Di Valentina, giovane ventunenne aiuto capo, ero stato capo scout cinque anni prima, quando lei era sedicenne e io, il suo capo reparto, avevo 27 anni. Ora era quasi una mia pari, ed il mio compito era di fornirle la formazione necessaria a diventare a sua volta capo scout come me. La ricordavo bene, era una ragazzina snella e agile, molto alta per la sua età, soprattutto intelligentissima. Ci aveva dato non pochi grattacapi per i continui innamoramenti dei suoi coetanei, che puntualmente in tre o quattro cadevano ai suoi piedi ad ogni campo estivo. Lei, con la sua spigliatezza, brio, intelligenza e il costante sorriso sulle labbra non aveva che l’imbarazzo della scelta tra i tanti maschietti del
gruppo, spesso senza nemmeno farlo apposta né rendersene conto.
L’annuncio della sua assegnazione a me per iniziare la sua formazione da capo fu dato alla cerimonia di apertura del nuovo anno. Lei, splendida e atletica ventunenne, in uniforme ascoltava il capogruppo in attesa di sapere a chi sarebbe stata assegnata per poter iniziare il percorso formativo per diventare capo scout.
In realtà l’immagine che mi rimase impressa di quella giornata era di poco prima l’avevo vista tornare dall’hike, l’uscita di una notte in solitaria che ha una funzione cerimoniale di ingresso tra i capi adulti. Tornava dalla lunga camminata con le maniche della maglietta arrotolate a scoprire le spalle e fermate dalle spalline nere del reggiseno, appositamente tirate fuori dalla maglietta e fatte ricadere sopra le maniche arrotolate, per impedire che scendessero lungo le braccia lisce, chiare e ben tornite, tese un poco per lo sforzo dello zaino, lasciavano intuire la loro muscolatura ben definita. Ritmicamente, con i passi, le sue ginocchia snelle sporgevano al termine dei pantaloncini corti in velluto. Brillava alla luce calda del primo pomeriggio la pelle bianca delle sue gambe. Sotto le ginocchia i polpacci, bianchi ed affusolati, terminavano in una caviglia atletica e sottile che scompariva nei calzettoni blu, abbassati intorno agli scarponcini per il caldo della giornata.
La sua maglietta svolazzava contro il vento che spirava opposto a lei, aderendo al suo petto in modo da poter intravedere i bordi delle coppe del reggiseno, e più in basso, il piercing all’ombelico nascosto sotto la maglietta, che - ricordo da 5 anni prima, quando ero il suo capo e lei una adolescente ribelle ma determinatissima - le era costato non pochi litigi con i genitori, molto severi, che per quell’affronto volevano vietarle di partecipare al campo estivo. Inutile dire che fu Valentina a spuntarla, riuscendo con la sua parlantina e le sue insistenze a convincere i genitori sia a tenere il piercing che a partecipare al campo.
Cercavo di non farci caso, vista la sua età ed il mio ruolo, ma era impossibile non notare, come il suo seno, pur non enorme (probabilmente una buona quarta), sembrasse contenuto a fatica dalla maglietta, che mentre all’altezza della pancia svolazzava morbida, all’altezza del seno risultava fin troppo giusta, con una tensione sottolineata da due leggere pieghe che correvano orizzontalmente ad unire, e quasi a sottolineare sopra e sotto, quella che doveva essere l’area tra i capezzoli.
Il capogruppo aveva appena letto della assegnazione di Valentina a me per la formazione ed io ero assorto in questi ricordi quando lei mi salutò con il suo consueto sorriso: «Ciao Giorgio! Alla fine ci rivediamo, dopo tanti anni». Le sorrisi anche io e mi abbracciò felice. Mi aveva sempre non solo rispettato come capo, ma anche tenuto in una certa simpatia, scegliendomi spesso come maestro di specialità e di quando in quando confidandosi con me.
Era fine estate ed indossavamo ancora l’uniforme leggera. Sentii distintamente il suo seno premere contro il mio petto, e un profumo dolce di muschio e miele provenire dai suoi capelli.
«Ciao Vale! - le risposi - come stai? Sei all’università ora?»
«Sí, studio ingegneria edile e architettura»
Non mi sorprese, vista l’energia ed intelligenza che aveva sempre dimostrato. La guardai. I cinque anni di tempo dall’ultima volta che l’avevo visto avevano lavorato sulla sedicenne acerba ma promettente di allora, rendendola ora una meravigliosa giovane donna di ventun anni, una ragazza nel pieno della sua fioritura fisica e mentale. Una folta chioma liscia le ricadeva sulle spalle alte e snelle. Gli occhi, marroni, scintillavano sotto delle lunghe ciglia e una semplice linea di matita, che valorizzava il taglio acuto, sottile e vivace degli occhi. Qualche lentiggine copriva un naso delicato e ben dritto, sotto il quale mi sorridevano una linea di dentini bianchi e perfetti, contornati da una bocca che era sempre stata incredibilmente carnosa, con due labbra appariscenti e naturalmente colorate di un rosa acceso. Pensai a quanti ragazzi abbiano desiderato quelle labbra in questi anni, e quanti le abbiano poi effettivamente raggiunte, baciate, morse per gioco eccitato.
Decisi però di concentrarmi, ancora una volta, sul mio ruolo. Dopotutto, una ragazza così merita la migliore formazione possibile, senza distrazioni.
«Il mercoledì sera hai da fare?» le dissi. «il mercoledì allenamento di pallavolo, come sempre» mi fece eco.
«Ah, cavolo, dobbiamo iniziare con le sessioni di formazione da capo scout» le risposi.
«Beh possiamo fare quando finisco pallavolo?»
«Ma sarai stanca»
«Ma va, tanto non serve l’uniforme per la formazione no? Verrò direttamente da pallavolo se non è un problema, prometto che non puzzerò» e rise di gusto. La sua risata era contagiosa e mi portò a fare altrettanto.
«Nessun problema per me» le risposi sorridendo ancora.
Ancora non sapevo che era ben presto per dire che non ci sarebbero stati problemi.