10. Il gioco vale la candela? - Finale
Quella notte non dormii. Ero notevolmente agitato, pieno di sensi di colpa ed avevo addosso una strana sensazione sul fatto che Marta potesse aver scoperto qualcosa una volta tornata a casa. E il mio intuito non sbagliava.
Mi svegliai piuttosto tardi e del messaggio di buongiorno di Marta, solitamente consuetudine, non c’era traccia. Provai a pensare che anche lei stava dormendo più del dovuto. Ma quando, alle tre del pomeriggio, non avevo ancora sue notizie, le scrissi timorosamente un messaggio. La sua risposta non tardò ad arrivare, e non nascondeva minimamente quello che mi aspettava.
“Buongiorno, vieni da me più tardi? Ho bisogno di parlarti.”
Niente “amore”, niente faccine, niente cuori. Un testo breve e distaccato. Il messaggio era inequivocabile. Non c’era spazio per pensare a niente di diverso del fatto che mi aveva scoperto. Mi sentii morire dentro, ma dovevo andare incontro al mio destino.
Marta mi attendeva seduta al tavolo, con le braccia conserte e lo sguardo rivolto verso il basso. L’aria desolata, con gli occhi che sarebbero potuti zampillare di lacrime da un momento all’altro, facevano da cornice all’atmosfera tesa che si respirava in casa. Accanto al tavolo, diverse borse ed uno zaino già preparati.
“Dimmi solo perché…” iniziò lei.
Io la guardai imbarazzato, desolato e con il cuore ricolmo di vergogna.
“Io mi ero fidata di te...” continuò lei alzando il viso ed iniziandomi a guardare con lo sguardo angosciato. “Eri la mia prima storia seria dai tempi del liceo e con te mi sono spinta in cose che non avevo mai fatto prima. Mi stavo innamorando di te.”
Sentii il mio cuore frantumarsi. Non provai neanche a negare, per paura di peggiorare la situazione.
“Marta, io…” balbettai, “non ho scuse lo so…”
“No, non le hai!” sbottò lei. “Tu, e QUELL’ALTRA STRONZA della mia coinquilina, mi fate schifo, davvero.” disse urlando e sottolineando quelle parole per farsi sentire da Costanza, chiusa nella sua camera.
“Non hai niente da dire?” mi incalzò.
“Marta, che devo dirti, hai ragione…Mi dispiace.” farfugliai io, prepotentemente imbarazzato.
“Ti dispiace? TI DISPIACE?” insistette lei alzandosi in piedi e scaraventando il suo cellulare per terra. “Nel mio letto poi! L’avete fatto nel mio letto! L’ho trovato umido quando sono andata a dormire ieri sera. Come anche il mio accappatoio. Dormire poi, come se avessi dormito.”
A queste parole la rabbia lasciò il posto repentinamente ad una profonda disperazione. Il suo volto cominciò a rigarsi, con le lacrime che scorrevano come un fiume in piena sulle sue guance. Non ebbi il coraggio di dire niente. La lasciai sfogare e lei, dopo averci maledetto, raccolse il suo cellulare, impugnò zaino e borse, e se ne andò.
“Andate a fare in culo, tutti e due. Non voglio vedervi mai più.”
Una statua immobile con le mie fattezze prese il posto del mio corpo per qualche secondo. Poi, Costanza uscì dalla sua camera, non sembrando minimamente toccata da quello che era appena accaduto.
“Brutta situazione, eh?” commentò senza un briciolo di empatia.
“Costanza, per favore.” risposi io irritato. “Ma poi che cazzo è successo? Lei ha visto semplicemente il letto umido ed ha fatto 2+2?”
“Sì, l’ha visto ed ha intuito qualcosa. Quindi mi ha chiesto se avessimo fatto sesso ed io le ho risposto di sì.”
“Ma tu sei proprio…” urlai io esasperato senza sapere più che insulto rivolgerle. “Ma non potevi negare? Giustificarti? Inventare una scusa?”
“Lei mi ha fatto una domanda ed io le ho risposto.” disse lei candidamente.
La rabbia mi appannò completamente. Non avevo mai fatto una cosa del genere prima, men che meno ad una donna. Spinto dall’ira, le rifilai un ceffone in pieno volto.
Costanza scoppiò a ridere sonoramente. Mi guardò con occhi di ghiaccio. Poi mi tirò a sé.
“Mi piace quando sei violento.” esclamò, prima di fiondarsi sulla mia bocca per baciarmi.
Fui preso alla sprovvista. Ero stremato dalla rabbia, dallo stress e dalla sofferenza, e mi lasciai andare all’unica soluzione apparentemente disponibile e certamente anche la peggiore.
Inghiottii le lacrime e feci confluire tutte le mie emozioni verso una rabbia sessuale che si mostrò sotto forma di istantanea erezione.
La girai faccia al muro e le abbassai con uno strattone i pantaloni della tuta. Non pensai minimamente a lei stavolta, non sincerandomi neanche del fatto che potesse essere non abbastanza umida e pronta per la penetrazione. Abbassai anche i miei vestiti. La presi da dietro e, sollevandole leggermente una gamba, glielo spinsi dentro con violenza.
Per una volta mi aveva detto la verità: le piaceva realmente la brutalità durante l’atto. Nonostante un po’ di attrito causato dal suo antro non ancora lubrificato, non fece una piega, ed anzi iniziò subito a godere. La rabbia che provavo compiva i movimenti al mio posto. Mi sentivo come un animale selvaggio che effettuava un atto meccanico. Ciononostante, il mio godimento era a livelli estremi.
Impressi più e più volte con violenza la sagoma delle mie cinque dita sulla pelle candida dei suoi glutei, che rimbalzavano sotto i miei colpi feroci. In un barlume di lucidità, mi tornò di nuovo alla mente la sua zona erogena del ginocchio, che stuzzicai a dovere fino a farla venire. Stavolta urlò senza darsi un contegno. Forse per la prima volta non mi stava più manipolando, ma stava realmente godendosi me ed il mio membro che la esplorava senza pietà dandole un piacere senza precedenti.
Il rapporto durò poco, ma fu eccezionalmente intenso. Due minuti a quel ritmo forsennato mi spinsero velocemente ad attimi dall’orgasmo. Con la stessa violenza che aveva contraddistinto l’atto, lo estrassi cominciando a gemere e premendo Costanza in basso verso il pavimento, spingendola ad inginocchiarsi. Per la prima volta avevo io una situazione di potere su di lei, ma ciò non valeva comunque la sofferenza causata a me a Marta. Tuttavia, sul momento la mia eccitazione non era misurabile.
Lei, ancora piena di fervore, assecondò il mio desiderio e bastò un minimo contatto con la sua bocca a farmi liberare. Sembrò quasi sorpresa dal primo fiotto, ma poi continuò diligentemente nella sua opera fino ad asciugarmi anche l’ultima goccia.
Smaltite le endorfine date dall’orgasmo, Costanza tornò immediatamente la spietata di sempre.
“Vabbè, ora mi tocca trovare una nuova coinquilina.” disse freddamente ricomponendosi.
La magia data da quel sesso brutale era già svanita. Realizzai con tristezza che lei era questa, e che sarebbe stato meglio farsene una ragione. E soprattutto sarebbe stato meglio non vederla più, per preservare la mia salute mentale.
“Ciao, Costanza.” la salutai io con aria mesta, andandomene con le pive nel sacco. Lei ricambiò il mio saluto con un accenno di sorriso forzato e con un gesto della mano.
Da quel giorno non sentii né vidi più Marta. Troppo devastata lei e troppo pieno di rimorso io per cercare un qualsivoglia contatto.
Costanza la incontrai qualche altra volta in diverse serate, sempre incantevole e diabolicamente bella. Ma non provai minimamente alcun tipo di approccio.
Venni poi a conoscenza del suo background, ovvero una straziante delusione d’amore provata ai tempi del liceo, che l’aveva spinta da quel momento in avanti ad un comportamento senza scrupoli nei confronti di qualsiasi ragazzo con cui ebbe a che fare. Seppi poi che non fui l’unico a subire la rottura di una relazione a causa di Costanza. Era solita mettere zizzania, quando ne aveva l’occasione, tra le coppie, sfruttando il suo grande ascendente da femme-fatale e cercando spesso volutamente ragazzi fidanzati con cui andare.
Ad ogni modo, se a posteriori posso dire di essere pentito di aver rovinato una potenziale e sincera storia d’amore con Marta a causa di un paio di scopate, è innegabile che l’essere andare andato a letto con una ragazza stupenda come Costanza, al netto della sua instabilità e tirannia, fu un’esperienza a suo modo incredibile, fuori dal comune e paurosamente eccitante.