi.
Dopo aver visto la mia fidanzata barcollare e caracollare, decisi di accompagnarla.
Nonostante il suo evidente cattivo umore, mi dette la mano e poi mi affidò la sua borsa.
Poi, dietro il gozzo accanto a quello dove si era accomodata Dede, si accucciò e si liberò con una lunga ed intensa deiezione che si concluse con un “Ah” di liberatorio piacere. Quindi mi chiese un fazzolettino di carta che aveva in borsa per asciugarsi.
“Franci, hai un fazzoletto di carta per me?” chiese cantalenando Dede.
“Si, ora te lo passa Paolo” le rispose, porgendomi il pacchetto dei fazzoletti.
Mi appropinquai verso il gozzo e, dalla parte opposta a quella dietro cui si era accosciata, chiamai “Dede! Eccolo. Prendi!” tendendole il pacchetto aperto.
“Non ci arrivo, me li porti qui?”
“Per favore” aggiunse piagnucolando.
Feci il giro dall’altra parte e mi trovai Dede con il vestito tutto arrotolato fino alla vita, senza slip e con la patata quasi del tutto depilata in bella mostra.
“Che c’è? Non ne hai mai vista una? Ti piace la mia? Non è più bella di quella di Francesca?”
Era decisamente ed indecorosamente ubriaca.
Chiamai a gran voce Adriano intimandogli di raggiungermi subito.
In quel momento Francesca, finito di fare i suoi bisogni, ci raggiunse dall’altro lato e vide la scena.
Mi prese per mano e mi trascinò via “Hai chiamato Adriano? Bene, che sia lui a gestirla. Gliel’hai vista per bene? Gliela vuoi asciugare tu, magari?” sibilò con una voce così tagliente che mi si gelò il sangue. Per fortuna che era alticcia: se fosse stata sobria, probabilmente mi avrebbe ucciso lì sui due piedi ed avrebbe nascosto il mio cadavere sotto al gozzo.

“Adriano, noi ci incamminiamo” gli dissi non appena arrivò a sorreggere la sua ragazza.
Presi sotto braccio Francesca e tornammo lentamente verso casa.
Impiegammo circa venti minuti per arrivare a casa. Salimmo, aprimmo la porta e ci recammo direttamente in camera per finirci di spogliare e per andare in bagno.
“Vado a fumarmi una sigaretta in balcone” dissi a Francesca dopo essermi infilato un paio di pantaloncini molto larghi e comodi.
“Ti raggiungo quando ho finito” mi rispose seccamente.
Uscii passando dalla finestra e mi recai nella parte anteriore del balcone dove c’erano le sdraio, il tavolo da ping pong ed quella sorta di doccia fatta con il tubo per innaffiare.
Mi stesi sulla sedia sdraio con il portacenere accanto ed accesi la sigaretta. Solo allora mi accorsi che le finestre del salone erano spalancate e che Patrizia ed Andrea erano sul letto completamente nudi.
Mi alzai per spostarmi ed evitare di farmi vedere e di vedere e proprio in quel momento arrivò Francesca, praticamente nuda, con un pareo bianco trasparente indossato a pelle senza nulla sotto.
Al buio sembrava ancor più trasparente.
“Perché ti sei alzato? Dove vai” mi chiese?
Le indicai la finestra aperta ed il divano letto.
“Patrizia e Andrea dormono” le dissi.
“Mica tanto” rispose.
“In che senso?”
“Guarda” e mi indicò di nuovo la finestra. Ero di spalle e non avevo visto il movimento.
Mi girai e vidi Patrizia che si inchinava su Andrea e gli faceva un pompino.
“Vabbè, affari loro, no?” le dissi.
Per tutta risposta, mi calò i pantaloncini, si inginocchiò e mi iniziò a massaggiare la cappella con le mani mentre con la lingua mi leccò il frenulo.
“Tanto io sono più brava di lei” disse e iniziò a succhiare.
Tempo trenta secondi ed ero già in piena erezione, godendomi la sua bocca.
Ricambiai le attenzioni puntando al suo clitoride e massaggiandolo. Poi iniziai ad infilarle prima una e poi due dita nella sua vagina che aveva iniziato ad essere bagnata ed accogliente.
Francesca aumentò il ritmo aiutandosi con le mani.
“Ferma, non voglio venire ora!” sussurrai.
“Voglio sentirti in bocca” rispose.
“E io voglio mettertelo dentro!” la girai, la feci piegare a 90 gradi e la penetrai senza fatica per quanto era bagnata.
“Sii... dai... sbattimi!” disse mostrando tutto il suo piacere e la sua eccitazione.
Nonostante l’alcool e l’eccitazione, non volevo saperne di venire. Mi sentivo duro e lontano dall’orgasmo, e avevo voglia di scopare duro Francesca. Chissà, forse una forma di rivalsa per avermi trattato male prima. Sta di fatto che la fottei a lungo. Francesca aveva già avuto un orgasmo, avevo sentito bene le contrazioni della sua fica sul mio cazzo, ma avevo continuato a entrare ed uscire ora lentamente, ora freneticamente.
Poi le chiesi di mettersi sopra di me.
Mi stesi di nuovo sulla sdraio e la feci montare sul mio cazzo da dietro, spalle a me.
Francesca sussultò un momento, poi si distese ed iniziò lei a fare su e giù. Allungai le mani verso il suo clitoride ma lo trovai già occupato dalle sue. Mi dedicai allora a strizzarle i capezzoli quasi con cattiveria.
“Ahi, mi hai fatto male!” disse ad alta voce. Ed in quel momento sentimmo dei rumori.
“SII, DAI; ANCORA, VENGO!!!” sentimmo Patrizia urlare in salone. Ma il rumore che avevamo sentito non era quello.
Sentimmo due voci sussurrare indistintamente dei versi, poi dei mugolii accompagnati dal caratteristico rumore delle palle o di un pube che sbatte sulle chiappe di una donna.
Veniva da lì, praticamente dietro a noi. Francesca girò la testa e li vide.
Erano Dede e Adriano. Dede era a pecorina e si masturbava mentre Adriano la montava da dietro.
Credevo che Francesca avrebbe cacciato un urlo, si sarebbe levata di scatto e scappata via coprendosi alla bell’e meglio, e invece si sollevò e mi disse con voce abbastanza chiara, in modo da farsi sentire: “Voglio che me lo metti nel culo. Ora!”.
Rimasi basito. Avevamo provato più volte a fare sesso anale, una volta c’eravamo quasi riusciti ma Francesca dopo qualche pompata si era serrata dolorosamente per lei e per me, e non ci avevamo più riprovato da allora.
“Amore, sei sicura?” le chiesi.
“Si, lo voglio. Ma se a te non va…” mi rispose con tono sarcastico, della serie “Se non ti va, magari va a qualcun altro!”.
Bagnai la mano con la saliva e inumidii la cappella. Francesca se ne accorse e disse “Ci penso io”. Lo prese e lo infilò in bocca, lo bagnò per bene e poi ci sputò un po’ di saliva. Quindi si mise a pecorina, prese il mio cazzo e lo guidò verso il buco mentre le allargavo con le mani le chiappe.
“Fai piano, per favore” mi chiese.
“Ma non volevi farlo tuo?” le chiesi mentre appoggiavo la cappella sul suo sfintere ancora chiuso.
“Si, ma lui ancora non l’ha capito” rivolto al suo buchetto.
“Aspetta amore, che ti aiuto” le sussurrai.
Mi avvicinai con la lingua e le leccai il buco, poi iniziai a massaggiarla lentamente con un dito che introdussi piano piano fino alla seconda falange. Francesca trasalì un momento, poi si dimenò un poco cercando di accoglierlo al meglio. Lo tirai fuori e provai a divaricare meglio il buco inserendovi due dita. Era ancora un po’ duro, ma dopo qualche movimento circolare e qualche su e giù Francesca si rilassò. Presi la cappella, un altro sputacchio sul buco e piano piano lo appoggiai. Francesca a quel punto tolse la mia mano, lo prese con la sua, lo indirizzò per bene e ZAC!, lo infilò.
Sentii io dolore per lei. In effetti sussultò e si bloccò. I muscoli del suo sfintere mi stavano stritolando la cappella.
“Ahi, mi fai male, esco!” dissi.
“NO! Rimani dentro, ti prego, adesso passa” mi disse con la voce rotta dal dolore.
Rimasi fermo per qualche secondo ed in effetti sentii la morsa venire meno un po’ alla volta.
“Ora entra di più, ma PIANO!” mi disse.
Provai ad applicare una pressione continua ed in effetti lo sfintere e le pareti si allargarono un po’ alla volta. Sentivo tutte le sue rugosità interne, sensazioni molto diverse da quelle a cui ero abituato con lei.
Lentamente entrai fino per sei o sette centimetri, poi mi fermai, tornai indietro e mi fermai. Poi di nuovo dentro per un pezzetto in più, e poi ancora fuori. Francesca nel frattempo si rilassava e si scaldava. Si girò alla sua destra e vide Dede che stava guardandoci, anche lei presa a pecorina. In quel momento Francesca disse “Ora dagli dentro, fammelo sentire tutto nel culo” a voce sufficientemente alta da farsi sentire dai due vicino a noi, ma credo anche da Patrizia e Andrea.
Io non potevo vedere quel che stava succedendo, ero di spalle e la visione laterale era ostruita dalla pianta dietro cui c’era la doccia di fortuna, però sentii dei mugolii e capii che Andrea ci stava dando dentro.
La cosa mi fece arrapare ancora di più. Iniziai a pompare dentro il culo di Francesca con foga. La mia fidanzata, dopo un iniziale momento di fastidio, iniziò a godere e ad accompagnare i miei movimenti spingendo il culo indietro nel momento in cui la penetravo. Ero arrivato a fine corsa in tutti i sensi, il cazzo era dentro fino alla base, ed ero molto vicino alla conclusione.
“France’, sto per venire!” le dissi spingendo forte.
“Voglio sentirti!” rispose. “Dai, sfondami e sborrami dentro!”
MA CHE CAZZO S’ERA BEVUTA?
Non si era mai, ribadisco, mai comportata così. Mai, in due anni che stavamo assieme, aveva detto nulla, nemmeno all’apice dell’orgasmo e dell’eccitazione.
Comunque, quella frase ebbe il suo effetto. Iniziai ad accelerare il ritmo e a sbatterla duramente con le palle che rimbalzavano sulla sua fica. Portai una mano alla vagina per stimolarla e sentii che era completamente bagnata.
“Sii, dai… vengo anch’io... dai…”
Le inflissi gli ultimi colpi cercando quasi di arrivarle in gola da dietro e poi proruppi in una sborrata così lunga ed intensa che sembrava che non finisse mai. Anzi, mi sembrava di averla riempita perché sentii scendere del liquido caldo lungo le mie cosce e per le gambe.
“DAI, NON FERMARTI TI PREGO!” mi supplicò.
Detti gli ultimi colpi e allungai la mano di nuovo cercando di entrare nella sua fica con due dita quando sentii un’esplosione di liquido, uno schizzo intenso che rimbalzò per terra per quanto era forte.
Francesca fu squassata dall’orgasmo e iniziò a tremare talmente forte da non riuscire a stare in piedi.
Uscii dal suo culo grondante e la presi al volo per poggiarla delicatamente a terra, seduta in mezzo alla pozza del suo squirt. Non era una novità, era venuta più volte in quel modo, ma non pensavo che avrebbe goduto col culo in quella maniera.
Subito dopo toccò ai nostri amici accanto a noi. Anche Dede strillò dal piacere mentre Adriano quasi la sollevava da terra ad ogni colpo. Lei venne più volte, senza bagnare per terra, chiedendo al suo ragazzo di fermarsi ma Adriano non ne volle sapere e continuò fino a che non ebbe anche lui l’orgasmo.
La cosa strana fu che Francesca ed io guardammo lo spettacolo come se fosse una cosa normale, ed al termine ci venne spontaneo dire “Siete venuti anche voi…Bella scopata, vero?”
Proprio in quel momento si accese una luce in salone: erano Federica e Filippo, anche loro seminudi e coperti con i soli teli da doccia che, sentendo il casino, erano venuti a vedere di cosa si trattasse.
E rimasero sorpresi a vedere che eravamo tutti nudi, affaticati, sfranti, sudati ed appiccicaticci ma decisamente soddisfatti.
“Qualcuno ha scopato di brutto, stasera, eh?” disse Filippo.
“Loro si, noi no!” rispose Federica, generando una risata generale.
Devo dire che Francesca quella sera mi stupì. Fino ad allora non si era mai manifestata una tigre del materasso, tutt’altro. Si vede che la competizione le faceva bene…
Ma quella vacanza aveva altre sorprese da svelarmi.

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Ciao! Son arrivato oggi e siccome ero in arretrato mi son fatto un pdf per leggerlo tutto insieme, se ti va lo pubblico qui. Fammi sapere
 

AmanteMI

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Pubblico due capitoli in fila, visto che il secondo è il seguito temporale del primo. Sono stati separati solo ai fini di individuare due diverse situazioni.
Buona lettura


La cena in barca​


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A casa, in terrazzo​



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intriganti...e ben scritti !!

grazie dello share!!
 
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Ciao! Son arrivato oggi e siccome ero in arretrato mi son fatto un pdf per leggerlo tutto insieme, se ti va lo pubblico qui. Fammi sapere
Grazie.
Ovviamente ho tutto il file word ove scrivo man mano i vari capitoli della storia.
Al momento ne ho solo due imbastiti, quindi dovrete attendere un po' per leggere il seguito.
Comunque grazie della tuta proposta.
Se vuoi, fallo pure per gli altri lettori, credo che farà loro piacere.
Grazie.
 
OP
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La spiaggia nudista 2: ci riproviamo​

Il mattino dopo ci svegliamo ancor più tardi, troppo tardi per andare dove avevamo deciso, ovvero in una spiaggia molto isolata al sud dell’isola.
Vista l’ora, decidemmo di andare al mare il più vicino possibile.
Andammo quindi a piedi fino alla spiaggia di Agios Georgios, visto che era mezzogiorno passato.

“Ecco, guardate che carnaio di gente! Io non ci voglio stare in mezzo al casino!” proruppe Federica.
“Beh, se continuiamo a svegliarci alle 11 e ad uscire a mezzogiorno, sarà difficile che troviamo qualcosa di libero, no?” le rispose Andrea, ancora incazzato per la figuraccia fatta la sera prima da Patrizia. Sembrava che non si fossero parlati da quando si erano svegliati, ed in effetti Patrizia era di pessimo umore, gli occhi celati da un gran paio di occhiali da sole ed un cappello di paglia ad ampie tese che le nascondevano parte del viso.
Parlottammo un po’ discutendo se andare da un’altra parte o rimanere lì cercando uno spazio dove stenderci visto che di ombrelloni e lettini non se ne parlava proprio, dato l’affollamento.

Timidamente proposi di ritornare ad Agios Prokopios, visto che c’eravamo già stati, c’era la trattoria a mare per mangiare qualcosa e non c’era molta gente.

“Si però come ci arriviamo?” dissero quasi all’unisono Francesca e Dede.
“Col tassì. Il parcheggio è qui dietro” risposi.
“Ma dobbiamo prenderne due!” interloquirono Federica e Filippo.
“Ho capito: allora andiamo a piedi? Lo sapevamo che qui in Grecia è tutto più complicato negli spostamenti!” ribattei.
“Sentite, facciamo un tentativo, vediamo cosa troviamo al parcheggio. Se c’è Joannidis, chiediamo un parere a lui. Che ne pensate? Tanto è qui a due passi. A quest’ora avremmo già concluso, invece di stare a perdere tempo in chiacchere” e mi incamminai verso il parcheggio poco distante.

Proprio in quel momento, mentre attraversavo la strada senza guardare, giunse un pulmino Volkswagen Bulli anni ’60 che sicuramente aveva visto tempi migliori. Per fortuna aveva i freni revisionati perché evitò per poco di investirmi.

Il guidatore si sporse dal finestrino ed inveì in un profluvio di imprecazioni gesticolando con le mani e ponendole nel chiaro gesto caratteristico dei romani “An vedi questo!”.
“Oh, scusa! Però, pure tu, annà più piano no, eh?” dissi ad alta voce.
“E poi, sai che c’è? Stai carmino bel bambino!” aggiunsi, sempre da alta voce.
“NOOO! A regà! Siete de Roma? Nun ce posso crede!” rispose con un sorriso a 32 denti, in perfetto romanesco.
Si fermò con il pulmino in mezzo alla strada, scese e mi venne incontro con le braccia aperte “Oh, uno de’ Roma, nun ce posso crede! A regà!” poi, rivolto agli altri “Ma che siete tutti de Roma?” aggiunse.
“Si…” rispondemmo perplessi.
“Io so’ Gregorio Panakulis, so’ nato a Roma e so vissuto fino a du’ anni fa a casa mia a Trastevere: SO DE’ ROMA! FORZA MAGGICA!” mostrando la sciarpa giallorossa.
Sorridemmo tutti. Era assurdo ma è proprio vero: noi romani ci facciamo riconoscere sempre e comunque per la nostra espansività.
Chiacchierammo cinque minuti, lui ovviamente molto interessato alle ragazze più che a noi.
Ci raccontò di avere 32 anni e di essere tornato a Naxos insieme alla sorella di quattro anni più giovane per rilevare la casa e la taverna che avevano ereditato dalla nonna. Avevano provato ad aprire una attività turistica ed ebbero fortuna grazie al boom di interesse verso le isole egee soprattutto in Italia, Germania e Austria.
Gli chiesi con la massima nonchalance: “Hai idea come potremmo arrivare a Agios Prokopios? C’è un mezzo che non sia il tassì per arrivare lì?”
“Agios Prokopios? No, solo il tassì. Ma che dovete andare a fare a Agios Prokopios? Mare? sole/spiaggia/mangiare?” chiese.
“Beh, si, ovvio” rispose Patrizia che nel frattempo sembrava appena svegliata.
“Sentite, io vi propongo invece la spiaggia di Kastraki, che è molto più bella” continuò Gregorio.
“Si però è più lontana: dobbiamo comunque andarci in tassì, visto che non esistono mezzi” dissi.
“In realtà avete altre due possibilità: il bus, che comunque arriva a Kastraki, ma poi vi lascia in mezzo alla strada e poi dovete fare circa un paio di km a piedi fino alla spiaggia, oppure vi ci porto io” propose Gregorio.
“Ascoltate, facciamo un patto. Io vi porto lì alla spiaggia diciamo tra dieci minuti, poi vi riporto indietro stasera. Voi in cambio mangiate al mio ristorante in spiaggia. Va bene?”
“Direi che ci possiamo stare, vero ragazzi?” chiesi pro forma, ma convinto della bontà della proposta.

Non ci furono obbiezioni di alcun genere.

“Allora, salite. Devo andare a prendere qualche cassa d’acqua e di vino e poi torniamo indietro. Dai, salite”
“Ma …tutti? C’entriamo? Siamo in otto!”
“Se è per questo, siamo in nove con me. Dai, stringetevi un po’ che devo caricare pure le casse, qualcuno ci si siederà sopra!” sorrise.
Salimmo e ci stringemmo un po’ ma alla fine, non era nemmeno tanto scomodo.
Dopo averlo aiutato a caricare acqua e vino, partimmo alla volta di Kastraki.
“Kastraki è una spiaggia bellissima, vedrete che vi piacerà. E oggi avete pure fortuna, non c’è il solito vento per cui starete benissimo, forse un po’ più caldo del solito ma l’acqua del mare è meravigliosa. E poi, non so se lo sapete, è una spiaggia rigorosamente nudista, tranne il tratto di fronte al parcheggio ed alla mia taverna.
Basta fare cinquanta metri a nord o a sud, si superano due dune ed è il paradiso dei naturisti. Nessuno dà fastidio, nessuno disturba, tutti si fanno i cazzi loro” disse facendoci l’occhiolino.
Dopo un quarto d’ora di strada in gran parte bianca, arrivammo alla spiaggia.
Scendemmo dal Bulli e ci rendemmo conto che erano le due passate.
“Ma se venissimo al volo a mangiare?” buttai lì.
E certo, e che state ad aspettà? ‘Nnamo!” disse.
Gli demmo una mano a scaricare acqua e vino e a portarlo dietro alla cucina.
Metteteve seduti” e ci indicò un paio di tavoli vuoti sotto gli alberi.
Mo’ ve manno quarcuno ad apparecchià. Poi vengo io.

Seguimmo le indicazioni. In effetti tempo due o tre minuti venne al tavolo una ragazza circa nostra coetanea, mora, lunghi capelli e con il caratteristico naso greco importante. “Ciao, io sono Irene e sono la sorella di Gregorio: siete tutti di Roma, quindi?” chiese rivolgendosi a noi in perfetto italiano/romano
“Si, ma non tutti siamo romanisti. C’è un lazialaccio tra noi!” dissi indicando Adriano.
“Allora lui non mangia” rispose sorridendo Irene.
“Ragazzi, io sono romana come voi e so’ che la cucina greca non piace a tutti. Quindi, visto che siete voi, vi propongo una pasta semplice semplice e del pesce alla griglia. La pasta è Barilla e viene tutte le settimane, il pesce è pescato oggi, sono delle aguglie e dei saraghi. Poi vi porto delle patate fritte oppure una insalatona di pomodori freschi tagliati a pezzi e conditi con l’olio nostro che, fatevelo dire, è meglio della maggior parte degli oli della Sabina, Umbria e Toscana che trovate in Italia. Per chi vuole aggiungo della cipolla tagliata a fette e dei cetrioli, ma se preferite, solo pomodori col basilico. Vi va bene?”
E chi ti manda?!!!” rispose Filippo inginocchiandosi e levando le mani al cielo.
“Per me va bene insalata solo pomodori.”
“Anche a me!”
“Pure a me!”
“Pure io!”
“Io pure, senza cipolla e senza cetrioli!”
“Potremmo aggiungere due patatine fritte?” chiesero Dede e Patrizia.
“Irene, direi che siamo a posto. Pasta e pesce per tutti, fai una bella cofana di pomodori e poi un vassoio di patatine fritte, diciamo tre porzioni, va bene?”
“Facciamo quattro!” aggiunse Andrea.
“Aggiudicato!” concluse Irene. “Allora, piace a tutti l’origano? Perché nella salsa di pomodoro ce ne mettiamo un po’” spiegò
“PERFETTO!” fu il comune commento.

Dopo qualche minuto tornò Gregorio che ci portò del pane ed una brocca di vino bianco gelato assieme ad un paio di bottiglie d’acqua. Facemmo le presentazioni “ufficiali” e ci raccontò la storia sua e della sorella.

“Siamo nati a Roma da genitori greci che si erano trasferiti in Italia nel 1960 quando c’era il boom economico. I nostri genitori si erano appena sposati ed in Grecia, in quei tempi, non c’erano tante opportunità di lavoro quanto oggi. Papà era un ingegnere e mamma era laureata in lettere classiche ed aveva studiato greco antico e latino. Loro parlavano già italiano perché la loro nonna materna era di Rodi ed era di antica origine veneta e l’avevano imparato durante le vacanze. Poi papà morì di infarto e mamma, insegnante di lettere al liceo classico Vittoria Colonna, si trovò a scegliere di tornare in Grecia, nel frattempo oggetto di un colpo di stato militare, o di rimanere in Italia.
Tornare era impossibile, per cui decise di rimanere a Roma.
Poi, due anni fa morì la nonna paterna, che era originaria di Naxos, e tra le varie cose ci toccò in eredità la proprietà di due case, di cui una sul mare proprio di fronte al porto, e di questa taverna che è stata ricostruita prima della guerra.
Noi venimmo qui con mamma per le vacanze cinque anni fa e vedemmo che c’era già un interesse al turismo. Decidemmo di vendere la casa di Roma e di trasferirci qui e tentare la sorte.
Oggi abbiamo una specie di pensioncina con quattro camere sul porto e questa taverna. Lavoriamo duro per quattro mesi all’anno per guadagnare quel che ci serve per campare negli altri mesi, pagare i costi di manutenzione e le varie tasse, e mettere qualcosa da parte. Però qui basta poco per campare dignitosamente. E di inverno, c’è veramente poco da fare. Infatti io vivo in un paesino vicino ad Atene dove c’è la famiglia della mia fidanzata durante l’inverno mentre Irene sta qui con il suo fidanzato e la mamma.”

“Però il resto se volete ve lo racconto dopo, vado a prendere la pasta che mi sa che è pronta” concluse.

Ed in effetti dopo poco arrivò con le prime scodelle piene e fumanti di spaghetti al sugo.

Erano delle porzioni enormi, tipo due etti a piatto, ed il profumo era inebriante.
Ci gettammo con voracità sulla pasta gustando il sapore pieno della salsa di pomodoro.
“Ma chi l’ha fatto?” chiesi.
“Lo fa mamma. E lo fa con i pomodori del nostro orto, a ottobre. Mettiamo quintali di pomodori a bollire, li tritiamo, li passiamo e poi li imbottigliamo. Poi, quando fa la salsa aggiunge i suoi segreti. So che c’è del pepe, del peperoncino, l’origano, il sale, l’olio di oliva, l’aglio, ma non so in che proporzioni e in che ordine” rispose.
Era talmente buona che la finimmo più o meno tutti in pochissimo.
“Chi vuole un ripassino?” venne Irene con la pentola in mano. “Ce n’è rimasta un po’, forse un paio di porzioni abbondanti” disse.
“Io!” disse Filippo
“Io!” si aggiunse Andrea
“Io!” disse Adriano
“IO!” urlai.
“Vabbè, dividetela in quattro!” disse Irene
“E noi no?” chiesero le ragazze.
Dividemmo quelle due porzioni in otto, giusto una forchettata a testa. Ma ne avremmo mangiata tutti due volte tanto, se ce ne fosse stata la possibilità.
Dopo qualche minuto Gregorio e Irene arrivarono con i piatti del pesce.
Dietro di loro una signora sulla settantina, con i capelli raccolti in un fazzoletto, un lungo grembiule sopra un camicione da lavoro portava una ciotola enorme piena di pomodori.
“Complimenti signora per la salsa di pomodoro! Era eccezionale. Buonissima!” mi alzai in piedi per salutare e complimentarmi.
“Si, vero, buonissima, bravissima, complimenti!” dissero un po’ tutti.
Anche il pesce fu spazzolato in men che non si dica, di sapore delicato, tenerissimo e cotto alla perfezione. Le patatine scomparirono in un attimo mentre Francesca, Filippo ed io ci concentrammo sulla cofana di pomodori. “Chi ne vuole?” chiedemmo.
“Dammene un paio!” disse Federica a Filippo.
“Anche a noi, daccene una cucchiaiata” si aggiunsero Adriano e Dede.
Serviti gli amici, presi la ciotola e la misi davanti a me.
Come passò Irene, le chiesi del pane.
“Per favore, non tagliarlo a fette. Se me ne porti mezza pagnottina, la uso per fare la scarpetta” spiegai.
Non avete idea di quanto buono potesse essere quel piatto. I pomodori erano dolci, succosi, maturi al punto giusto. Il condimento – olio, sale, pepe e origano – era abbondante e perfetto.
Credo di averne mangiati almeno un chilo, quella volta.
Come arrivò il pane, feci la scarpetta con pezzi enormi. Dovetti cederne uno a Francesca che voleva a tutti i costi attingere anche lei alla ciotola.

Quel giorno non esagerammo con il vino. Anzi, la caraffa da un litro bastò per tutto il pasto, nonostante fossimo in otto.

Ci portarono il caffè fatto con la moka (un trattamento di lusso) e pagammo il conto, circa 1.000 dracme a testa, 11.000 lire a persona.

“Allora noi andiamo in spiaggia a prendere un po’ di sole” dissero gli amici.
“Vi raggiungiamo subito” rispondemmo Francesca ed io.
Chiedemmo di andare un momento in bagno prima di andare in spiaggia.
“Allora io devo tornare indietro in paese verso le sette, non più tardi, perché devo ricaricare acqua e vino per stasera” ci disse Gregorio. “Vi aspetto qui facciamo alle sei e mezza, d’accordo?” proseguì.
“Direi di si, perfetto” risposi.
Salutammo e ci incamminammo.

Non avevo notato che nel frattempo Francesca si era spogliata, rimanendo solo con lo slip del costume a tanga ed una canottierina aderente senza reggiseno.
“Come mai questa scelta?” le chiesi
“Non mi andava di cambiarmi in spiaggia davanti a tutti” mi rispose.
“Stiamo andando alla spiaggia nudista, lo sai” le dissi
“Si, ma non mi interessa. Semmai mi tolgo il pezzo di sopra, ma lo slip lo tengo. Mi vergogno davanti a tutti!” replicò.
“Ma ieri, non hai avuto scrupoli a farti vedere da tutti” obiettai.
“A parte che ieri sera era buio e che eravamo in altre condizioni” rispose “poi non erano poi tutti e comunque oggi non mi va.”
La conoscevo, so che se avessi insistito ora, non avrei ottenuto nulla se non il suo muso ed i suoi rimbrotti. E non ne avevo voglia.
Superammo la duna naturale che separava la caletta della taverna da quella subito a fianco.
C’erano solo altre due coppie verso il fondo della spiaggia, al confine opposto, probabilmente nude, ma troppo lontane per esserne certi.

“Beh, è una ficata questo posto” disse Filippo.
“L’acqua è stupenda. Peccato aver mangiato tardi. Aspetto un paio d’ore prima di farmi il bagno” aggiunse Federica tenendo sotto braccio Filippo.
“Se lo fai subito, non hai ancora iniziato la digestione” teorizzò Andrea.
“Ma dai, abbiamo finito alle tre passate, sono quasi le quattro. E’ pericoloso” ci ammonì Adriano.
“Bah, prenderemo il sole” conclusero le ragazze.
Stendemmo i nostri teli a coppie, non troppo appiccicati visto che c’era spazio in abbondanza.

La costa formava tante calette di dimensioni tra i cento e i duecento metri di lunghezza con una profondità di una decina di metri dal bagnasciuga alla pinetina che stava alle nostre spalle.
Avevo proposto a Francesca di stenderci all’ombra di uno di quei pinetti bassi per evitare di cuocerci. A tale scopo, presi i nostri teli e li misi proprio sotto l’ombra del pino più vicino alla spiaggia. Il sole era quasi parallelo alla costa e le ombre si allungavano un po’ per cui c’erano venti metri abbondanti tra noi ed il bagnasciuga e almeno altrettanti dagli altri amici.

“Io però vorrei prendere comunque un po’ di sole. Ora mi metto qui, poi semmai vado in riva al mare” mi disse.
Quindi si sfilò la canottiera rimanendo in topless e si sdraiò sulla pancia, a schiena in sù.
Indossava uno slip a tanga bianco con i triangoli anteriore e posteriore molto ridotti e legati da laccetti. Glielo avevo comprato in occasione di questo viaggio ma mi aveva detto che lo aveva lasciato a Roma perché era troppo piccolo e diventava trasparente una volta bagnato.
E invece lo aveva messo in valigia ed indossato.

Si era appena distesa “Amore, mi spalmi la crema solare per favore?” mi chiese.
Presi il flacone, versai un’abbondante dose di liquido sulle mani e sulla schiena ed iniziai a stenderlo praticandole un massaggio sulle spalle, sulle braccia e sulla schiena.
Poi ne versai altro sulle gambe e sulle cosce e continuai a spalmarlo salendo dai polpacci alle cosce.
Arrivato ai glutei, presi ulteriore liquido in mano e lo applicai sulla parte scoperta del sedere, prima a sinistra e poi a destra.
Francesca si agitò un po' come per facilitare l’operazione e per comunicarmi il suo piacere.

“Io credo che dovrei spostare un po’ il costume, non vorrei sporcarlo ed ungerlo, non trovi?” le sussurrai.
Francesca annuì senza rispondere, un sorrisino beffardo sulle labbra e sulle guance.

Presi quindi delicatamente con le dita il lembo del costume “Ma hai le mani sporche di crema!” mi redarguì.
“E allora, come te lo abbasso?” le chiesi.
“Con la bocca” rispose.
“Con la bocca?” ripetei per esser certo di aver capito.
“Si, con la bocca. Slacci i lacci e mi abbassi il costume” mi rispose, come se fosse una cosa ovvia e naturale.
Non me lo feci ripetere due volte. Senza toccarla con le mani, che rimanevano appoggiate alle sue chiappe, mi sporsi prima da un lato e poi dall’altro e sciolsi le tirelle che tenevano i due triangoli uniti.
“Ecco, fatto” dissi.
“Ecco, bravo, ora sposta il dietro del costume sempre con la bocca, non usare le mani che me lo sporchi!” sussurrò.
“Sposto dove? Così?” e tirai verso le cosce il triangolo posteriore scoprendole tutta la riga del sedere e parte delle grandi labbra.
“Si, un po’ di più, non vorrei che si sporcasse lo stesso” replicò.
“Così?” e le tirai via tutto lo slip lasciandolo cadere in mezzo alle cosce che nel frattempo aveva divaricato.
“Si, ora prendilo delicatamente e mettilo nella sacca” ordinò, ed io ubbidii.
“Allora ora ti metto la crema anche sulle chiappe, giusto?” sussurrai. Avevo il cuore a mille ed il cazzo che faceva capolino dall’elastico del PortCros azzurrino.
“E certo, se no perché lo abbiamo tolto, scusa?”
Giusto.

Presi altra crema e la passai sulle chiappe, spalmando per bene su tutta la superficie.
“Vuoi che te la passi anche interno coscia?” chiesi
“Ovvio. Vuoi che rimanga la striscia bianca?” ribattè. Francesca non era mai stata particolarmente attenta ai segni del costume, almeno nelle due precedenti vacanze passate assieme.
Le avevo regalato alcuni perizoma da intimo ma era contraria ad indossarli perché diceva che le davano fastidio e che le tiravano troppo i peli. Analogamente, le avevo fatto realizzare apposta su misura anche un perizoma da mare in tessuto metallizzato color bronzo che non aveva mai messo, a suo dire perché si vergognava.
Però quel giorno…

Mi girai verso la spiaggia per dare una rapida occhiata alla situazione.
Gli amici erano tutti in coppia, stesi a pancia in su.
Tutte le ragazze erano in topless.
Patrizia era oggetto di attenzioni e carezze da parte di Andrea il quale, visibilmente eccitato, le stava carezzando la pancia sfiorandole ogni tanto il seno.
Federica e Filippo erano distesi a pancia in giù e si scambiavano baci abbastanza pudichi.
Dede ed Adriano erano a pancia in su. Adriano la toccava da qualche parte all’altezza del pube e lei ricambiava carezzandogli il pisello, entrambi da fuori il costume. Credo che presto sarebbero entrati in acqua comunque.
Mi girai di nuovo verso Francesca ed iniziai a spalmare la crema nell’interno coscia approfittando bellamente della situazione per carezzarle le grandi labbra che erano belle gonfie per l’eccitazione.
“Stai buono, non mi toccare lì che poi è un casino” mi disse.
“Sono curioso di capire qual è il casino che dici” le risposi.
“Poi mi tocca fare un discorso con lui” disse allungando la mano e prendendo il mio pisello che era già bello dritto.
“Uh! Già sta così?” disse facendo finta di essere sorpresa.
“No. È tutta un’illusione” feci la battuta mentre infilai a tradimento due dita dentro la sua fica che era già bella bagnata, come ebbi modo di constatare.

Francesca trasalì un momento, allargò ulteriormente le cosce per accogliere meglio la mia mano e poi mugolò qualcosa del tipo “e no! poi mi viene voglia!”.
Non le diedi modo di replicare ulteriormente perché mi misi a cavalcioni e, facendo finta di spalmarle ancora la crema sulla schiena, le inserii ritmicamente le due dita nella vagina. Poi mi concentrai sul clitoride infilando la mano tra vulva e telo e stimolando con il dito il bottoncino.
Lei sollevò ancora di più il bacino mostrando il suo sesso gonfio e pieno di desiderio mentre mugolava di piacere.
Dopo qualche decina di secondi durante i quali Francesca iniziò ad ansimare e a muoversi con tutto il corpo strusciandosi sulla mia mano, proruppe in un orgasmo bagnato molto intenso che fradiciò letteralmente il telo con i suoi umori. Ero abituato ai suoi orgasmi: la prima volta credevo che se la fosse fatta sotto (e così credeva anche lei, e solo dopo aver consultato la sua ginecologa si tranquillizzò) ma poi in qualche modo godevo anch’io di questa manifestazione di piacere estremo.
Le prime volte ci fermavamo ed interrompevamo il sesso, ora invece era un momento sì importante, ma uno dei numerosi attimi di godimento durante la nostra attività sessuale.

Pur avendo una vistosa erezione e nonostante fossi con metà cazzo fuori del costume non potevo metterglielo dentro così, davanti a tutti.
Mi spostai invece davanti a lei, facendole poggiare la sua testa sulle mie gambe incrociate, con la bocca e le mani alla portata del mio pisello.
Da quella posizione riuscivo peraltro ad osservare la situazione ed a controllare cosa stesse succedendo intorno a noi.
Negli ultimi minuti, le cose si erano fatte calde.

Vidi partire Dede e Adriano, nudi, mano nella mano, andare a passeggiare lungo la spiaggia allontanandosi da noi.
Patrizia e Andrea, invece, erano entrati in acqua e si erano messi a fare sesso senza alcuna inibizione.
Federica e Filippo erano ancora in riva al mare, entrambi seduti sul bagnasciuga, apparentemente senza fare nulla se non prendere il sole.
Tranne Patrizia ed Andrea, che avrebbero potuto effettivamente guardarci, gli altri erano di spalle e troppo impegnati nelle loro attività per cui presi il coraggio, aprii la clip metallica del mio costume e lo sfilaii rimanendo nudo con il cazzo libero di ergersi fino all’ombelico.
Poi lo avvicinai alla bocca di Francesca che lo prese in mano ed iniziò a leccarlo. Stavamo scomodi e comunque la mia fidanzata era molto eccitata.
“Amore, mettiti sopra di me, metti le gambe attorno al mio corpo ed infilati il cazzo dentro” le dissi.
Quasi infoiata, ubbidì. Poggiò la sua fica ancora grondante sulla cappella, poi fece scivolare il mio membro dentro di lei e sistemò le gambe attorno a me, abbracciandomi e baciandomi mentre iniziava a muoversi. Io assecondai i suoi movimenti ed iniziai a mia volta a pompare dentro di lei.
Stimolato anche da quanto ci circondava, mi misi a spingere forte dando colpi profondi. Francesca da parte sua si era attaccata con le braccia al mio collo e si sollevava ritmicamente. Durò poco, squassata dal secondo orgasmo in pochi minuti, proprio mentre venivo a fiotti dentro di lei.
“Amore sono venuto” le dissi.
“Anch’io, ma continua a muovermi, mi piace da morire, potrei venire ancora” mi disse continuando a strusciarsi e a saltare sul mio pisello che, in verità, era ancora bello tosto.
Nel frattempo, sentimmo chiaramente Dede gridare “Dai! Si! Ancora! CAZZO!” accompagnata dai grugniti di Adriano. Avevano scavallato l’altra duna e si erano messi a far sesso nascosti da noi, ma evidentemente non si erano resi conto che li sentivamo.
Dopo un po’ la mia erezione venne meno, con grande insoddisfazione di Francesca che avrebbe gradito un supplemento.
Ci staccammo e ci alzammo.

“Andiamo a fare il bagno e a lavarci” le dissi alzandomi in piedi senza coprire in alcun modo la mia nudità.
“Così, nudi?” disse Francesca.
“E che te lo metti a fare il costume? Non dobbiamo sciacquarci” osservai.
“Si ma io mi vergogno” replicò.
“Scusa, ma abbiamo fatto sesso in pubblico e non te n’è fregato nulla e ora ti vergogni ad entrare in acqua nuda?”
Forse le dava fastidio l’appiccicume dei nostri liquidi che le scolavano, forse l’avevo convinta, sta di fatto che si alzò pure lei e ci recammo, mano nella mano, verso il bagnasciuga. Passammo quasi accanto a Federica e Filippo che nel frattempo erano diventati un po’ più intraprendenti: Federica aveva preso in mano il pisello del suo ragazzo da fuori il costume e lo stava masturbando mentre Filippo le metteva una mano in mezzo alle gambe.
Entrammo in acqua quasi non visti e ci mettemmo in ginocchio per lavarci.
Ci affiancarono Patrizia e Andrea che stavano rientrando.
“Ci avete dato dentro anche voi” ci disse Andrea.
“Pure voi non avete scherzato!” ribattei.
“Dede e Adriano si stanno divertendo di là” disse indicando la duna dietro cui si erano appartati i due.
“E anche oggi, qualcuno NON SCOPA!” disse ad alta voce Andrea rivolto a Filippo e Federica.
“Si, sono d’accordo. Per loro vale il detto «e anche per oggi si scopa domani»!” ridacchiai.
Anche le ragazze sbottarono a ridere.
Iniziai a cantare “Ollelè, ollallà, fajela vedè, fajela toccà” subito seguito in coro dagli altri.

Mi ero appena vendicato di Atene.
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Paolo
 

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La spiaggia nudista 2: ci riproviamo​

Il mattino dopo ci svegliamo ancor più tardi, troppo tardi per andare dove avevamo deciso, ovvero in una spiaggia molto isolata al sud dell’isola.
Vista l’ora, decidemmo di andare al mare il più vicino possibile.
Andammo quindi a piedi fino alla spiaggia di Agios Georgios, visto che era mezzogiorno passato.

“Ecco, guardate che carnaio di gente! Io non ci voglio stare in mezzo al casino!” proruppe Federica.
“Beh, se continuiamo a svegliarci alle 11 e ad uscire a mezzogiorno, sarà difficile che troviamo qualcosa di libero, no?” le rispose Andrea, ancora incazzato per la figuraccia fatta la sera prima da Patrizia. Sembrava che non si fossero parlati da quando si erano svegliati, ed in effetti Patrizia era di pessimo umore, gli occhi celati da un gran paio di occhiali da sole ed un cappello di paglia ad ampie tese che le nascondevano parte del viso.
Parlottammo un po’ discutendo se andare da un’altra parte o rimanere lì cercando uno spazio dove stenderci visto che di ombrelloni e lettini non se ne parlava proprio, dato l’affollamento.

Timidamente proposi di ritornare ad Agios Prokopios, visto che c’eravamo già stati, c’era la trattoria a mare per mangiare qualcosa e non c’era molta gente.

“Si però come ci arriviamo?” dissero quasi all’unisono Francesca e Dede.
“Col tassì. Il parcheggio è qui dietro” risposi.
“Ma dobbiamo prenderne due!” interloquirono Federica e Filippo.
“Ho capito: allora andiamo a piedi? Lo sapevamo che qui in Grecia è tutto più complicato negli spostamenti!” ribattei.
“Sentite, facciamo un tentativo, vediamo cosa troviamo al parcheggio. Se c’è Joannidis, chiediamo un parere a lui. Che ne pensate? Tanto è qui a due passi. A quest’ora avremmo già concluso, invece di stare a perdere tempo in chiacchere” e mi incamminai verso il parcheggio poco distante.

Proprio in quel momento, mentre attraversavo la strada senza guardare, giunse un pulmino Volkswagen Bulli anni ’60 che sicuramente aveva visto tempi migliori. Per fortuna aveva i freni revisionati perché evitò per poco di investirmi.

Il guidatore si sporse dal finestrino ed inveì in un profluvio di imprecazioni gesticolando con le mani e ponendole nel chiaro gesto caratteristico dei romani “An vedi questo!”.
“Oh, scusa! Però, pure tu, annà più piano no, eh?” dissi ad alta voce.
“E poi, sai che c’è? Stai carmino bel bambino!” aggiunsi, sempre da alta voce.
“NOOO! A regà! Siete de Roma? Nun ce posso crede!” rispose con un sorriso a 32 denti, in perfetto romanesco.
Si fermò con il pulmino in mezzo alla strada, scese e mi venne incontro con le braccia aperte “Oh, uno de’ Roma, nun ce posso crede! A regà!” poi, rivolto agli altri “Ma che siete tutti de Roma?” aggiunse.
“Si…” rispondemmo perplessi.
“Io so’ Gregorio Panakulis, so’ nato a Roma e so vissuto fino a du’ anni fa a casa mia a Trastevere: SO DE’ ROMA! FORZA MAGGICA!” mostrando la sciarpa giallorossa.
Sorridemmo tutti. Era assurdo ma è proprio vero: noi romani ci facciamo riconoscere sempre e comunque per la nostra espansività.
Chiacchierammo cinque minuti, lui ovviamente molto interessato alle ragazze più che a noi.
Ci raccontò di avere 32 anni e di essere tornato a Naxos insieme alla sorella di quattro anni più giovane per rilevare la casa e la taverna che avevano ereditato dalla nonna. Avevano provato ad aprire una attività turistica ed ebbero fortuna grazie al boom di interesse verso le isole egee soprattutto in Italia, Germania e Austria.
Gli chiesi con la massima nonchalance: “Hai idea come potremmo arrivare a Agios Prokopios? C’è un mezzo che non sia il tassì per arrivare lì?”
“Agios Prokopios? No, solo il tassì. Ma che dovete andare a fare a Agios Prokopios? Mare? sole/spiaggia/mangiare?” chiese.
“Beh, si, ovvio” rispose Patrizia che nel frattempo sembrava appena svegliata.
“Sentite, io vi propongo invece la spiaggia di Kastraki, che è molto più bella” continuò Gregorio.
“Si però è più lontana: dobbiamo comunque andarci in tassì, visto che non esistono mezzi” dissi.
“In realtà avete altre due possibilità: il bus, che comunque arriva a Kastraki, ma poi vi lascia in mezzo alla strada e poi dovete fare circa un paio di km a piedi fino alla spiaggia, oppure vi ci porto io” propose Gregorio.
“Ascoltate, facciamo un patto. Io vi porto lì alla spiaggia diciamo tra dieci minuti, poi vi riporto indietro stasera. Voi in cambio mangiate al mio ristorante in spiaggia. Va bene?”
“Direi che ci possiamo stare, vero ragazzi?” chiesi pro forma, ma convinto della bontà della proposta.

Non ci furono obbiezioni di alcun genere.

“Allora, salite. Devo andare a prendere qualche cassa d’acqua e di vino e poi torniamo indietro. Dai, salite”
“Ma …tutti? C’entriamo? Siamo in otto!”
“Se è per questo, siamo in nove con me. Dai, stringetevi un po’ che devo caricare pure le casse, qualcuno ci si siederà sopra!” sorrise.
Salimmo e ci stringemmo un po’ ma alla fine, non era nemmeno tanto scomodo.
Dopo averlo aiutato a caricare acqua e vino, partimmo alla volta di Kastraki.
“Kastraki è una spiaggia bellissima, vedrete che vi piacerà. E oggi avete pure fortuna, non c’è il solito vento per cui starete benissimo, forse un po’ più caldo del solito ma l’acqua del mare è meravigliosa. E poi, non so se lo sapete, è una spiaggia rigorosamente nudista, tranne il tratto di fronte al parcheggio ed alla mia taverna.
Basta fare cinquanta metri a nord o a sud, si superano due dune ed è il paradiso dei naturisti. Nessuno dà fastidio, nessuno disturba, tutti si fanno i cazzi loro” disse facendoci l’occhiolino.
Dopo un quarto d’ora di strada in gran parte bianca, arrivammo alla spiaggia.
Scendemmo dal Bulli e ci rendemmo conto che erano le due passate.
“Ma se venissimo al volo a mangiare?” buttai lì.
E certo, e che state ad aspettà? ‘Nnamo!” disse.
Gli demmo una mano a scaricare acqua e vino e a portarlo dietro alla cucina.
Metteteve seduti” e ci indicò un paio di tavoli vuoti sotto gli alberi.
Mo’ ve manno quarcuno ad apparecchià. Poi vengo io.

Seguimmo le indicazioni. In effetti tempo due o tre minuti venne al tavolo una ragazza circa nostra coetanea, mora, lunghi capelli e con il caratteristico naso greco importante. “Ciao, io sono Irene e sono la sorella di Gregorio: siete tutti di Roma, quindi?” chiese rivolgendosi a noi in perfetto italiano/romano
“Si, ma non tutti siamo romanisti. C’è un lazialaccio tra noi!” dissi indicando Adriano.
“Allora lui non mangia” rispose sorridendo Irene.
“Ragazzi, io sono romana come voi e so’ che la cucina greca non piace a tutti. Quindi, visto che siete voi, vi propongo una pasta semplice semplice e del pesce alla griglia. La pasta è Barilla e viene tutte le settimane, il pesce è pescato oggi, sono delle aguglie e dei saraghi. Poi vi porto delle patate fritte oppure una insalatona di pomodori freschi tagliati a pezzi e conditi con l’olio nostro che, fatevelo dire, è meglio della maggior parte degli oli della Sabina, Umbria e Toscana che trovate in Italia. Per chi vuole aggiungo della cipolla tagliata a fette e dei cetrioli, ma se preferite, solo pomodori col basilico. Vi va bene?”
E chi ti manda?!!!” rispose Filippo inginocchiandosi e levando le mani al cielo.
“Per me va bene insalata solo pomodori.”
“Anche a me!”
“Pure a me!”
“Pure io!”
“Io pure, senza cipolla e senza cetrioli!”
“Potremmo aggiungere due patatine fritte?” chiesero Dede e Patrizia.
“Irene, direi che siamo a posto. Pasta e pesce per tutti, fai una bella cofana di pomodori e poi un vassoio di patatine fritte, diciamo tre porzioni, va bene?”
“Facciamo quattro!” aggiunse Andrea.
“Aggiudicato!” concluse Irene. “Allora, piace a tutti l’origano? Perché nella salsa di pomodoro ce ne mettiamo un po’” spiegò
“PERFETTO!” fu il comune commento.

Dopo qualche minuto tornò Gregorio che ci portò del pane ed una brocca di vino bianco gelato assieme ad un paio di bottiglie d’acqua. Facemmo le presentazioni “ufficiali” e ci raccontò la storia sua e della sorella.

“Siamo nati a Roma da genitori greci che si erano trasferiti in Italia nel 1960 quando c’era il boom economico. I nostri genitori si erano appena sposati ed in Grecia, in quei tempi, non c’erano tante opportunità di lavoro quanto oggi. Papà era un ingegnere e mamma era laureata in lettere classiche ed aveva studiato greco antico e latino. Loro parlavano già italiano perché la loro nonna materna era di Rodi ed era di antica origine veneta e l’avevano imparato durante le vacanze. Poi papà morì di infarto e mamma, insegnante di lettere al liceo classico Vittoria Colonna, si trovò a scegliere di tornare in Grecia, nel frattempo oggetto di un colpo di stato militare, o di rimanere in Italia.
Tornare era impossibile, per cui decise di rimanere a Roma.
Poi, due anni fa morì la nonna paterna, che era originaria di Naxos, e tra le varie cose ci toccò in eredità la proprietà di due case, di cui una sul mare proprio di fronte al porto, e di questa taverna che è stata ricostruita prima della guerra.
Noi venimmo qui con mamma per le vacanze cinque anni fa e vedemmo che c’era già un interesse al turismo. Decidemmo di vendere la casa di Roma e di trasferirci qui e tentare la sorte.
Oggi abbiamo una specie di pensioncina con quattro camere sul porto e questa taverna. Lavoriamo duro per quattro mesi all’anno per guadagnare quel che ci serve per campare negli altri mesi, pagare i costi di manutenzione e le varie tasse, e mettere qualcosa da parte. Però qui basta poco per campare dignitosamente. E di inverno, c’è veramente poco da fare. Infatti io vivo in un paesino vicino ad Atene dove c’è la famiglia della mia fidanzata durante l’inverno mentre Irene sta qui con il suo fidanzato e la mamma.”

“Però il resto se volete ve lo racconto dopo, vado a prendere la pasta che mi sa che è pronta” concluse.

Ed in effetti dopo poco arrivò con le prime scodelle piene e fumanti di spaghetti al sugo.

Erano delle porzioni enormi, tipo due etti a piatto, ed il profumo era inebriante.
Ci gettammo con voracità sulla pasta gustando il sapore pieno della salsa di pomodoro.
“Ma chi l’ha fatto?” chiesi.
“Lo fa mamma. E lo fa con i pomodori del nostro orto, a ottobre. Mettiamo quintali di pomodori a bollire, li tritiamo, li passiamo e poi li imbottigliamo. Poi, quando fa la salsa aggiunge i suoi segreti. So che c’è del pepe, del peperoncino, l’origano, il sale, l’olio di oliva, l’aglio, ma non so in che proporzioni e in che ordine” rispose.
Era talmente buona che la finimmo più o meno tutti in pochissimo.
“Chi vuole un ripassino?” venne Irene con la pentola in mano. “Ce n’è rimasta un po’, forse un paio di porzioni abbondanti” disse.
“Io!” disse Filippo
“Io!” si aggiunse Andrea
“Io!” disse Adriano
“IO!” urlai.
“Vabbè, dividetela in quattro!” disse Irene
“E noi no?” chiesero le ragazze.
Dividemmo quelle due porzioni in otto, giusto una forchettata a testa. Ma ne avremmo mangiata tutti due volte tanto, se ce ne fosse stata la possibilità.
Dopo qualche minuto Gregorio e Irene arrivarono con i piatti del pesce.
Dietro di loro una signora sulla settantina, con i capelli raccolti in un fazzoletto, un lungo grembiule sopra un camicione da lavoro portava una ciotola enorme piena di pomodori.
“Complimenti signora per la salsa di pomodoro! Era eccezionale. Buonissima!” mi alzai in piedi per salutare e complimentarmi.
“Si, vero, buonissima, bravissima, complimenti!” dissero un po’ tutti.
Anche il pesce fu spazzolato in men che non si dica, di sapore delicato, tenerissimo e cotto alla perfezione. Le patatine scomparirono in un attimo mentre Francesca, Filippo ed io ci concentrammo sulla cofana di pomodori. “Chi ne vuole?” chiedemmo.
“Dammene un paio!” disse Federica a Filippo.
“Anche a noi, daccene una cucchiaiata” si aggiunsero Adriano e Dede.
Serviti gli amici, presi la ciotola e la misi davanti a me.
Come passò Irene, le chiesi del pane.
“Per favore, non tagliarlo a fette. Se me ne porti mezza pagnottina, la uso per fare la scarpetta” spiegai.
Non avete idea di quanto buono potesse essere quel piatto. I pomodori erano dolci, succosi, maturi al punto giusto. Il condimento – olio, sale, pepe e origano – era abbondante e perfetto.
Credo di averne mangiati almeno un chilo, quella volta.
Come arrivò il pane, feci la scarpetta con pezzi enormi. Dovetti cederne uno a Francesca che voleva a tutti i costi attingere anche lei alla ciotola.

Quel giorno non esagerammo con il vino. Anzi, la caraffa da un litro bastò per tutto il pasto, nonostante fossimo in otto.

Ci portarono il caffè fatto con la moka (un trattamento di lusso) e pagammo il conto, circa 1.000 dracme a testa, 11.000 lire a persona.

“Allora noi andiamo in spiaggia a prendere un po’ di sole” dissero gli amici.
“Vi raggiungiamo subito” rispondemmo Francesca ed io.
Chiedemmo di andare un momento in bagno prima di andare in spiaggia.
“Allora io devo tornare indietro in paese verso le sette, non più tardi, perché devo ricaricare acqua e vino per stasera” ci disse Gregorio. “Vi aspetto qui facciamo alle sei e mezza, d’accordo?” proseguì.
“Direi di si, perfetto” risposi.
Salutammo e ci incamminammo.

Non avevo notato che nel frattempo Francesca si era spogliata, rimanendo solo con lo slip del costume a tanga ed una canottierina aderente senza reggiseno.
“Come mai questa scelta?” le chiesi
“Non mi andava di cambiarmi in spiaggia davanti a tutti” mi rispose.
“Stiamo andando alla spiaggia nudista, lo sai” le dissi
“Si, ma non mi interessa. Semmai mi tolgo il pezzo di sopra, ma lo slip lo tengo. Mi vergogno davanti a tutti!” replicò.
“Ma ieri, non hai avuto scrupoli a farti vedere da tutti” obiettai.
“A parte che ieri sera era buio e che eravamo in altre condizioni” rispose “poi non erano poi tutti e comunque oggi non mi va.”
La conoscevo, so che se avessi insistito ora, non avrei ottenuto nulla se non il suo muso ed i suoi rimbrotti. E non ne avevo voglia.
Superammo la duna naturale che separava la caletta della taverna da quella subito a fianco.
C’erano solo altre due coppie verso il fondo della spiaggia, al confine opposto, probabilmente nude, ma troppo lontane per esserne certi.

“Beh, è una ficata questo posto” disse Filippo.
“L’acqua è stupenda. Peccato aver mangiato tardi. Aspetto un paio d’ore prima di farmi il bagno” aggiunse Federica tenendo sotto braccio Filippo.
“Se lo fai subito, non hai ancora iniziato la digestione” teorizzò Andrea.
“Ma dai, abbiamo finito alle tre passate, sono quasi le quattro. E’ pericoloso” ci ammonì Adriano.
“Bah, prenderemo il sole” conclusero le ragazze.
Stendemmo i nostri teli a coppie, non troppo appiccicati visto che c’era spazio in abbondanza.

La costa formava tante calette di dimensioni tra i cento e i duecento metri di lunghezza con una profondità di una decina di metri dal bagnasciuga alla pinetina che stava alle nostre spalle.
Avevo proposto a Francesca di stenderci all’ombra di uno di quei pinetti bassi per evitare di cuocerci. A tale scopo, presi i nostri teli e li misi proprio sotto l’ombra del pino più vicino alla spiaggia. Il sole era quasi parallelo alla costa e le ombre si allungavano un po’ per cui c’erano venti metri abbondanti tra noi ed il bagnasciuga e almeno altrettanti dagli altri amici.

“Io però vorrei prendere comunque un po’ di sole. Ora mi metto qui, poi semmai vado in riva al mare” mi disse.
Quindi si sfilò la canottiera rimanendo in topless e si sdraiò sulla pancia, a schiena in sù.
Indossava uno slip a tanga bianco con i triangoli anteriore e posteriore molto ridotti e legati da laccetti. Glielo avevo comprato in occasione di questo viaggio ma mi aveva detto che lo aveva lasciato a Roma perché era troppo piccolo e diventava trasparente una volta bagnato.
E invece lo aveva messo in valigia ed indossato.

Si era appena distesa “Amore, mi spalmi la crema solare per favore?” mi chiese.
Presi il flacone, versai un’abbondante dose di liquido sulle mani e sulla schiena ed iniziai a stenderlo praticandole un massaggio sulle spalle, sulle braccia e sulla schiena.
Poi ne versai altro sulle gambe e sulle cosce e continuai a spalmarlo salendo dai polpacci alle cosce.
Arrivato ai glutei, presi ulteriore liquido in mano e lo applicai sulla parte scoperta del sedere, prima a sinistra e poi a destra.
Francesca si agitò un po' come per facilitare l’operazione e per comunicarmi il suo piacere.

“Io credo che dovrei spostare un po’ il costume, non vorrei sporcarlo ed ungerlo, non trovi?” le sussurrai.
Francesca annuì senza rispondere, un sorrisino beffardo sulle labbra e sulle guance.

Presi quindi delicatamente con le dita il lembo del costume “Ma hai le mani sporche di crema!” mi redarguì.
“E allora, come te lo abbasso?” le chiesi.
“Con la bocca” rispose.
“Con la bocca?” ripetei per esser certo di aver capito.
“Si, con la bocca. Slacci i lacci e mi abbassi il costume” mi rispose, come se fosse una cosa ovvia e naturale.
Non me lo feci ripetere due volte. Senza toccarla con le mani, che rimanevano appoggiate alle sue chiappe, mi sporsi prima da un lato e poi dall’altro e sciolsi le tirelle che tenevano i due triangoli uniti.
“Ecco, fatto” dissi.
“Ecco, bravo, ora sposta il dietro del costume sempre con la bocca, non usare le mani che me lo sporchi!” sussurrò.
“Sposto dove? Così?” e tirai verso le cosce il triangolo posteriore scoprendole tutta la riga del sedere e parte delle grandi labbra.
“Si, un po’ di più, non vorrei che si sporcasse lo stesso” replicò.
“Così?” e le tirai via tutto lo slip lasciandolo cadere in mezzo alle cosce che nel frattempo aveva divaricato.
“Si, ora prendilo delicatamente e mettilo nella sacca” ordinò, ed io ubbidii.
“Allora ora ti metto la crema anche sulle chiappe, giusto?” sussurrai. Avevo il cuore a mille ed il cazzo che faceva capolino dall’elastico del PortCros azzurrino.
“E certo, se no perché lo abbiamo tolto, scusa?”
Giusto.

Presi altra crema e la passai sulle chiappe, spalmando per bene su tutta la superficie.
“Vuoi che te la passi anche interno coscia?” chiesi
“Ovvio. Vuoi che rimanga la striscia bianca?” ribattè. Francesca non era mai stata particolarmente attenta ai segni del costume, almeno nelle due precedenti vacanze passate assieme.
Le avevo regalato alcuni perizoma da intimo ma era contraria ad indossarli perché diceva che le davano fastidio e che le tiravano troppo i peli. Analogamente, le avevo fatto realizzare apposta su misura anche un perizoma da mare in tessuto metallizzato color bronzo che non aveva mai messo, a suo dire perché si vergognava.
Però quel giorno…

Mi girai verso la spiaggia per dare una rapida occhiata alla situazione.
Gli amici erano tutti in coppia, stesi a pancia in su.
Tutte le ragazze erano in topless.
Patrizia era oggetto di attenzioni e carezze da parte di Andrea il quale, visibilmente eccitato, le stava carezzando la pancia sfiorandole ogni tanto il seno.
Federica e Filippo erano distesi a pancia in giù e si scambiavano baci abbastanza pudichi.
Dede ed Adriano erano a pancia in su. Adriano la toccava da qualche parte all’altezza del pube e lei ricambiava carezzandogli il pisello, entrambi da fuori il costume. Credo che presto sarebbero entrati in acqua comunque.
Mi girai di nuovo verso Francesca ed iniziai a spalmare la crema nell’interno coscia approfittando bellamente della situazione per carezzarle le grandi labbra che erano belle gonfie per l’eccitazione.
“Stai buono, non mi toccare lì che poi è un casino” mi disse.
“Sono curioso di capire qual è il casino che dici” le risposi.
“Poi mi tocca fare un discorso con lui” disse allungando la mano e prendendo il mio pisello che era già bello dritto.
“Uh! Già sta così?” disse facendo finta di essere sorpresa.
“No. È tutta un’illusione” feci la battuta mentre infilai a tradimento due dita dentro la sua fica che era già bella bagnata, come ebbi modo di constatare.

Francesca trasalì un momento, allargò ulteriormente le cosce per accogliere meglio la mia mano e poi mugolò qualcosa del tipo “e no! poi mi viene voglia!”.
Non le diedi modo di replicare ulteriormente perché mi misi a cavalcioni e, facendo finta di spalmarle ancora la crema sulla schiena, le inserii ritmicamente le due dita nella vagina. Poi mi concentrai sul clitoride infilando la mano tra vulva e telo e stimolando con il dito il bottoncino.
Lei sollevò ancora di più il bacino mostrando il suo sesso gonfio e pieno di desiderio mentre mugolava di piacere.
Dopo qualche decina di secondi durante i quali Francesca iniziò ad ansimare e a muoversi con tutto il corpo strusciandosi sulla mia mano, proruppe in un orgasmo bagnato molto intenso che fradiciò letteralmente il telo con i suoi umori. Ero abituato ai suoi orgasmi: la prima volta credevo che se la fosse fatta sotto (e così credeva anche lei, e solo dopo aver consultato la sua ginecologa si tranquillizzò) ma poi in qualche modo godevo anch’io di questa manifestazione di piacere estremo.
Le prime volte ci fermavamo ed interrompevamo il sesso, ora invece era un momento sì importante, ma uno dei numerosi attimi di godimento durante la nostra attività sessuale.

Pur avendo una vistosa erezione e nonostante fossi con metà cazzo fuori del costume non potevo metterglielo dentro così, davanti a tutti.
Mi spostai invece davanti a lei, facendole poggiare la sua testa sulle mie gambe incrociate, con la bocca e le mani alla portata del mio pisello.
Da quella posizione riuscivo peraltro ad osservare la situazione ed a controllare cosa stesse succedendo intorno a noi.
Negli ultimi minuti, le cose si erano fatte calde.

Vidi partire Dede e Adriano, nudi, mano nella mano, andare a passeggiare lungo la spiaggia allontanandosi da noi.
Patrizia e Andrea, invece, erano entrati in acqua e si erano messi a fare sesso senza alcuna inibizione.
Federica e Filippo erano ancora in riva al mare, entrambi seduti sul bagnasciuga, apparentemente senza fare nulla se non prendere il sole.
Tranne Patrizia ed Andrea, che avrebbero potuto effettivamente guardarci, gli altri erano di spalle e troppo impegnati nelle loro attività per cui presi il coraggio, aprii la clip metallica del mio costume e lo sfilaii rimanendo nudo con il cazzo libero di ergersi fino all’ombelico.
Poi lo avvicinai alla bocca di Francesca che lo prese in mano ed iniziò a leccarlo. Stavamo scomodi e comunque la mia fidanzata era molto eccitata.
“Amore, mettiti sopra di me, metti le gambe attorno al mio corpo ed infilati il cazzo dentro” le dissi.
Quasi infoiata, ubbidì. Poggiò la sua fica ancora grondante sulla cappella, poi fece scivolare il mio membro dentro di lei e sistemò le gambe attorno a me, abbracciandomi e baciandomi mentre iniziava a muoversi. Io assecondai i suoi movimenti ed iniziai a mia volta a pompare dentro di lei.
Stimolato anche da quanto ci circondava, mi misi a spingere forte dando colpi profondi. Francesca da parte sua si era attaccata con le braccia al mio collo e si sollevava ritmicamente. Durò poco, squassata dal secondo orgasmo in pochi minuti, proprio mentre venivo a fiotti dentro di lei.
“Amore sono venuto” le dissi.
“Anch’io, ma continua a muovermi, mi piace da morire, potrei venire ancora” mi disse continuando a strusciarsi e a saltare sul mio pisello che, in verità, era ancora bello tosto.
Nel frattempo, sentimmo chiaramente Dede gridare “Dai! Si! Ancora! CAZZO!” accompagnata dai grugniti di Adriano. Avevano scavallato l’altra duna e si erano messi a far sesso nascosti da noi, ma evidentemente non si erano resi conto che li sentivamo.
Dopo un po’ la mia erezione venne meno, con grande insoddisfazione di Francesca che avrebbe gradito un supplemento.
Ci staccammo e ci alzammo.

“Andiamo a fare il bagno e a lavarci” le dissi alzandomi in piedi senza coprire in alcun modo la mia nudità.
“Così, nudi?” disse Francesca.
“E che te lo metti a fare il costume? Non dobbiamo sciacquarci” osservai.
“Si ma io mi vergogno” replicò.
“Scusa, ma abbiamo fatto sesso in pubblico e non te n’è fregato nulla e ora ti vergogni ad entrare in acqua nuda?”
Forse le dava fastidio l’appiccicume dei nostri liquidi che le scolavano, forse l’avevo convinta, sta di fatto che si alzò pure lei e ci recammo, mano nella mano, verso il bagnasciuga. Passammo quasi accanto a Federica e Filippo che nel frattempo erano diventati un po’ più intraprendenti: Federica aveva preso in mano il pisello del suo ragazzo da fuori il costume e lo stava masturbando mentre Filippo le metteva una mano in mezzo alle gambe.
Entrammo in acqua quasi non visti e ci mettemmo in ginocchio per lavarci.
Ci affiancarono Patrizia e Andrea che stavano rientrando.
“Ci avete dato dentro anche voi” ci disse Andrea.
“Pure voi non avete scherzato!” ribattei.
“Dede e Adriano si stanno divertendo di là” disse indicando la duna dietro cui si erano appartati i due.
“E anche oggi, qualcuno NON SCOPA!” disse ad alta voce Andrea rivolto a Filippo e Federica.
“Si, sono d’accordo. Per loro vale il detto «e anche per oggi si scopa domani»!” ridacchiai.
Anche le ragazze sbottarono a ridere.
Iniziai a cantare “Ollelè, ollallà, fajela vedè, fajela toccà” subito seguito in coro dagli altri.

Mi ero appena vendicato di Atene.
=================================================================
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Non so se si supera. Io so solo che sono quasi alla fine del racconto di quel viaggio.
Credo che ho solo un paio di episodi, e finirà pure questo.
Per quanto anziano e con un notevole bagaglio di esperienze, quel che rimane da raccontare è veramente poco.
A meno che qualcuno non sia interessato alle avventure del cambio del pannolone o dello svuotamento del pappagallo ;)
Vabbè, vuol dire che mi butterò sui racconti di fantasia. Quella, grazie al cielo non manca.
Comunque grazie per il tuo supporto!
 

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La spiaggia nudista 2: ci riproviamo​

Il mattino dopo ci svegliamo ancor più tardi, troppo tardi per andare dove avevamo deciso, ovvero in una spiaggia molto isolata al sud dell’isola.
Vista l’ora, decidemmo di andare al mare il più vicino possibile.
Andammo quindi a piedi fino alla spiaggia di Agios Georgios, visto che era mezzogiorno passato.

“Ecco, guardate che carnaio di gente! Io non ci voglio stare in mezzo al casino!” proruppe Federica.
“Beh, se continuiamo a svegliarci alle 11 e ad uscire a mezzogiorno, sarà difficile che troviamo qualcosa di libero, no?” le rispose Andrea, ancora incazzato per la figuraccia fatta la sera prima da Patrizia. Sembrava che non si fossero parlati da quando si erano svegliati, ed in effetti Patrizia era di pessimo umore, gli occhi celati da un gran paio di occhiali da sole ed un cappello di paglia ad ampie tese che le nascondevano parte del viso.
Parlottammo un po’ discutendo se andare da un’altra parte o rimanere lì cercando uno spazio dove stenderci visto che di ombrelloni e lettini non se ne parlava proprio, dato l’affollamento.

Timidamente proposi di ritornare ad Agios Prokopios, visto che c’eravamo già stati, c’era la trattoria a mare per mangiare qualcosa e non c’era molta gente.

“Si però come ci arriviamo?” dissero quasi all’unisono Francesca e Dede.
“Col tassì. Il parcheggio è qui dietro” risposi.
“Ma dobbiamo prenderne due!” interloquirono Federica e Filippo.
“Ho capito: allora andiamo a piedi? Lo sapevamo che qui in Grecia è tutto più complicato negli spostamenti!” ribattei.
“Sentite, facciamo un tentativo, vediamo cosa troviamo al parcheggio. Se c’è Joannidis, chiediamo un parere a lui. Che ne pensate? Tanto è qui a due passi. A quest’ora avremmo già concluso, invece di stare a perdere tempo in chiacchere” e mi incamminai verso il parcheggio poco distante.

Proprio in quel momento, mentre attraversavo la strada senza guardare, giunse un pulmino Volkswagen Bulli anni ’60 che sicuramente aveva visto tempi migliori. Per fortuna aveva i freni revisionati perché evitò per poco di investirmi.

Il guidatore si sporse dal finestrino ed inveì in un profluvio di imprecazioni gesticolando con le mani e ponendole nel chiaro gesto caratteristico dei romani “An vedi questo!”.
“Oh, scusa! Però, pure tu, annà più piano no, eh?” dissi ad alta voce.
“E poi, sai che c’è? Stai carmino bel bambino!” aggiunsi, sempre da alta voce.
“NOOO! A regà! Siete de Roma? Nun ce posso crede!” rispose con un sorriso a 32 denti, in perfetto romanesco.
Si fermò con il pulmino in mezzo alla strada, scese e mi venne incontro con le braccia aperte “Oh, uno de’ Roma, nun ce posso crede! A regà!” poi, rivolto agli altri “Ma che siete tutti de Roma?” aggiunse.
“Si…” rispondemmo perplessi.
“Io so’ Gregorio Panakulis, so’ nato a Roma e so vissuto fino a du’ anni fa a casa mia a Trastevere: SO DE’ ROMA! FORZA MAGGICA!” mostrando la sciarpa giallorossa.
Sorridemmo tutti. Era assurdo ma è proprio vero: noi romani ci facciamo riconoscere sempre e comunque per la nostra espansività.
Chiacchierammo cinque minuti, lui ovviamente molto interessato alle ragazze più che a noi.
Ci raccontò di avere 32 anni e di essere tornato a Naxos insieme alla sorella di quattro anni più giovane per rilevare la casa e la taverna che avevano ereditato dalla nonna. Avevano provato ad aprire una attività turistica ed ebbero fortuna grazie al boom di interesse verso le isole egee soprattutto in Italia, Germania e Austria.
Gli chiesi con la massima nonchalance: “Hai idea come potremmo arrivare a Agios Prokopios? C’è un mezzo che non sia il tassì per arrivare lì?”
“Agios Prokopios? No, solo il tassì. Ma che dovete andare a fare a Agios Prokopios? Mare? sole/spiaggia/mangiare?” chiese.
“Beh, si, ovvio” rispose Patrizia che nel frattempo sembrava appena svegliata.
“Sentite, io vi propongo invece la spiaggia di Kastraki, che è molto più bella” continuò Gregorio.
“Si però è più lontana: dobbiamo comunque andarci in tassì, visto che non esistono mezzi” dissi.
“In realtà avete altre due possibilità: il bus, che comunque arriva a Kastraki, ma poi vi lascia in mezzo alla strada e poi dovete fare circa un paio di km a piedi fino alla spiaggia, oppure vi ci porto io” propose Gregorio.
“Ascoltate, facciamo un patto. Io vi porto lì alla spiaggia diciamo tra dieci minuti, poi vi riporto indietro stasera. Voi in cambio mangiate al mio ristorante in spiaggia. Va bene?”
“Direi che ci possiamo stare, vero ragazzi?” chiesi pro forma, ma convinto della bontà della proposta.

Non ci furono obbiezioni di alcun genere.

“Allora, salite. Devo andare a prendere qualche cassa d’acqua e di vino e poi torniamo indietro. Dai, salite”
“Ma …tutti? C’entriamo? Siamo in otto!”
“Se è per questo, siamo in nove con me. Dai, stringetevi un po’ che devo caricare pure le casse, qualcuno ci si siederà sopra!” sorrise.
Salimmo e ci stringemmo un po’ ma alla fine, non era nemmeno tanto scomodo.
Dopo averlo aiutato a caricare acqua e vino, partimmo alla volta di Kastraki.
“Kastraki è una spiaggia bellissima, vedrete che vi piacerà. E oggi avete pure fortuna, non c’è il solito vento per cui starete benissimo, forse un po’ più caldo del solito ma l’acqua del mare è meravigliosa. E poi, non so se lo sapete, è una spiaggia rigorosamente nudista, tranne il tratto di fronte al parcheggio ed alla mia taverna.
Basta fare cinquanta metri a nord o a sud, si superano due dune ed è il paradiso dei naturisti. Nessuno dà fastidio, nessuno disturba, tutti si fanno i cazzi loro” disse facendoci l’occhiolino.
Dopo un quarto d’ora di strada in gran parte bianca, arrivammo alla spiaggia.
Scendemmo dal Bulli e ci rendemmo conto che erano le due passate.
“Ma se venissimo al volo a mangiare?” buttai lì.
E certo, e che state ad aspettà? ‘Nnamo!” disse.
Gli demmo una mano a scaricare acqua e vino e a portarlo dietro alla cucina.
Metteteve seduti” e ci indicò un paio di tavoli vuoti sotto gli alberi.
Mo’ ve manno quarcuno ad apparecchià. Poi vengo io.

Seguimmo le indicazioni. In effetti tempo due o tre minuti venne al tavolo una ragazza circa nostra coetanea, mora, lunghi capelli e con il caratteristico naso greco importante. “Ciao, io sono Irene e sono la sorella di Gregorio: siete tutti di Roma, quindi?” chiese rivolgendosi a noi in perfetto italiano/romano
“Si, ma non tutti siamo romanisti. C’è un lazialaccio tra noi!” dissi indicando Adriano.
“Allora lui non mangia” rispose sorridendo Irene.
“Ragazzi, io sono romana come voi e so’ che la cucina greca non piace a tutti. Quindi, visto che siete voi, vi propongo una pasta semplice semplice e del pesce alla griglia. La pasta è Barilla e viene tutte le settimane, il pesce è pescato oggi, sono delle aguglie e dei saraghi. Poi vi porto delle patate fritte oppure una insalatona di pomodori freschi tagliati a pezzi e conditi con l’olio nostro che, fatevelo dire, è meglio della maggior parte degli oli della Sabina, Umbria e Toscana che trovate in Italia. Per chi vuole aggiungo della cipolla tagliata a fette e dei cetrioli, ma se preferite, solo pomodori col basilico. Vi va bene?”
E chi ti manda?!!!” rispose Filippo inginocchiandosi e levando le mani al cielo.
“Per me va bene insalata solo pomodori.”
“Anche a me!”
“Pure a me!”
“Pure io!”
“Io pure, senza cipolla e senza cetrioli!”
“Potremmo aggiungere due patatine fritte?” chiesero Dede e Patrizia.
“Irene, direi che siamo a posto. Pasta e pesce per tutti, fai una bella cofana di pomodori e poi un vassoio di patatine fritte, diciamo tre porzioni, va bene?”
“Facciamo quattro!” aggiunse Andrea.
“Aggiudicato!” concluse Irene. “Allora, piace a tutti l’origano? Perché nella salsa di pomodoro ce ne mettiamo un po’” spiegò
“PERFETTO!” fu il comune commento.

Dopo qualche minuto tornò Gregorio che ci portò del pane ed una brocca di vino bianco gelato assieme ad un paio di bottiglie d’acqua. Facemmo le presentazioni “ufficiali” e ci raccontò la storia sua e della sorella.

“Siamo nati a Roma da genitori greci che si erano trasferiti in Italia nel 1960 quando c’era il boom economico. I nostri genitori si erano appena sposati ed in Grecia, in quei tempi, non c’erano tante opportunità di lavoro quanto oggi. Papà era un ingegnere e mamma era laureata in lettere classiche ed aveva studiato greco antico e latino. Loro parlavano già italiano perché la loro nonna materna era di Rodi ed era di antica origine veneta e l’avevano imparato durante le vacanze. Poi papà morì di infarto e mamma, insegnante di lettere al liceo classico Vittoria Colonna, si trovò a scegliere di tornare in Grecia, nel frattempo oggetto di un colpo di stato militare, o di rimanere in Italia.
Tornare era impossibile, per cui decise di rimanere a Roma.
Poi, due anni fa morì la nonna paterna, che era originaria di Naxos, e tra le varie cose ci toccò in eredità la proprietà di due case, di cui una sul mare proprio di fronte al porto, e di questa taverna che è stata ricostruita prima della guerra.
Noi venimmo qui con mamma per le vacanze cinque anni fa e vedemmo che c’era già un interesse al turismo. Decidemmo di vendere la casa di Roma e di trasferirci qui e tentare la sorte.
Oggi abbiamo una specie di pensioncina con quattro camere sul porto e questa taverna. Lavoriamo duro per quattro mesi all’anno per guadagnare quel che ci serve per campare negli altri mesi, pagare i costi di manutenzione e le varie tasse, e mettere qualcosa da parte. Però qui basta poco per campare dignitosamente. E di inverno, c’è veramente poco da fare. Infatti io vivo in un paesino vicino ad Atene dove c’è la famiglia della mia fidanzata durante l’inverno mentre Irene sta qui con il suo fidanzato e la mamma.”

“Però il resto se volete ve lo racconto dopo, vado a prendere la pasta che mi sa che è pronta” concluse.

Ed in effetti dopo poco arrivò con le prime scodelle piene e fumanti di spaghetti al sugo.

Erano delle porzioni enormi, tipo due etti a piatto, ed il profumo era inebriante.
Ci gettammo con voracità sulla pasta gustando il sapore pieno della salsa di pomodoro.
“Ma chi l’ha fatto?” chiesi.
“Lo fa mamma. E lo fa con i pomodori del nostro orto, a ottobre. Mettiamo quintali di pomodori a bollire, li tritiamo, li passiamo e poi li imbottigliamo. Poi, quando fa la salsa aggiunge i suoi segreti. So che c’è del pepe, del peperoncino, l’origano, il sale, l’olio di oliva, l’aglio, ma non so in che proporzioni e in che ordine” rispose.
Era talmente buona che la finimmo più o meno tutti in pochissimo.
“Chi vuole un ripassino?” venne Irene con la pentola in mano. “Ce n’è rimasta un po’, forse un paio di porzioni abbondanti” disse.
“Io!” disse Filippo
“Io!” si aggiunse Andrea
“Io!” disse Adriano
“IO!” urlai.
“Vabbè, dividetela in quattro!” disse Irene
“E noi no?” chiesero le ragazze.
Dividemmo quelle due porzioni in otto, giusto una forchettata a testa. Ma ne avremmo mangiata tutti due volte tanto, se ce ne fosse stata la possibilità.
Dopo qualche minuto Gregorio e Irene arrivarono con i piatti del pesce.
Dietro di loro una signora sulla settantina, con i capelli raccolti in un fazzoletto, un lungo grembiule sopra un camicione da lavoro portava una ciotola enorme piena di pomodori.
“Complimenti signora per la salsa di pomodoro! Era eccezionale. Buonissima!” mi alzai in piedi per salutare e complimentarmi.
“Si, vero, buonissima, bravissima, complimenti!” dissero un po’ tutti.
Anche il pesce fu spazzolato in men che non si dica, di sapore delicato, tenerissimo e cotto alla perfezione. Le patatine scomparirono in un attimo mentre Francesca, Filippo ed io ci concentrammo sulla cofana di pomodori. “Chi ne vuole?” chiedemmo.
“Dammene un paio!” disse Federica a Filippo.
“Anche a noi, daccene una cucchiaiata” si aggiunsero Adriano e Dede.
Serviti gli amici, presi la ciotola e la misi davanti a me.
Come passò Irene, le chiesi del pane.
“Per favore, non tagliarlo a fette. Se me ne porti mezza pagnottina, la uso per fare la scarpetta” spiegai.
Non avete idea di quanto buono potesse essere quel piatto. I pomodori erano dolci, succosi, maturi al punto giusto. Il condimento – olio, sale, pepe e origano – era abbondante e perfetto.
Credo di averne mangiati almeno un chilo, quella volta.
Come arrivò il pane, feci la scarpetta con pezzi enormi. Dovetti cederne uno a Francesca che voleva a tutti i costi attingere anche lei alla ciotola.

Quel giorno non esagerammo con il vino. Anzi, la caraffa da un litro bastò per tutto il pasto, nonostante fossimo in otto.

Ci portarono il caffè fatto con la moka (un trattamento di lusso) e pagammo il conto, circa 1.000 dracme a testa, 11.000 lire a persona.

“Allora noi andiamo in spiaggia a prendere un po’ di sole” dissero gli amici.
“Vi raggiungiamo subito” rispondemmo Francesca ed io.
Chiedemmo di andare un momento in bagno prima di andare in spiaggia.
“Allora io devo tornare indietro in paese verso le sette, non più tardi, perché devo ricaricare acqua e vino per stasera” ci disse Gregorio. “Vi aspetto qui facciamo alle sei e mezza, d’accordo?” proseguì.
“Direi di si, perfetto” risposi.
Salutammo e ci incamminammo.

Non avevo notato che nel frattempo Francesca si era spogliata, rimanendo solo con lo slip del costume a tanga ed una canottierina aderente senza reggiseno.
“Come mai questa scelta?” le chiesi
“Non mi andava di cambiarmi in spiaggia davanti a tutti” mi rispose.
“Stiamo andando alla spiaggia nudista, lo sai” le dissi
“Si, ma non mi interessa. Semmai mi tolgo il pezzo di sopra, ma lo slip lo tengo. Mi vergogno davanti a tutti!” replicò.
“Ma ieri, non hai avuto scrupoli a farti vedere da tutti” obiettai.
“A parte che ieri sera era buio e che eravamo in altre condizioni” rispose “poi non erano poi tutti e comunque oggi non mi va.”
La conoscevo, so che se avessi insistito ora, non avrei ottenuto nulla se non il suo muso ed i suoi rimbrotti. E non ne avevo voglia.
Superammo la duna naturale che separava la caletta della taverna da quella subito a fianco.
C’erano solo altre due coppie verso il fondo della spiaggia, al confine opposto, probabilmente nude, ma troppo lontane per esserne certi.

“Beh, è una ficata questo posto” disse Filippo.
“L’acqua è stupenda. Peccato aver mangiato tardi. Aspetto un paio d’ore prima di farmi il bagno” aggiunse Federica tenendo sotto braccio Filippo.
“Se lo fai subito, non hai ancora iniziato la digestione” teorizzò Andrea.
“Ma dai, abbiamo finito alle tre passate, sono quasi le quattro. E’ pericoloso” ci ammonì Adriano.
“Bah, prenderemo il sole” conclusero le ragazze.
Stendemmo i nostri teli a coppie, non troppo appiccicati visto che c’era spazio in abbondanza.

La costa formava tante calette di dimensioni tra i cento e i duecento metri di lunghezza con una profondità di una decina di metri dal bagnasciuga alla pinetina che stava alle nostre spalle.
Avevo proposto a Francesca di stenderci all’ombra di uno di quei pinetti bassi per evitare di cuocerci. A tale scopo, presi i nostri teli e li misi proprio sotto l’ombra del pino più vicino alla spiaggia. Il sole era quasi parallelo alla costa e le ombre si allungavano un po’ per cui c’erano venti metri abbondanti tra noi ed il bagnasciuga e almeno altrettanti dagli altri amici.

“Io però vorrei prendere comunque un po’ di sole. Ora mi metto qui, poi semmai vado in riva al mare” mi disse.
Quindi si sfilò la canottiera rimanendo in topless e si sdraiò sulla pancia, a schiena in sù.
Indossava uno slip a tanga bianco con i triangoli anteriore e posteriore molto ridotti e legati da laccetti. Glielo avevo comprato in occasione di questo viaggio ma mi aveva detto che lo aveva lasciato a Roma perché era troppo piccolo e diventava trasparente una volta bagnato.
E invece lo aveva messo in valigia ed indossato.

Si era appena distesa “Amore, mi spalmi la crema solare per favore?” mi chiese.
Presi il flacone, versai un’abbondante dose di liquido sulle mani e sulla schiena ed iniziai a stenderlo praticandole un massaggio sulle spalle, sulle braccia e sulla schiena.
Poi ne versai altro sulle gambe e sulle cosce e continuai a spalmarlo salendo dai polpacci alle cosce.
Arrivato ai glutei, presi ulteriore liquido in mano e lo applicai sulla parte scoperta del sedere, prima a sinistra e poi a destra.
Francesca si agitò un po' come per facilitare l’operazione e per comunicarmi il suo piacere.

“Io credo che dovrei spostare un po’ il costume, non vorrei sporcarlo ed ungerlo, non trovi?” le sussurrai.
Francesca annuì senza rispondere, un sorrisino beffardo sulle labbra e sulle guance.

Presi quindi delicatamente con le dita il lembo del costume “Ma hai le mani sporche di crema!” mi redarguì.
“E allora, come te lo abbasso?” le chiesi.
“Con la bocca” rispose.
“Con la bocca?” ripetei per esser certo di aver capito.
“Si, con la bocca. Slacci i lacci e mi abbassi il costume” mi rispose, come se fosse una cosa ovvia e naturale.
Non me lo feci ripetere due volte. Senza toccarla con le mani, che rimanevano appoggiate alle sue chiappe, mi sporsi prima da un lato e poi dall’altro e sciolsi le tirelle che tenevano i due triangoli uniti.
“Ecco, fatto” dissi.
“Ecco, bravo, ora sposta il dietro del costume sempre con la bocca, non usare le mani che me lo sporchi!” sussurrò.
“Sposto dove? Così?” e tirai verso le cosce il triangolo posteriore scoprendole tutta la riga del sedere e parte delle grandi labbra.
“Si, un po’ di più, non vorrei che si sporcasse lo stesso” replicò.
“Così?” e le tirai via tutto lo slip lasciandolo cadere in mezzo alle cosce che nel frattempo aveva divaricato.
“Si, ora prendilo delicatamente e mettilo nella sacca” ordinò, ed io ubbidii.
“Allora ora ti metto la crema anche sulle chiappe, giusto?” sussurrai. Avevo il cuore a mille ed il cazzo che faceva capolino dall’elastico del PortCros azzurrino.
“E certo, se no perché lo abbiamo tolto, scusa?”
Giusto.

Presi altra crema e la passai sulle chiappe, spalmando per bene su tutta la superficie.
“Vuoi che te la passi anche interno coscia?” chiesi
“Ovvio. Vuoi che rimanga la striscia bianca?” ribattè. Francesca non era mai stata particolarmente attenta ai segni del costume, almeno nelle due precedenti vacanze passate assieme.
Le avevo regalato alcuni perizoma da intimo ma era contraria ad indossarli perché diceva che le davano fastidio e che le tiravano troppo i peli. Analogamente, le avevo fatto realizzare apposta su misura anche un perizoma da mare in tessuto metallizzato color bronzo che non aveva mai messo, a suo dire perché si vergognava.
Però quel giorno…

Mi girai verso la spiaggia per dare una rapida occhiata alla situazione.
Gli amici erano tutti in coppia, stesi a pancia in su.
Tutte le ragazze erano in topless.
Patrizia era oggetto di attenzioni e carezze da parte di Andrea il quale, visibilmente eccitato, le stava carezzando la pancia sfiorandole ogni tanto il seno.
Federica e Filippo erano distesi a pancia in giù e si scambiavano baci abbastanza pudichi.
Dede ed Adriano erano a pancia in su. Adriano la toccava da qualche parte all’altezza del pube e lei ricambiava carezzandogli il pisello, entrambi da fuori il costume. Credo che presto sarebbero entrati in acqua comunque.
Mi girai di nuovo verso Francesca ed iniziai a spalmare la crema nell’interno coscia approfittando bellamente della situazione per carezzarle le grandi labbra che erano belle gonfie per l’eccitazione.
“Stai buono, non mi toccare lì che poi è un casino” mi disse.
“Sono curioso di capire qual è il casino che dici” le risposi.
“Poi mi tocca fare un discorso con lui” disse allungando la mano e prendendo il mio pisello che era già bello dritto.
“Uh! Già sta così?” disse facendo finta di essere sorpresa.
“No. È tutta un’illusione” feci la battuta mentre infilai a tradimento due dita dentro la sua fica che era già bella bagnata, come ebbi modo di constatare.

Francesca trasalì un momento, allargò ulteriormente le cosce per accogliere meglio la mia mano e poi mugolò qualcosa del tipo “e no! poi mi viene voglia!”.
Non le diedi modo di replicare ulteriormente perché mi misi a cavalcioni e, facendo finta di spalmarle ancora la crema sulla schiena, le inserii ritmicamente le due dita nella vagina. Poi mi concentrai sul clitoride infilando la mano tra vulva e telo e stimolando con il dito il bottoncino.
Lei sollevò ancora di più il bacino mostrando il suo sesso gonfio e pieno di desiderio mentre mugolava di piacere.
Dopo qualche decina di secondi durante i quali Francesca iniziò ad ansimare e a muoversi con tutto il corpo strusciandosi sulla mia mano, proruppe in un orgasmo bagnato molto intenso che fradiciò letteralmente il telo con i suoi umori. Ero abituato ai suoi orgasmi: la prima volta credevo che se la fosse fatta sotto (e così credeva anche lei, e solo dopo aver consultato la sua ginecologa si tranquillizzò) ma poi in qualche modo godevo anch’io di questa manifestazione di piacere estremo.
Le prime volte ci fermavamo ed interrompevamo il sesso, ora invece era un momento sì importante, ma uno dei numerosi attimi di godimento durante la nostra attività sessuale.

Pur avendo una vistosa erezione e nonostante fossi con metà cazzo fuori del costume non potevo metterglielo dentro così, davanti a tutti.
Mi spostai invece davanti a lei, facendole poggiare la sua testa sulle mie gambe incrociate, con la bocca e le mani alla portata del mio pisello.
Da quella posizione riuscivo peraltro ad osservare la situazione ed a controllare cosa stesse succedendo intorno a noi.
Negli ultimi minuti, le cose si erano fatte calde.

Vidi partire Dede e Adriano, nudi, mano nella mano, andare a passeggiare lungo la spiaggia allontanandosi da noi.
Patrizia e Andrea, invece, erano entrati in acqua e si erano messi a fare sesso senza alcuna inibizione.
Federica e Filippo erano ancora in riva al mare, entrambi seduti sul bagnasciuga, apparentemente senza fare nulla se non prendere il sole.
Tranne Patrizia ed Andrea, che avrebbero potuto effettivamente guardarci, gli altri erano di spalle e troppo impegnati nelle loro attività per cui presi il coraggio, aprii la clip metallica del mio costume e lo sfilaii rimanendo nudo con il cazzo libero di ergersi fino all’ombelico.
Poi lo avvicinai alla bocca di Francesca che lo prese in mano ed iniziò a leccarlo. Stavamo scomodi e comunque la mia fidanzata era molto eccitata.
“Amore, mettiti sopra di me, metti le gambe attorno al mio corpo ed infilati il cazzo dentro” le dissi.
Quasi infoiata, ubbidì. Poggiò la sua fica ancora grondante sulla cappella, poi fece scivolare il mio membro dentro di lei e sistemò le gambe attorno a me, abbracciandomi e baciandomi mentre iniziava a muoversi. Io assecondai i suoi movimenti ed iniziai a mia volta a pompare dentro di lei.
Stimolato anche da quanto ci circondava, mi misi a spingere forte dando colpi profondi. Francesca da parte sua si era attaccata con le braccia al mio collo e si sollevava ritmicamente. Durò poco, squassata dal secondo orgasmo in pochi minuti, proprio mentre venivo a fiotti dentro di lei.
“Amore sono venuto” le dissi.
“Anch’io, ma continua a muovermi, mi piace da morire, potrei venire ancora” mi disse continuando a strusciarsi e a saltare sul mio pisello che, in verità, era ancora bello tosto.
Nel frattempo, sentimmo chiaramente Dede gridare “Dai! Si! Ancora! CAZZO!” accompagnata dai grugniti di Adriano. Avevano scavallato l’altra duna e si erano messi a far sesso nascosti da noi, ma evidentemente non si erano resi conto che li sentivamo.
Dopo un po’ la mia erezione venne meno, con grande insoddisfazione di Francesca che avrebbe gradito un supplemento.
Ci staccammo e ci alzammo.

“Andiamo a fare il bagno e a lavarci” le dissi alzandomi in piedi senza coprire in alcun modo la mia nudità.
“Così, nudi?” disse Francesca.
“E che te lo metti a fare il costume? Non dobbiamo sciacquarci” osservai.
“Si ma io mi vergogno” replicò.
“Scusa, ma abbiamo fatto sesso in pubblico e non te n’è fregato nulla e ora ti vergogni ad entrare in acqua nuda?”
Forse le dava fastidio l’appiccicume dei nostri liquidi che le scolavano, forse l’avevo convinta, sta di fatto che si alzò pure lei e ci recammo, mano nella mano, verso il bagnasciuga. Passammo quasi accanto a Federica e Filippo che nel frattempo erano diventati un po’ più intraprendenti: Federica aveva preso in mano il pisello del suo ragazzo da fuori il costume e lo stava masturbando mentre Filippo le metteva una mano in mezzo alle gambe.
Entrammo in acqua quasi non visti e ci mettemmo in ginocchio per lavarci.
Ci affiancarono Patrizia e Andrea che stavano rientrando.
“Ci avete dato dentro anche voi” ci disse Andrea.
“Pure voi non avete scherzato!” ribattei.
“Dede e Adriano si stanno divertendo di là” disse indicando la duna dietro cui si erano appartati i due.
“E anche oggi, qualcuno NON SCOPA!” disse ad alta voce Andrea rivolto a Filippo e Federica.
“Si, sono d’accordo. Per loro vale il detto «e anche per oggi si scopa domani»!” ridacchiai.
Anche le ragazze sbottarono a ridere.
Iniziai a cantare “Ollelè, ollallà, fajela vedè, fajela toccà” subito seguito in coro dagli altri.

Mi ero appena vendicato di Atene.
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Paolo
Fantastico!!! Fammi sapere se posso pubblicare il pdf
 

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