Esperienza reale La formazione della nuova capo

YanezDeGomera

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Ciao a tutti! Sono alla mia prima esperienza qui, e vorrei provare a raccontare di questa mia storia. Risale ad alcuni anni fa, quando ancora ero capo scout, ed è stata tra le vicende che mi hanno poi portato a lasciare la vita da scout.
Mi scuserete, spero di non creare doppioni, ho già provato a postare questa storia ma non saprei se ho sbagliato qualcosa ad aprire il thread, o se un passaggio che poteva sembrare controverso ne ha decretato la cancellazione. In ogni caso, l'ho rimosso e tengo a specificare che la storia non ha assolutamente nessun contenuto controverso o fuori dal regolamento, e spero di poter postare una storia che sia di vostro interesse e gradimento.
 
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YanezDeGomera

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Di Valentina, giovane ventunenne aiuto capo, ero stato capo scout cinque anni prima, quando lei era sedicenne e io, il suo capo reparto, avevo 27 anni. Ora era quasi una mia pari, ed il mio compito era di fornirle la formazione necessaria a diventare a sua volta capo scout come me. La ricordavo bene, era una ragazzina snella e agile, molto alta per la sua età, soprattutto intelligentissima. Ci aveva dato non pochi grattacapi per i continui innamoramenti dei suoi coetanei, che puntualmente in tre o quattro cadevano ai suoi piedi ad ogni campo estivo. Lei, con la sua spigliatezza, brio, intelligenza e il costante sorriso sulle labbra non aveva che l’imbarazzo della scelta tra i tanti maschietti del gruppo, spesso senza nemmeno farlo apposta né rendersene conto.

L’annuncio della sua assegnazione a me per iniziare la sua formazione da capo fu dato alla cerimonia di apertura del nuovo anno. Lei, splendida e atletica ventunenne, in uniforme ascoltava il capogruppo in attesa di sapere a chi sarebbe stata assegnata per poter iniziare il percorso formativo per diventare capo scout.

In realtà l’immagine che mi rimase impressa di quella giornata era di poco prima l’avevo vista tornare dall’hike, l’uscita di una notte in solitaria che ha una funzione cerimoniale di ingresso tra i capi adulti. Tornava dalla lunga camminata con le maniche della maglietta arrotolate a scoprire le spalle e fermate dalle spalline nere del reggiseno, appositamente tirate fuori dalla maglietta e fatte ricadere sopra le maniche arrotolate, per impedire che scendessero lungo le braccia lisce, chiare e ben tornite, tese un poco per lo sforzo dello zaino, lasciavano intuire la loro muscolatura ben definita. Ritmicamente, con i passi, le sue ginocchia snelle sporgevano al termine dei pantaloncini corti in velluto. Brillava alla luce calda del primo pomeriggio la pelle bianca delle sue gambe. Sotto le ginocchia i polpacci, bianchi ed affusolati, terminavano in una caviglia atletica e sottile che scompariva nei calzettoni blu, abbassati intorno agli scarponcini per il caldo della giornata.

La sua maglietta svolazzava contro il vento che spirava opposto a lei, aderendo al suo petto in modo da poter intravedere i bordi delle coppe del reggiseno, e più in basso, il piercing all’ombelico nascosto sotto la maglietta, che - ricordo da 5 anni prima, quando ero il suo capo e lei una adolescente ribelle ma determinatissima - le era costato non pochi litigi con i genitori, molto severi, che per quell’affronto volevano vietarle di partecipare al campo estivo. Inutile dire che fu Valentina a spuntarla, riuscendo con la sua parlantina e le sue insistenze a convincere i genitori sia a tenere il piercing che a partecipare al campo.

Cercavo di non farci caso, vista la sua età ed il mio ruolo, ma era impossibile non notare, come il suo seno, pur non enorme (probabilmente una buona quarta), sembrasse contenuto a fatica dalla maglietta, che mentre all’altezza della pancia svolazzava morbida, all’altezza del seno risultava fin troppo giusta, con una tensione sottolineata da due leggere pieghe che correvano orizzontalmente ad unire, e quasi a sottolineare sopra e sotto, quella che doveva essere l’area tra i capezzoli.

Il capogruppo aveva appena letto della assegnazione di Valentina a me per la formazione ed io ero assorto in questi ricordi quando lei mi salutò con il suo consueto sorriso: «Ciao Giorgio! Alla fine ci rivediamo, dopo tanti anni». Le sorrisi anche io e mi abbracciò felice. Mi aveva sempre non solo rispettato come capo, ma anche tenuto in una certa simpatia, scegliendomi spesso come maestro di specialità e di quando in quando confidandosi con me.

Era fine estate ed indossavamo ancora l’uniforme leggera. Sentii distintamente il suo seno premere contro il mio petto, e un profumo dolce di muschio e miele provenire dai suoi capelli.
«Ciao Vale! - le risposi - come stai? Sei all’università ora?»
«Sí, studio ingegneria edile e architettura»
Non mi sorprese, vista l’energia ed intelligenza che aveva sempre dimostrato. La guardai. I cinque anni di tempo dall’ultima volta che l’avevo visto avevano lavorato sulla sedicenne acerba ma promettente di allora, rendendola ora una meravigliosa giovane donna di ventun anni, una ragazza nel pieno della sua fioritura fisica e mentale. Una folta chioma liscia le ricadeva sulle spalle alte e snelle. Gli occhi, marroni, scintillavano sotto delle lunghe ciglia e una semplice linea di matita, che valorizzava il taglio acuto, sottile e vivace degli occhi. Qualche lentiggine copriva un naso delicato e ben dritto, sotto il quale mi sorridevano una linea di dentini bianchi e perfetti, contornati da una bocca che era sempre stata incredibilmente carnosa, con due labbra appariscenti e naturalmente colorate di un rosa acceso. Pensai a quanti ragazzi abbiano desiderato quelle labbra in questi anni, e quanti le abbiano poi effettivamente raggiunte, baciate, morse per gioco eccitato.

Decisi però di concentrarmi, ancora una volta, sul mio ruolo. Dopotutto, una ragazza così merita la migliore formazione possibile, senza distrazioni.

«Il mercoledì sera hai da fare?» le dissi. «il mercoledì allenamento di pallavolo, come sempre» mi fece eco.
«Ah, cavolo, dobbiamo iniziare con le sessioni di formazione da capo scout» le risposi.
«Beh possiamo fare quando finisco pallavolo?»
«Ma sarai stanca»
«Ma va, tanto non serve l’uniforme per la formazione no? Verrò direttamente da pallavolo se non è un problema, prometto che non puzzerò» e rise di gusto. La sua risata era contagiosa e mi portò a fare altrettanto.
«Nessun problema per me» le risposi sorridendo ancora.

Ancora non sapevo che era ben presto per dire che non ci sarebbero stati problemi.
 
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Di Valentina, giovane ventunenne aiuto capo, ero stato capo scout cinque anni prima, quando lei era sedicenne e io, il suo capo reparto, avevo 27 anni. Ora era quasi una mia pari, ed il mio compito era di fornirle la formazione necessaria a diventare a sua volta capo scout come me. La ricordavo bene, era una ragazzina snella e agile, molto alta per la sua età, soprattutto intelligentissima. Ci aveva dato non pochi grattacapi per i continui innamoramenti dei suoi coetanei, che puntualmente in tre o quattro cadevano ai suoi piedi ad ogni campo estivo. Lei, con la sua spigliatezza, brio, intelligenza e il costante sorriso sulle labbra non aveva che l’imbarazzo della scelta tra i tanti maschietti del gruppo, spesso senza nemmeno farlo apposta né rendersene conto.

L’annuncio della sua assegnazione a me per iniziare la sua formazione da capo fu dato alla cerimonia di apertura del nuovo anno. Lei, splendida e atletica ventunenne, in uniforme ascoltava il capogruppo in attesa di sapere a chi sarebbe stata assegnata per poter iniziare il percorso formativo per diventare capo scout.

In realtà l’immagine che mi rimase impressa di quella giornata era di poco prima l’avevo vista tornare dall’hike, l’uscita di una notte in solitaria che ha una funzione cerimoniale di ingresso tra i capi adulti. Tornava dalla lunga camminata con le maniche della maglietta arrotolate a scoprire le spalle e fermate dalle spalline nere del reggiseno, appositamente tirate fuori dalla maglietta e fatte ricadere sopra le maniche arrotolate, per impedire che scendessero lungo le braccia lisce, chiare e ben tornite, tese un poco per lo sforzo dello zaino, lasciavano intuire la loro muscolatura ben definita. Ritmicamente, con i passi, le sue ginocchia snelle sporgevano al termine dei pantaloncini corti in velluto. Brillava alla luce calda del primo pomeriggio la pelle bianca delle sue gambe. Sotto le ginocchia i polpacci, bianchi ed affusolati, terminavano in una caviglia atletica e sottile che scompariva nei calzettoni blu, abbassati intorno agli scarponcini per il caldo della giornata.

La sua maglietta svolazzava contro il vento che spirava opposto a lei, aderendo al suo petto in modo da poter intravedere i bordi delle coppe del reggiseno, e più in basso, il piercing all’ombelico nascosto sotto la maglietta, che - ricordo da 5 anni prima, quando ero il suo capo e lei una adolescente ribelle ma determinatissima - le era costato non pochi litigi con i genitori, molto severi, che per quell’affronto volevano vietarle di partecipare al campo estivo. Inutile dire che fu Valentina a spuntarla, riuscendo con la sua parlantina e le sue insistenze a convincere i genitori sia a tenere il piercing che a partecipare al campo.

Cercavo di non farci caso, vista la sua età ed il mio ruolo, ma era impossibile non notare, come il suo seno, pur non enorme (probabilmente una buona quarta), sembrasse contenuto a fatica dalla maglietta, che mentre all’altezza della pancia svolazzava morbida, all’altezza del seno risultava fin troppo giusta, con una tensione sottolineata da due leggere pieghe che correvano orizzontalmente ad unire, e quasi a sottolineare sopra e sotto, quella che doveva essere l’area tra i capezzoli.

Il capogruppo aveva appena letto della assegnazione di Valentina a me per la formazione ed io ero assorto in questi ricordi quando lei mi salutò con il suo consueto sorriso: «Ciao Giorgio! Alla fine ci rivediamo, dopo tanti anni». Le sorrisi anche io e mi abbracciò felice. Mi aveva sempre non solo rispettato come capo, ma anche tenuto in una certa simpatia, scegliendomi spesso come maestro di specialità e di quando in quando confidandosi con me.

Era fine estate ed indossavamo ancora l’uniforme leggera. Sentii distintamente il suo seno premere contro il mio petto, e un profumo dolce di muschio e miele provenire dai suoi capelli.
«Ciao Vale! - le risposi - come stai? Sei all’università ora?»
«Sí, studio ingegneria edile e architettura»
Non mi sorprese, vista l’energia ed intelligenza che aveva sempre dimostrato. La guardai. I cinque anni di tempo dall’ultima volta che l’avevo visto avevano lavorato sulla sedicenne acerba ma promettente di allora, rendendola ora una meravigliosa giovane donna di ventun anni, una ragazza nel pieno della sua fioritura fisica e mentale. Una folta chioma liscia le ricadeva sulle spalle alte e snelle. Gli occhi, marroni, scintillavano sotto delle lunghe ciglia e una semplice linea di matita, che valorizzava il taglio acuto, sottile e vivace degli occhi. Qualche lentiggine copriva un naso delicato e ben dritto, sotto il quale mi sorridevano una linea di dentini bianchi e perfetti, contornati da una bocca che era sempre stata incredibilmente carnosa, con due labbra appariscenti e naturalmente colorate di un rosa acceso. Pensai a quanti ragazzi abbiano desiderato quelle labbra in questi anni, e quanti le abbiano poi effettivamente raggiunte, baciate, morse per gioco eccitato.

Decisi però di concentrarmi, ancora una volta, sul mio ruolo. Dopotutto, una ragazza così merita la migliore formazione possibile, senza distrazioni.

«Il mercoledì sera hai da fare?» le dissi. «il mercoledì allenamento di pallavolo, come sempre» mi fece eco.
«Ah, cavolo, dobbiamo iniziare con le sessioni di formazione da capo scout» le risposi.
«Beh possiamo fare quando finisco pallavolo?»
«Ma sarai stanca»
«Ma va, tanto non serve l’uniforme per la formazione no? Verrò direttamente da pallavolo se non è un problema, prometto che non puzzerò» e rise di gusto. La sua risata era contagiosa e mi portò a fare altrettanto.
«Nessun problema per me» le risposi sorridendo ancora.

Ancora non sapevo che era ben presto per dire che non ci sarebbero stati problemi.
Ecco la prima puntata, ditemi che ne pensate
 
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Il primo mercoledì arrivò presto. Avevo preparato per lei alcuni documenti fondamentali da consegnarle perché li iniziasse a leggere: statuto, documenti associativi, ecc. La aspettavo in sede mentre mettevo in ordine la documentazione, dopo aver aperto le finestre per far entrare un po’ della brezza tiepida di fine estate che spirava fuori. Arrivò con un leggero ritardo.
«Ciao Giorgio, eccomi»
«Ciao Vale, ben trovata, come va?» le sorrisi.
La conversazione continuò brevemente sulle solite cose di circostanza, scuse per il leggero ritardo, il parcheggio difficile da trovare.

Valentina si scusò ancora una volta per essersi presentata di ritorno da pallavolo, senza nemmeno aver avuto il tempo di farsi una doccia. In realtà, non sembrava averne avuto bisogno: ancora emanava il suo solito profumo di miele e muschio bianco, e la canottiera in leggerissimo tessuto bianco lasciava scoperte le spalle ed un décolleté piuttosto ampio, senza tracce di sudore. Sedendosi, la canottiera si allontanò leggermente dal corpo scoprendo pochi centimetri del solco tra i seni, schiacciati all’interno di un reggiseno sportivo nero elasticizzato, i cui sostegni - due doppie bretelle - si incrociavano sulla schiena, tra le scapole. Davanti, emergevano invece in rilievo i segni netti e puntuti dei capezzoli. Cercai di scacciare subito via il pensiero per concentrarmi sull’argomento della serata.
«Dai, sediamoci, così ti libero il prima possibile» iniziai.
Presi posto sul tavolone della sede, scavalcando una cassapanca in legno per sedermicisi. Così, un attimo dopo, Valentina fece lo stesso, facendomi passare davanti al naso le sue cosce atletiche e ben tornite di pallavolista, coperte da dei leggins aderenti che lasciavano scoperta la parte più bassa del polpaccio e le sue eleganti caviglie sottili, sulle quali era allacciata una piccola cavigliera dorata, che le ricadeva sul malleolo insieme ad un altra, di semplice tessuto rosso. Una volta seduta al mio fianco, mi girai verso di lei per iniziare a parlarle dei documenti, e notai l’unico segno tangibile dell’attività sportiva cui si era dedicata pochi minuti prima: mentre Valentina si sporgeva alla sua sinistra per sistemare il borsone, dal mio lato, alla sua destra, scoprì il fianco sotto l’ascella, e complice la sua canottiera larga, di quelle con gli spazi per le braccia molto allungati, potei scorgere il suo reggiseno, reso lucido da un piccolo alone di sudore ancora umido, sottolineato dal contorno bianco dei sali del sudore che iniziavano ad asciugarsi intorno all’alone.



Distolsi lo sguardo e iniziai a spiegare lo statuto, scusandomi in anticipo per il linguaggio un po’ formale dell’atto.

Lei non si scompose: «Sto seguendo il corso di diritto per l’architettura all’università, e mi sta piacendo, sono sicura di poterti seguire con piacere». La cosa mi sorprese fino ad un certo punto, dato che non dubitavo delle capacità di Valentina. Notai però che, mentre proseguivo la spiegazione, lei sembrava osservarmi con una certa attenzione. Si teneva la testa con il palmo di una mano, il gomito appoggiato al tavolo, guardando più me che il testo e sorridendo in modo quasi impercettibile. Ad un certo punto ebbi in effetti l’impressione che non stesse seguendo quello che dicevo.

«Tutto ok Vale?»

«Sí sí certo, assolutamente. Scusami se ti sembro assorta, forse un po’ di stanchezza, ma niente di che»

«Se sono troppo noioso dimmelo» le risposi.

Lei portò avanti una mano a toccarmi un braccio, come per rassicurarmi: «No assolutamente, ti seguo con piacere». Anziché togliere la mano dal mio braccio, però, Valentina la indugió più a lungo del necessario, accarezzandomi con il pollice.

Fui io a distrarmi a quel punto. «Sei sempre stata la più brillante del gruppo, sono contento di averti tra i capi. E di essere io a farti la formazione»

La verità è che era sempre stata in qualche modo la mia preferita, per quel suo mix di intelligenza, intraprendenza e spontaneità, unito al suo fascino particolare ed alla sua bellezza. Su questi ultimi aspetti però non mi ero mai soffermato, e avevo invece sempre cercato di sorvolare soffermandomici il meno possibile, per via del mio ruolo come suo capo scout.

«Anche io sono contenta che sia tu a farmi formazione. Sei sempre stato il mio preferito devo dire» fece lei. La sua mano era ancora appoggiata sul mio braccio e percepivo l’umidità dei suoi polpastrelli sulla mia pelle. Probabilmente il tutto era durato pochi secondi ma mi era parso interminabile. Abbassai lo sguardo sul mio braccio, dove stava appoggiata, e questo la imbarazzó. «Scusa» disse ritraendosi.

«Figurati, mi fa piacere» risposi senza pensare. Avevo la testa vuota, e non riuscivo più a pensare a nulla.
 
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La settimana successiva Valentina arrivò con venti minuti di ritardo. Io iniziavo a spazientirmi, poi la vidi e ogni sentimento negativo fu soffiato via in un istante. Capii il motivo del ritardo: doveva essersi cambiata e sistemata perché non era nelle sue solite tenute sportive. Indossava una camicia bianca, il cui colletto restava ben aperto sulle spalle, grazie ad un paio di bottoni aperti sul davanti, che lasciavano intravedere il seno, che appariva lucido, bianco e carnoso all’interno di un elegante bralette in pizzo nero. Più in basso, la camicia era raccolta in una gonna nera, alta poco sopra al ginocchio, da cui spuntavano le gambe, sempre lunghe ed atletiche, coperte da delle calze scure in tono di nero. Mentre si avvicinava, la vidi sorridermi mentre con un dito si arricciava una ciocca di capelli.

«Ehi Vale! Niente pallavolo oggi?»

«No, stasera ho saltato, aperitivo con le colleghe dell’università»

«Ah ecco, in effetti sembri già una ingegnera in carriera» dissi ridendo, ma leggermente impensierito da quell’abbigliamento decisamente sopra le righe per quello che dovevamo fare.

Salimmo in sede e fu quasi una tortura salire le scale dietro a lei, con il suo culo, tondo e grande, che mi ondeggiava davanti la faccia, mentre poco più giù i suoi piedi, velati dalle calze ed inseriti in un paio di scarpette nere, salivano le scale. La scia del suo profumo mi inebriava.

Presto capii che l’outfit non era causale, e forse nemmeno l’aperitivo con le colleghe esisteva davvero. A metà della formazione chiese, svogliata, di fare una pausa. Mi significò la sua stanchezza appoggiandomi giocosamente la testa su una spalla, come per cercare un appoggio per dormire.

«Lo so, sono pesante con queste cose» le feci io.

«No! Assolutamente» fece lei, rialzandosi di scatto dalla mia spalla e guardandomi negli occhi. Mi mise in soggezione. I nostri volti ora erano troppo vicini. «Ascoltarti è bellissimo, e amo come mi fai ragionare sul significato di queste cose…e poi la tua voce è molto bella» disse, mentre i suoi occhi passavano dal guardare le mie pupille alle mie labbra.

Ricordo quel momento come se fosse un secondo fa. Io ero inebetito, inebriato dalla sua bellezza e dalla sua intraprendenza, ma anche del tutto bloccato dal mio ruolo, dal motivo per cui eravamo lì. Riuscivo solo a guardarla, nemmeno più a parlare. Percepivo solo come fossimo troppo vicini, e sentivo un brivido freddo lungo le braccia e dietro la schiena, per l’eccitazione proibita che provavo.

Lei come al solito dimostrò tutta la sua intelligenza e determinazione. Sapeva che nel mio ruolo non avrei potuto fare nulla, ma percepiva la nostra attrazione. Sembró letteralmente leggermi nel pensiero, sentire il ronzare nella mia testa, perché si portò un dito sulla bocca appoggiandolo dritto sulle sue labbra e fece: «Sssshhh» come per zittirmi, anche se non stavo più dicendo nulla da ormai un paio di minuti. Poi, la mano che mi aveva fatto il gesto del silenzio, si spostò a sistemarmi i capelli dietro l’orecchio, e da lì si aprì ad accarezzarmi la nuca. La carezza divenne una spinta con la quale Valentina mi stava delicatamente tirando verso di sé.

Per un attimo, le nostre labbra si limitarono a toccarsi delicatamente, semplicemente appoggiandosi. Poi iniziammo a baciarci, prima con le labbra, poi sentii la sua lingua farsi strada nella mia bocca, e cercare la mia. Passai una mano dietro il suo collo e la strinsi verso di me, mentre ora era la mia lingua a farsi strada nella sua bocca.

Continuammo a baciarci appassionatamente per alcuni minuti, come se fosse l’unico desiderio che avessimo mai avuto.
 
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«Vale aspetta» cercai di dirle dopo almeno una decina di minuti in cui avevamo limonato senza sosta come due quindicenni.

Rimanemmo a guardarci per qualche secondo. I suoi occhi marroni, sotto sopracciglia sottili e naturali, mi guardavano luccicando di malizia, insieme ad un sorriso furbetto, colpevole, velato di leggero imbarazzo, ma senza nessuna vergogna. Era bellissima nella sua incredibile naturalezza.

«Lo so Giorgio» fece lei, sistemandomi un ciuffo di capelli con una mano «Lo so» ripetè. «Ma possiamo fare una cosa?» proseguì. Io la guardai interrogativo. «Cosa?» le chiesi.
«Ci pensiamo domani alle conseguenze?» rispose. «Ormai è successo».

Io ero rapito dalla sua bellezza e intraprendenza. Il mio sguardo scendeva dalle sue labbra sulle clavicole che le spuntavano dalla camicetta, ben evidenti sulla sua pelle bianca, perfetta, da studentessa che di sole ne vede ben poco. Indugiai per un attimo con lo sguardo sui suoi seni tondi, stretti insieme dal suo bralette. La verità è che dopo dieci minuti passati baciandola, anche volendo non ero in grado di pensare alle conseguenze, pensavo solo e soltanto a quanto fosse bella Valentina e a quanto la desiderassi.

Annuii in risposta alla sua richiesta e mi avvicinai a lei per baciarla di nuovo. Poi la baciai dietro l’orecchio, e lei chiuse gli occhi e scostó la testa di lato, per farmi spazio offrendomi il suo collo bianco, lungo, sensuale. Lo percorsi con dei piccoli baci, dall’alto al basso, mentre la sentivo esalare un leggerissimo gemito di piacere. Ero arrivato alla clavicola. Salii un po’ e morsi delicatamente il muscolo alla base del collo. Il suo gemito si fece più intenso per un attimo.

Ripresi a scendere a piccoli baci, incanalandomi dentro la sua scollatura. Il mio mento iniziava ad appoggiarsi sui suoi seni e lei, attenta a non far interrompere il mio percorso lungo il suo corpo, portó con prontezza le sue mani al primo bottone, sganciandolo, e proseguendo a sbottonarsi la camicetta fino al punto in cui spariva sotto la sua gonna. Liberatami la strada così, si appoggiò con il sedere al grande tavolo della sede e portó le braccia all’indietro, appoggiandosi e puntando le mani sul tavolo, in modo da offrirsi a me restando comodamente inclinata all’indietro. Io intanto proseguivo il mio viaggio, baciando la parte di seno che spuntava dal bralette, giocando con la fessura tra i seni, e poi proseguendo giù, baciandole il ventre, fino a giocare con la lingua con il suo piercing all’ombelico.

Sfilai l’ultimo lembo della sua camicia dalla gonna, ed aprii l’ultimo bottone rimasto. Poi passai con le mani lungo i suoi fianchi. Lei godeva il momento, gli occhi chiusi e la testa reclinata all’indietro. Con le mani salii lungo i suoi fianchi, fino a percorrerle il costati e ad accarezzarle il bralette sulla schiena. Non volevo correre, volevo godermi questo viaggio sulla sua pelle. Tuttavia lei, sentendomi accarezzarle il reggiseno, pensó che il mio intento fosse di aprirlo. «Aspetta» mi sussurró portandosi le mani dietro la schiena «questo ha molti gancetti, è difficile». Io ero quasi stordito dalla sua volontà di spogliarsi così in fretta, ma non feci in tempo a dire nulla che aveva già sganciato tutta la chiusura del bralette, che ora rimaneva morbido su di lei, aperto sul retro, rilassando la stretta sui suoi seni.

Io continuai ad accarezzarle i fianchi, risalendo con la bocca, stavolta spostando il reggiseno che ora era solo adagiato. Raggiunsi con la bocca il capezzolo destro, stringendolo tra le labbra e poi leccandolo con la punta della lingua mentre la guardavo negli occhi. Lei gemette, stavolta con decisione: «Ooohh». Salii a baciarla sulla bocca, e la sua lingua mi accolse avida. Portai le mie mani ad afferrarle i seni. Era una sensazione meravigliosa: le sue tette stavano ben contenute nelle mie grandi mani aperte, e reagivano alla mia presa inturgidendo i capezzoli. La loro consistenza era soda, morbida ma non cadente, una perfezione che non avrei voluto smettere di toccare. Le leccai e baciai di nuovo, mentre Valentina riprendeva a gemere. Intanto le mie mani scendevano lungo i suoi fianchi, arrivando al suo culo. Lei approfittó del momento per sfilarsi definitivamente la camicia ed il bralette e restare solo in gonna e calze. Vedere le sue bianche spalle nude, robuste e toniche per la pallavolo fu un altro spettacolo. La girai per contemplarle la schiena bianca e solcata da una muscolatura tonica ma non eccessiva, data dalla sua forma fisica perfetta. La baciai sulla schiena sotto il collo, tra le scapole, mentre le mie mani salivano a ad afferrarle i seni. In un impeto di passione, a quel punto la strinsi a me mentre il bacio sulla schiena divenne un piccolo morso. La sentii deglutire e poi godere con una punta di dolore per il morso: «Ah…aaahh, mi fai impazzire» ammise. Stringendola a me il mio cazzo, ormai ampiamente eretto, si appoggió al suo culo.

Lei si girò di scatto e prese l’iniziativa: mi afferró la maglietta e me la sfiló, e iniziò a baciarmi il petto mentre, più sotto, le sue mani lavoravano per slacciarmi la cintura e i pantaloni, che caddero sui miei piedi. Mi diede un bacio sulla bocca, appassionato, tremante di desiderio, mentre passava le mani sui miei fianchi, sopra l’elastico dei boxer, per passare all’interno e abbassarmi l’intimo. Mentre mi spogliava, pensai per un attimo ancora alla circostanza incredibile in cui mi trovavo, a Valentina che fino a pochi anni prima era una delle mie giovani partecipanti al campo scout, e a come non avrei nemmeno lontanamente immaginato che saremmo finiti cosí…

Io ero ormai nudo, e il bacio di Valentina si interruppe interrompendo anche i miei pensieri. Non ci potevo credere. Valentina scese, in ginocchio, mentre io non avevo nemmeno il coraggio di guardare giù. Sentii la sua mano destra afferrarmi il cazzo saldamente. Guardai giù e per poco non venni solo per questo: Valentina mi aspettava, il mio cazzo in pugno davanti alla sua faccia, guardando in alto verso di me, e sorrideva. Mi sorrideva, cazzo, con quella sua solita occhiata gioiosa, furba e decisa, le labbra incurvate in un largo sorriso compiaciuto che sembrava quasi sfidarmi. Restò per qualche secondo a guardarmi così, poi aprì la bocca ed iniziò a baciarmi avidamente la cappella, con una foga da farlo sembrare un desiderio covato da anni. Tiró su il pene con la mano per passare la lingua lungo tutta l’asta, per poi riprendere in bocca la punta e ricominciare a spompinare, mentre con le mani mi accarezzava talvolta lo scroto, altre volte il culo. Il tutto avveniva con una decisione ed una pratica che rendevano evidente una significativa esperienza: la cosa quasi mi turbava, per l’immagine di bravissima ragazza che avevo, anzi avevamo sempre tutti associato a lei.

Proseguí con un’incredibile dedizione ed energia, fino a tornare, ad un certo punto, a stringere il cazzo in un pugno. Da lì iniziò a segarlo tenendolo con la mano dalla parte più vicina alla base, mentre succhiava con energia la cappella e dintorni.

Io ero eccitatissimo e stremato dal bombardamento erotico che mi aveva somministrato Valentina, dal punto di vista sia psicologico che fisico. Stavo per venire, e cercai di avvisarla, sicuro che una come lei non si sarebbe mai fatta venire in bocca, ma si sarebbe spostata. Mi sembró il minimo avvisarla, date le circostanze. «Vale, ohhh sto per venire»

Le non si spostó, anzi al mio avviso accelerò il ritmo, fino a che non sentí il mio cazzo iniziare a fremere per la sborrata: allora serró le labbra intorno alla mia cappella, fermando per un momento la mano, in modo da non far sfuggire nemmeno una goccia. Con un’attenzione quasi solenne, si lasció depositare in bocca tutta la mia sborrata, attendendo religiosamente ferma con la cappella in bocca fino agli ultimi fremiti del mio cazzo. Deglutì che ancora teneva il mio glande stretto tra le labbra.

«Ti è piaciuto eh?!» Disse subito dopo, guardandomi dal basso, ancora con quel suo sorrisetto furbo, dolce e deciso allo stesso tempo.
 

sormarco

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«Vale aspetta» cercai di dirle dopo almeno una decina di minuti in cui avevamo limonato senza sosta come due quindicenni.

Rimanemmo a guardarci per qualche secondo. I suoi occhi marroni, sotto sopracciglia sottili e naturali, mi guardavano luccicando di malizia, insieme ad un sorriso furbetto, colpevole, velato di leggero imbarazzo, ma senza nessuna vergogna. Era bellissima nella sua incredibile naturalezza.

«Lo so Giorgio» fece lei, sistemandomi un ciuffo di capelli con una mano «Lo so» ripetè. «Ma possiamo fare una cosa?» proseguì. Io la guardai interrogativo. «Cosa?» le chiesi.
«Ci pensiamo domani alle conseguenze?» rispose. «Ormai è successo».

Io ero rapito dalla sua bellezza e intraprendenza. Il mio sguardo scendeva dalle sue labbra sulle clavicole che le spuntavano dalla camicetta, ben evidenti sulla sua pelle bianca, perfetta, da studentessa che di sole ne vede ben poco. Indugiai per un attimo con lo sguardo sui suoi seni tondi, stretti insieme dal suo bralette. La verità è che dopo dieci minuti passati baciandola, anche volendo non ero in grado di pensare alle conseguenze, pensavo solo e soltanto a quanto fosse bella Valentina e a quanto la desiderassi.

Annuii in risposta alla sua richiesta e mi avvicinai a lei per baciarla di nuovo. Poi la baciai dietro l’orecchio, e lei chiuse gli occhi e scostó la testa di lato, per farmi spazio offrendomi il suo collo bianco, lungo, sensuale. Lo percorsi con dei piccoli baci, dall’alto al basso, mentre la sentivo esalare un leggerissimo gemito di piacere. Ero arrivato alla clavicola. Salii un po’ e morsi delicatamente il muscolo alla base del collo. Il suo gemito si fece più intenso per un attimo.

Ripresi a scendere a piccoli baci, incanalandomi dentro la sua scollatura. Il mio mento iniziava ad appoggiarsi sui suoi seni e lei, attenta a non far interrompere il mio percorso lungo il suo corpo, portó con prontezza le sue mani al primo bottone, sganciandolo, e proseguendo a sbottonarsi la camicetta fino al punto in cui spariva sotto la sua gonna. Liberatami la strada così, si appoggiò con il sedere al grande tavolo della sede e portó le braccia all’indietro, appoggiandosi e puntando le mani sul tavolo, in modo da offrirsi a me restando comodamente inclinata all’indietro. Io intanto proseguivo il mio viaggio, baciando la parte di seno che spuntava dal bralette, giocando con la fessura tra i seni, e poi proseguendo giù, baciandole il ventre, fino a giocare con la lingua con il suo piercing all’ombelico.

Sfilai l’ultimo lembo della sua camicia dalla gonna, ed aprii l’ultimo bottone rimasto. Poi passai con le mani lungo i suoi fianchi. Lei godeva il momento, gli occhi chiusi e la testa reclinata all’indietro. Con le mani salii lungo i suoi fianchi, fino a percorrerle il costati e ad accarezzarle il bralette sulla schiena. Non volevo correre, volevo godermi questo viaggio sulla sua pelle. Tuttavia lei, sentendomi accarezzarle il reggiseno, pensó che il mio intento fosse di aprirlo. «Aspetta» mi sussurró portandosi le mani dietro la schiena «questo ha molti gancetti, è difficile». Io ero quasi stordito dalla sua volontà di spogliarsi così in fretta, ma non feci in tempo a dire nulla che aveva già sganciato tutta la chiusura del bralette, che ora rimaneva morbido su di lei, aperto sul retro, rilassando la stretta sui suoi seni.

Io continuai ad accarezzarle i fianchi, risalendo con la bocca, stavolta spostando il reggiseno che ora era solo adagiato. Raggiunsi con la bocca il capezzolo destro, stringendolo tra le labbra e poi leccandolo con la punta della lingua mentre la guardavo negli occhi. Lei gemette, stavolta con decisione: «Ooohh». Salii a baciarla sulla bocca, e la sua lingua mi accolse avida. Portai le mie mani ad afferrarle i seni. Era una sensazione meravigliosa: le sue tette stavano ben contenute nelle mie grandi mani aperte, e reagivano alla mia presa inturgidendo i capezzoli. La loro consistenza era soda, morbida ma non cadente, una perfezione che non avrei voluto smettere di toccare. Le leccai e baciai di nuovo, mentre Valentina riprendeva a gemere. Intanto le mie mani scendevano lungo i suoi fianchi, arrivando al suo culo. Lei approfittó del momento per sfilarsi definitivamente la camicia ed il bralette e restare solo in gonna e calze. Vedere le sue bianche spalle nude, robuste e toniche per la pallavolo fu un altro spettacolo. La girai per contemplarle la schiena bianca e solcata da una muscolatura tonica ma non eccessiva, data dalla sua forma fisica perfetta. La baciai sulla schiena sotto il collo, tra le scapole, mentre le mie mani salivano a ad afferrarle i seni. In un impeto di passione, a quel punto la strinsi a me mentre il bacio sulla schiena divenne un piccolo morso. La sentii deglutire e poi godere con una punta di dolore per il morso: «Ah…aaahh, mi fai impazzire» ammise. Stringendola a me il mio cazzo, ormai ampiamente eretto, si appoggió al suo culo.

Lei si girò di scatto e prese l’iniziativa: mi afferró la maglietta e me la sfiló, e iniziò a baciarmi il petto mentre, più sotto, le sue mani lavoravano per slacciarmi la cintura e i pantaloni, che caddero sui miei piedi. Mi diede un bacio sulla bocca, appassionato, tremante di desiderio, mentre passava le mani sui miei fianchi, sopra l’elastico dei boxer, per passare all’interno e abbassarmi l’intimo. Mentre mi spogliava, pensai per un attimo ancora alla circostanza incredibile in cui mi trovavo, a Valentina che fino a pochi anni prima era una delle mie giovani partecipanti al campo scout, e a come non avrei nemmeno lontanamente immaginato che saremmo finiti cosí…

Io ero ormai nudo, e il bacio di Valentina si interruppe interrompendo anche i miei pensieri. Non ci potevo credere. Valentina scese, in ginocchio, mentre io non avevo nemmeno il coraggio di guardare giù. Sentii la sua mano destra afferrarmi il cazzo saldamente. Guardai giù e per poco non venni solo per questo: Valentina mi aspettava, il mio cazzo in pugno davanti alla sua faccia, guardando in alto verso di me, e sorrideva. Mi sorrideva, cazzo, con quella sua solita occhiata gioiosa, furba e decisa, le labbra incurvate in un largo sorriso compiaciuto che sembrava quasi sfidarmi. Restò per qualche secondo a guardarmi così, poi aprì la bocca ed iniziò a baciarmi avidamente la cappella, con una foga da farlo sembrare un desiderio covato da anni. Tiró su il pene con la mano per passare la lingua lungo tutta l’asta, per poi riprendere in bocca la punta e ricominciare a spompinare, mentre con le mani mi accarezzava talvolta lo scroto, altre volte il culo. Il tutto avveniva con una decisione ed una pratica che rendevano evidente una significativa esperienza: la cosa quasi mi turbava, per l’immagine di bravissima ragazza che avevo, anzi avevamo sempre tutti associato a lei.

Proseguí con un’incredibile dedizione ed energia, fino a tornare, ad un certo punto, a stringere il cazzo in un pugno. Da lì iniziò a segarlo tenendolo con la mano dalla parte più vicina alla base, mentre succhiava con energia la cappella e dintorni.

Io ero eccitatissimo e stremato dal bombardamento erotico che mi aveva somministrato Valentina, dal punto di vista sia psicologico che fisico. Stavo per venire, e cercai di avvisarla, sicuro che una come lei non si sarebbe mai fatta venire in bocca, ma si sarebbe spostata. Mi sembró il minimo avvisarla, date le circostanze. «Vale, ohhh sto per venire»

Le non si spostó, anzi al mio avviso accelerò il ritmo, fino a che non sentí il mio cazzo iniziare a fremere per la sborrata: allora serró le labbra intorno alla mia cappella, fermando per un momento la mano, in modo da non far sfuggire nemmeno una goccia. Con un’attenzione quasi solenne, si lasció depositare in bocca tutta la mia sborrata, attendendo religiosamente ferma con la cappella in bocca fino agli ultimi fremiti del mio cazzo. Deglutì che ancora teneva il mio glande stretto tra le labbra.

«Ti è piaciuto eh?!» Disse subito dopo, guardandomi dal basso, ancora con quel suo sorrisetto furbo, dolce e deciso allo stesso tempo.
Tu hai risposto prontamente Valentina, non c'ho capito nulla era l'estasi del momento, se mi è piaciuto dovremmo rifarlo subito così sto più attento.
 

ErnestG

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«Vale aspetta» cercai di dirle dopo almeno una decina di minuti in cui avevamo limonato senza sosta come due quindicenni.

Rimanemmo a guardarci per qualche secondo. I suoi occhi marroni, sotto sopracciglia sottili e naturali, mi guardavano luccicando di malizia, insieme ad un sorriso furbetto, colpevole, velato di leggero imbarazzo, ma senza nessuna vergogna. Era bellissima nella sua incredibile naturalezza.

«Lo so Giorgio» fece lei, sistemandomi un ciuffo di capelli con una mano «Lo so» ripetè. «Ma possiamo fare una cosa?» proseguì. Io la guardai interrogativo. «Cosa?» le chiesi.
«Ci pensiamo domani alle conseguenze?» rispose. «Ormai è successo».

Io ero rapito dalla sua bellezza e intraprendenza. Il mio sguardo scendeva dalle sue labbra sulle clavicole che le spuntavano dalla camicetta, ben evidenti sulla sua pelle bianca, perfetta, da studentessa che di sole ne vede ben poco. Indugiai per un attimo con lo sguardo sui suoi seni tondi, stretti insieme dal suo bralette. La verità è che dopo dieci minuti passati baciandola, anche volendo non ero in grado di pensare alle conseguenze, pensavo solo e soltanto a quanto fosse bella Valentina e a quanto la desiderassi.

Annuii in risposta alla sua richiesta e mi avvicinai a lei per baciarla di nuovo. Poi la baciai dietro l’orecchio, e lei chiuse gli occhi e scostó la testa di lato, per farmi spazio offrendomi il suo collo bianco, lungo, sensuale. Lo percorsi con dei piccoli baci, dall’alto al basso, mentre la sentivo esalare un leggerissimo gemito di piacere. Ero arrivato alla clavicola. Salii un po’ e morsi delicatamente il muscolo alla base del collo. Il suo gemito si fece più intenso per un attimo.

Ripresi a scendere a piccoli baci, incanalandomi dentro la sua scollatura. Il mio mento iniziava ad appoggiarsi sui suoi seni e lei, attenta a non far interrompere il mio percorso lungo il suo corpo, portó con prontezza le sue mani al primo bottone, sganciandolo, e proseguendo a sbottonarsi la camicetta fino al punto in cui spariva sotto la sua gonna. Liberatami la strada così, si appoggiò con il sedere al grande tavolo della sede e portó le braccia all’indietro, appoggiandosi e puntando le mani sul tavolo, in modo da offrirsi a me restando comodamente inclinata all’indietro. Io intanto proseguivo il mio viaggio, baciando la parte di seno che spuntava dal bralette, giocando con la fessura tra i seni, e poi proseguendo giù, baciandole il ventre, fino a giocare con la lingua con il suo piercing all’ombelico.

Sfilai l’ultimo lembo della sua camicia dalla gonna, ed aprii l’ultimo bottone rimasto. Poi passai con le mani lungo i suoi fianchi. Lei godeva il momento, gli occhi chiusi e la testa reclinata all’indietro. Con le mani salii lungo i suoi fianchi, fino a percorrerle il costati e ad accarezzarle il bralette sulla schiena. Non volevo correre, volevo godermi questo viaggio sulla sua pelle. Tuttavia lei, sentendomi accarezzarle il reggiseno, pensó che il mio intento fosse di aprirlo. «Aspetta» mi sussurró portandosi le mani dietro la schiena «questo ha molti gancetti, è difficile». Io ero quasi stordito dalla sua volontà di spogliarsi così in fretta, ma non feci in tempo a dire nulla che aveva già sganciato tutta la chiusura del bralette, che ora rimaneva morbido su di lei, aperto sul retro, rilassando la stretta sui suoi seni.

Io continuai ad accarezzarle i fianchi, risalendo con la bocca, stavolta spostando il reggiseno che ora era solo adagiato. Raggiunsi con la bocca il capezzolo destro, stringendolo tra le labbra e poi leccandolo con la punta della lingua mentre la guardavo negli occhi. Lei gemette, stavolta con decisione: «Ooohh». Salii a baciarla sulla bocca, e la sua lingua mi accolse avida. Portai le mie mani ad afferrarle i seni. Era una sensazione meravigliosa: le sue tette stavano ben contenute nelle mie grandi mani aperte, e reagivano alla mia presa inturgidendo i capezzoli. La loro consistenza era soda, morbida ma non cadente, una perfezione che non avrei voluto smettere di toccare. Le leccai e baciai di nuovo, mentre Valentina riprendeva a gemere. Intanto le mie mani scendevano lungo i suoi fianchi, arrivando al suo culo. Lei approfittó del momento per sfilarsi definitivamente la camicia ed il bralette e restare solo in gonna e calze. Vedere le sue bianche spalle nude, robuste e toniche per la pallavolo fu un altro spettacolo. La girai per contemplarle la schiena bianca e solcata da una muscolatura tonica ma non eccessiva, data dalla sua forma fisica perfetta. La baciai sulla schiena sotto il collo, tra le scapole, mentre le mie mani salivano a ad afferrarle i seni. In un impeto di passione, a quel punto la strinsi a me mentre il bacio sulla schiena divenne un piccolo morso. La sentii deglutire e poi godere con una punta di dolore per il morso: «Ah…aaahh, mi fai impazzire» ammise. Stringendola a me il mio cazzo, ormai ampiamente eretto, si appoggió al suo culo.

Lei si girò di scatto e prese l’iniziativa: mi afferró la maglietta e me la sfiló, e iniziò a baciarmi il petto mentre, più sotto, le sue mani lavoravano per slacciarmi la cintura e i pantaloni, che caddero sui miei piedi. Mi diede un bacio sulla bocca, appassionato, tremante di desiderio, mentre passava le mani sui miei fianchi, sopra l’elastico dei boxer, per passare all’interno e abbassarmi l’intimo. Mentre mi spogliava, pensai per un attimo ancora alla circostanza incredibile in cui mi trovavo, a Valentina che fino a pochi anni prima era una delle mie giovani partecipanti al campo scout, e a come non avrei nemmeno lontanamente immaginato che saremmo finiti cosí…

Io ero ormai nudo, e il bacio di Valentina si interruppe interrompendo anche i miei pensieri. Non ci potevo credere. Valentina scese, in ginocchio, mentre io non avevo nemmeno il coraggio di guardare giù. Sentii la sua mano destra afferrarmi il cazzo saldamente. Guardai giù e per poco non venni solo per questo: Valentina mi aspettava, il mio cazzo in pugno davanti alla sua faccia, guardando in alto verso di me, e sorrideva. Mi sorrideva, cazzo, con quella sua solita occhiata gioiosa, furba e decisa, le labbra incurvate in un largo sorriso compiaciuto che sembrava quasi sfidarmi. Restò per qualche secondo a guardarmi così, poi aprì la bocca ed iniziò a baciarmi avidamente la cappella, con una foga da farlo sembrare un desiderio covato da anni. Tiró su il pene con la mano per passare la lingua lungo tutta l’asta, per poi riprendere in bocca la punta e ricominciare a spompinare, mentre con le mani mi accarezzava talvolta lo scroto, altre volte il culo. Il tutto avveniva con una decisione ed una pratica che rendevano evidente una significativa esperienza: la cosa quasi mi turbava, per l’immagine di bravissima ragazza che avevo, anzi avevamo sempre tutti associato a lei.

Proseguí con un’incredibile dedizione ed energia, fino a tornare, ad un certo punto, a stringere il cazzo in un pugno. Da lì iniziò a segarlo tenendolo con la mano dalla parte più vicina alla base, mentre succhiava con energia la cappella e dintorni.

Io ero eccitatissimo e stremato dal bombardamento erotico che mi aveva somministrato Valentina, dal punto di vista sia psicologico che fisico. Stavo per venire, e cercai di avvisarla, sicuro che una come lei non si sarebbe mai fatta venire in bocca, ma si sarebbe spostata. Mi sembró il minimo avvisarla, date le circostanze. «Vale, ohhh sto per venire»

Le non si spostó, anzi al mio avviso accelerò il ritmo, fino a che non sentí il mio cazzo iniziare a fremere per la sborrata: allora serró le labbra intorno alla mia cappella, fermando per un momento la mano, in modo da non far sfuggire nemmeno una goccia. Con un’attenzione quasi solenne, si lasció depositare in bocca tutta la mia sborrata, attendendo religiosamente ferma con la cappella in bocca fino agli ultimi fremiti del mio cazzo. Deglutì che ancora teneva il mio glande stretto tra le labbra.

«Ti è piaciuto eh?!» Disse subito dopo, guardandomi dal basso, ancora con quel suo sorrisetto furbo, dolce e deciso allo stesso tempo.
Meraviglioso! Complimenti
 

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