Esperienza reale Paolo e Francesca - Dieci anni dopo

OP
timassaggio

timassaggio

"Level 6"
1 Anno di Phica.net
Messaggi
1,029
Punteggio reazione
2,881
Punti
119
naturalmente sono andato a vedere il Motel k.............:love:
:love::love::love::love::love::love::love::love:
Molto sfizioso.
Ci sono stato in realtà due volte.
La seconda volta, nonostante l'upgrade da stanza a tema a suite a tema, mi ha colpito di meno.
Oggi non ci tornerei una terza volta.
Post automatically merged:

Mannaggia! ma come è possibile che tutte le volte che vieni tu vengo anche io? mi sembra di essere li con voi...ma questa Francesca sarebbe proprio da vedere.
Forse rimarresti deluso.
I miei occhi vedono la bellezza che mi piace, e non è detto che i miei canoni possano essere compatibili con i tuoi.
Io ho visto Francesca (e la vedo ancora) attraverso il filtro dell'amore. Ricorda che comunque, Francesca è una ragazza del '64, ed io la descrivo con almeno dieci anni di meno.
Post automatically merged:

Mannaggia! ma come è possibile che tutte le volte che vieni tu vengo anche io? mi sembra di essere li con voi...ma questa Francesca sarebbe proprio da vedere.
Forse rimarresti deluso.
I miei occhi vedono la bellezza che mi piace, e non è detto che i miei canoni possano essere compatibili con i tuoi.
Io ho visto Francesca (e la vedo ancora) attraverso il filtro dell'amore. Ricorda che comunque, Francesca è una ragazza del '64, ed io la descrivo con almeno dieci anni di meno.
 
Ultima modifica:
OP
timassaggio

timassaggio

"Level 6"
1 Anno di Phica.net
Messaggi
1,029
Punteggio reazione
2,881
Punti
119
Paolo e Francesca - Dieci anni dopo
di Paolo Sforza Cesarani
Ecco a voi il capitolo 12, ove i nostri iniziano a parlar d'amore

Cap.13 - Tornando a casa​

Avevamo festeggiato il nostro primo anniversario con un paio di giorni in Umbria tra Foligno e Montefalco.
Approfittando della partecipazione ad un convegno sul Cloud della Regione Umbria per fare una breve gita enogastronomica appunto a Montefalco per degustare i due campioni del luogo: il Sagrantino ed il Rosso, avevo fatto prenotare da Karla nell’albergo nei cui saloni si svolgeva l’evento, il Palazzo Bontadosi, un albergo ricavato in un palazzetto del ‘400 successivamente riadattato e semi riedificato nel ‘800.
La peculiarità di questo albergo era quella di avere una SPA con una vasca di acqua naturale solforosa, intercettata da una fonte sottostante, che era ottima per lavacri e disinfettare la pelle.
Arrivammo il tardo pomeriggio dopo il convegno, affamati perché a pranzo in pratica non avevamo toccato cibo, nonostante il buffet riservato ai partecipanti al convegno ed ai relatori.
Un rapido salto in camera, una doccia (assieme!) e poi, rinfrescati e cambiati, scendemmo nei saloni ricavati nella hall ove era presente la degustazione.
Vi erano una decina di stand di altrettanti produttori locali, da quello a gestione familiare all’industria con decine di dipendenti. Centinaia di bottiglie in bella mostra e assaggi accompagnati da taglieri di salumi e formaggi locali con pane e focacce freschissime.
All’ingresso del percorso ci fornirono di due calici Borgogna, un tipo di bicchiere molto panciuto, in grado di far arieggiare il vino ed esaltarne le qualità ed i profumi.
Non sono un esperto, ma mi piace il rosso ed il Sagrantino è nella mia personale top 5. Avere la possibilità di scegliere tra tante bottiglie quella di mio maggior gradimento fu una piacevole esperienza.
Purtroppo, dopo quattro o cinque assaggi, nonostante l’accompagnamento di pane, formaggi e prosciutto locale, ho dovuto dare forfait. Francesca aveva già passato la mano al terzo assaggio.
Decidemmo pertanto di andare a mangiare un boccone in una taverna appena girato l’angolo.
Francesca era sull’allegro spinto, il vino le stava facendo un effetto magnifico, allentandole i freni inibitori normalmente tirati stretti.
Era loquace, più del solito, quasi ciarliera, e fece conoscenza con una coppia nostra vicina di tavolo, anch’essi a Montefalco per la sagra del Sagrantino.
Chiacchierammo dei nostri figli.
“Ma voi quanti figli avete? Quattro?” e dovetti spiegarle.
“Io ho due figli dalla mio primo matrimonio. Francesca ha anche lei due figli dal suo precedente matrimonio” spiegai.
“Ma allora siete sposati?” chiese.
“No, no. Ma festeggiamo stasera il nostro primo anniversario da quando ci siamo conosciuti” aggiungo, mentre prendevo la mano di Francesca e la stringevo nella mia, guardandola carico di amore e passione per questo dono del Signore.
Il marito della signora si alzò, versò del vino nei bicchieri e disse: “Permettetemi di brindare al vostro anniversario. Sono un terapista di coppia e riconosco al volo le coppie problematiche e quelle di successo. E se mi permettete, il vostro problema è che… vi amate troppo, se fosse veramente un problema!” esclamò.
Francesca arrossì un po’, levò il calice, toccò il mio, si avvicinò e mi baciò le labbra con delicatezza e pudore. Un castissimo bacio pregno di significati che solo io potevo decodificare.
Altra mezz’ora di chiacchiere, scambio di telefoni e ci avviammo, un po’ malfermi, verso l’albergo.
Ho ricordi nitidissimi di quel che successe poi, come fosse avvenuto ieri.
Salimmo in camera e mentre Francesca era in bagno a prepararsi per la notte, mi feci coraggio e tirai fuori dalla sacca il pacchettino con il mio pensiero di anniversario.
Ero passato in una gioielleria, deciso a prendere qualcosa che rappresentasse il mio amore per lei.
Visto il rapporto non ufficiale, la regola avrebbe suggerito una collana, un bracciale, un paio di orecchini.
Ma io volevo significarle il mio amore, una promessa da far evolvere verso qualcosa di definitivo, quando e se ne avesse avuto voglia.
Decisi pertanto per un anello.
Aiutato dall’artigiano a cui mi ero rivolto, scelsi una vera di oro bianco con un piccolo rubino rosso sangue e cinquantadue rosette di brillante, uno per ogni settimana passata assieme. Una cosa non troppo appariscente, che chiesi di realizzare ad hoc, ma nel contempo carica di profondi significati, almeno per me.
L’astuccio in cui mi era stato consegnato era semplice, piccolo e discreto, ma ovviamente tradiva l’essenza del regalo stesso.
Attesi quindi che Francesca uscisse dal bagno,
Si aprì la porta e uscì una dea racchiusa in una stupenda camicia da notte in raso lunga fino ai piedi, con un profondo scollo a V sul davanti che arrivava quasi fino alla pancia ed un enorme, profondissima scollatura sulla schiena, sottolineata da un fiocco proprio all’altezza del coccige, ove essa terminava.
Ebbi un mancamento, La sua bellezza mi toglieva il fiato. Per un attimo mi sentii perso.
Poi ripresi immediatamente il controllo, mi alzai dalla poltrona in cui mi ero seduto, la presi per mano e la condussi accanto al letto.
Poi, con fare distratto tolsi di tasca il pacchettino e glielo diedi.
“Un pensiero per te!” le dissi, cercando di dissimulare la mia emozione.
Francesca portò la mano alla bocca per il classico gesto di stupore.
“Volevo che questa nostra ricorrenza avesse un senso. Non è una promessa di matrimonio, la mia. Almeno, non in senso stretto.” le dissi.
“Però con questo mio pensiero, ti sto promettendo che mi impegnerò a proteggerti, a curarti, a desiderarti, ad amarti come se fossimo sposati. E spero che tu approvi questo mio desiderio e che lo condivida.” Le dissi con voce roca.
Senza una parola, si alzò e mi abbracciò con foga, mi baciò, mi abbracciò ancora più forte e scoppiò in un pianto a dirotto.
Nascondendo il viso sulla mia spalla, in breve le sue lacrime mi bagnarono il collo della camicia.
Ricordo che le presi il viso tra le mie mani e la baciai delicatamente sulle labbra, poi la misi a sedere sul bordo del letto, mi inginocchiai, le presi la mano sinistra e le infilai all’anulare l’anello della mia promessa d’amore.
Francesca mi lasciò fare, poi guardò la mano, mi guardò ancora e, alla fine, esclamò: “Ce l’hai fatta! Non aspettavo altro. Se avessi tardato ancora un po’, lo avrei fatto io al posto tuo, sai?” e mi fece l’occhiolino.
Quella notte facemmo l’amore una sola volta, ma ci addormentammo abbracciati stretti stretti e così ci risvegliammo la mattina dopo.
Avevo prenotato l’accesso alla SPA subito dopo la colazione.
Andammo quindi nel seminterrato e attendemmo il nostro turno, Una inserviente ci dette degli accappatoi e ci invitò a spogliarci e ad immergerci in quella vasca di acqua calda e non particolarmente invitante.
Facemmo un po’ di terapia immersi nell’acqua e coperti solo da un perizoma in carta, ma dopo una mezz’oretta Francesca volle uscire e rientrare in camera.
Un velo di tristezza ombrava il suo viso, ma non riuscivo a capire a cosa fosse dovuto fino a quando non ricordai: era l’anniversario della morte del suo papà.
La sua tristezza un po’ mi contagiò, ma capii che non aveva intenzione di farmi pesare la situazione, anzi, mi chiese di andare a fare un giro per il paese.
Nel frattempo, Karla mi chiamò e mi disse che l’amministratore delegato mi aveva cercato con una certa urgenza e che aveva fissato una video-conferenza nel tardo pomeriggio.
Avevo giusto il tempo di rientrare a Roma, lasciare Francesca a casa e fare un salto in ufficio.
Ebbi però un’idea.
Comunicai a Karla di spostare più tardi possibile la call e di organizzarla in modo che la potessi fare da casa, con comodo.
Dopo ciò, dissi a Francesca che saremmo rientrati un po’ prima per via di quella video conferenza,
Accettò senza alcuna ritrosia, consapevole del fatto che il dovere è il dovere.
Decisi di fare tutta la Flaminia anziché passare per la E45, e giustificai a Francesca questa scelta con il desiderio di fare un piacevole giro in macchina, senza troppa fretta.
Francesca accettò senza convinzione, persa com’era nei suoi pensieri.
Forse non si sentiva molto bene, sta di fatto che si addormentò dopo poco accoccolandosi sul sedile, peraltro comodo, della Citroen DS.
Mentre dormiva, divagavo e cercavo di capire se la sua tristezza fosse dipesa da me, in qualche modo.
Ma più mi arrovellavo, e più avevo la certezza di non aver fatto alcunché che la potesse aver ferita. La causa del suo dispiacere era altro. Forse era veramente triste per il papà.
Dopo poco più di un’ora e mezzo, arrivai al cancello del Cimitero di Prima Porta, dove sapevo che era la tomba del papà di Francesca.
Proprio in quel momento, Francesca si svegliò, si guardò un po’ in giro e stupita mi chiese: “Ma dove stiamo? Ma che ci facciamo al cimitero?”.
“Pensavo che avessi piacere a venire a salutare tuo padre” le risposi.
Mi guardò con sorpresa mista a gratitudine, mi chiese di fermarmi un momento fuori, scese e corse ad un banchetto di fiori. Tornò dopo qualche minuto con una rosa rossa.
“A papà piacevano molto le rose rosse, le regalava sempre a mamma, tutte le settimane una rosa, tutti i giorni almeno un fiore. E quando stava male, prima di morire mi disse: «Ricordati di portare un fiore a mamma, ogni tanto, come facevo io quando potevo. Mi raccomando. Ma non un fiore qualsiasi, una rosa rossa. Come quelle che piacevano a me». E ora gliene voglio regalare una io.” concluse.
Mi indicò la strada per arrivare alla tomba.
Scendemmo dall’auto e la presi sottobraccio mentre ci avvicinavamo alla lapide.
Francesca fece si liberò della mia presa, fece un passo avanti e si chinò per poggiare la rosa sulla lapide.
“Povero papà mio, quanto mi manchi” la sentii mormorare. Poi si allontanò con un vaso pieno di zeppi di fiori secchi, in cerca della fontanella dell’acqua.
Rimasi un momento in disparte, cercando di non apparire troppo invadente, Poi, vedendola ritornare con il vaso ripieno, andati verso di lei per aiutarla.
“Dammelo, te lo porto io.” le dissi.
“No, non importa, non pesa, non ti preoccupare” mi rispose,
Le rimasi vicino mentre metteva la rosa nel vaso, e la udii chiaramente mormorare, tra un singhiozzo e l’altro, “Perché mi hai lasciato, papà? Io ho bisogno di te. Chi mi aiuterà quando ne avrò bisogno e tu non ci sei?”,
Ebbi una sorta di fitta al cuore. Mi dispiaceva da morire sentirla così afflitta.
Sottovoce ma in maniera chiara risposi alla sua domanda retorica: “Non si preoccupi, signor Tiziano. A Francesca ci penserò io. Glielo prometto.” e detto ciò, le presi la mano e gliela strinsi con forza.
Francesca si girò sorpresa, mi guardò negli occhi e con i suoi occhi pieni di lacrime e di amore, mormorò “Ti amo”.
----------------------
Paolo Sforza Cesarani
 

Maxtree

"Level 4"
1 Anno di Phica.net
Messaggi
842
Punteggio reazione
851
Punti
99
Age
54
Grazie Paolo per condividere dei particolari cosi intimi ma belli. Capisco bene i sentimenti che hai provato per Francesca e che persona sei.
 

maxx7

"Level 0"
Messaggi
5
Punteggio reazione
3
Punti
8
Paolo e Francesca - Dieci anni dopo
di Paolo Sforza Cesarani
Ecco a voi il capitolo 12, ove i nostri iniziano a parlar d'amore

Cap.13 - Tornando a casa​

Avevamo festeggiato il nostro primo anniversario con un paio di giorni in Umbria tra Foligno e Montefalco.
Approfittando della partecipazione ad un convegno sul Cloud della Regione Umbria per fare una breve gita enogastronomica appunto a Montefalco per degustare i due campioni del luogo: il Sagrantino ed il Rosso, avevo fatto prenotare da Karla nell’albergo nei cui saloni si svolgeva l’evento, il Palazzo Bontadosi, un albergo ricavato in un palazzetto del ‘400 successivamente riadattato e semi riedificato nel ‘800.
La peculiarità di questo albergo era quella di avere una SPA con una vasca di acqua naturale solforosa, intercettata da una fonte sottostante, che era ottima per lavacri e disinfettare la pelle.
Arrivammo il tardo pomeriggio dopo il convegno, affamati perché a pranzo in pratica non avevamo toccato cibo, nonostante il buffet riservato ai partecipanti al convegno ed ai relatori.
Un rapido salto in camera, una doccia (assieme!) e poi, rinfrescati e cambiati, scendemmo nei saloni ricavati nella hall ove era presente la degustazione.
Vi erano una decina di stand di altrettanti produttori locali, da quello a gestione familiare all’industria con decine di dipendenti. Centinaia di bottiglie in bella mostra e assaggi accompagnati da taglieri di salumi e formaggi locali con pane e focacce freschissime.
All’ingresso del percorso ci fornirono di due calici Borgogna, un tipo di bicchiere molto panciuto, in grado di far arieggiare il vino ed esaltarne le qualità ed i profumi.
Non sono un esperto, ma mi piace il rosso ed il Sagrantino è nella mia personale top 5. Avere la possibilità di scegliere tra tante bottiglie quella di mio maggior gradimento fu una piacevole esperienza.
Purtroppo, dopo quattro o cinque assaggi, nonostante l’accompagnamento di pane, formaggi e prosciutto locale, ho dovuto dare forfait. Francesca aveva già passato la mano al terzo assaggio.
Decidemmo pertanto di andare a mangiare un boccone in una taverna appena girato l’angolo.
Francesca era sull’allegro spinto, il vino le stava facendo un effetto magnifico, allentandole i freni inibitori normalmente tirati stretti.
Era loquace, più del solito, quasi ciarliera, e fece conoscenza con una coppia nostra vicina di tavolo, anch’essi a Montefalco per la sagra del Sagrantino.
Chiacchierammo dei nostri figli.
“Ma voi quanti figli avete? Quattro?” e dovetti spiegarle.
“Io ho due figli dalla mio primo matrimonio. Francesca ha anche lei due figli dal suo precedente matrimonio” spiegai.
“Ma allora siete sposati?” chiese.
“No, no. Ma festeggiamo stasera il nostro primo anniversario da quando ci siamo conosciuti” aggiungo, mentre prendevo la mano di Francesca e la stringevo nella mia, guardandola carico di amore e passione per questo dono del Signore.
Il marito della signora si alzò, versò del vino nei bicchieri e disse: “Permettetemi di brindare al vostro anniversario. Sono un terapista di coppia e riconosco al volo le coppie problematiche e quelle di successo. E se mi permettete, il vostro problema è che… vi amate troppo, se fosse veramente un problema!” esclamò.
Francesca arrossì un po’, levò il calice, toccò il mio, si avvicinò e mi baciò le labbra con delicatezza e pudore. Un castissimo bacio pregno di significati che solo io potevo decodificare.
Altra mezz’ora di chiacchiere, scambio di telefoni e ci avviammo, un po’ malfermi, verso l’albergo.
Ho ricordi nitidissimi di quel che successe poi, come fosse avvenuto ieri.
Salimmo in camera e mentre Francesca era in bagno a prepararsi per la notte, mi feci coraggio e tirai fuori dalla sacca il pacchettino con il mio pensiero di anniversario.
Ero passato in una gioielleria, deciso a prendere qualcosa che rappresentasse il mio amore per lei.
Visto il rapporto non ufficiale, la regola avrebbe suggerito una collana, un bracciale, un paio di orecchini.
Ma io volevo significarle il mio amore, una promessa da far evolvere verso qualcosa di definitivo, quando e se ne avesse avuto voglia.
Decisi pertanto per un anello.
Aiutato dall’artigiano a cui mi ero rivolto, scelsi una vera di oro bianco con un piccolo rubino rosso sangue e cinquantadue rosette di brillante, uno per ogni settimana passata assieme. Una cosa non troppo appariscente, che chiesi di realizzare ad hoc, ma nel contempo carica di profondi significati, almeno per me.
L’astuccio in cui mi era stato consegnato era semplice, piccolo e discreto, ma ovviamente tradiva l’essenza del regalo stesso.
Attesi quindi che Francesca uscisse dal bagno,
Si aprì la porta e uscì una dea racchiusa in una stupenda camicia da notte in raso lunga fino ai piedi, con un profondo scollo a V sul davanti che arrivava quasi fino alla pancia ed un enorme, profondissima scollatura sulla schiena, sottolineata da un fiocco proprio all’altezza del coccige, ove essa terminava.
Ebbi un mancamento, La sua bellezza mi toglieva il fiato. Per un attimo mi sentii perso.
Poi ripresi immediatamente il controllo, mi alzai dalla poltrona in cui mi ero seduto, la presi per mano e la condussi accanto al letto.
Poi, con fare distratto tolsi di tasca il pacchettino e glielo diedi.
“Un pensiero per te!” le dissi, cercando di dissimulare la mia emozione.
Francesca portò la mano alla bocca per il classico gesto di stupore.
“Volevo che questa nostra ricorrenza avesse un senso. Non è una promessa di matrimonio, la mia. Almeno, non in senso stretto.” le dissi.
“Però con questo mio pensiero, ti sto promettendo che mi impegnerò a proteggerti, a curarti, a desiderarti, ad amarti come se fossimo sposati. E spero che tu approvi questo mio desiderio e che lo condivida.” Le dissi con voce roca.
Senza una parola, si alzò e mi abbracciò con foga, mi baciò, mi abbracciò ancora più forte e scoppiò in un pianto a dirotto.
Nascondendo il viso sulla mia spalla, in breve le sue lacrime mi bagnarono il collo della camicia.
Ricordo che le presi il viso tra le mie mani e la baciai delicatamente sulle labbra, poi la misi a sedere sul bordo del letto, mi inginocchiai, le presi la mano sinistra e le infilai all’anulare l’anello della mia promessa d’amore.
Francesca mi lasciò fare, poi guardò la mano, mi guardò ancora e, alla fine, esclamò: “Ce l’hai fatta! Non aspettavo altro. Se avessi tardato ancora un po’, lo avrei fatto io al posto tuo, sai?” e mi fece l’occhiolino.
Quella notte facemmo l’amore una sola volta, ma ci addormentammo abbracciati stretti stretti e così ci risvegliammo la mattina dopo.
Avevo prenotato l’accesso alla SPA subito dopo la colazione.
Andammo quindi nel seminterrato e attendemmo il nostro turno, Una inserviente ci dette degli accappatoi e ci invitò a spogliarci e ad immergerci in quella vasca di acqua calda e non particolarmente invitante.
Facemmo un po’ di terapia immersi nell’acqua e coperti solo da un perizoma in carta, ma dopo una mezz’oretta Francesca volle uscire e rientrare in camera.
Un velo di tristezza ombrava il suo viso, ma non riuscivo a capire a cosa fosse dovuto fino a quando non ricordai: era l’anniversario della morte del suo papà.
La sua tristezza un po’ mi contagiò, ma capii che non aveva intenzione di farmi pesare la situazione, anzi, mi chiese di andare a fare un giro per il paese.
Nel frattempo, Karla mi chiamò e mi disse che l’amministratore delegato mi aveva cercato con una certa urgenza e che aveva fissato una video-conferenza nel tardo pomeriggio.
Avevo giusto il tempo di rientrare a Roma, lasciare Francesca a casa e fare un salto in ufficio.
Ebbi però un’idea.
Comunicai a Karla di spostare più tardi possibile la call e di organizzarla in modo che la potessi fare da casa, con comodo.
Dopo ciò, dissi a Francesca che saremmo rientrati un po’ prima per via di quella video conferenza,
Accettò senza alcuna ritrosia, consapevole del fatto che il dovere è il dovere.
Decisi di fare tutta la Flaminia anziché passare per la E45, e giustificai a Francesca questa scelta con il desiderio di fare un piacevole giro in macchina, senza troppa fretta.
Francesca accettò senza convinzione, persa com’era nei suoi pensieri.
Forse non si sentiva molto bene, sta di fatto che si addormentò dopo poco accoccolandosi sul sedile, peraltro comodo, della Citroen DS.
Mentre dormiva, divagavo e cercavo di capire se la sua tristezza fosse dipesa da me, in qualche modo.
Ma più mi arrovellavo, e più avevo la certezza di non aver fatto alcunché che la potesse aver ferita. La causa del suo dispiacere era altro. Forse era veramente triste per il papà.
Dopo poco più di un’ora e mezzo, arrivai al cancello del Cimitero di Prima Porta, dove sapevo che era la tomba del papà di Francesca.
Proprio in quel momento, Francesca si svegliò, si guardò un po’ in giro e stupita mi chiese: “Ma dove stiamo? Ma che ci facciamo al cimitero?”.
“Pensavo che avessi piacere a venire a salutare tuo padre” le risposi.
Mi guardò con sorpresa mista a gratitudine, mi chiese di fermarmi un momento fuori, scese e corse ad un banchetto di fiori. Tornò dopo qualche minuto con una rosa rossa.
“A papà piacevano molto le rose rosse, le regalava sempre a mamma, tutte le settimane una rosa, tutti i giorni almeno un fiore. E quando stava male, prima di morire mi disse: «Ricordati di portare un fiore a mamma, ogni tanto, come facevo io quando potevo. Mi raccomando. Ma non un fiore qualsiasi, una rosa rossa. Come quelle che piacevano a me». E ora gliene voglio regalare una io.” concluse.
Mi indicò la strada per arrivare alla tomba.
Scendemmo dall’auto e la presi sottobraccio mentre ci avvicinavamo alla lapide.
Francesca fece si liberò della mia presa, fece un passo avanti e si chinò per poggiare la rosa sulla lapide.
“Povero papà mio, quanto mi manchi” la sentii mormorare. Poi si allontanò con un vaso pieno di zeppi di fiori secchi, in cerca della fontanella dell’acqua.
Rimasi un momento in disparte, cercando di non apparire troppo invadente, Poi, vedendola ritornare con il vaso ripieno, andati verso di lei per aiutarla.
“Dammelo, te lo porto io.” le dissi.
“No, non importa, non pesa, non ti preoccupare” mi rispose,
Le rimasi vicino mentre metteva la rosa nel vaso, e la udii chiaramente mormorare, tra un singhiozzo e l’altro, “Perché mi hai lasciato, papà? Io ho bisogno di te. Chi mi aiuterà quando ne avrò bisogno e tu non ci sei?”,
Ebbi una sorta di fitta al cuore. Mi dispiaceva da morire sentirla così afflitta.
Sottovoce ma in maniera chiara risposi alla sua domanda retorica: “Non si preoccupi, signor Tiziano. A Francesca ci penserò io. Glielo prometto.” e detto ciò, le presi la mano e gliela strinsi con forza.
Francesca si girò sorpresa, mi guardò negli occhi e con i suoi occhi pieni di lacrime e di amore, mormorò “Ti amo”.
----------------------
Paolo Sforza Cesarani
Molto innamorato, molto romantico
Complimenti per il tuo racconto pieno di emozioni di vita
 

mb640

"Level 5"
Da 10 Anni su Phica.net
Messaggi
1,283
Punteggio reazione
1,045
Punti
139
Posizione
MILANO
Paolo e Francesca - Dieci anni dopo
di Paolo Sforza Cesarani
Ecco a voi il capitolo 12, ove i nostri iniziano a parlar d'amore

Cap.13 - Tornando a casa​

Avevamo festeggiato il nostro primo anniversario con un paio di giorni in Umbria tra Foligno e Montefalco.
Approfittando della partecipazione ad un convegno sul Cloud della Regione Umbria per fare una breve gita enogastronomica appunto a Montefalco per degustare i due campioni del luogo: il Sagrantino ed il Rosso, avevo fatto prenotare da Karla nell’albergo nei cui saloni si svolgeva l’evento, il Palazzo Bontadosi, un albergo ricavato in un palazzetto del ‘400 successivamente riadattato e semi riedificato nel ‘800.
La peculiarità di questo albergo era quella di avere una SPA con una vasca di acqua naturale solforosa, intercettata da una fonte sottostante, che era ottima per lavacri e disinfettare la pelle.
Arrivammo il tardo pomeriggio dopo il convegno, affamati perché a pranzo in pratica non avevamo toccato cibo, nonostante il buffet riservato ai partecipanti al convegno ed ai relatori.
Un rapido salto in camera, una doccia (assieme!) e poi, rinfrescati e cambiati, scendemmo nei saloni ricavati nella hall ove era presente la degustazione.
Vi erano una decina di stand di altrettanti produttori locali, da quello a gestione familiare all’industria con decine di dipendenti. Centinaia di bottiglie in bella mostra e assaggi accompagnati da taglieri di salumi e formaggi locali con pane e focacce freschissime.
All’ingresso del percorso ci fornirono di due calici Borgogna, un tipo di bicchiere molto panciuto, in grado di far arieggiare il vino ed esaltarne le qualità ed i profumi.
Non sono un esperto, ma mi piace il rosso ed il Sagrantino è nella mia personale top 5. Avere la possibilità di scegliere tra tante bottiglie quella di mio maggior gradimento fu una piacevole esperienza.
Purtroppo, dopo quattro o cinque assaggi, nonostante l’accompagnamento di pane, formaggi e prosciutto locale, ho dovuto dare forfait. Francesca aveva già passato la mano al terzo assaggio.
Decidemmo pertanto di andare a mangiare un boccone in una taverna appena girato l’angolo.
Francesca era sull’allegro spinto, il vino le stava facendo un effetto magnifico, allentandole i freni inibitori normalmente tirati stretti.
Era loquace, più del solito, quasi ciarliera, e fece conoscenza con una coppia nostra vicina di tavolo, anch’essi a Montefalco per la sagra del Sagrantino.
Chiacchierammo dei nostri figli.
“Ma voi quanti figli avete? Quattro?” e dovetti spiegarle.
“Io ho due figli dalla mio primo matrimonio. Francesca ha anche lei due figli dal suo precedente matrimonio” spiegai.
“Ma allora siete sposati?” chiese.
“No, no. Ma festeggiamo stasera il nostro primo anniversario da quando ci siamo conosciuti” aggiungo, mentre prendevo la mano di Francesca e la stringevo nella mia, guardandola carico di amore e passione per questo dono del Signore.
Il marito della signora si alzò, versò del vino nei bicchieri e disse: “Permettetemi di brindare al vostro anniversario. Sono un terapista di coppia e riconosco al volo le coppie problematiche e quelle di successo. E se mi permettete, il vostro problema è che… vi amate troppo, se fosse veramente un problema!” esclamò.
Francesca arrossì un po’, levò il calice, toccò il mio, si avvicinò e mi baciò le labbra con delicatezza e pudore. Un castissimo bacio pregno di significati che solo io potevo decodificare.
Altra mezz’ora di chiacchiere, scambio di telefoni e ci avviammo, un po’ malfermi, verso l’albergo.
Ho ricordi nitidissimi di quel che successe poi, come fosse avvenuto ieri.
Salimmo in camera e mentre Francesca era in bagno a prepararsi per la notte, mi feci coraggio e tirai fuori dalla sacca il pacchettino con il mio pensiero di anniversario.
Ero passato in una gioielleria, deciso a prendere qualcosa che rappresentasse il mio amore per lei.
Visto il rapporto non ufficiale, la regola avrebbe suggerito una collana, un bracciale, un paio di orecchini.
Ma io volevo significarle il mio amore, una promessa da far evolvere verso qualcosa di definitivo, quando e se ne avesse avuto voglia.
Decisi pertanto per un anello.
Aiutato dall’artigiano a cui mi ero rivolto, scelsi una vera di oro bianco con un piccolo rubino rosso sangue e cinquantadue rosette di brillante, uno per ogni settimana passata assieme. Una cosa non troppo appariscente, che chiesi di realizzare ad hoc, ma nel contempo carica di profondi significati, almeno per me.
L’astuccio in cui mi era stato consegnato era semplice, piccolo e discreto, ma ovviamente tradiva l’essenza del regalo stesso.
Attesi quindi che Francesca uscisse dal bagno,
Si aprì la porta e uscì una dea racchiusa in una stupenda camicia da notte in raso lunga fino ai piedi, con un profondo scollo a V sul davanti che arrivava quasi fino alla pancia ed un enorme, profondissima scollatura sulla schiena, sottolineata da un fiocco proprio all’altezza del coccige, ove essa terminava.
Ebbi un mancamento, La sua bellezza mi toglieva il fiato. Per un attimo mi sentii perso.
Poi ripresi immediatamente il controllo, mi alzai dalla poltrona in cui mi ero seduto, la presi per mano e la condussi accanto al letto.
Poi, con fare distratto tolsi di tasca il pacchettino e glielo diedi.
“Un pensiero per te!” le dissi, cercando di dissimulare la mia emozione.
Francesca portò la mano alla bocca per il classico gesto di stupore.
“Volevo che questa nostra ricorrenza avesse un senso. Non è una promessa di matrimonio, la mia. Almeno, non in senso stretto.” le dissi.
“Però con questo mio pensiero, ti sto promettendo che mi impegnerò a proteggerti, a curarti, a desiderarti, ad amarti come se fossimo sposati. E spero che tu approvi questo mio desiderio e che lo condivida.” Le dissi con voce roca.
Senza una parola, si alzò e mi abbracciò con foga, mi baciò, mi abbracciò ancora più forte e scoppiò in un pianto a dirotto.
Nascondendo il viso sulla mia spalla, in breve le sue lacrime mi bagnarono il collo della camicia.
Ricordo che le presi il viso tra le mie mani e la baciai delicatamente sulle labbra, poi la misi a sedere sul bordo del letto, mi inginocchiai, le presi la mano sinistra e le infilai all’anulare l’anello della mia promessa d’amore.
Francesca mi lasciò fare, poi guardò la mano, mi guardò ancora e, alla fine, esclamò: “Ce l’hai fatta! Non aspettavo altro. Se avessi tardato ancora un po’, lo avrei fatto io al posto tuo, sai?” e mi fece l’occhiolino.
Quella notte facemmo l’amore una sola volta, ma ci addormentammo abbracciati stretti stretti e così ci risvegliammo la mattina dopo.
Avevo prenotato l’accesso alla SPA subito dopo la colazione.
Andammo quindi nel seminterrato e attendemmo il nostro turno, Una inserviente ci dette degli accappatoi e ci invitò a spogliarci e ad immergerci in quella vasca di acqua calda e non particolarmente invitante.
Facemmo un po’ di terapia immersi nell’acqua e coperti solo da un perizoma in carta, ma dopo una mezz’oretta Francesca volle uscire e rientrare in camera.
Un velo di tristezza ombrava il suo viso, ma non riuscivo a capire a cosa fosse dovuto fino a quando non ricordai: era l’anniversario della morte del suo papà.
La sua tristezza un po’ mi contagiò, ma capii che non aveva intenzione di farmi pesare la situazione, anzi, mi chiese di andare a fare un giro per il paese.
Nel frattempo, Karla mi chiamò e mi disse che l’amministratore delegato mi aveva cercato con una certa urgenza e che aveva fissato una video-conferenza nel tardo pomeriggio.
Avevo giusto il tempo di rientrare a Roma, lasciare Francesca a casa e fare un salto in ufficio.
Ebbi però un’idea.
Comunicai a Karla di spostare più tardi possibile la call e di organizzarla in modo che la potessi fare da casa, con comodo.
Dopo ciò, dissi a Francesca che saremmo rientrati un po’ prima per via di quella video conferenza,
Accettò senza alcuna ritrosia, consapevole del fatto che il dovere è il dovere.
Decisi di fare tutta la Flaminia anziché passare per la E45, e giustificai a Francesca questa scelta con il desiderio di fare un piacevole giro in macchina, senza troppa fretta.
Francesca accettò senza convinzione, persa com’era nei suoi pensieri.
Forse non si sentiva molto bene, sta di fatto che si addormentò dopo poco accoccolandosi sul sedile, peraltro comodo, della Citroen DS.
Mentre dormiva, divagavo e cercavo di capire se la sua tristezza fosse dipesa da me, in qualche modo.
Ma più mi arrovellavo, e più avevo la certezza di non aver fatto alcunché che la potesse aver ferita. La causa del suo dispiacere era altro. Forse era veramente triste per il papà.
Dopo poco più di un’ora e mezzo, arrivai al cancello del Cimitero di Prima Porta, dove sapevo che era la tomba del papà di Francesca.
Proprio in quel momento, Francesca si svegliò, si guardò un po’ in giro e stupita mi chiese: “Ma dove stiamo? Ma che ci facciamo al cimitero?”.
“Pensavo che avessi piacere a venire a salutare tuo padre” le risposi.
Mi guardò con sorpresa mista a gratitudine, mi chiese di fermarmi un momento fuori, scese e corse ad un banchetto di fiori. Tornò dopo qualche minuto con una rosa rossa.
“A papà piacevano molto le rose rosse, le regalava sempre a mamma, tutte le settimane una rosa, tutti i giorni almeno un fiore. E quando stava male, prima di morire mi disse: «Ricordati di portare un fiore a mamma, ogni tanto, come facevo io quando potevo. Mi raccomando. Ma non un fiore qualsiasi, una rosa rossa. Come quelle che piacevano a me». E ora gliene voglio regalare una io.” concluse.
Mi indicò la strada per arrivare alla tomba.
Scendemmo dall’auto e la presi sottobraccio mentre ci avvicinavamo alla lapide.
Francesca fece si liberò della mia presa, fece un passo avanti e si chinò per poggiare la rosa sulla lapide.
“Povero papà mio, quanto mi manchi” la sentii mormorare. Poi si allontanò con un vaso pieno di zeppi di fiori secchi, in cerca della fontanella dell’acqua.
Rimasi un momento in disparte, cercando di non apparire troppo invadente, Poi, vedendola ritornare con il vaso ripieno, andati verso di lei per aiutarla.
“Dammelo, te lo porto io.” le dissi.
“No, non importa, non pesa, non ti preoccupare” mi rispose,
Le rimasi vicino mentre metteva la rosa nel vaso, e la udii chiaramente mormorare, tra un singhiozzo e l’altro, “Perché mi hai lasciato, papà? Io ho bisogno di te. Chi mi aiuterà quando ne avrò bisogno e tu non ci sei?”,
Ebbi una sorta di fitta al cuore. Mi dispiaceva da morire sentirla così afflitta.
Sottovoce ma in maniera chiara risposi alla sua domanda retorica: “Non si preoccupi, signor Tiziano. A Francesca ci penserò io. Glielo prometto.” e detto ciò, le presi la mano e gliela strinsi con forza.
Francesca si girò sorpresa, mi guardò negli occhi e con i suoi occhi pieni di lacrime e di amore, mormorò “Ti amo”.
----------------------
Paolo Sforza Cesarani
Non ti smentisci mai, una stupenda lettura.
ripeto, il miglior scrittore del forum
 
OP
timassaggio

timassaggio

"Level 6"
1 Anno di Phica.net
Messaggi
1,029
Punteggio reazione
2,881
Punti
119
Paolo e Francesca - Dieci anni dopo
di Paolo Sforza Cesarani
Ecco a voi il capitolo 14, una tappa importante della loro storia d'amore

Cap. 14 - Parigi val bene una messa

In occasione del nostro secondo anniversario ho deciso di regalare a Francesca e a me un viaggio a Parigi.
E’ stata la prima volta che ci siamo allontanati da casa non per lavoro ma per un viaggio di piacere.
Si, eravamo stati un bel po’ in Sardegna in occasione del famoso tavolo a mosaico di Franco e Livia, addirittura Francesca aveva portato con sé suo figlio per una decina di giorni, prima dell’inizio delle scuole.
Avevamo fatto dei piccoli viaggi per il mio lavoro in Germania e per il suo in Sicilia, ma sempre per brevi periodi, e comunque mai per diletto.
Le ho organizzato pertanto una sorpresa.
Grazie all’aiuto di Karla, impagabile segretaria / amica / confidente, ho prenotato il volo da Roma a Parigi ed il pernottamento in un piccolo hotel boutique dietro alla Madeleine, ad un passo dalle Galeries Lafayette, nel IX arrondissement.
Io non parlo francese con la necessaria fluence e, soprattutto, con il giusto accento. Per questo, ogni volta che sono andato a Parigi, parlare al mio meglio e non essere compresi per definizione è stata una costante. Sembra assurdo ma nonostante il grandissimo flusso di turisti, a Parigi è sempre un peccato mortale essere stranieri e non conoscere il francese perfettamente.
Per fortuna Francesca lo parla con un’ottima pronuncia e corretto grammaticalmente e sintatticamente.
Prendiamo il treno dall’aeroporto De Gaulle fino alla Gare du Nord e poi un taxi fino a Rue Greffhule, la nostra meta. Sono le 10:50 ed il traffico è pazzesco. Nonostante le corsie preferenziali, impieghiamo quasi mezz’ora per percorrere circa tre chilometri: come da Piazza del Popolo a Piazza Venezia.
Ne approfittiamo per parlare un po’ con il tassista, un parigino bisnipote di uno degli autisti che condussero con i loro mezzi i fanti francesi alla battaglia della Marna, che stranamente apprezza i nostri sforzi anche se sembra molto più concentrato sulle cosce e sulla scollatura di Francesca che su quel che diciamo.
Da buon cittadino, ci lascia una lista di indirizzi di ristoranti, locali, boulangerie selezionate da lui stesso, non troppo turistiche ed abbastanza economiche; ovviamente, la pubblicità in quattro lingue del suo tassì e del suo numero di telefono per prenotazioni.
Scopriamo che si chiama Paul e che sua moglie fa lo stesso lavoro di Francesca. Il mondo è piccolo, decisamente.
Arriviamo al nostro albergo, pago la corsa e Paul scarica personalmente i nostri bagagli e chiama con un fischio il garçon addetto. Manda a quel paese un automobilista che non riusciva a passare e sorridente mi saluta e bacia la mano a Francesca.
A votre disposition, madame: appellez-moi si vou aves bisoin de un taxi. Je serai heureux de vous accompagner où vous voudrez”.
Merci beaucoup messieur Paul, nous on vous appellera sans aucun doute!” risponde il mio amore.
Non c’è niente da fare. Questa donna è speciale. E i parigini sono grandi figli di puttana adolatori che sanno come trattare le donne.
Analoga storia alla reception dell’albergo.
Sfodero il mio miglior inglese (ed in effetti, lo parlo bene, mediamente meglio di tanti europei colti) e chiedo al concierge della mia prenotazione.
Sembra assurdo, ma fa finta di non capire. Guardo con fare interrogativa Francesca la quale interviene e chiede la stessa cosa in francese.
Ovviamente, grandi sorrisi, comportamento sussiegoso, smaccato tentativo di flirt: altri due minuti e lo avrei scannato sul bancone con la biro che mi aveva dato per compilare i moduli.
Ci consegna la chiave e chiama con un cenno il porteur indicandogli i nostri bagagli.
Il ragazzo prende il suo carrello, vi pone i nostri due trolley e la valigia comune e ci guida alla nostra stanza.
Karla mi aveva fatto scegliere tra una stanza nel sottotetto con quattro finestre ad abbaino e vista sui tetti, più grande, oppure una bella stanza con tre finestre d’angolo. Ho scelto il sottotetto, perché più romantique, secondo lei. Speriamo di non dover soffrire il caldo o il rumore.
Lasciamo dieci euro di mancia al ragazzo che ci guarda come se gli avessimo dato un fazzoletto di carta sporco: deve esserci qualcosa di strano in questi parigini.
Approfittiamo per disfare i bagagli, darci una rinfrescata e verificare la conferma della prenotazione della visita al Louvre. Ho personalmente parlato con una guida italiana, una ragazza di Firenze trasferita a Parigi, Mona, fissando l’orario, il tipo di visita e dandole mandato di prenotare lei i biglietti.
Potremmo prendere il metrò o i bus, ma decidiamo di andare a piedi. Sono circa un chilometro e mezzo, una ventina di minuti, passando per alcuni degli scorci più belli di Parigi.
Contatto Mona per telefono e l’avviso che siamo in arrivo. Ci aspetta alla Piramide all’interno del cortile del Museo, al punto di ritrovo per i visitatori con guida ufficiale.
Vediamo una ragazza deliziosa, con i tratti del viso decisamente etruschi e ci avviciniamo a lei. Porta un cartello con su scritto i nostri nomi.
Presentazione, saluti, quattro chiacchiere in attesa del nostro turno. Ci spiega che dopo la laurea in architettura non ha trovato nulla da fare se non la guida turistica a Firenze. Poi un giorno ha incontrato un ragazzo francese, pianista in visita di studio all’Accademia Chigiana a Siena, che aveva chiesto una guida per una visita a Palazzo Pitti, ed è stato colpo di fulmine. Dopo due settimane, Mona ha seguito il suo Clement a Parigi, lasciando padre, madre, sorella e lavoro. Si è messa a studiare bene il francese e dopo un anno ha fatto l’esame da guida turistica accreditata, ed è entrata nel giro degli accompagnatori del Louvre. Bella storia.
Avevo pianificato di visitare soprattutto la Pinacoteca, sperando di fare cosa gradita a Francesca, appassionata di pittura.
Tralascio il giro, sarebbe troppo lungo descriverlo e chi ha visitato il Louvre sa che non bastano due giorni. Solo la Pinacoteca (Departement de Peinture) ha più di 3.000 opere esposte...
Dopo aver accompagnato Francesca e Mona e goduto comunque delle piacevoli ed argute spiegazioni delle varie opere (compreso la visita alla Gioconda, alla fine una mezza delusione, tanto casino per una tavoletta di 30 x 40… ;-) vabbè, scherzo!!!) siamo abbastanza stanchi e decidiamo di uscire e di concederci un aperitivo.
Per gentilezza e riconoscenza invito Mona ad unirsi a noi. Ella accetta con piacere e ci suggerisce un posto proprio a Place de la Madeleine dove, oltre all’aperitivo, potremo assaggiare degli ottimi macarons.
Chiacchieriamo del più e del meno, Mona si informa sulle nostre reciproche attività e ci chiede da quanto siamo sposati.
“No, sono solo due anni, stasera, che stiamo insieme. Ho portato il mio amore qui a Parigi per festeggiare assieme la ricorrenza” le spiego.
“MA DAI!!! E non ci posso credere!” esclama Mona.
“Anche io e il mio fidanzato festeggiamo oggi il nostro secondo anniversario!!! Dobbiamo festeggiare assieme!” dice entusiasta.
“Perché no?” risponde Francesca, guardandomi.
Per me va bene, ho solo prenotato un tavolo per due su un baton mouche che fa il tour della Senna. Non c’è molto turismo a Parigi in questo momento, pochi problemi di prenotazione per i luoghi turistici. Lo posso spostare a domani.
“Certamente si, amore. A me pure fa piacere! E poi Mona è una toscanaccia simpatica!” e le faccio un occhiolino.
Mona è al telefono con il suo Clement e le sta spiegando la situazione. Parla uno strano connubio di francese e toscano. Immaginate di sentire pronunciare la C aspirata nelle parole francesi, o ascoltare qualcosa del tipo “Oh grullino! O cchesche vòle tu?” è spassoso.
Clement richiama dopo qualche minuto confermando di aver esteso la sua prenotazione in un ristorante abbastanza vicino a dove ci troviamo, a metà strada tra il nostro albergo e il Louvre.
Ci diamo quindi appuntamento di fronte al ristorante alle 20:15 in punto.
Inutile dire che il dress code consigliato è decisamente élégant, raffiné et sophistiqué.
Non è un problema, ho portato in ogni caso lo smoking perché ho in programma di partecipare ad uno spettacolo di gala all’Operà Garnier che prevede per l’appunto il black tie ed il lungo per le signore.
Andiamo in albergo e chiedo alla receptionist - finalmente una persona gentile che parla italiano - se ha il numero di un coiffeur che possa venire con urgenza a fare un ritocco di acconciatura a Francesca. Lei mi risponde che non c’è bisogno; girato l’angolo c’è un parrucchiere da signora che lei conosce molto bene e che gli chiederà un appuntamento immediato “pour ma chère amìe madàme Françoise”.
Detto fatto. Tempo cinque minuti Adèle, la receptionist, mi avverte che Gastòn, il parrucchiere, la sta aspettando e che “si monsieur Paolò veut, il peut rangére sa tête maintenant”. Arrangiare la testa mi mancava proprio…
Comunque, in pochi minuti siamo entrambi pronti per cambiarci.
Il mio smoking è stato appena rimesso in forma per … accresciuti centimetri di pancia, camicia nuova, un farfallino rosso scuro, quasi amaranto, come unica concessione alla trasgressione.
Francesca è splendida, come al solito, Indossa uno stupendo vestito in velluto nero, lungo, con un vertiginoso spacco laterale, corpetto castigatissimo fino al collo che però lascia la schiena nuda con il coccige appena coperto. Sopra il vestito, un bolero di velluto nero con collo alla coreana e allacciatura con alamari. Il parrucchiere ha deciso per un’acconciatura semplice ma raffinatissima: uno chignon che esalta il collo sottile ed il viso dolcissimo. Non indossa gioielli se non un set di bracciali di oro bianco, oro giallo e oro brunito con qualche brillantino sulla faccia superiore, orecchini pendant con i tre cerchietti dello stesso colore ma con brillantini sull’intera superficie esterna.
Un paio di sandali neri con tacchi sottili esaltano i suoi piedi, curatissimi. Alla caviglia sinistra, la solita elegante, sottilissima cavigliera d’oro.
Uno spettacolo per gli occhi, a quanto pare non solo i miei, visto che, mentre attendiamo il tassì, ho notato un notevole rallentamento del traffico proprio all’incrocio di Rue de Mathurins con Rue Graffhule.
Anche il tassista, anziché attendere in auto, è sceso per aprire lo sportello a Francesca… e a me stava per lasciare a piedi. E vabbè.
Bonsoire, Rue Thérèse, numero 1, s’il vous plait, messieur” esordisce Francesca.
Lo chauffeur osserva quasi famelico dallo specchietto la coscia semi nuda di Francesca, giacché lo spacco del vestito si è ovviamente aperto. “Maintenant, madame. Mercì.
“Ma merci de che??? An vedi questo…” penso, E’ proprio vero che i francesi ci provano con tutte, peggio dei vitelloni romani. Però riconosco che fino ad ora, sono stati tutti molto charmant, molto affabili. Si vede che ce l’hanno nel sangue.
Arriviamo in brevissimo tempo al locale, esattamente un istante dopo che Mona e Clement sono scesi dal loro taxi.
Clement ha l’aria del bravo ragazzo, appare timido e riservato, ma molto elegante in uno smoking dal taglio moderno e un po’ anticonformista. Mona invece è esuberante, fasciata in un abito rosso a sirena con un ampio spacco dietro che arriva a due dita dal sedere, chiuso da un fiocco di raso rosso che ferma anche la scollatura posteriore del corpetto, che invece davanti esalta il suo seno più prosperoso di quanto non apparisse stamattina in jeans e camicetta.
Anche loro dimostrano di essere molto innamorati.
Ci presentiamo con Clement, che parla un discreto italiano con le classiche inflessioni francesi, inframezzato da parole nella sua lingua natia.
Conferma la mia sensazione. È in effetti un ragazzo molto timido, sicuramente di ottima educazione di base, che saluta Francesca con il baciamano, ma che mi stringe la mano senza vigore, un po’ schivo.
Ci fanno strada per il locale dove un buttafuori di chiara origine sud-sahariana sbarra la strada a chi vuole entrare se non rispetta le regole del dress code o a chi appare ubriaco o altrimenti squilibrato.
Ci apre la porta e siamo accolti da una ragazza in tubino nero e con chignon che ci conduce al maitre de salle il quale, dopo aver compulsato il suo tableau, ci accompagna al nostro tavolo.
I commensali sono tutti molto distinti, tutte coppie più o meno giovanili, ma ci sono un bel po’ di persone anziane o comunque più avanti negli anni di me.
Nell’ambiente ovattato si sentono distintamente voci in francese, inglese, tedesco, italiano, spagnolo, ma anche qualche “Da” e “spasibo” e “karasho” di chiara origine slava.
Sembra che mezza Europa si sia data appuntamento lì; ma poi, dopo di noi entrano in sala due coppie di cinesi.
Clement e Mona non ci fanno più caso, ma noi romani siamo poco abituati a tutta questi stranieri assieme.
E’ difficile trovare tante nazionalità in un ristorante, seppur di alto livello, a Roma. O almeno, a me non è mai capitato.
Mi faccio raccontare la storia di questo locale.
Clement mi risponde. “È un locale molto famoso a Parigi, noto per essere molto trasgressivo”. Al che inizio a preoccuparmi. Non ne sapevo nulla e non vorrei che Francesca possa pensare che ho organizzato l’ennesimo tentativo di orgia.
“In che senso, scusa?” facendo la faccia di Verdone.
“Non mi dire che è un privè per scambisti perché sinceramente preferisco andar via. Avreste dovuto avvisarmi!” esclamo un po’ seccato, Francesca mi guarda e mi posa una mano sul braccio per calmarmi. Sa che se prendo cappello, poi mi accendo e divento poco simpatico.
“Aspetta amore, sentiamo prima”.
“No no, ora vi spiego.” ed inizia a parlare velocemente in francese con Mona che stava cercando di interpretare il mio brusco cambio di umore. Francesca capisce ed annuisce tranquilla. Io comprendo solo la metà di quel che dice e lo interrompo con un “E quindi?”.
Interviene Mona che spiega.
“Allora Paolo, Clement vuole spiegarti bene.” inizia.
“Le Chandelles è un locale erotico, dove ci sono scambisti e altri personaggi a cui piace il sesso di gruppo. Ma nulla avviene nella sala da pranzo ove è severamente vietata qualsiasi tipo di effusione. Per quelle attività ci sono sale apposite ai piani superiori e neiu seminterrati.” Continua, mentre Francesca annuisce.
“Ciò nonostante, Les Chandelles è anche un ottimo ristorante dove il cibo è molto buono e ricercato e la cantina è molto ricca, anche se non hanno idea di cosa sia il vero vino…” e ammicca all’indirizzo di Clement che ridacchia.
“E Clement aveva organizzato qui per noi perché lo chef è suo zio, fratello della mamma, e perché comunque, un po’ di pepe non ci fa male.” continua.
“In fin dei conti, noi a Parigi abbiamo il Moulin Rouge e le Folies Berger che sono famosi in tutto il mondo, più la nomea della città dell’amore.” spiega.
“Quando finiamo la cena alle 21:30 o alle 22:00, i camerieri sparecchiano rapidamente ed inizia uno spettacolo erotico, ma non pornografico, almeno così mi ha spiegato Clement”.
“Se uno vuole fare altro, si alza, chiama il maitre che gli riserva uno spazio nel seminterrato o ai piani superiori a seconda della fantasia sua e dei suoi amici. Ma qui tutto rimane nei limiti del trasgressivo, non del porno.” Conclude.
“Ho capito. Scusatemi. È che non avevo proprio idea. E mi rendo conto che la mia risposta è stata eccessivamente aggressiva.”
“Clement, je te prie de me pardonner!” e gli porgo la mano.
Clement sorride e annuisce “Il n'y a pas de problème, non c’è problema”. Tutto a posto.
Ordiniamo, beviamo un buon champagne come aperitivo ed iniziamo una piacevole conversazione. Come ci siamo conosciuti, le nostre famiglie precedenti, i figli, i programmi futuri.
Temi leggeri, da cena tra amici, senza doversi impegnare troppo.
Suona la campanella, sono le 21:30. Alcuni commensali, non molti, si alzano, alcuni sono già andati via; pochi, per lo più anziani, rimangono.
Noi ci guardiamo in giro. La notte è ancora giovane, vorremmo festeggiare.
Vado a parlare con il maitre, per fortuna parla un discreto inglese.
Gli spiego che vorremmo un tavolino in un punto discreto, appartato, non in mezzo al carnaio, ove poter festeggiare il nostro comune anniversario con una bottiglia di champagne, e gli metto in mano una banconota da 50€.
No Monsieur, je ne peux pas accepter son argent” dice secco rifiutando il denaro. Ha parlato in francese.
Ma immediatamente, mi chiede “Posso suggerire al signore un angolo discreto da cui ammirare piacevoli situazioni senza essere costretto ad intervenire?”.
Accidenti, mi ha capito al volo. Voglio solo guardare…
Yes, master. It’s fine with me. Please be so kind and bring us a well chilled bottle of 2005 Dom Perignon with four flutes for us. Please charge it on my card.
Thank you so much”
E gli porgo la mia carta di credito.
Con un cenno discreto chiama la receptionist in tubino nero e le sussurra qualcosa all’orecchio.
Mi conduce al nostro tavolo e ci dice: “Mesdame, messieurs, s’ils veulent me suivre, je les accompagne à leur table” e ci guida per stretti corridoi appena rischiarati da luci fioche in una saletta arredata con alcuni tavolini d’angolo contornati da comodi divani e da alcuni pouff. Ci indica il nostro tavolo, che è di fronte ad una sorta di piccolo palcoscenico con un palo da pole dance e con un paio di strane chaise longue che appaiono non molto comode, vista la strana posizione che dovrebbe assumere un corpo lì sdraiato.
Clement mi si avvicina e mi chiede se ho scelto io il posto.
“No assolutamente, me lo ha suggerito il maitre che mi ha detto che forse era meglio un posto tranquillo da cui guardare senza dover partecipare, ed io ho accettato. Perché, ho forse sbagliato? Andiamo via, se non ti va.” gli rispondo.
“No, no, it’s fine with me. Mi va benissimo. Io conosco abbastanza bene questo posto, Mona no. E credo che neanche lei abbia voglia di cose strane, anche se non ne abbiamo mai parlato” sussurra.
“Vedi Clement, Francesca ed io abbiamo conosciuto posti simili, ma non abbiamo mai avuto il desiderio di frequentarli attivamente. Ci siamo sempre trovati quasi per caso in situazioni analoghe e abbiamo sempre evitato di farci coinvolgere. E credo che nemmeno Francesca questa sera abbia voglia di provare” rispondo serenamente.
“Allora è tutto a posto. Godiamoci la serata. Ordino dello champagne se per te va bene” mi dice.
“Già fatto, caro Clement. Per questo siete miei ospiti. Poi, per il bis, vediamo…” e gli faccio un occhiolino.
Francesca e Mona sono in piedi, aspettando che noi finiamo di confabulare. Devo riconoscere che sono entrambe belle donne, piacevolissime da vedere, eleganti e sofisticate. Conversano amabilmente, ridendo e scherzando. Mona indica il palo da pole-dance e sembra le dica qualcosa.
Ci avviciniamo e sentiamo la toscana che dice “Lo sai che ho seguito un corso di pole-dance in palestra? È un’attività faticosissima, richiede esercizio, allenamenti continui ai pesi, forma e dedizione. Però quando fai certi volteggi, ti senti proprio soddisfatta. Alla fine, io lo trovo uno sport più bello della ginnastica artistica. E’ un mix tra parallele, anelli, sbarra e corpo libero. Con una spruzzata di erotismo che non guasta.”
E Francesca risponde: “Nella palestra che frequento è arrivata un’insegnante argentina che hanno soprannominato Hitler per via della sua durezza. È una ballerina di tango che ha applicato alcuni passi, se così si può dire, al palo. L’ho vista volteggiare sul palo e sembra che usi un ascensore per come ci si arrampica. Ed in effetti, è un piacere osservarla. All’inizio pensavo che fosse un ex entreneuse, ma poi l’ho guardata ballare anche il tango e devo dire che è proprio un’artista. Quasi quasi mi ci segno, così smaltisco un po’ di pelle moscia sulle braccia e sulle cosce” e si apre lo spacco del vestito per mostrare la gamba.
Un po’ troppo, direi, visto che scopre tutto il fianco, oltre alla coscia. E’ evidente che non porta slip.
“Beh, io devo dire che mi ha fatto molto bene soprattutto al sedere: guarda!” e si volta di spalle verso Francesca allargando un po’ la vita del vestito e mostrandole quel che c’è sotto, o meglio, quel che non c’è. Senza doversi sforzare, appare chiaro a tutti noi che anche Mona non porta alcun tipo di slip.
“In effetti, hai un culetto bello sodo, Mona!” esclama Francesca. “Te lo invidio, avessi io la tua età” prosegue con un po’ di rimpianto, e si volta a vedere il suo.
“Spero tu stia scherzando, Francesca. Tu hai un culo da favola e delle gambe pazzesche. Sei una delle donne più belle che abbia mai visto.”
“Tu stai scherzando. Io ho quasi cinquantasei anni, tu venti di meno. Potresti essere mia figlia. Magari fossi come te.” Le risponde compita.
Intervengo “Beh che ne dite di metterci a sedere? E’ arrivato dello champagne e noi dobbiamo brindare e festeggiare”.
Allons-y, car l'heure tourne!” aggiunge Clement.
Ci sediamo al tavolo sui comodi divani, Francesca ed io da una parte, Mona e Clement dall’altra, le donne al centro. Chiamo il cameriere con un cenno e gli indico la bottiglia. Lui scatta, apre il tappo inclinando la bottiglia e tenendolo in mano in modo da non farlo volar via e serve il liquido leggermente ambrato nei flute, senza farne cadere una goccia.
“Tanti auguri a voi e a noi!” esclamo levando il bicchiere.
“Tanti auguri, buon anniversario!” si accodano gli altri, replicando il mio gesto.
Francesca mi bacia sulle labbra e prende un sorso, poi si gira verso Mona che ha fatto altrettanto con Clement e scambia un bacio sulle guance.
Il pianista ed io ci scambiamo un muto augurio inclinando il calice l’un verso l’altro.
Inizia in quel momento ad udirsi una musica. È un tango, Tango Santa Maria di Gotan Project. Una musica sensuale che invita al ballo, al tocco, al sesso.
Non ho mai ballato con Francesca da quando siamo insieme, né posso definirmi un tangheiro, anche se in gioventù avevo seguito qualche lezione trascinato dalla mia prima moglie; sapevo peraltro che Francesca ha fatto parecchie lezioni di tango, perché me ne aveva parlato agli inizi della nostra storia, due anni fa.
Mosso da un inatteso coraggio, mi alzo, la sollevo e mi sposto verso quella specie di piccola pista vicino al palo ed inizio a seguire la musica. Francesca è brava, in realtà fa tutto lei, io lascio solo andare le mie mani e le mie gambe accompagnando i suoi movimenti.
Non sono le nostre menti a ballare, sono i nostri corpi ad interpretare quella musica sensuale.
Più volte la sua gonna si apre sullo spacco mostrando tutto quel che c’è sotto, ma lei impudicamente trasportata da quella musica non se ne accorge, o fa finta di non accorgersene.
Ad un certo punto si gira con la schiena verso di me, mi si stende addosso, prende le mie mani con le sue e percorre tutto il suo corpo scendendo dal seno verso le cosce, per poi salire, una sopra ed una sotto il vestito aperto. Siamo girati verso il nostro tavolo, per cui solo Mona e Clement possono vederci.
Ma dura poco, Francesca riprende i passi tradizionali, conducendomi verso un finale esplosivo.
La musica sfuma, battuta dopo battuta, lasciando il posto ad un silenzio profondo. Un istante ed un fragoroso applauso si scatena da decine di mani di altrettanti spettatori che si erano fermati a guardare.
Francesca si sveglia dalla trance in cui sembrava caduta e si accorge che lo spacco della sua gonna è totalmente aperto e mostra la sua deliziosa patatina liscia e completamente scoperta.
Arrossita si gira e si nasconde con la testa sul mio petto. Io le sollevo la testa e le baci delicatamente le labbra. Il nostro sfioramento diventa un bacio profondo, appassionato.
“Auguri amore mio. Buon anniversario” le sussurro all’orecchio, Lei mi prende la testa tra le sue mani e mi bacia ancora sulle labbra, bisbigliando “Ti amo, vita mia”.
Ci risediamo, commossi e un po’ vergognosi dell’involontario spettacolo che abbiamo mostrato.
Mona si volta ad abbracciare Francesca e le dice “Da grande voglio essere come te!”. La frase è talmente comica che scoppiamo a ridere come matti.
“Devo dire che il vostro ballo è stato particolarmente eccitante. Francesca sa valorizzare il suo corpo in maniera eccellente. Sembra che ogni fibra di lei esprima il suo amore per te.” afferma.
Clement annuisce e dice “Mon coeur, tu pure sai farmi capire quando e quanto mi desideri!” e abbraccia la sua compagna.
Qualche brano di musica lounge, al termine del quale inizia un brano che adoro, New Frontier di Donald Fagen. Mi metto a battere il tempo con il piede mentre penso un po’ alla situazione che si è venuta a creare.
Ma sorprendentemente Mona si alza in piedi e va verso il palo. “È uno dei brani delle mie coreografie preferite...” e nonostante la gonna lunga, afferra l’asta ed inizia a muoversi ritmicamente seguendo l’onda lunga del tema. Piano piano si scioglie, la gonna sale sempre di più... lei non lo sa, ma il suo delizioso culetto è totalmente scoperto perché lo spacco è salito ben oltre.
Durante una manovra con le spalle, il suo corpetto scivola giù scoprendo un seno fermo, sodo, giovanile. Una bella terza misura, diciamo.
Guardo istintivamente Clement immaginando che scatti a coprirla, ma egli mostra una calma incredibile; anzi, sembra quasi divertito.
Anche Francesca batte le mani a tempo mentre Mona si muove sempre più sensualmente. E ad un certo punto, il vestito si apre e scivola a terra, lasciandola totalmente nuda. Lei, a differenza di Francesca, ha un vistoso triangolo di pelo sul pube, pur essendo tutto il resto chiaramente depilato.
A quel punto Mona si scatena e la sua danza diventa quasi acrobatica. Sembra che stia facendo l’amore con il palo, per quanto è sensuale, e la cosa sinceramente ci eccita.
La musica termina sfumata, un invisibile regia sembra operare con attenzione lanciando tra una pausa di relax e l’altra brani interessanti.
Mona si china a raccogliere il suo vestito e viene verso di noi comprendosi alla bene e meglio.
“Francesca mi sa che si è aperto dietro, Mi daresti una mano, per favore?” e vanno assieme, l’una prendendo per mano l’altra, verso la toilette delle signore.
Come nella maggior parte dei locali di Parigi, ai bagni c’è sempre una “dame pipì”, ovvero una signora addetta alle pulizie che richiede un piccolo obolo, e che spesso è in grado di fornire tutto ciò che può servire, dalla carta igienica agli assorbenti, dal colluttorio allo spazzolino ai preservativi oppure, come in questo caso, spille da balia o ago e filo.
Clement ed io ironizziamo sull’avvenimento,
“Ma le succede spesso?” gli chiedo.
“In realtà, c’est la premier fois” mi risponde stupito. C’è sempre una prima volta, ragazzo. Impara e metti in memoria.
“Ti ha scocciato vedere la tua fidanzata nuda davanti a tutti?”
Un petit peu, un pochino, ma je suis habitué … al suo … nudisme a la plage, come dite voi? Nudismo a la spiaggia. Lei si spoglia sempre, anche se c’è la gente. È … un peu exhibitionniste..” conclude alternando tra italiano e francese.
“E Francesca? Pourquoi elle s’est montrée nue? Perché si è mostrata nuda?” chiede Clement.
“In realtà non lo so. Non sapevo nemmeno fosse nuda sotto, fino a poco fa. Di solito non si espone molto, ma a quanto pare questa volta non si è fatta problemi” cerco di spiegare. Ma non ne sono convinto nemmeno io.
Beviamo ancora un goccio di champagne.
Mona e Francesca emergono dalla penombra e si siedono ai loro posti. Mona è un po’ arrossita, in nuance con il vestito, si direbbe. Francesca invece mostra una tranquillità serafica, come se fosse completamente soddisfatta del momento.
In quel momento il cameriere appare dal nulla come l’elfo Dobby di Harry Potter, recando con se un’altra bottiglia di champagne.
Ce la mostra e ci spiega che questa bottiglia è offerta da un signore che non vuole apparire ma che vuole ringraziare le signore per lo spettacolo bellissimo che hanno offerto.
Vorrei declinare, ma il cameriere aggiunge che “Monsieur c’est catégorique”, il signore misterioso è irremovibile e non accetta rifiuti.
“Allora brindiamo alla sua salute e lo ringraziamo. Riferisci” gli rispondo in italiano.
Il ragazzo si gira e scompare nel buio del fondo della sala.
La sera scorre tranquilla per noi, un po’ meno per gli altri astanti presenti. Numerosi di loro dopo lo spettacolo di Francesca prima e di Mona dopo hanno deciso di emularle e si sono scatenati chi in spogliarelli, chi in balletti sul palo, chi in performance sulla misteriosa chaise longue della quale non capivo l’utilità. Mi è bastato vedervi distesa sopra una donna che veniva scopata da un paio di superdotati e villosissimi uomini per capirne tutti gli arcani.
Ma sinceramente, dopo un’oretta di spettacoli decisamente volgari, decidiamo di lasciare il locale.
Usciamo all’aria aperta. Non fa freddo, l’aria è mite e tutto lo champagne ci ha scaldato.
Per noi la serata è finita, Mona domani ha due gruppi e Clement le prove di orchestra di un concerto che andrà in onda in diretta radio la successiva settimana.
Ci salutiamo pertanto affettuosamente, avendo condiviso la nostra comune festa di anniversario in una maniera decisamente impensabile all’inizio.
Saluto Mona con un bacio sulla guancia mentre Clement si ripete nel suo baciamano charmant con Francesca che invece lo prende e lo abbraccia.
Altrettanto facciamo Clement ed io, mentre le ragazze si baciano sulle guance.
Ci voltiamo per salire sul nostro taxi quando Mona arriva di corsa, prende il viso di Francesca tra le sue mani e le stampa un bacio sulle labbra. “Volevo farlo da stamattina! E’ la prima volta che mi capita, ma sono contenta che sia capitato con te. Ciao!” e fugge via verso un inebetito Clement.
Francesca ed io ci guardiamo e scoppiamo a ridere.
Torniamo in albergo, entriamo in ascensore e mentre parte lentamente, Francesca mi porge il giacchetto e la pochette, si slaccia dietro il vestito e se lo sfila, rimanendo completamente nuda con i soli sandali.
Rimango basito, non me lo sarei mai aspettato.
Lei esce dall’ascensore, si gira e mi guarda: “Allora, che fai, hai intenzione di aprirmi la porta o devo scendere dal portiere così per chiedere il duplicato?” mi dice con fare sornione.
Esco di gran carriera e inizio a spogliarmi anch’io per il corridoio. Apro la porta, entro in stanza dopo di lei e non faccio a tempo a poggiare giacca e giacchetto sulla poltrona che lei mi spinge sul letto, mi si mette cavalcioni e mi inizia a sbottonare la camicia tra un bacio ed una strusciata di tette sul mio viso.
Passa poi ai pantaloni. Prima apre la fascia, poi mi slaccia il cintino, abbassa la cerniera lampo e oplà, sono pronto con il mio pisellone bello dritto e pronto per lei.
“Devi aspettare, prima voglio finire di spogliarlo” dice rivolgendosi a lui.
Mi sfila scarpe, pantaloni, calzettoni e camicia; mi risbatte sul letto e si inginocchia tra le mie gambe.
Inizia a succhiarmi, leccarmi, baciarmi il cazzo. Poi, lo prende e lo ingoia tutto, senza colpo ferire.
Rimane a lungo con la cappella in gola, reprimendo qualche contrazione e conato che si ripercuote sul mio glande.
Poi, dopo qualche ulteriore ciucciata e profondi inghiottimenti, sale su di me.
“Ti voglio nel culo. È tutta la sera che ci penso.” mi sussurra,
“Tesoro mio, sei sicura? E perché?” le domando.
“Si sono sicura. Perché? Perche Parigi val bene una messa… in culo!”.

-------
Nota dell'Autore
Ci stiamo avvicinando alla fine del viaggio. Ho un altro capitolo più l'epilogo. Il cap. 15 è in decantazione, il 16 è in revisione, ma non credo sarà pronto presto. Essendo l'ultimo, è anche per me il più doloroso e complicato da scrivere per via dei fatti che sono purtroppo, delicati da trattare. Sto facendo sforzi notevoli per poter mantenere l'aderenza con la realtà senza dare troppe informazioni personali. Sarebbe stato molto più facile per me inventare un finale di sana pianta, ma non riesco a tradire l'impegno che ho preso di raccontare al meglio la verità.
Scusate e grazie di seguirmi e di apprezzare i miei sforzi.
 

gram pito

"Level 5"
Messaggi
2,567
Punteggio reazione
1,560
Punti
113
Bellissimi pezzi di vita descritti alla grande. Poi visto che abito qui in umbria, nelle zone da te descritte, ho vissuto alla grande la vostra storia. Bisogna stare attenti al sagrantino.......
 

mb640

"Level 5"
Da 10 Anni su Phica.net
Messaggi
1,283
Punteggio reazione
1,045
Punti
139
Posizione
MILANO
Grazie.
Molto gentile.
Mi tocca ripetermi, e non ho grandi doti da scrittore.. si capisce?
Il miglior scrittore del forum (e un po'di più).
Chi è stato a Parigi credo che come me si sia immedesimato nella narrazione, ma più di tutto la frase mitica ( e super vera) è "a Parigi è sempre un peccato mortale essere stranieri e non conoscere il francese perfettamente".
Per il resto, anche il fatto di trovarsi in un locale a doppia faccia è abbastanza comune. Mi capitò due volte, una con la appena moglie (che se ne volle andare, ma che adesso rimpiange quanto fatto e mi rammenta sempre quanto fu stupida) e una alcuni anni dopo in una cena di lavoro, che lasciò me con l'amaro in bocca - sia lavorativamente che sessualmente parlando.
Paolo, Complimenti e soprattutto, Grazie
 
OP
timassaggio

timassaggio

"Level 6"
1 Anno di Phica.net
Messaggi
1,029
Punteggio reazione
2,881
Punti
119
Mi tocca ripetermi, e non ho grandi doti da scrittore.. si capisce?
Il miglior scrittore del forum (e un po'di più).
Chi è stato a Parigi credo che come me si sia immedesimato nella narrazione, ma più di tutto la frase mitica ( e super vera) è "a Parigi è sempre un peccato mortale essere stranieri e non conoscere il francese perfettamente".
Per il resto, anche il fatto di trovarsi in un locale a doppia faccia è abbastanza comune. Mi capitò due volte, una con la appena moglie (che se ne volle andare, ma che adesso rimpiange quanto fatto e mi rammenta sempre quanto fu stupida) e una alcuni anni dopo in una cena di lavoro, che lasciò me con l'amaro in bocca - sia lavorativamente che sessualmente parlando.
Paolo, Complimenti e soprattutto, Grazie
Grazie a te.
Sono contento di sapere che altri hanno respirato le stesse atmosfere e vissuto analoghe situazioni.
Bisogna studiare la città e farsi guidare da chi conosce, ma non da una guida turistica che è pagata per fare quel che voglio i tour operator.
Parigi è una città che vive a due, tre, forse quattro livelli.
Il turista vede l'esteriore, dato che comunque è sempre trattato come un corpo estraneo, un qualcosa di sopportabile perchè paga caro (e purchè paghi!).
E' difficile per lui entrare in una mentalità che solo chi vive da parisienne (e quello si, a differenza di Roma, può essere anche uno straniero purchè parli bene il francese e non sia inglese) può formarsi, a costo di dimenticare la sua origine. Ho amici trasferiti ai trent'anni a Parigi per lavoro, si sono sposati lì, fatto famiglia lì, che sono perfettamente integrati ma che non riescono più a stare a Roma per più di due o tre giorni perchè... vanno subito in crisi.
E non parliamo della Parigi trasgressiva. Quella è ad un livello ancor più interiore e difficile da comprendere.
Forse solo i londinesi possono capire ed adattarvisi.
Noi, da veri provinciali, non riusciamo a capacitarci, ad esempio, che la prostituzione non è un male, ma una forma d'arte, perfettamente compresa da Van Gogh e da Tolouse-Lautrec, tanto per citarne alcuni, che l'hanno celebrata. A Parigi invece, è normale. Nessuno si stupisce.
La letteratura erotica parla francese. Il sesso parlava francese, fino a che gli americani non hanno invaso il mercato con la loro pornografia spicciola e volgare che solo oggi, dopo aver assorbito tanto dell'erotismo francese, è cresciuta. Ma ancora oggi, un porno amatoriale francese ha quel quid di eleganza e raffinatezza che nè un americano, nè un italiano hanno.
In fin dei conti, Madame Pompadour cos'era se non una prostituta di altissimo livello?
 

mb640

"Level 5"
Da 10 Anni su Phica.net
Messaggi
1,283
Punteggio reazione
1,045
Punti
139
Posizione
MILANO
Grazie a te.
Sono contento di sapere che altri hanno respirato le stesse atmosfere e vissuto analoghe situazioni.
Bisogna studiare la città e farsi guidare da chi conosce, ma non da una guida turistica che è pagata per fare quel che voglio i tour operator.
Parigi è una città che vive a due, tre, forse quattro livelli.
Il turista vede l'esteriore, dato che comunque è sempre trattato come un corpo estraneo, un qualcosa di sopportabile perchè paga caro (e purchè paghi!).
E' difficile per lui entrare in una mentalità che solo chi vive da parisienne (e quello si, a differenza di Roma, può essere anche uno straniero purchè parli bene il francese e non sia inglese) può formarsi, a costo di dimenticare la sua origine. Ho amici trasferiti ai trent'anni a Parigi per lavoro, si sono sposati lì, fatto famiglia lì, che sono perfettamente integrati ma che non riescono più a stare a Roma per più di due o tre giorni perchè... vanno subito in crisi.
E non parliamo della Parigi trasgressiva. Quella è ad un livello ancor più interiore e difficile da comprendere.
Forse solo i londinesi possono capire ed adattarvisi.
Noi, da veri provinciali, non riusciamo a capacitarci, ad esempio, che la prostituzione non è un male, ma una forma d'arte, perfettamente compresa da Van Gogh e da Tolouse-Lautrec, tanto per citarne alcuni, che l'hanno celebrata. A Parigi invece, è normale. Nessuno si stupisce.
La letteratura erotica parla francese. Il sesso parlava francese, fino a che gli americani non hanno invaso il mercato con la loro pornografia spicciola e volgare che solo oggi, dopo aver assorbito tanto dell'erotismo francese, è cresciuta. Ma ancora oggi, un porno amatoriale francese ha quel quid di eleganza e raffinatezza che nè un americano, nè un italiano hanno.
In fin dei conti, Madame Pompadour cos'era se non una prostituta di altissimo livello?
Parigi è Parigi, città dalle mille facce che lascia un italiano della piccola provincia (come tutte le province italiane, solo Milano e Roma sono fuori) stranito, confuso tra la religiosità e cristianità di alcune zone, come Montmartre, alla "perversione" del quartiere attaccato di Pigalle.
Proprio a Pigalle ne ho viste di tutte i colori, tra prostitute a bordo strada che cercavano di abbordarmi e coppie dell'alta borghesia locale che entravano nei locali più malfamati come se fosse una cosa quotidiana. Ma, come scrivi tu, a Parigi è normale.
Come normale prendere una stanza per qualche giorno in un alberghetto in centro, andare all'appuntamento di lavoro e rientrare in camera "all'improvviso" e trovare una coppia che scopava nel tuo letto; dopo un primo momento di smarrimento per tutti, la giornata si concluse con un bel menas à trois. Questa è Parigi, e questa è anche una altra storia....
 

Maxtree

"Level 4"
1 Anno di Phica.net
Messaggi
842
Punteggio reazione
851
Punti
99
Age
54
Bellissimo episodio Paolo traspare il grande amore che hai avuto per Francesca. Due persone raffinate in tutto e anche dal punto di vista di apertura mentale.
 
OP
timassaggio

timassaggio

"Level 6"
1 Anno di Phica.net
Messaggi
1,029
Punteggio reazione
2,881
Punti
119
Paolo e Francesca - Dieci anni dopo
di Paolo Sforza Cesarani
Ecco a voi gli ultimi due capitoli della serie.
Siamo arrivati alla conclusione della storia.
Ero molto indeciso se includere questi capitoli che nulla aggiungono sotto il punto di vista dell'erotismo.
Ma alla fine ho deciso di pubblicarli, sperando che comunque possano essere apprezzati e graditi.
Buona lettura.

Cap. 15 - Fidanzati a casa
È ormai un bel po’ che Francesca ed io stiamo insieme.
Abbiamo festeggiato il nostro secondo anniversario a Parigi qualche mese fa e adesso ho deciso di presentare Francesca ai miei figli.
Loro sanno perfettamente della mia situazione affettiva, la hanno approvata ed accettata ma, per un motivo o per l’altro, Francesca al massimo li ha sentiti per telefono, ripromettendosi di conoscerli ed incontrarli di persona quanto prima.
Ma il fatto che sia Luca che Sophia si fossero spostati a lavorare all’estero non hanno facilitato la cosa.
Però questa volta siamo riusciti a combinare.
Sophia è rientrata per fermarsi almeno sei mesi. Deve sistemare alcune cose con la sua azienda, decidere se accettare o meno una proposta di lavoro in Nuova Zelanda, ma anche sottoporsi ad un intervento di rinoplastica da parte di un collega della madre, la mia ex moglie. Non che abbia un brutto naso, ma un piccolo incidente di lavoro le ha fratturato e deviato leggermente il setto che deve essere ricostruito. Ne approfitterà per rimodellarlo come piace a lei. So che c’è la madre dietro tutto ciò per cui ogni mia recriminazione e protesta è assolutamente vana.
Ci sarà anche Luca. Il suo contratto con la software house di Boston è terminato ed ha deciso di prendersi tre mesi di vacanza prima di riprendere a lavorare per la nuova compagnia che lo ha assunto al doppio dello stipendio che prendeva prima. Ora guadagnerà quasi quanto me. Sono contento per lui. Essere ben pagati per fare il lavoro che ti piace è una cosa bellissima.

Vista la situazione, avrei preferito che entrambi i figli se ne andassero a dormire dalla madre, ma il caso ha voluto che Andrea, la sua compagna, abbia deciso di ristrutturare casa proprio prima delle feste, e che quindi sia disponibile solo la vecchia camera di Luca.
Sophia dovrà venire a dormire da me.
Non che sia una cosa brutta, ma mi impedirà di avere Francesca a casa. Lei è un po’ restia ad imporre la sua presenza, soprattutto a Sophia. Devo cercare una soluzione alternativa.

C’è un altro motivo per cui sono contento che i figli siano capitati a Roma assieme.
Ho deciso di fare una festa di fidanzamento a sorpresa per me e Francesca. Ovviamente la sorpresa sarà per Francesca, visto che ho l’intenzione di chiederle di sposarci. Siamo entrambi divorziati da un po’, i nostri figli sono quasi autonomi (beh non proprio, Serse, il piccolino di Francesca non è ancora diciottenne, ma si trova bene a vivere con il padre).
Direi che sarebbe l’ora di definire una volta per tutte la nostra pratica di vita assieme.

Ne ho parlato solo con qualche intimo amico (Fabrizio e Laura, ma anche Franco e Livia, e poi Karla, ovviamente) ai quali ho chiesto consiglio.
Sono eccitato e nel contempo atterrito dalla decisione.
Ho paura di sciupare una relazione bellissima e di perdere la donna che amo più di me stesso, più di ogni cosa al mondo.
Non è facile guarire dai guasti e dalle ferite di un divorzio come il mio.
Grazie a Francesca, sono rinato come uomo, come padre, come amante.
La sua vicinanza mi ha trasformato, ridandomi la gioia di vivere e di godere di cose semplici e insegnandomi ad apprezzare la semplicità e la spontaneità.

Sono andato a prendere Sophia all’aeroporto. Era parecchio che non ci vedevamo, e mi è corsa incontro saltando dalla gioia. Immagino i pensieri cattivi della gente intorno a me “guarda quel vecchio porco che se la fa con una ragazzina di trent’anni più giovane di lui”.
Li immagino e sorrido, pensando ad un’ipotetica linguaccia a quella vecchia signora corpulenta con un vestito a fiori ed un cappello in testa, con sei o sette chihuahua urlanti al guinzaglio, che ci sta guardando in tralice.
Sono talmente contento che alla fine, mentre Sophia mi abbraccia, mi volto e le faccio veramente una pernacchia.

Andiamo di corsa alla macchina prima che scatti il quarto d’ora fatidico, A Fiumicino sono dei bastardi, o paghi il pizzo o ti fanno girare come una trottola perché per l’appunto la sosta è di soli quindici minuti.
Prendiamo quindi l’autostrada verso il Raccordo ed iniziamo a parlare.

Mi racconta della sua azienda, del nuovo management, della nuova organizzazione, dei prodotti interessanti che stanno per uscire, ma anche della possibilità di andare a fare la manager di un gruppo di venditori e dimostratori nella sede dell’azienda in Nuova Zelanda.
Poi tocca a lei chiedermi come sto, come va il lavoro, il rapporto con sua mamma, ecc.
“E… con Francesca come va?” mi chiede finalmente.
“Bene, molto bene. Lo sai, con lei sono rinato. La amo molto. Il mio è un amore maturo, non un’infatuazione giovanile, ed è totalmente corrisposto. Quindi, va meravigliosamente bene, sotto questo punto di vista.” le rispondo.
“E ?” mi stimola Sophia. Sa che non ho detto tutto.
“E cosa?” chiedo. Voglio capire cosa intende.
“Insomma: la ami. Lei ti ama. Sono quasi tre anni che state assieme”
“No, poco più di due” la interrompo.
“Vabbè. Hai detto tu che è un amore maturo. Che vuoi fare? Hai intenzione di …” e lascia cadere la domanda topica come un macigno.
“Di…convivere, intendi?” cerco di sviare il discorso. Non so se sono pronto ad affrontarlo con lei.
“Papà, lo so che te e Francesca convivete. Sai quante volte ti ho chiamato a casa e mi rispondeva lei? Alla fine abbiamo iniziato a parlare e abbiamo fatto amicizia, in un certo senso. Anche se non la conosco fisicamente ma solo via videochat, sento che è una bellissima persona. E sento che ti ama. E so che le spezzeresti il cuore se la lasciassi” afferma quasi con durezza.
“Lasciarla io? Ma che dici? Ma se ho intenzione di spo…”. Non termino la frase, ma oramai il dado è tratto.
“Sposarla? Papà, ma è bellissimo! Sono contenta per te. Devo dirlo a Luca e a mamma, saranno felici” quasi urla dalla gioia.
“NO!!! A mamma no, per favore. Aspetta un momento, fammi pensare.”
“Papà, guarda che mamma lo sa da una vita che esiste Francesca e che vi amate. Gliel’ho raccontato io, Lo sa ed è felice per te. Te lo giuro!” e si porta la mani sul cuore mentre lo dice.
Le credo.
“Sophia, si, ho deciso di sposarla. Francesca non lo sa, perché non ne abbiamo mai parlato seriamente. Lei ed io ci siamo fidanzati.”
“Si lo so… tu ti sei inginocchiato, le ha dato un anello e le hai promesso di amarla e proteggerla, e poi lo hai rifatto davanti alla tomba di suo padre.”
“E a te chi te le ha dette queste cose, scusa? Come fai a saperle?”
“Come faccio? Me le ha raccontate Franci. Chi altro sennò?” mi guarda di sottecchi con una faccia da schiaffi come quella della madre a cui somiglia tanto fisicamente.
“Francesca? Ma allora vi parlate?”
Ah pa’, è ‘na vita che te lo sto a di’’” lo scandisce in romanaccio, così da farmelo capire bene.
E allora le racconto delle mie preoccupazioni, delle mie sensazioni, dei miei sentimenti. Sembra però che mi conosca come un libro aperto. Sa già tutto.
“Ma da quanto vi sentite tu e Francesca?”
“Boh, sarà un annetto, Ma sono solo sei mesi che ci sentiamo sempre. Tra un po’ chiamo più lei che mamma. Ti capisco, lei è veramente una gran donna, capisco come mai ti sei innamorato di lei, capisco perché vuoi sposarla. E so anche quali pensieri ti affliggono. Vuoi che te lo dica?” mi sfida.
“E sentiamo la signorina #sotuttoio”, la sfrucuglio.
“Tu hai paura che se Serse si impunti e non voglia venire a vivere con te, dovrai aspettare che compia 18 anni e che vada a vivere con il padre o che accetti di vivere con voi dietro ricatto della madre. Vero?”
“Ma sai pure i nomi dei figli?” chiedo sorpreso.
“Dei figli, dei cani, del padre, della mamma, delle sorelle, anzi, con due c’ho già parlato. E ho già conosciuto Claudio, il figlio grande. Siamo andati a prendere una pizza insieme, lui con la sua fidanzata ed io con Luca.” dice.
“Luca CHI?” le chiedo incredulo.
“Luca Luca, tuo figlio, Mio fratello. Ti ricordi che hai un figlio maschio?” mi sfotte.
Sto trasecolando. Non solo conosce Francesca, ma conosce pure i figli, e ha coinvolto pure Luca, suo fratello.
“Ma chi è stato a coinvolgervi? Francesca? È stata lei?” le chiedo, pensando che ci sia stata una manovra apposta.
“Ma no! Francesca lo ha scoperto per caso. Un giorno stavamo in video chat ed è passato un ragazzo dietro di lei. Lo ha chiamato e le ha chiesto Claudio mi dai il tuo numero nuovo che lo memorizzo sul telefono prima che esci, amore di mamma?. Io ho segnato il numero, l’ho memorizzato e poi l’ho chiamato, gli ho spiegato il tutto e abbiamo deciso di incontrarci, visto che i nostri genitori non avevano ancora deciso di farlo. Tutto qui. E ti dirò, anche lui non si capacita perché non vi siate sposati. Claudio adora la madre e non vede l’ora che lo facciate.” mi dice.
“Pensa un po’ che io Claudio l’ho visto una sola volta e l’ho sentito al telefono un paio di volte quando ha risposto lui al posto della madre” le racconto.
“E mica è colpa nostra se siete imbranati” esclama.
Provo a raccogliere le idee.

I nostri figli si conoscono, si sono visti, si sono scambiati le opinioni su di noi e concordano che il matrimonio sia improcrastinabile.
L’unico dubbio riguarda Serse. Quel ragazzo mi preoccupa. È un visionario come la mamma, sensibile ed intelligentissimo, ma ha dei blocchi pazzeschi. Odia la scuola, pur essendo capace di svettare nelle materie che gli piacciono. Parla un inglese ed uno spagnolo eccellenti, pari ad un madrelingua. Sa suonare batteria e tastiera, disegna meravigliosamente, ma non ha alcuna intenzione di terminare gli studi. Si pone inoltre in maniera polemica nei confronti del padre, reo di averlo semi abbandonato, salvo poi esserne affezionato al punto tale da vivere spesso con lui.
Ho capito dai racconti di Francesca che pur essendo contento per la madre, non ha preso bene questo rapporto perché sotto sotto lui ha sempre sperato che i suoi genitori tornassero ad essere una famiglia normale, unita. Invece, la separazione un po’ traumatica, l’essere costretto a vivere con i nonni quando la madre doveva andare a lavorare e stava fuori per giorni, lo ha reso dipendente dalla mamma, senza nel contempo essere capace né di troncare né di far evolvere il rapporto con il padre.
“E Serse?” chiedo a Sophia, visto che sa tutto.
“Serse è matto.” È tranchant.
“Claudio lo adora, lo protegge, ma qualche volta hanno bisticciato seriamente a causa del vostro rapporto. Dice che Serse si illudeva che madre e padre sarebbero tornati assieme, e la tua invasione di campo è come se lo avesse spiazzato.” conclude.

Siamo arrivati a casa, porto su le valige di Sophia e mi butto sul letto a pensare. Chiamo Francesca.
“Amore, come stai?” le chiedo.
“Bene bene, un po’ stanca. Sto preparando alcuni bozzetti per il Professore che vuole altre cose per casa sua” mi risponde. La sento stanca anche dalla voce.
“Sono arrivato a casa. Ho preso Sophia all’aeroporto” le dico.
“Bravo, salutamela tanto. Anzi. Passamela un momento” mi dice.
“Perché non mi hai mai detto che vi sentivate?” le chiedo.
“Me lo hai mai chiesto? No. E poi, sono cose da donne.” chiude il discorso.
Non ho voglia di discutere. Il pensiero di suo figlio Serse che rischia di mandare tutto a puttane mi opprime.
“Allora quando vieni qui?” le chiedo.
“Hai Sophia, devi stare un po’ con lei. Non voglio che tu rinunci a lei per me.” mi risponde.
“Ma io voglio te, non Sophia, o meglio. Vabbè, mi hai capito. E poi, scusa, non potete stare tutte e due qui? Tu ed io stiamo in camera nostra – e sottolineo nostra – e Sophia sta in cameretta, o in studio. Semplice, no?”
“Beh, poi vediamo. Amore, me la passi allora?” mi chiede.
Non capisco, non ci sentiamo da ieri e vuole già sbolognarmi.
“Sophia, c’è Francesca che vuole parlarti al telefono” la chiamo ad alta voce.
“Dille che la chiamo subito io sul cellulare come esco dalla doccia” mi risponde
“Dice che …”
“…ho sentito. Dille però di chiamarmi sul fisso perché il cellulare è scarico e non carica bene. Tu come stai, amore mio? Mi manchi…”
Ma come; due minuti fa sembrava che non te ne fregasse niente di me, e ora fa la gattina… Non capisco. Cosa sta succedendo?

Sono passati un paio di giorni.
Siamo stati tutti molto presi dalle nostre personali incombenze ed attività. Non è stato facile trovare un momento libero per tutti per consentire a Sophia, Luca e Francesca di fare reciproca conoscenza.
Si, ho capito che Fra ha già avuto numerose chiamate audio video con i miei figli.
Giusto l’altro ieri, il giorno dopo aver parlato con Sophia, ho avuto un franco scambio di opinioni, da uomo a uomo, con Luca.
Mio figlio ed io non abbiamo mai avuto un rapporto empatico come quello che lega Sophia e me.
La separazione dalla madre, la perdita del punto di riferimento comune, l’uscita di casa per andare all’estero, sono tutti fattori che ci hanno allontanato ulteriormente, oltre alla vulgata della conflittualità padre-figlio, ovvero del contrasto tra i due maschi alfa.
Ovviamente, io amo mio figlio così come sono certo che egli ama me. Solo che il rapporto non è così intimo come vorrei. Parliamo poco tra di noi e di noi, preferendo discutere di tecnologia o di lavoro. E naturalmente, lui conclude sempre con un “Papà, sei vecchio!”.

In occasione della mia decisione di fare outing della mia situazione affettiva, abbiamo discusso un po’.
“Luca, da uomo a uomo, e non da padre a figlio. Cosa pensi di me, della mia relazione con Francesca, delle nuove situazioni che si verranno a creare… insomma, secondo te, sto facendo una cazzata?” gli chiedo a brutto muso.
“Papà, ma che cazzo dici? Ma ti sei visto allo specchio? Quanti anni hai, eh? Vuoi che te lo ricordi? Sessantacinque anni, ripeto: SE-SSA-NTA-CIN-QUE!” scandendo in modo scorretto le sillabe ma fedele alla pronuncia romana.
“E secondo te, un uomo solo, a sessantacinque anni, che deve fa’, eh? Me lo dici?”, un po’ duro, ma con lo sguardo dolce.
“Ho capito Luca, mi stai dicendo che sto sbagliando, che sto commettendo un errore. Però io amo Francesca!” rispondo con voce rotta dall’emozione. Mi sta salendo un groppo alla gola, sento gli occhi che si stanno inumidendo.
“Papà! Ma che ti sei rincoglionito? Oh… guardati allo specchio oggi, e guarda le foto di tre anni fa. Guarda! LOOK!” e mi sposta di fronte allo specchio, mentre prende una delle ultime foto che mi ritraggono in barca con i ragazzi, l’anno della mia separazione.
Sinceramente, io non mi vedo peggiorato o particolarmente invecchiato, tutt’altro. Direi che sembro ringiovanito. Si, forse un po’ di capelli grigi in più, ma non ho più la pancia ed il viso mi sembra molto più rilassato.
“Ma veramente, Luca, a me sembra di star meglio…” gli dico.
“Oh, adesso si che inizi a capire.” mi sorride.
“Papà, tu devi baciare la terra sotto i piedi di Francesca. Tu non hai idea del culo che hai avuto a trovare una come lei. Ti rendi conto? Bella, gentile, espansiva il giusto, profondamente empatica ed altruista. Pensa che io e Claudio l’abbiamo soprannominata la gattara delle anime, perché si fa carico dei problemi degli altri come una… gattara, Diventano tutti problemi suoi.”
“E poi, quanto pensi di poter stare da solo? Dieci anni? E dopo? Ti rinchiudiamo in un ospizio e ti veniamo a trovare la domenica? È questo che vuoi? Dimmelo!”
“Ma che sei matto?” gli rispondo.
“No caro, io non sono matto. Sei tu il matto se non ti sposi Francesca. E guarda che lei non sa niente di quel che abbiamo combinato Claudio, Sophia ed io. Siamo noi che vi vogliamo assieme.”
“E ti dirò un'altra cosa. Scommetto centomila euro miei contro mille tuoi che a ottant’anni, ancora ti tirerà per lei!” e mi fa’ un occhiolino mentre mi da’ una pacca sulla spalla.
“Non avevo capito. Credevo che tu fossi contrario” ribatto.
“Contrario io? Ma quando mai!” ribadisce.
“Guarda Luca che io volevo parlarti proprio del fatto che vorrei sposare Francesca. Volevo sapere se tu eri d’accordo o no.”, gli dico.
“Prima di tutto, anzi, in primis, come dici tu, sei tu che ti devi sposare, non io. E quindi decidi tu quel cazzo che ti pare. In secundis, noi figli appoggiamo tutti la tua decisione. Beh, quasi tutti… Ed infine, tertium non datur. Hai solo questa opzione. Poi hai chiuso. Closed, Fermè, Geschlossen. Lo capisci meglio?”

Capito. Mio figlio è con me.
Non solo, ho capito anche che loro si sono mossi in autonomia, senza farci sapere niente.
E inizio a considerare che la loro presenza contemporanea non sia casuale ma frutto di un’accorta pianificazione.
Se Sophia e Luca non conoscono Francesca di persona, altrettanto per me Claudio è solo una voce, simpatica e gentile, ma solo una voce a cui associo il volto di una delle foto che Francesca porta sempre con se e del carattere che la stessa mi ha dipinto dal suo punto di vista. Un fantastico ragazzo.

Serse invece rimane un oggetto misterioso, confuso sullo sfondo della scena, ma possibile deus ex machina pronto a modificare le cose se non a stravolgerle. Vedremo.

Comunque, decido di organizzare una cena qui in casa con i nostri figli. Sarà l’occasione per conoscersi e per chiedere davanti a loro la mano di Francesca.
Per farmi aiutare chiedo aiuto a Sophia.
“Sofi, mi daresti una mano? Vorrei fare una cena in casa questo sabato.” le chiedo.
“Sabato no, papà. Ci sono dei problemi.”
“E che problemi ci sono, scusa?” le chiedo.
“Problemi. La gente non può. Facciamo domenica a pranzo.” mi risponde.
“Ma la gente chi che non sai nemmeno chi voglio invitare e a che fine???” intervengo un po’ stupito ed un po’ seccato.
“Uffa! Papà: quand’è che deciderai di lasciarmi fare? Scommetti che so già che devo organizzare un pranzo…”
“No! Una cena!”
“Un PRANZO per sei?” ribadisce calcando la voce sul pranzo.
Mi tacito un attimo, raccolgo i pensieri e mi rendo conto che le cose hanno preso una strada diversa. O meglio, vanno nella giusta direzione ma io non le controllo per niente.
“Sophia, ascoltami” le dico prendendole le mani tra le mie e guardandola negli occhi.
“Papà, aspetta. Ti spiego. E’ tutto organizzato da almeno un mese. Noi sappiamo tutto, perché … una persona mi ha raccontato molte cose ed un’altra me ne ha dette altre. In più, una terza fonte affidabilissima conferma quel che le prime due hanno affermato categoricamente.”
“Le cose vengono bene perché i tuoi tempi e quelli della nostra iniziativa convergono. Però ti devi fidare di noi. Per una volta, ci lasci fare?” mi risponde.
“Tu devi solo chiamare Fra e invitarla domenica a pranzo. Ah, per inciso, le previsioni danno bel tempo, anche se fresco, per cui possiamo servire l’aperitivo in terrazzo. Al menù ci pensiamo noi. Tu pensa a quel che devi fare tu. Capito? Comprendido? Understood? Compris? Verstanden?”
“Ora sciò sciò, smamma. Vai a fare quella cosa che devi fare.”

Sono basito, sorpreso, sollevato.
I miei ragazzi, anzi, i nostri ragazzi hanno capito prima loro di noi i nostri sentimenti…
So cosa devo fare.

Devo uscire per ritirare l’anello di fidanzamento ufficiale, quello serio.
Poi devo passare dal fioraio e mandare dei fiori a Francesca con un biglietto di invito per domenica.
Quindi devo pensare ad un presente ai ragazzi.
Per i miei so già cosa fare, è facile.
A Luca regalerò un orologio dei miei, uno di quelli che ho fatto rimettere a posto per una occasione simile.
A Sophia, un brillante della sua nonna, la mia mamma, che avevo deciso di regalare alla mia ex moglie, sua mamma, ma che poi era rimasto in cassetta di sicurezza per anni.
Ora mi mancano Claudio e Serse.
A Claudio, tifoso della Magica, avevo pensato ad un abbonamento in tribuna Monte Mario per il resto della stagione, ma so da Francesca che lui va sempre con il padre in curva Sud e quindi nulla, idea scartata.
Potrei regalare anche a lui un orologio dei miei, ma sembrerebbe un po’ troppo personale e, soprattutto, non voglio mancare di rispetto né a lui né tantomeno a Luca. E anche l’orologio è cancellato.
Devo per forza passare al personale e basarmi su quel che so di lui.
E’ uno sportivo, lavora come responsabile in una centrale operativa di soccorso auto per conto di molte assicurazioni e cura la valutazione dei danni fisici per selezionare il corretto livello di intervento dei mezzi di soccorso sanitario. E’ fidanzato e sta rimettendo a posto la loro prossima casa con l’aiuto del padre di lei. So che fanno gite in moto, anche piccoli tour.
Ecco, forse ci sono. C’è un apparecchietto che riunisce in se le funzioni di centralino entrante per due linee 3G/4G e che fa da interfono con le cuffiette integrate nei caschi. Ho visto le caratteristiche e, oltre all’interfono, può sostenere due connessioni voce contemporanee facendo anche il join tra le due. Una cosa quasi fantascientifica e, secondo me, particolarmente utile. Mi devo sbrigare a farla ordinare da Karla al nostro fornitore di apparati di rete e telefonici, sperando che me la consegni entro venerdi sera.

Manca Serse.
Premesso che non so nemmeno se verrà, è la persona per me più difficile da inquadrare, Avevo pensato qualcosa di tecnologico per la grafica, ma poi ho pensato di fargli un regalo particolare: una piccola collezione di alcuni dei miei vinili scelti tra quelli di musica progressive.
Per fortuna ho qualche doppione comprato per sbaglio o regalatomi, la maggior parte dei quali sono ancora sigillati. Mi farò aiutare da Luca a sceglierne una dozzina, confidando sul fatto che né a lui né a Sophia la musica non fa alcun effetto o quasi.

Rimane il regalo più impegnativo.
L’anello di fidanzamento per Francesca.
Le avevo già donato qualche mese fa un anello quasi di fidanzamento, una vera di brillanti con un piccolo rubino.
Ma ora devo darle un vero anello, quello con il brillante serio.
Per fortuna mi sono mosso per tempo. Ho contattato il mio gioielliere di fiducia, apprezzato artigiano, e gli ho chiesto di restaurare l’anello di fidanzamento di mia mamma, ricevuto assieme alle altre sue cose alla sua morte.
La pietra si è sporcata, un po’ opacizzata, ed i castoni sono scuri e graffiati così come parte del giro.
Sono andato a portarglielo venti giorni fa in previsione di darlo a Francesca, e lo ho appena ritirato.
Lo ricordo ancora al dito di mia mamma che lo infilava ogni tanto per ricordare mio padre morto abbastanza giovane.
Ho deciso di donarlo a Francesca. Ma prima devo avere una sorta di autorizzazione da Sophia. In fin dei conti, se non mi sposassi quell’anello toccherebbe a lei.
“Sofi, cucciola, ascolta. Ti devo parlare.” le dico in un momento in cui sta chattando con qualcuno al telefono, seduta sul divano con le gambe rannicchiate sotto.
“Uff… che vuoi?” risponde svogliata.
“Guarda qui un momento” e le mostro il cofanetto dell’anello.
“Uh, ma questo è l’anello di nonna, giusto? Quello di fidanzamento!” mi dice. Sa tutto…
“Si tesoro, è quello, l’ho fatto restaurare dal gioielliere. Ascolta, ho deciso di donarlo a Francesca come anello di fidanzamento. Però vorrei che tu mi autorizzassi a farlo,”
“E perché, papà? È roba tua, mica mia” risponde con lapalissiana semplicità.
“Si, ma se non lo regalassi a Francesca sarebbe tuo.” le rispondo.
“A parte che non lo dai ad un estranea ma è il tuo anello di fidanzamento con Francesca. E poi, secondo te, Francesca a chi lo darà, un giorno? Al gatto?”
“No, che c’entra,…”. Non ho risposte, la sua logica è ferrea.
“Va bene così.” le dico.
“Eh no, me lo fai vedere un momento? Fammi vedere come è venuto, apre la scatola, prende l’anello e l’indossa.
“Certo che il nonno aveva un gran buon gusto, Questo anello è un classico, bellissimo, non passerà mai di moda. Ed è pure un bel brillocco...” mentre ammira rigirandolo l’anello infilato al suo anulare sinistro.
“Chissà quando toccherà a me!” sospira.

“Ciao Fra, amore mio. Come stai?”
“Amore, bene. Un po’ stanca. Troppi lavori, lo sai. Devo decidere per il mio benessere di rinunciare a qualcosa. O smetto di fare i mosaici, o smetto con la casa-famiglia. Da quando c’è la nuova cooperativa, i servizi sono peggiorati da morire ed io sto litigando tutti i giorni tutto il giorno perché mancano le cose, perché il vitto fa schifo, perché gli utenti sono sporchi, le stanze puzzano, eccetera.” si sfoga.
“Ma perché non denunci alla Regione la cosa?” le chiedo.
“Perché la regione sa benissimo come stanno le cose. La cooperativa l’hanno cambiata loro, l’hanno scelta loro perché risparmiavano. Si, su’nonno. Fanno un terzo dei servizi rispetto a prima, con qualità infinitamente peggiore, a pochi spicci di meno. E la gente si lamenta con chi? Con me. Ed io mi sono rotta.” sbotta.
“E allora molla, licenziati. Tanto, di lavoro ne hai talmente tanto con i mosaici che secondo me non avrai tempo di fare altro.”
“Si, ora è così. Ma tra tre anni? O cinque? Io devo pensare anche al mio futuro, a quello dei miei figli. Il loro padre è stato sfortunato, non sta nemmeno molto bene e a loro lascerà solo un locale magazzino fatiscente in un quartiere di merda accanto ai posti dello spaccio quotidiano.”
“Ho bisogno pertanto di lavorare e di versare contributi ancora per sette/otto anni. E se faccio la libera professionista, i contributi versati saranno persi se non raggiungo un minimo di 15 anni. E’ un casino. A meno che non faccia dei versamenti volontari per arrivare al minimo, ma sono talmente tanti soldi che non ne vale la pena. Se gli stessi soldi li mettessi in un fondo pensionistico integrativo, ne ricaverei molto di più di quel che potrebbe darmi l’INPS.” prosegue.
“Ed in più, come dipendente della casa famiglia ho anche la malattia pagata, le ferie, i permessi, tutte cose che da autonoma non avrei e che dovrei pagarmi da sola” conclude.

Credo sia la volta che affrontiamo il nostro futuro in modo diretto. Fino ad oggi è come se avessimo giocato.
Per una donna sola, con le preoccupazioni dei figli, che dipende solo dal suo stipendio, sono legittime preoccupazioni.
Io ho la fortuna di avere un lavoro da top manager molto ben retribuito, qualche proprietà, qualche cosetta in un fondo fiduciario intestato ai figli, la prospettiva di una onorevolissima pensione da dirigente con l’assicurazione sanitaria del FASI, un bel gruzzolo da parte.
Diciamo che il mio futuro (e quello dei miei figli) dovrebbe essere privo di problemi, sempre che il Karma non decida di comportarsi da puttana.
E per la prima volta, da quando sono divorziato, penso che potrei cedere metà delle mie ricchezze in cambio della serenità e della gioia di vivere che mi mette Francesca.
Continuiamo la chiacchierata, parliamo un po’ dei nostri figli e ci diamo la buona notte mandandoci un bel bacio.

L’indomani, in mezzo alla mattinata, è Francesca che mi chiama.
“Ciao amore. Sono bellissimi i fiori che mi hai mandato! Ma mi spieghi perché?” mi chiede.
“Non hai letto il biglietto?”
“Si, anzi, ti volevo dire due cose. La prima è: perché non me lo hai detto a voce? Cosa c’è sotto? E la seconda è: guarda che domenica ho la casa famiglia. Ho accettato un cambio turno.” mi dice con voce dispiaciuta.
Cazzo cazzo cazzo,
Faccio un cenno a Sophia di avvicinarsi e mi metto il dito sulle labbra intimando il silenzio, e poi metto in viva voce.
“Nooo Franci, noo… non puoi andare alla casa famiglia domenica!”
“Paolo, come faccio? Qualcuno ci deve andare”
“E se ti dessi malata?” le suggerisco.
“Non è serio”, risponde.

Sophia ha capito tutto e sento che bisbiglia qualcosa con uno sconosciuto finchè non sento “Claudio, dobbiamo trovare una soluzione”.

Intanto cerco di convincere Francesca che #chissenefrega della coop, visto che sono dei ladroni.
La sento molto rigida, vorrebbe fregarsene ma il suo senso del dovere glielo impone.
Parliamo di altre cose, problemi del suo lavoro, finchè Sophia arriva trafelata mostrandomi il pollice in su e annuendo al telefono con un sorriso a tutta bocca.
Il cuore mi si scalda, ma devo fare finta di nulla. Immagino che qualcuno avviserà a breve Francesca del fatto che il suo turno non è più necessario.
Di fatti, dopo un’oretta mi richiama “Non ci crederai, ma per domenica non c’è problema. Mi ha chiamato una collega che mi ha chiesto di fare un cambio di turno e quindi non è necessario che io vada. Vuol dire che ci vediamo, no?”
“Certo che sì, e non vedo l’ora. Amore, lo sai che domenica sono dieci giorni che non ci vediamo?” le dico.
“E lo dici a me? Mi manchi da morire, amore.”
“Anche tu, Fra. Da morire.”
“A dopo, baci.”

Sophia ha fatto la magia assieme a Claudio,
Hanno organizzato la sostituzione al volo.
Claudio, che conosce alcune colleghe della mamma, ne ha chiamata una che si è prestata alla sostituzione visto che per lei è un turno di straordinario festivo in più e quindi, doppia paga. Bene, un problema di meno ed una conferma in più che i nostri ragazzi sono affiatati almeno quanto lo siamo noi.

Giunge la domenica mattina.
So per certo che Luca, Sophia, Claudio e la sua fidanzata ieri sono andati a cena fuori assieme per definire orari, dress code, parole d’ordine, eccetera.

Sophia ha preparato qualcosa per antipasto e primo e fatto portare il secondo ed il contorno dal catering che fornisce anche un cameriere ed una persona di servizio. Anche si è aggiunta la fidanzata di Claudio, saremo comunque solo in sette, per cui immagino che la logistica sarà molto semplificata.
Luca si è interessato dei vini e dello spumante, Claudio ha inviato la fidanzata a portare e disporre dei fiori e ad aiutare Sophia.
Ho dato loro carta bianca.

Sophia ha preparato per me un completo grigio chiaro, camicia bianca con i polsini, una cravatta blu di Marinella a fantasia polka dot e mocassini Lotus.
Luca indossa un vestito blu, anche lui con cravatta e camicia celeste.
Sophia invece porta un pullover lungo a metà coscia indossato con calze coprenti e stivali a tacco alto. È bella quanto sua mamma, se non di più.
L’appuntamento è alle dodici.
Alle 11:59 suona la porta.
Vado ad aprire, seguito dai figli e trovo Francesca, accompagnata da Claudio, Nicoletta la sua fidanzata e da Serse.
Francesca è elegantissima con un bolero nero con alamari su pantaloni a vita alta a palazzo che ne esaltano la magrezza e le proporzioni.
Nicoletta indossa un tubino blu corto, anche lei con stivali alti.
Sia Claudio che Serse sono in giacca e cravatta.
Ho un momento di panico, ma Francesca mi aiuta a superarlo entrando con decisione, mi abbraccia e mi bacia sulle labbra “Ciao amore! Quanto tempo!” e sorride.
E poi cedendo il posto ai ragazzi, fa le presentazioni.

“I miei figli Claudio e Serse, e la fidanzata di Claudio, Nicoletta. E lui è Paolo.” indicandomi ai figli.
Stretta di mano vigorosa con Claudio, un po’ meno con Serse, abbraccio e bacio a Nicoletta.
“Francesca, io invece ti presento…”
“Sophia! Tesoro! Fatti abbracciare! Che piacere conoscerti di persona” e quasi la stritola.
“Luca: fattelo dire, sei molto più bello dal vivo che in cam.” ed abbraccia anche lui, ricambiata.
I ragazzi si salutano affettuosamente, considerato che si conoscono già e si sono incontrati al più tardi ieri sera stessa.
Luca fa gli onori di casa, fa accomodare gli ospiti mentre io e Francesca ci appartiamo un momento in camera nostra.
“Amore mio!” corro ad abbracciarla e la bacio appassionatamente. Lei risponde al bacio ma dopo un momento si svincola “Dai, ci sono i figli di là!” esclama con una smorfia pudica che mi fa sorridere.
Le chiedo di Serse.
“Serse è troppo sensibile. Mi ha detto «Mamma, ho capito che con papà non c’è possibilità di recupero del rapporto, e non è giusto che tu debba essere infelice a causa mia. Se tu stai bene con quello, stacci. Io non te lo impedirò di certo. Però deve essere chiaro che, se andrai a convivere con lui, io resto con papà. Non prenderla come una minaccia. Tu sei e sarai sempre la mia mammina adorata. Vuol dire che qualche volta mi farò una passeggiata da queste parti, se ti va!»” racconta.
“E con questo, credo che le nostre paure per la risposta di Serse si siano dissolte, no?” mi dice.
“Mi pare proprio di si” le dico mentre mi alzo, le prendo la mano e gliela bacio delicatamente sul dorso.
Sempre per mano, riappariamo in soggiorno.
“Ecco i piccioncini!” esclama Claudio.
“Mamma, Paolo, prendete questo bicchiere. Facciamo un brindisi” suggerisce.
Porge un calice alla mamma, poi a me, poi a Sophia e a Nicoletta ed infine a Luca e a Serse.
“Brindo alla felicità di questa meravigliosa coppia. Sono contenta di stare qui con voi e condividere con voi questo momento” leva il calice Sophia, seguita da Luca.
“A Francesca, che ha avuto l’enorme merito di aver fatto ringiovanire mio papà!” esclama il mio figliolo.
“A Paolo, che ha donato tanta gioia a mamma” dice Serse con tono sottile, quasi sottovoce, levando il calice verso di me.
“A voi tutti. Ai miei figli ed a voi, Claudio e Serse, che avete organizzato tutto questo. Ah scusa, ovviamente anche a te, Nicoletta! Scusa!” esclamo.
“E permettetemi di fare un brindisi particolare alla donna che amo, che mi ha ridato la gioia di vivere e che riempie la mia anima con la luce della sua bellezza e della sua bontà.” E mi avvicino a Francesca per darle un bacio sulle labbra,
Francesca vorrebbe parlare, ma è visibilmente commossa. “Io…io vi ringrazio tutti, ragazzi. Se siamo qui, è per vostro merito. Siete le nostre gioie più grandi. E voglio ringraziare Paolo per avermi donato questo momento magico.” e ricambia il bacio.

Non avevo pianificato nulla sul momento in cui fare la mia proposta di matrimonio, avevo la scatolina in tasca per ogni evenienza.
È fatta. Poggio il bicchiere sul tavolo, mi inginocchio ai piedi di Francesca, apro la scatolina con l’anello, glielo porgo e le dico la classica frase; “Francesca, mio dolce amore, mia ragione di vita, mia gioia e dolcezza: vuoi sposarmi?” mentre la guardo negli occhi, lo sguardo velato dalla commozione.
Francesca prende l’anello mentre annuisce e singhiozzando risponde: “Si Paolo, lo voglio con tutto il cuore, con tutta me stessa!” e si getta verso di me abbracciandomi e baciandomi veramente, davanti a tutti.
Le infilo l’anello al dito e lo mostro a tutti.
È un tripudio di applausi, auguri, urla di gioia, abbracci e baci tra tutti, con tutti.
Francesca corre ad abbracciare Sophia e le sussurra “Sei per me la figlia femmina che ho sempre desiderato e non ho mai avuto! Grazie Sophia!”; passa quindi ad abbracciare Luca, baciandolo affettuosamente sulle guance.
Faccio lo stesso con Claudio e Serse. Sono un po’ impacciato ed imbarazzato, ma Claudio mi viene in soccorso “Paolo, guarda che devi baciare pure Nicoletta. Mi sa che tra un po’ vi imitiamo!” e via altri abbracci, baci, complimenti.
La gioia e la felicità rendono calda l’aria, tant’è che propongo di uscire ed accomodarci in balcone. Il sole è caldo, oggi, e di fuori si sta benissimo.
Approfitto del momento per andare a prendere i pacchetti per i ragazzi. Fortuna che Sophia mi ha aiutato per Nicoletta rimediando tramite la sua amica un foulard di Gucci.
Esco con la busta dei regali, mi sembra di essere a Natale.
“Oggi per me è un giorno speciale. Francesca ed io c’eravamo già promessi l’uno all’altra, lo sapete no?” e li guardo con complicità, aspettando un loro cenno di intesa. “e voglio che questo giorno rimanga nella vostra memoria, sperando che sia associato ad un pensiero felice. E per aiutare a formare questo pensiero, ho dei pensierini per voi.”
Leggo la loro sorpresa.
Inizio da Claudio e gli porgo il suo interfono. “So che vai in moto con Nicoletta e che fate talvolta lunghi viaggi. Ho pensato a facilitare la comunicazione con questo interfono, con il quale possiate comunicare, ascoltare musica, ricevere e chiamare… Buone gite!”. Claudio e Nicoletta ringraziano.
“Nicoletta, questo è per te. Se non dovesse piacerti, prenditela con Sophia!” le dico sorridendo, provocando una smorfia di mia figlia.
“Alla mia piccola bambina!” e le porgo la scatolina con il brillante della nonna montato su un nuovo castone di oro brunito. Sophia è senza parole, non se lo aspettava.
“Luca, questo è per te. È stato il primo orologio che mi sono comprato con i primi stipendi” gli spiego.
“È un Seiko meccanico degli anni 80, non ha grande valore commerciale ma sai quanto ci sono legato” gli dico.
“Infatti papà, mi ricordo che lo portavi sempre. Mi ricordo che aveva un cinturino in gomma nera che poi un giorno ti si è rotto e l’orologio è caduto per terra.“ mi rammenta. Infatti, ricordo di aver sostituito il bracciale in gomma con quello originale in acciaio modello Jubilee. Glielo faccio indossare e noto che Luca ha lo stesso mio polso. “Grazie papà, lo sai che ci tenevo tanto?” mi sorride.
“E ora a te, Serse. Questo è il pensiero a cui ho dedicato più tempo. Io ti conosco solo tramite i racconti di tua mamma, e mi sono fatto l’idea che tu ami le cose belle, anche se semplici. Ed ho pensato di regalarti alcuni dei miei vinili degli anni 70. So che a te piace molto la musica prog; ho pensato allora di regalarti alcuni dischi dei gruppi progressive rock più importanti: Genesis, King Crimson, Led Zeppelin, Pink Floyd, Yes. Ho scelto alcuni degli album a cui tengo di più sperando che ti piacciano” e gli porgo la busta con i dodici LP, molti dei quali ancora sigillati.
Leggo lo stupore sul suo viso, misto ad un senso di gioia e di timidezza.
“Grazie mille Paolo. Ma te lo ha detto mamma?” mi chiede.
“No Serse, mamma mi ha detto solo che ti piace la musica e che suoni batteria e tastiere, ovvero i due strumenti che, assieme al basso ed alla chitarra, sono stati gli elementi costanti delle band” gli spiego.
“E quindi, ho pensato che probabilmente avere qualche vinile originale da ascoltare dieci, cento, mille volte per gustare ogni piccolo particolare che sui CD sfugge sempre. O sbaglio?” gli chiedo.
“No, hai indovinato al 100%. Ma sul serio non ti ha detto nulla mamma?” domanda.
“Giuro!” gli rispondo, mano sul cuore e dita unite sulla bocca.

Il pranzo trascorre in allegria e gioia.
Non ho esperienze di famiglie allargate, ma ho la sensazione che il Natale sarà ancora più bello, quest’anno.

I nostri ospiti se ne vanno, Sophia e Luca ci lasciano casa libera.
“Papà, stasera io dormo da mamma, voglio passare a salutarla, ti dispiace?” mi avvisa.
“No assolutamente, salutamela” le rispondo.
“Franci,” dice rivolta a Francesca “credo che da domani sera avremo un sacco di cose da raccontarci, giusto? Ci mettiamo sul lettone con le patatine ed i popcorn, in pigiama, e ci raccontiamo”.
“E tuo papà, scusa?”
“Papà? Lo mandiamo a vedere la televisione, così si addormenta sul divano e non rompe” dice sorridendo.
“Ma stasera lo coccolo io…” e le fa l’occhiolino.
“Scappo!!!” strilla ridendo.
Francesca mi abbraccia e mi conduce in camera da letto non appena la porta di casa si chiude.
“Stasera ti devi impegnare: devi recuperare dieci giorni” mi dice spogliandosi e distendendosi nuda sul letto.
“Tutti stasera?” le chiedo con fare interrogativo e preoccupato.
“Tutti. Datti da fare!” mentre prende la mia testa e la porta alla sua patata per farsi leccare.
“Ricordati: stanotte mi devi far arrivare dieci volte: muoviti!”
Che bel programma!

Epilogo​

Io Paolo, prometto a te Francesca, mia sposa, di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita”.

Questo pensiero, il mio impegno in aeternum, mi girava per la testa da settimane.

C’eravamo promessi con scambio di anelli e di fronte a testimoni, di sposarci e di continuare le nostre vite assieme, uniti nell’affrontare le avversità, le malattie, i dissidi, e uniti nel godere delle gioie della vita condivise con la persona che si ama.
Avevo affidato l’organizzazione a Sophia, mia figlia, e a Claudio, il figlio di Francesca, affinché trovassero qualcosa di carino, semplice, accogliente per celebrare un matrimonio simbolico.
E già, perché dopo aver deciso di sposarci, sono iniziati i problemi.
Francesca aveva scoperto che, nonostante le carte in sua mano asserissero altro, risultava ancora sposata al suo ex marito.
Si, Francesca era diventata una pubblica concubina, una bigama traditrice della famiglia.
Assurdo, no?
Era successo che dopo la prima separazione, Francesca era tornata a casa del marito per un tentativo di riconciliazione e, a coronamento dell’avvenimento, era rimasta incinta di Serse.
In quell’occasione, era successo qualcosa di poco chiaro: l’istanza di separazione era stata annullata dal giudice e Francesca era tornata ad essere sposata legalmente con il marito.
Dopo qualche anno, però, le cose andarono male di nuovo e Francesca decise di rompere definitivamente,
Certa della separazione, aveva atteso che il divorzio subentrasse automaticamente alla scadenza del quinto anno di separazione.
Poi, un po’ per pigrizia, un po’ per una serie di problemi e complicazioni intervenuti, aveva smesso di seguire la pratica.
Con sua enorme meraviglia, quando fu il momento di andare di fronte all’ufficiale di stato civile per la promessa, lo stato di Francesca risultò ancora “coniugata”, non “separata” o “divorziata”.
Laura, la compagna e collega di Fabrizio, il mio avvocato, aveva subito cercato di chiarire la questione e riuscì, con l’aiuto di Francesca e con frequenti incursioni in Tribunale e in Anagrafe, a ricostruire la storia.
Insomma, Francesca era ancora sposata.
“Va bene, è un problema. Ora facciamo istanza di separazione immediata, parliamo con il giudice e gli spieghiamo la cosa. Vedrai che in poche settimane risolviamo tutto, e poi aspetteremo qualche mese per il divorzio” ci spiegò Laura.
“Certo, per ora dovrete rimandare per qualche tempo l’ufficializzazione della vostra unione, ma non credo che questo cambi molto le cose, no?” concluse.
“Per me no!” intervenne Francesca. “Io mi sento la moglie di Paolo, a prescindere da tutto. Non è un pezzo di carta o il discorso di un pupazzo in fascia tricolore a stabilire se io sono sposata con Paolo” ribadì sottolineando la parola sposata.
Era al contempo inviperita e depressa. Questa cosa l’aveva colpita, nonostante volesse apparire superiore a tutto quel che stava accadendo.
“Amore mio, lo sai. Io ho deciso di condividere la mia vita con te, e te l’ho dimostrato. Anche per me, un pezzo di carta della Repubblica Italiana non conta niente. Contano di più le promesse che ci siamo scambiati mesi fa. E se poi dovremo attendere qualche altro mese, amen. Ce ne faremo una ragione tutti e due, no?” e l’abbracciai tirandola a me.
“Ascolta, Francesca: i nostri figli sono grandi, anche Serse è ormai maggiorenne e ha deciso di stare con il padre comunque. Io tra qualche mese andrò in pensione, abbiamo fatto i conti assieme che ti conviene ancora lavorare in casa famiglia per la questione dei contributi previdenziali, anche all’orario minimo. E poi c’è sempre la possibilità di farti assumere da quel mio amico che ha bisogno di un designer creativo come te, se proprio devi cambiare.”
“E parliamoci chiaro: so tutto quel che fai con i tuoi soldi, perchè mi hai chiesto tu di verificare i tuoi conti. Tu versi un terzo del tuo netto al tuo ex, anche se dovrebbe essere lui a farlo in teoria, e in più foraggi Sergio con la paghetta di altri 250 € al mese.”
“Però tu con quel che rimane ci fai tutto, anche la spesa per noi. Io ti ho dato il mio bancomat e la mia carta di credito perché gestissi la casa e le cose della nostra vita, e tu in sei mesi ci hai pagato solo la riparazione della lavapiatti, giusto perché avevi bloccato il tuo bancomat, ricordi?”
“Insomma, voglio dire con ciò che tu sei totalmente autonoma, libera ed indipendente. Non hai bisogno di nessuno, tantomeno di un marito.”
“IO HO BISOGNO DI TE!” quasi mi urla in faccia.
“Ed io di te.” le dissi prendendole il viso tra le mani guardandola dritto negli occhi.
“Guardami: ti ho promesso tutto il mio amore ed intendo rispettare la mia promessa, a prescindere."
"Dal punto di vista legale, tutto quello che serve è qualcosa che attesti i tuoi diritti su una parte dei miei beni. E a questo avevo già provveduto, visto che ho creato un trust di cui tu sei la beneficiaria in caso di mia morte. Insomma, quello che voglio dirti è che, se anche morissi, hai i diritti inviolabili sanciti da un legato testamentario."
"Non tolgo nulla ai miei figli, perché li ho coinvolti prima ed ho avuto la loro totale ed incondizionata approvazione. E sono stato assistito da Laura e da Fabrizio, che sai quanto ti sono vicini” le parlai con il cuore in mano.
“E sai che c'è? Invece di fare la festa per il matrimonio civile, celebreremo un matrimonio simbolico, che avrà valore solo per noi. Ed è tutto ciò che ci serve. D’accordo?” conclusi.
Francesca annuì e mi baciò.
E così ci mettemmo al lavoro.

Non riuscimmo a festeggiare.
Francesca purtroppo, ci lasciò.
Mi chiamò Claudio, suo figlio, in lacrime.
"Mamma sta malissimo, corri! Ti prego, corri!"

Era stato avvisato da un collega di Francesca, suo amico, che la mamma era stata ricoverata di corsa al Policlinico Casilino per un’emorragia interna molto grave.
Francesca aveva avuto a suo tempo problemi uterini ed era stata operata con un intervento di cauterizzazione dei vasi afferenti in attesa di una isterectomia totale che non fu mai praticata.

Corsi come un pazzo. Lasciai la macchina in mezzo al piazzale urlando dal dolore e chiamando Francesca a gran voce.
La gente mi guardava prima con sorpresa, poi con compassione, quindi con muta partecipazione al mio dolore.
Vidi Claudio fuori del reparto di chirurgia d’urgenza, che stringeva le spalle al fratello Serse.
C’erano le sorelle di Francesca, in lacrime. C’era già Sophia, accanto a Nicoletta, entrambe in lacrime.
“Dov'è? VOGLIO VEDERLA! COME STA?” urlai.
I loro occhi gonfi di lacrime, le spalle chiuse, i capi chini, mute risposte alle mie strazianti domande.
“PERCHÉ? PERCHÉ? PERCHÉ?” e crollai anch’io.

Mi risvegliai in una stanza dell’ospedale, tutta una serie di cannule e flebo, il monitor che riportava il ritmo del mio cuore, la mascherina dell’ossigeno che mi aumentava il senso di oppressione.
“Francesca?” chiesi a qualcuno che stava vicino al mio letto.
“Papà, Francesca… non c’è più” rispose con voce rotta e tremula Sophia.
Dall’altra parte del letto, c’erano Luca e Claudio.
“Dove sono? Che è successo?” e poi, un’epifania dolorosa.
Francesca era morta.

Avevo avuto un infarto a cui ero sopravvissuto solo per il fatto di essere in ospedale di fronte al pronto soccorso.
Non partecipai al suo funerale, ero ancora in coma farmacologico mentre venivo curato per il più classico degli infarti cardiaci. Rimasi una settimana in terapia intensiva e poi fui spostato in clinica per il decorso e la riabilitazione.
Recuperai, in qualche modo, la salute.

Ma ho perso la voglia di vivere.
Vado spesso a trovare Francesca, seppellita accanto al papà che ha tanto amato e che la ha altrettanto amata.
Le parlo, le racconto dei nostri figli, dei nostri nipoti, dei miei giorni pieni solo delle cose semplici della vita di un pensionato a cui il fato bastardo e cinico ha tolto l’amore per due volte.
Lei mi ascolta, la sento dentro di me. Ogni volta che la penso, una profonda emozione scalda il mio cuore.
Ho la fortuna di avere ereditato una famiglia allargata che mi ha dato quel calore che mi è mancato con la perdita del mio Amore.

Sophia si è sposata ed ha avuto una bambina che ha chiamato Francesca. Mi accompagna spesso al cimitero e si mette accanto a me, abbracciandomi e sostenendomi.
Claudio, il primo figlio di Francesca, si è anch’egli sposato con Nicoletta, la sua fidanzata, ed hanno avuto una coppia di gemelli. Anche essi hanno chiamato la loro femmina Francesca, il maschietto invece ha preso il nome del nonno materno.
Luca si è definitivamente spostato a Boston. Sua moglie è un’americana WASP, molto “sophisticated lady”. Nelle varie telefonate che ci facciamo, mi ha confessato che la suocera gli ricorda sua madre, e che rimpiange la semplicità e la cordialità di Francesca.
Serse ha portato il padre con sé e si è spostato a vivere in Bulgaria. Non lo ho più sentito. Ho fatto in modo di aiutarlo materialmente trasferendogli metà del fondo che avevo intestato a Francesca. L’altra metà l’ho girata a Claudio, che l’ha usata per comprare la porzione di villetta bifamiliare accanto a quella di Sophia. Sono contento che i due fratellastri abbiano un rapporto così stretto. E’ come se Francesca operasse per tenerli assieme e farmi compagnia.
Ho perso lei, ma ho trovato un figlio e la sua compagna, che mi amano e mi considerano un padre.
E ogni volta che vado da loro a trovarli, le due piccole Franceschine mi corrono incontro “Nonno, nonno!” e mi abbracciano.
E i miei occhi si gonfiano di lacrime, ed il cuore mi si scalda.
Addio, Francesca, amore mio.
 

maxx7

"Level 0"
Messaggi
5
Punteggio reazione
3
Punti
8
Cavolo
È una storia d amore bellissima
Mi hai veramente emozionato non mi sarei mai aspettato di leggere una storia del genere in questo forum.
Non sai scrivere solo bene... hai trasmesso tutto VITA AMORE E SESSO.
Mi spiace per il tuo lutto che vivi ogni giorno, hai perso una parte di te. Ma hai avuto in dono dei figli meravigliosi compreso Claudio.
Ti auguro sempre una buona vita.
 
OP
timassaggio

timassaggio

"Level 6"
1 Anno di Phica.net
Messaggi
1,029
Punteggio reazione
2,881
Punti
119
Ho pianto. Un caro saluto timassaggio
Bellissimo posso solo dire bellissimo
Cavolo
È una storia d amore bellissima
Mi hai veramente emozionato non mi sarei mai aspettato di leggere una storia del genere in questo forum.
Non sai scrivere solo bene... hai trasmesso tutto VITA AMORE E SESSO.
Mi spiace per il tuo lutto che vivi ogni giorno, hai perso una parte di te. Ma hai avuto in dono dei figli meravigliosi compreso Claudio.
Ti auguro sempre una buona vita.

Grazie a tutti.

Paolo
 

mb640

"Level 5"
Da 10 Anni su Phica.net
Messaggi
1,283
Punteggio reazione
1,045
Punti
139
Posizione
MILANO
Paolo e Francesca - Dieci anni dopo
di Paolo Sforza Cesarani
Ecco a voi gli ultimi due capitoli della serie.
Siamo arrivati alla conclusione della storia.
Ero molto indeciso se includere questi capitoli che nulla aggiungono sotto il punto di vista dell'erotismo.
Ma alla fine ho deciso di pubblicarli, sperando che comunque possano essere apprezzati e graditi.
Buona lettura.

Cap. 15 - Fidanzati a casa
È ormai un bel po’ che Francesca ed io stiamo insieme.
Abbiamo festeggiato il nostro secondo anniversario a Parigi qualche mese fa e adesso ho deciso di presentare Francesca ai miei figli.
Loro sanno perfettamente della mia situazione affettiva, la hanno approvata ed accettata ma, per un motivo o per l’altro, Francesca al massimo li ha sentiti per telefono, ripromettendosi di conoscerli ed incontrarli di persona quanto prima.
Ma il fatto che sia Luca che Sophia si fossero spostati a lavorare all’estero non hanno facilitato la cosa.
Però questa volta siamo riusciti a combinare.
Sophia è rientrata per fermarsi almeno sei mesi. Deve sistemare alcune cose con la sua azienda, decidere se accettare o meno una proposta di lavoro in Nuova Zelanda, ma anche sottoporsi ad un intervento di rinoplastica da parte di un collega della madre, la mia ex moglie. Non che abbia un brutto naso, ma un piccolo incidente di lavoro le ha fratturato e deviato leggermente il setto che deve essere ricostruito. Ne approfitterà per rimodellarlo come piace a lei. So che c’è la madre dietro tutto ciò per cui ogni mia recriminazione e protesta è assolutamente vana.
Ci sarà anche Luca. Il suo contratto con la software house di Boston è terminato ed ha deciso di prendersi tre mesi di vacanza prima di riprendere a lavorare per la nuova compagnia che lo ha assunto al doppio dello stipendio che prendeva prima. Ora guadagnerà quasi quanto me. Sono contento per lui. Essere ben pagati per fare il lavoro che ti piace è una cosa bellissima.

Vista la situazione, avrei preferito che entrambi i figli se ne andassero a dormire dalla madre, ma il caso ha voluto che Andrea, la sua compagna, abbia deciso di ristrutturare casa proprio prima delle feste, e che quindi sia disponibile solo la vecchia camera di Luca.
Sophia dovrà venire a dormire da me.
Non che sia una cosa brutta, ma mi impedirà di avere Francesca a casa. Lei è un po’ restia ad imporre la sua presenza, soprattutto a Sophia. Devo cercare una soluzione alternativa.

C’è un altro motivo per cui sono contento che i figli siano capitati a Roma assieme.
Ho deciso di fare una festa di fidanzamento a sorpresa per me e Francesca. Ovviamente la sorpresa sarà per Francesca, visto che ho l’intenzione di chiederle di sposarci. Siamo entrambi divorziati da un po’, i nostri figli sono quasi autonomi (beh non proprio, Serse, il piccolino di Francesca non è ancora diciottenne, ma si trova bene a vivere con il padre).
Direi che sarebbe l’ora di definire una volta per tutte la nostra pratica di vita assieme.

Ne ho parlato solo con qualche intimo amico (Fabrizio e Laura, ma anche Franco e Livia, e poi Karla, ovviamente) ai quali ho chiesto consiglio.
Sono eccitato e nel contempo atterrito dalla decisione.
Ho paura di sciupare una relazione bellissima e di perdere la donna che amo più di me stesso, più di ogni cosa al mondo.
Non è facile guarire dai guasti e dalle ferite di un divorzio come il mio.
Grazie a Francesca, sono rinato come uomo, come padre, come amante.
La sua vicinanza mi ha trasformato, ridandomi la gioia di vivere e di godere di cose semplici e insegnandomi ad apprezzare la semplicità e la spontaneità.

Sono andato a prendere Sophia all’aeroporto. Era parecchio che non ci vedevamo, e mi è corsa incontro saltando dalla gioia. Immagino i pensieri cattivi della gente intorno a me “guarda quel vecchio porco che se la fa con una ragazzina di trent’anni più giovane di lui”.
Li immagino e sorrido, pensando ad un’ipotetica linguaccia a quella vecchia signora corpulenta con un vestito a fiori ed un cappello in testa, con sei o sette chihuahua urlanti al guinzaglio, che ci sta guardando in tralice.
Sono talmente contento che alla fine, mentre Sophia mi abbraccia, mi volto e le faccio veramente una pernacchia.

Andiamo di corsa alla macchina prima che scatti il quarto d’ora fatidico, A Fiumicino sono dei bastardi, o paghi il pizzo o ti fanno girare come una trottola perché per l’appunto la sosta è di soli quindici minuti.
Prendiamo quindi l’autostrada verso il Raccordo ed iniziamo a parlare.

Mi racconta della sua azienda, del nuovo management, della nuova organizzazione, dei prodotti interessanti che stanno per uscire, ma anche della possibilità di andare a fare la manager di un gruppo di venditori e dimostratori nella sede dell’azienda in Nuova Zelanda.
Poi tocca a lei chiedermi come sto, come va il lavoro, il rapporto con sua mamma, ecc.
“E… con Francesca come va?” mi chiede finalmente.
“Bene, molto bene. Lo sai, con lei sono rinato. La amo molto. Il mio è un amore maturo, non un’infatuazione giovanile, ed è totalmente corrisposto. Quindi, va meravigliosamente bene, sotto questo punto di vista.” le rispondo.
“E ?” mi stimola Sophia. Sa che non ho detto tutto.
“E cosa?” chiedo. Voglio capire cosa intende.
“Insomma: la ami. Lei ti ama. Sono quasi tre anni che state assieme”
“No, poco più di due” la interrompo.
“Vabbè. Hai detto tu che è un amore maturo. Che vuoi fare? Hai intenzione di …” e lascia cadere la domanda topica come un macigno.
“Di…convivere, intendi?” cerco di sviare il discorso. Non so se sono pronto ad affrontarlo con lei.
“Papà, lo so che te e Francesca convivete. Sai quante volte ti ho chiamato a casa e mi rispondeva lei? Alla fine abbiamo iniziato a parlare e abbiamo fatto amicizia, in un certo senso. Anche se non la conosco fisicamente ma solo via videochat, sento che è una bellissima persona. E sento che ti ama. E so che le spezzeresti il cuore se la lasciassi” afferma quasi con durezza.
“Lasciarla io? Ma che dici? Ma se ho intenzione di spo…”. Non termino la frase, ma oramai il dado è tratto.
“Sposarla? Papà, ma è bellissimo! Sono contenta per te. Devo dirlo a Luca e a mamma, saranno felici” quasi urla dalla gioia.
“NO!!! A mamma no, per favore. Aspetta un momento, fammi pensare.”
“Papà, guarda che mamma lo sa da una vita che esiste Francesca e che vi amate. Gliel’ho raccontato io, Lo sa ed è felice per te. Te lo giuro!” e si porta la mani sul cuore mentre lo dice.
Le credo.
“Sophia, si, ho deciso di sposarla. Francesca non lo sa, perché non ne abbiamo mai parlato seriamente. Lei ed io ci siamo fidanzati.”
“Si lo so… tu ti sei inginocchiato, le ha dato un anello e le hai promesso di amarla e proteggerla, e poi lo hai rifatto davanti alla tomba di suo padre.”
“E a te chi te le ha dette queste cose, scusa? Come fai a saperle?”
“Come faccio? Me le ha raccontate Franci. Chi altro sennò?” mi guarda di sottecchi con una faccia da schiaffi come quella della madre a cui somiglia tanto fisicamente.
“Francesca? Ma allora vi parlate?”
Ah pa’, è ‘na vita che te lo sto a di’’” lo scandisce in romanaccio, così da farmelo capire bene.
E allora le racconto delle mie preoccupazioni, delle mie sensazioni, dei miei sentimenti. Sembra però che mi conosca come un libro aperto. Sa già tutto.
“Ma da quanto vi sentite tu e Francesca?”
“Boh, sarà un annetto, Ma sono solo sei mesi che ci sentiamo sempre. Tra un po’ chiamo più lei che mamma. Ti capisco, lei è veramente una gran donna, capisco come mai ti sei innamorato di lei, capisco perché vuoi sposarla. E so anche quali pensieri ti affliggono. Vuoi che te lo dica?” mi sfida.
“E sentiamo la signorina #sotuttoio”, la sfrucuglio.
“Tu hai paura che se Serse si impunti e non voglia venire a vivere con te, dovrai aspettare che compia 18 anni e che vada a vivere con il padre o che accetti di vivere con voi dietro ricatto della madre. Vero?”
“Ma sai pure i nomi dei figli?” chiedo sorpreso.
“Dei figli, dei cani, del padre, della mamma, delle sorelle, anzi, con due c’ho già parlato. E ho già conosciuto Claudio, il figlio grande. Siamo andati a prendere una pizza insieme, lui con la sua fidanzata ed io con Luca.” dice.
“Luca CHI?” le chiedo incredulo.
“Luca Luca, tuo figlio, Mio fratello. Ti ricordi che hai un figlio maschio?” mi sfotte.
Sto trasecolando. Non solo conosce Francesca, ma conosce pure i figli, e ha coinvolto pure Luca, suo fratello.
“Ma chi è stato a coinvolgervi? Francesca? È stata lei?” le chiedo, pensando che ci sia stata una manovra apposta.
“Ma no! Francesca lo ha scoperto per caso. Un giorno stavamo in video chat ed è passato un ragazzo dietro di lei. Lo ha chiamato e le ha chiesto Claudio mi dai il tuo numero nuovo che lo memorizzo sul telefono prima che esci, amore di mamma?. Io ho segnato il numero, l’ho memorizzato e poi l’ho chiamato, gli ho spiegato il tutto e abbiamo deciso di incontrarci, visto che i nostri genitori non avevano ancora deciso di farlo. Tutto qui. E ti dirò, anche lui non si capacita perché non vi siate sposati. Claudio adora la madre e non vede l’ora che lo facciate.” mi dice.
“Pensa un po’ che io Claudio l’ho visto una sola volta e l’ho sentito al telefono un paio di volte quando ha risposto lui al posto della madre” le racconto.
“E mica è colpa nostra se siete imbranati” esclama.
Provo a raccogliere le idee.

I nostri figli si conoscono, si sono visti, si sono scambiati le opinioni su di noi e concordano che il matrimonio sia improcrastinabile.
L’unico dubbio riguarda Serse. Quel ragazzo mi preoccupa. È un visionario come la mamma, sensibile ed intelligentissimo, ma ha dei blocchi pazzeschi. Odia la scuola, pur essendo capace di svettare nelle materie che gli piacciono. Parla un inglese ed uno spagnolo eccellenti, pari ad un madrelingua. Sa suonare batteria e tastiera, disegna meravigliosamente, ma non ha alcuna intenzione di terminare gli studi. Si pone inoltre in maniera polemica nei confronti del padre, reo di averlo semi abbandonato, salvo poi esserne affezionato al punto tale da vivere spesso con lui.
Ho capito dai racconti di Francesca che pur essendo contento per la madre, non ha preso bene questo rapporto perché sotto sotto lui ha sempre sperato che i suoi genitori tornassero ad essere una famiglia normale, unita. Invece, la separazione un po’ traumatica, l’essere costretto a vivere con i nonni quando la madre doveva andare a lavorare e stava fuori per giorni, lo ha reso dipendente dalla mamma, senza nel contempo essere capace né di troncare né di far evolvere il rapporto con il padre.
“E Serse?” chiedo a Sophia, visto che sa tutto.
“Serse è matto.” È tranchant.
“Claudio lo adora, lo protegge, ma qualche volta hanno bisticciato seriamente a causa del vostro rapporto. Dice che Serse si illudeva che madre e padre sarebbero tornati assieme, e la tua invasione di campo è come se lo avesse spiazzato.” conclude.

Siamo arrivati a casa, porto su le valige di Sophia e mi butto sul letto a pensare. Chiamo Francesca.
“Amore, come stai?” le chiedo.
“Bene bene, un po’ stanca. Sto preparando alcuni bozzetti per il Professore che vuole altre cose per casa sua” mi risponde. La sento stanca anche dalla voce.
“Sono arrivato a casa. Ho preso Sophia all’aeroporto” le dico.
“Bravo, salutamela tanto. Anzi. Passamela un momento” mi dice.
“Perché non mi hai mai detto che vi sentivate?” le chiedo.
“Me lo hai mai chiesto? No. E poi, sono cose da donne.” chiude il discorso.
Non ho voglia di discutere. Il pensiero di suo figlio Serse che rischia di mandare tutto a puttane mi opprime.
“Allora quando vieni qui?” le chiedo.
“Hai Sophia, devi stare un po’ con lei. Non voglio che tu rinunci a lei per me.” mi risponde.
“Ma io voglio te, non Sophia, o meglio. Vabbè, mi hai capito. E poi, scusa, non potete stare tutte e due qui? Tu ed io stiamo in camera nostra – e sottolineo nostra – e Sophia sta in cameretta, o in studio. Semplice, no?”
“Beh, poi vediamo. Amore, me la passi allora?” mi chiede.
Non capisco, non ci sentiamo da ieri e vuole già sbolognarmi.
“Sophia, c’è Francesca che vuole parlarti al telefono” la chiamo ad alta voce.
“Dille che la chiamo subito io sul cellulare come esco dalla doccia” mi risponde
“Dice che …”
“…ho sentito. Dille però di chiamarmi sul fisso perché il cellulare è scarico e non carica bene. Tu come stai, amore mio? Mi manchi…”
Ma come; due minuti fa sembrava che non te ne fregasse niente di me, e ora fa la gattina… Non capisco. Cosa sta succedendo?

Sono passati un paio di giorni.
Siamo stati tutti molto presi dalle nostre personali incombenze ed attività. Non è stato facile trovare un momento libero per tutti per consentire a Sophia, Luca e Francesca di fare reciproca conoscenza.
Si, ho capito che Fra ha già avuto numerose chiamate audio video con i miei figli.
Giusto l’altro ieri, il giorno dopo aver parlato con Sophia, ho avuto un franco scambio di opinioni, da uomo a uomo, con Luca.
Mio figlio ed io non abbiamo mai avuto un rapporto empatico come quello che lega Sophia e me.
La separazione dalla madre, la perdita del punto di riferimento comune, l’uscita di casa per andare all’estero, sono tutti fattori che ci hanno allontanato ulteriormente, oltre alla vulgata della conflittualità padre-figlio, ovvero del contrasto tra i due maschi alfa.
Ovviamente, io amo mio figlio così come sono certo che egli ama me. Solo che il rapporto non è così intimo come vorrei. Parliamo poco tra di noi e di noi, preferendo discutere di tecnologia o di lavoro. E naturalmente, lui conclude sempre con un “Papà, sei vecchio!”.

In occasione della mia decisione di fare outing della mia situazione affettiva, abbiamo discusso un po’.
“Luca, da uomo a uomo, e non da padre a figlio. Cosa pensi di me, della mia relazione con Francesca, delle nuove situazioni che si verranno a creare… insomma, secondo te, sto facendo una cazzata?” gli chiedo a brutto muso.
“Papà, ma che cazzo dici? Ma ti sei visto allo specchio? Quanti anni hai, eh? Vuoi che te lo ricordi? Sessantacinque anni, ripeto: SE-SSA-NTA-CIN-QUE!” scandendo in modo scorretto le sillabe ma fedele alla pronuncia romana.
“E secondo te, un uomo solo, a sessantacinque anni, che deve fa’, eh? Me lo dici?”, un po’ duro, ma con lo sguardo dolce.
“Ho capito Luca, mi stai dicendo che sto sbagliando, che sto commettendo un errore. Però io amo Francesca!” rispondo con voce rotta dall’emozione. Mi sta salendo un groppo alla gola, sento gli occhi che si stanno inumidendo.
“Papà! Ma che ti sei rincoglionito? Oh… guardati allo specchio oggi, e guarda le foto di tre anni fa. Guarda! LOOK!” e mi sposta di fronte allo specchio, mentre prende una delle ultime foto che mi ritraggono in barca con i ragazzi, l’anno della mia separazione.
Sinceramente, io non mi vedo peggiorato o particolarmente invecchiato, tutt’altro. Direi che sembro ringiovanito. Si, forse un po’ di capelli grigi in più, ma non ho più la pancia ed il viso mi sembra molto più rilassato.
“Ma veramente, Luca, a me sembra di star meglio…” gli dico.
“Oh, adesso si che inizi a capire.” mi sorride.
“Papà, tu devi baciare la terra sotto i piedi di Francesca. Tu non hai idea del culo che hai avuto a trovare una come lei. Ti rendi conto? Bella, gentile, espansiva il giusto, profondamente empatica ed altruista. Pensa che io e Claudio l’abbiamo soprannominata la gattara delle anime, perché si fa carico dei problemi degli altri come una… gattara, Diventano tutti problemi suoi.”
“E poi, quanto pensi di poter stare da solo? Dieci anni? E dopo? Ti rinchiudiamo in un ospizio e ti veniamo a trovare la domenica? È questo che vuoi? Dimmelo!”
“Ma che sei matto?” gli rispondo.
“No caro, io non sono matto. Sei tu il matto se non ti sposi Francesca. E guarda che lei non sa niente di quel che abbiamo combinato Claudio, Sophia ed io. Siamo noi che vi vogliamo assieme.”
“E ti dirò un'altra cosa. Scommetto centomila euro miei contro mille tuoi che a ottant’anni, ancora ti tirerà per lei!” e mi fa’ un occhiolino mentre mi da’ una pacca sulla spalla.
“Non avevo capito. Credevo che tu fossi contrario” ribatto.
“Contrario io? Ma quando mai!” ribadisce.
“Guarda Luca che io volevo parlarti proprio del fatto che vorrei sposare Francesca. Volevo sapere se tu eri d’accordo o no.”, gli dico.
“Prima di tutto, anzi, in primis, come dici tu, sei tu che ti devi sposare, non io. E quindi decidi tu quel cazzo che ti pare. In secundis, noi figli appoggiamo tutti la tua decisione. Beh, quasi tutti… Ed infine, tertium non datur. Hai solo questa opzione. Poi hai chiuso. Closed, Fermè, Geschlossen. Lo capisci meglio?”

Capito. Mio figlio è con me.
Non solo, ho capito anche che loro si sono mossi in autonomia, senza farci sapere niente.
E inizio a considerare che la loro presenza contemporanea non sia casuale ma frutto di un’accorta pianificazione.
Se Sophia e Luca non conoscono Francesca di persona, altrettanto per me Claudio è solo una voce, simpatica e gentile, ma solo una voce a cui associo il volto di una delle foto che Francesca porta sempre con se e del carattere che la stessa mi ha dipinto dal suo punto di vista. Un fantastico ragazzo.

Serse invece rimane un oggetto misterioso, confuso sullo sfondo della scena, ma possibile deus ex machina pronto a modificare le cose se non a stravolgerle. Vedremo.

Comunque, decido di organizzare una cena qui in casa con i nostri figli. Sarà l’occasione per conoscersi e per chiedere davanti a loro la mano di Francesca.
Per farmi aiutare chiedo aiuto a Sophia.
“Sofi, mi daresti una mano? Vorrei fare una cena in casa questo sabato.” le chiedo.
“Sabato no, papà. Ci sono dei problemi.”
“E che problemi ci sono, scusa?” le chiedo.
“Problemi. La gente non può. Facciamo domenica a pranzo.” mi risponde.
“Ma la gente chi che non sai nemmeno chi voglio invitare e a che fine???” intervengo un po’ stupito ed un po’ seccato.
“Uffa! Papà: quand’è che deciderai di lasciarmi fare? Scommetti che so già che devo organizzare un pranzo…”
“No! Una cena!”
“Un PRANZO per sei?” ribadisce calcando la voce sul pranzo.
Mi tacito un attimo, raccolgo i pensieri e mi rendo conto che le cose hanno preso una strada diversa. O meglio, vanno nella giusta direzione ma io non le controllo per niente.
“Sophia, ascoltami” le dico prendendole le mani tra le mie e guardandola negli occhi.
“Papà, aspetta. Ti spiego. E’ tutto organizzato da almeno un mese. Noi sappiamo tutto, perché … una persona mi ha raccontato molte cose ed un’altra me ne ha dette altre. In più, una terza fonte affidabilissima conferma quel che le prime due hanno affermato categoricamente.”
“Le cose vengono bene perché i tuoi tempi e quelli della nostra iniziativa convergono. Però ti devi fidare di noi. Per una volta, ci lasci fare?” mi risponde.
“Tu devi solo chiamare Fra e invitarla domenica a pranzo. Ah, per inciso, le previsioni danno bel tempo, anche se fresco, per cui possiamo servire l’aperitivo in terrazzo. Al menù ci pensiamo noi. Tu pensa a quel che devi fare tu. Capito? Comprendido? Understood? Compris? Verstanden?”
“Ora sciò sciò, smamma. Vai a fare quella cosa che devi fare.”

Sono basito, sorpreso, sollevato.
I miei ragazzi, anzi, i nostri ragazzi hanno capito prima loro di noi i nostri sentimenti…
So cosa devo fare.

Devo uscire per ritirare l’anello di fidanzamento ufficiale, quello serio.
Poi devo passare dal fioraio e mandare dei fiori a Francesca con un biglietto di invito per domenica.
Quindi devo pensare ad un presente ai ragazzi.
Per i miei so già cosa fare, è facile.
A Luca regalerò un orologio dei miei, uno di quelli che ho fatto rimettere a posto per una occasione simile.
A Sophia, un brillante della sua nonna, la mia mamma, che avevo deciso di regalare alla mia ex moglie, sua mamma, ma che poi era rimasto in cassetta di sicurezza per anni.
Ora mi mancano Claudio e Serse.
A Claudio, tifoso della Magica, avevo pensato ad un abbonamento in tribuna Monte Mario per il resto della stagione, ma so da Francesca che lui va sempre con il padre in curva Sud e quindi nulla, idea scartata.
Potrei regalare anche a lui un orologio dei miei, ma sembrerebbe un po’ troppo personale e, soprattutto, non voglio mancare di rispetto né a lui né tantomeno a Luca. E anche l’orologio è cancellato.
Devo per forza passare al personale e basarmi su quel che so di lui.
E’ uno sportivo, lavora come responsabile in una centrale operativa di soccorso auto per conto di molte assicurazioni e cura la valutazione dei danni fisici per selezionare il corretto livello di intervento dei mezzi di soccorso sanitario. E’ fidanzato e sta rimettendo a posto la loro prossima casa con l’aiuto del padre di lei. So che fanno gite in moto, anche piccoli tour.
Ecco, forse ci sono. C’è un apparecchietto che riunisce in se le funzioni di centralino entrante per due linee 3G/4G e che fa da interfono con le cuffiette integrate nei caschi. Ho visto le caratteristiche e, oltre all’interfono, può sostenere due connessioni voce contemporanee facendo anche il join tra le due. Una cosa quasi fantascientifica e, secondo me, particolarmente utile. Mi devo sbrigare a farla ordinare da Karla al nostro fornitore di apparati di rete e telefonici, sperando che me la consegni entro venerdi sera.

Manca Serse.
Premesso che non so nemmeno se verrà, è la persona per me più difficile da inquadrare, Avevo pensato qualcosa di tecnologico per la grafica, ma poi ho pensato di fargli un regalo particolare: una piccola collezione di alcuni dei miei vinili scelti tra quelli di musica progressive.
Per fortuna ho qualche doppione comprato per sbaglio o regalatomi, la maggior parte dei quali sono ancora sigillati. Mi farò aiutare da Luca a sceglierne una dozzina, confidando sul fatto che né a lui né a Sophia la musica non fa alcun effetto o quasi.

Rimane il regalo più impegnativo.
L’anello di fidanzamento per Francesca.
Le avevo già donato qualche mese fa un anello quasi di fidanzamento, una vera di brillanti con un piccolo rubino.
Ma ora devo darle un vero anello, quello con il brillante serio.
Per fortuna mi sono mosso per tempo. Ho contattato il mio gioielliere di fiducia, apprezzato artigiano, e gli ho chiesto di restaurare l’anello di fidanzamento di mia mamma, ricevuto assieme alle altre sue cose alla sua morte.
La pietra si è sporcata, un po’ opacizzata, ed i castoni sono scuri e graffiati così come parte del giro.
Sono andato a portarglielo venti giorni fa in previsione di darlo a Francesca, e lo ho appena ritirato.
Lo ricordo ancora al dito di mia mamma che lo infilava ogni tanto per ricordare mio padre morto abbastanza giovane.
Ho deciso di donarlo a Francesca. Ma prima devo avere una sorta di autorizzazione da Sophia. In fin dei conti, se non mi sposassi quell’anello toccherebbe a lei.
“Sofi, cucciola, ascolta. Ti devo parlare.” le dico in un momento in cui sta chattando con qualcuno al telefono, seduta sul divano con le gambe rannicchiate sotto.
“Uff… che vuoi?” risponde svogliata.
“Guarda qui un momento” e le mostro il cofanetto dell’anello.
“Uh, ma questo è l’anello di nonna, giusto? Quello di fidanzamento!” mi dice. Sa tutto…
“Si tesoro, è quello, l’ho fatto restaurare dal gioielliere. Ascolta, ho deciso di donarlo a Francesca come anello di fidanzamento. Però vorrei che tu mi autorizzassi a farlo,”
“E perché, papà? È roba tua, mica mia” risponde con lapalissiana semplicità.
“Si, ma se non lo regalassi a Francesca sarebbe tuo.” le rispondo.
“A parte che non lo dai ad un estranea ma è il tuo anello di fidanzamento con Francesca. E poi, secondo te, Francesca a chi lo darà, un giorno? Al gatto?”
“No, che c’entra,…”. Non ho risposte, la sua logica è ferrea.
“Va bene così.” le dico.
“Eh no, me lo fai vedere un momento? Fammi vedere come è venuto, apre la scatola, prende l’anello e l’indossa.
“Certo che il nonno aveva un gran buon gusto, Questo anello è un classico, bellissimo, non passerà mai di moda. Ed è pure un bel brillocco...” mentre ammira rigirandolo l’anello infilato al suo anulare sinistro.
“Chissà quando toccherà a me!” sospira.

“Ciao Fra, amore mio. Come stai?”
“Amore, bene. Un po’ stanca. Troppi lavori, lo sai. Devo decidere per il mio benessere di rinunciare a qualcosa. O smetto di fare i mosaici, o smetto con la casa-famiglia. Da quando c’è la nuova cooperativa, i servizi sono peggiorati da morire ed io sto litigando tutti i giorni tutto il giorno perché mancano le cose, perché il vitto fa schifo, perché gli utenti sono sporchi, le stanze puzzano, eccetera.” si sfoga.
“Ma perché non denunci alla Regione la cosa?” le chiedo.
“Perché la regione sa benissimo come stanno le cose. La cooperativa l’hanno cambiata loro, l’hanno scelta loro perché risparmiavano. Si, su’nonno. Fanno un terzo dei servizi rispetto a prima, con qualità infinitamente peggiore, a pochi spicci di meno. E la gente si lamenta con chi? Con me. Ed io mi sono rotta.” sbotta.
“E allora molla, licenziati. Tanto, di lavoro ne hai talmente tanto con i mosaici che secondo me non avrai tempo di fare altro.”
“Si, ora è così. Ma tra tre anni? O cinque? Io devo pensare anche al mio futuro, a quello dei miei figli. Il loro padre è stato sfortunato, non sta nemmeno molto bene e a loro lascerà solo un locale magazzino fatiscente in un quartiere di merda accanto ai posti dello spaccio quotidiano.”
“Ho bisogno pertanto di lavorare e di versare contributi ancora per sette/otto anni. E se faccio la libera professionista, i contributi versati saranno persi se non raggiungo un minimo di 15 anni. E’ un casino. A meno che non faccia dei versamenti volontari per arrivare al minimo, ma sono talmente tanti soldi che non ne vale la pena. Se gli stessi soldi li mettessi in un fondo pensionistico integrativo, ne ricaverei molto di più di quel che potrebbe darmi l’INPS.” prosegue.
“Ed in più, come dipendente della casa famiglia ho anche la malattia pagata, le ferie, i permessi, tutte cose che da autonoma non avrei e che dovrei pagarmi da sola” conclude.

Credo sia la volta che affrontiamo il nostro futuro in modo diretto. Fino ad oggi è come se avessimo giocato.
Per una donna sola, con le preoccupazioni dei figli, che dipende solo dal suo stipendio, sono legittime preoccupazioni.
Io ho la fortuna di avere un lavoro da top manager molto ben retribuito, qualche proprietà, qualche cosetta in un fondo fiduciario intestato ai figli, la prospettiva di una onorevolissima pensione da dirigente con l’assicurazione sanitaria del FASI, un bel gruzzolo da parte.
Diciamo che il mio futuro (e quello dei miei figli) dovrebbe essere privo di problemi, sempre che il Karma non decida di comportarsi da puttana.
E per la prima volta, da quando sono divorziato, penso che potrei cedere metà delle mie ricchezze in cambio della serenità e della gioia di vivere che mi mette Francesca.
Continuiamo la chiacchierata, parliamo un po’ dei nostri figli e ci diamo la buona notte mandandoci un bel bacio.

L’indomani, in mezzo alla mattinata, è Francesca che mi chiama.
“Ciao amore. Sono bellissimi i fiori che mi hai mandato! Ma mi spieghi perché?” mi chiede.
“Non hai letto il biglietto?”
“Si, anzi, ti volevo dire due cose. La prima è: perché non me lo hai detto a voce? Cosa c’è sotto? E la seconda è: guarda che domenica ho la casa famiglia. Ho accettato un cambio turno.” mi dice con voce dispiaciuta.
Cazzo cazzo cazzo,
Faccio un cenno a Sophia di avvicinarsi e mi metto il dito sulle labbra intimando il silenzio, e poi metto in viva voce.
“Nooo Franci, noo… non puoi andare alla casa famiglia domenica!”
“Paolo, come faccio? Qualcuno ci deve andare”
“E se ti dessi malata?” le suggerisco.
“Non è serio”, risponde.

Sophia ha capito tutto e sento che bisbiglia qualcosa con uno sconosciuto finchè non sento “Claudio, dobbiamo trovare una soluzione”.

Intanto cerco di convincere Francesca che #chissenefrega della coop, visto che sono dei ladroni.
La sento molto rigida, vorrebbe fregarsene ma il suo senso del dovere glielo impone.
Parliamo di altre cose, problemi del suo lavoro, finchè Sophia arriva trafelata mostrandomi il pollice in su e annuendo al telefono con un sorriso a tutta bocca.
Il cuore mi si scalda, ma devo fare finta di nulla. Immagino che qualcuno avviserà a breve Francesca del fatto che il suo turno non è più necessario.
Di fatti, dopo un’oretta mi richiama “Non ci crederai, ma per domenica non c’è problema. Mi ha chiamato una collega che mi ha chiesto di fare un cambio di turno e quindi non è necessario che io vada. Vuol dire che ci vediamo, no?”
“Certo che sì, e non vedo l’ora. Amore, lo sai che domenica sono dieci giorni che non ci vediamo?” le dico.
“E lo dici a me? Mi manchi da morire, amore.”
“Anche tu, Fra. Da morire.”
“A dopo, baci.”

Sophia ha fatto la magia assieme a Claudio,
Hanno organizzato la sostituzione al volo.
Claudio, che conosce alcune colleghe della mamma, ne ha chiamata una che si è prestata alla sostituzione visto che per lei è un turno di straordinario festivo in più e quindi, doppia paga. Bene, un problema di meno ed una conferma in più che i nostri ragazzi sono affiatati almeno quanto lo siamo noi.

Giunge la domenica mattina.
So per certo che Luca, Sophia, Claudio e la sua fidanzata ieri sono andati a cena fuori assieme per definire orari, dress code, parole d’ordine, eccetera.

Sophia ha preparato qualcosa per antipasto e primo e fatto portare il secondo ed il contorno dal catering che fornisce anche un cameriere ed una persona di servizio. Anche si è aggiunta la fidanzata di Claudio, saremo comunque solo in sette, per cui immagino che la logistica sarà molto semplificata.
Luca si è interessato dei vini e dello spumante, Claudio ha inviato la fidanzata a portare e disporre dei fiori e ad aiutare Sophia.
Ho dato loro carta bianca.

Sophia ha preparato per me un completo grigio chiaro, camicia bianca con i polsini, una cravatta blu di Marinella a fantasia polka dot e mocassini Lotus.
Luca indossa un vestito blu, anche lui con cravatta e camicia celeste.
Sophia invece porta un pullover lungo a metà coscia indossato con calze coprenti e stivali a tacco alto. È bella quanto sua mamma, se non di più.
L’appuntamento è alle dodici.
Alle 11:59 suona la porta.
Vado ad aprire, seguito dai figli e trovo Francesca, accompagnata da Claudio, Nicoletta la sua fidanzata e da Serse.
Francesca è elegantissima con un bolero nero con alamari su pantaloni a vita alta a palazzo che ne esaltano la magrezza e le proporzioni.
Nicoletta indossa un tubino blu corto, anche lei con stivali alti.
Sia Claudio che Serse sono in giacca e cravatta.
Ho un momento di panico, ma Francesca mi aiuta a superarlo entrando con decisione, mi abbraccia e mi bacia sulle labbra “Ciao amore! Quanto tempo!” e sorride.
E poi cedendo il posto ai ragazzi, fa le presentazioni.

“I miei figli Claudio e Serse, e la fidanzata di Claudio, Nicoletta. E lui è Paolo.” indicandomi ai figli.
Stretta di mano vigorosa con Claudio, un po’ meno con Serse, abbraccio e bacio a Nicoletta.
“Francesca, io invece ti presento…”
“Sophia! Tesoro! Fatti abbracciare! Che piacere conoscerti di persona” e quasi la stritola.
“Luca: fattelo dire, sei molto più bello dal vivo che in cam.” ed abbraccia anche lui, ricambiata.
I ragazzi si salutano affettuosamente, considerato che si conoscono già e si sono incontrati al più tardi ieri sera stessa.
Luca fa gli onori di casa, fa accomodare gli ospiti mentre io e Francesca ci appartiamo un momento in camera nostra.
“Amore mio!” corro ad abbracciarla e la bacio appassionatamente. Lei risponde al bacio ma dopo un momento si svincola “Dai, ci sono i figli di là!” esclama con una smorfia pudica che mi fa sorridere.
Le chiedo di Serse.
“Serse è troppo sensibile. Mi ha detto «Mamma, ho capito che con papà non c’è possibilità di recupero del rapporto, e non è giusto che tu debba essere infelice a causa mia. Se tu stai bene con quello, stacci. Io non te lo impedirò di certo. Però deve essere chiaro che, se andrai a convivere con lui, io resto con papà. Non prenderla come una minaccia. Tu sei e sarai sempre la mia mammina adorata. Vuol dire che qualche volta mi farò una passeggiata da queste parti, se ti va!»” racconta.
“E con questo, credo che le nostre paure per la risposta di Serse si siano dissolte, no?” mi dice.
“Mi pare proprio di si” le dico mentre mi alzo, le prendo la mano e gliela bacio delicatamente sul dorso.
Sempre per mano, riappariamo in soggiorno.
“Ecco i piccioncini!” esclama Claudio.
“Mamma, Paolo, prendete questo bicchiere. Facciamo un brindisi” suggerisce.
Porge un calice alla mamma, poi a me, poi a Sophia e a Nicoletta ed infine a Luca e a Serse.
“Brindo alla felicità di questa meravigliosa coppia. Sono contenta di stare qui con voi e condividere con voi questo momento” leva il calice Sophia, seguita da Luca.
“A Francesca, che ha avuto l’enorme merito di aver fatto ringiovanire mio papà!” esclama il mio figliolo.
“A Paolo, che ha donato tanta gioia a mamma” dice Serse con tono sottile, quasi sottovoce, levando il calice verso di me.
“A voi tutti. Ai miei figli ed a voi, Claudio e Serse, che avete organizzato tutto questo. Ah scusa, ovviamente anche a te, Nicoletta! Scusa!” esclamo.
“E permettetemi di fare un brindisi particolare alla donna che amo, che mi ha ridato la gioia di vivere e che riempie la mia anima con la luce della sua bellezza e della sua bontà.” E mi avvicino a Francesca per darle un bacio sulle labbra,
Francesca vorrebbe parlare, ma è visibilmente commossa. “Io…io vi ringrazio tutti, ragazzi. Se siamo qui, è per vostro merito. Siete le nostre gioie più grandi. E voglio ringraziare Paolo per avermi donato questo momento magico.” e ricambia il bacio.

Non avevo pianificato nulla sul momento in cui fare la mia proposta di matrimonio, avevo la scatolina in tasca per ogni evenienza.
È fatta. Poggio il bicchiere sul tavolo, mi inginocchio ai piedi di Francesca, apro la scatolina con l’anello, glielo porgo e le dico la classica frase; “Francesca, mio dolce amore, mia ragione di vita, mia gioia e dolcezza: vuoi sposarmi?” mentre la guardo negli occhi, lo sguardo velato dalla commozione.
Francesca prende l’anello mentre annuisce e singhiozzando risponde: “Si Paolo, lo voglio con tutto il cuore, con tutta me stessa!” e si getta verso di me abbracciandomi e baciandomi veramente, davanti a tutti.
Le infilo l’anello al dito e lo mostro a tutti.
È un tripudio di applausi, auguri, urla di gioia, abbracci e baci tra tutti, con tutti.
Francesca corre ad abbracciare Sophia e le sussurra “Sei per me la figlia femmina che ho sempre desiderato e non ho mai avuto! Grazie Sophia!”; passa quindi ad abbracciare Luca, baciandolo affettuosamente sulle guance.
Faccio lo stesso con Claudio e Serse. Sono un po’ impacciato ed imbarazzato, ma Claudio mi viene in soccorso “Paolo, guarda che devi baciare pure Nicoletta. Mi sa che tra un po’ vi imitiamo!” e via altri abbracci, baci, complimenti.
La gioia e la felicità rendono calda l’aria, tant’è che propongo di uscire ed accomodarci in balcone. Il sole è caldo, oggi, e di fuori si sta benissimo.
Approfitto del momento per andare a prendere i pacchetti per i ragazzi. Fortuna che Sophia mi ha aiutato per Nicoletta rimediando tramite la sua amica un foulard di Gucci.
Esco con la busta dei regali, mi sembra di essere a Natale.
“Oggi per me è un giorno speciale. Francesca ed io c’eravamo già promessi l’uno all’altra, lo sapete no?” e li guardo con complicità, aspettando un loro cenno di intesa. “e voglio che questo giorno rimanga nella vostra memoria, sperando che sia associato ad un pensiero felice. E per aiutare a formare questo pensiero, ho dei pensierini per voi.”
Leggo la loro sorpresa.
Inizio da Claudio e gli porgo il suo interfono. “So che vai in moto con Nicoletta e che fate talvolta lunghi viaggi. Ho pensato a facilitare la comunicazione con questo interfono, con il quale possiate comunicare, ascoltare musica, ricevere e chiamare… Buone gite!”. Claudio e Nicoletta ringraziano.
“Nicoletta, questo è per te. Se non dovesse piacerti, prenditela con Sophia!” le dico sorridendo, provocando una smorfia di mia figlia.
“Alla mia piccola bambina!” e le porgo la scatolina con il brillante della nonna montato su un nuovo castone di oro brunito. Sophia è senza parole, non se lo aspettava.
“Luca, questo è per te. È stato il primo orologio che mi sono comprato con i primi stipendi” gli spiego.
“È un Seiko meccanico degli anni 80, non ha grande valore commerciale ma sai quanto ci sono legato” gli dico.
“Infatti papà, mi ricordo che lo portavi sempre. Mi ricordo che aveva un cinturino in gomma nera che poi un giorno ti si è rotto e l’orologio è caduto per terra.“ mi rammenta. Infatti, ricordo di aver sostituito il bracciale in gomma con quello originale in acciaio modello Jubilee. Glielo faccio indossare e noto che Luca ha lo stesso mio polso. “Grazie papà, lo sai che ci tenevo tanto?” mi sorride.
“E ora a te, Serse. Questo è il pensiero a cui ho dedicato più tempo. Io ti conosco solo tramite i racconti di tua mamma, e mi sono fatto l’idea che tu ami le cose belle, anche se semplici. Ed ho pensato di regalarti alcuni dei miei vinili degli anni 70. So che a te piace molto la musica prog; ho pensato allora di regalarti alcuni dischi dei gruppi progressive rock più importanti: Genesis, King Crimson, Led Zeppelin, Pink Floyd, Yes. Ho scelto alcuni degli album a cui tengo di più sperando che ti piacciano” e gli porgo la busta con i dodici LP, molti dei quali ancora sigillati.
Leggo lo stupore sul suo viso, misto ad un senso di gioia e di timidezza.
“Grazie mille Paolo. Ma te lo ha detto mamma?” mi chiede.
“No Serse, mamma mi ha detto solo che ti piace la musica e che suoni batteria e tastiere, ovvero i due strumenti che, assieme al basso ed alla chitarra, sono stati gli elementi costanti delle band” gli spiego.
“E quindi, ho pensato che probabilmente avere qualche vinile originale da ascoltare dieci, cento, mille volte per gustare ogni piccolo particolare che sui CD sfugge sempre. O sbaglio?” gli chiedo.
“No, hai indovinato al 100%. Ma sul serio non ti ha detto nulla mamma?” domanda.
“Giuro!” gli rispondo, mano sul cuore e dita unite sulla bocca.

Il pranzo trascorre in allegria e gioia.
Non ho esperienze di famiglie allargate, ma ho la sensazione che il Natale sarà ancora più bello, quest’anno.

I nostri ospiti se ne vanno, Sophia e Luca ci lasciano casa libera.
“Papà, stasera io dormo da mamma, voglio passare a salutarla, ti dispiace?” mi avvisa.
“No assolutamente, salutamela” le rispondo.
“Franci,” dice rivolta a Francesca “credo che da domani sera avremo un sacco di cose da raccontarci, giusto? Ci mettiamo sul lettone con le patatine ed i popcorn, in pigiama, e ci raccontiamo”.
“E tuo papà, scusa?”
“Papà? Lo mandiamo a vedere la televisione, così si addormenta sul divano e non rompe” dice sorridendo.
“Ma stasera lo coccolo io…” e le fa l’occhiolino.
“Scappo!!!” strilla ridendo.
Francesca mi abbraccia e mi conduce in camera da letto non appena la porta di casa si chiude.
“Stasera ti devi impegnare: devi recuperare dieci giorni” mi dice spogliandosi e distendendosi nuda sul letto.
“Tutti stasera?” le chiedo con fare interrogativo e preoccupato.
“Tutti. Datti da fare!” mentre prende la mia testa e la porta alla sua patata per farsi leccare.
“Ricordati: stanotte mi devi far arrivare dieci volte: muoviti!”
Che bel programma!

Epilogo​

Io Paolo, prometto a te Francesca, mia sposa, di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita”.

Questo pensiero, il mio impegno in aeternum, mi girava per la testa da settimane.

C’eravamo promessi con scambio di anelli e di fronte a testimoni, di sposarci e di continuare le nostre vite assieme, uniti nell’affrontare le avversità, le malattie, i dissidi, e uniti nel godere delle gioie della vita condivise con la persona che si ama.
Avevo affidato l’organizzazione a Sophia, mia figlia, e a Claudio, il figlio di Francesca, affinché trovassero qualcosa di carino, semplice, accogliente per celebrare un matrimonio simbolico.
E già, perché dopo aver deciso di sposarci, sono iniziati i problemi.
Francesca aveva scoperto che, nonostante le carte in sua mano asserissero altro, risultava ancora sposata al suo ex marito.
Si, Francesca era diventata una pubblica concubina, una bigama traditrice della famiglia.
Assurdo, no?
Era successo che dopo la prima separazione, Francesca era tornata a casa del marito per un tentativo di riconciliazione e, a coronamento dell’avvenimento, era rimasta incinta di Serse.
In quell’occasione, era successo qualcosa di poco chiaro: l’istanza di separazione era stata annullata dal giudice e Francesca era tornata ad essere sposata legalmente con il marito.
Dopo qualche anno, però, le cose andarono male di nuovo e Francesca decise di rompere definitivamente,
Certa della separazione, aveva atteso che il divorzio subentrasse automaticamente alla scadenza del quinto anno di separazione.
Poi, un po’ per pigrizia, un po’ per una serie di problemi e complicazioni intervenuti, aveva smesso di seguire la pratica.
Con sua enorme meraviglia, quando fu il momento di andare di fronte all’ufficiale di stato civile per la promessa, lo stato di Francesca risultò ancora “coniugata”, non “separata” o “divorziata”.
Laura, la compagna e collega di Fabrizio, il mio avvocato, aveva subito cercato di chiarire la questione e riuscì, con l’aiuto di Francesca e con frequenti incursioni in Tribunale e in Anagrafe, a ricostruire la storia.
Insomma, Francesca era ancora sposata.
“Va bene, è un problema. Ora facciamo istanza di separazione immediata, parliamo con il giudice e gli spieghiamo la cosa. Vedrai che in poche settimane risolviamo tutto, e poi aspetteremo qualche mese per il divorzio” ci spiegò Laura.
“Certo, per ora dovrete rimandare per qualche tempo l’ufficializzazione della vostra unione, ma non credo che questo cambi molto le cose, no?” concluse.
“Per me no!” intervenne Francesca. “Io mi sento la moglie di Paolo, a prescindere da tutto. Non è un pezzo di carta o il discorso di un pupazzo in fascia tricolore a stabilire se io sono sposata con Paolo” ribadì sottolineando la parola sposata.
Era al contempo inviperita e depressa. Questa cosa l’aveva colpita, nonostante volesse apparire superiore a tutto quel che stava accadendo.
“Amore mio, lo sai. Io ho deciso di condividere la mia vita con te, e te l’ho dimostrato. Anche per me, un pezzo di carta della Repubblica Italiana non conta niente. Contano di più le promesse che ci siamo scambiati mesi fa. E se poi dovremo attendere qualche altro mese, amen. Ce ne faremo una ragione tutti e due, no?” e l’abbracciai tirandola a me.
“Ascolta, Francesca: i nostri figli sono grandi, anche Serse è ormai maggiorenne e ha deciso di stare con il padre comunque. Io tra qualche mese andrò in pensione, abbiamo fatto i conti assieme che ti conviene ancora lavorare in casa famiglia per la questione dei contributi previdenziali, anche all’orario minimo. E poi c’è sempre la possibilità di farti assumere da quel mio amico che ha bisogno di un designer creativo come te, se proprio devi cambiare.”
“E parliamoci chiaro: so tutto quel che fai con i tuoi soldi, perchè mi hai chiesto tu di verificare i tuoi conti. Tu versi un terzo del tuo netto al tuo ex, anche se dovrebbe essere lui a farlo in teoria, e in più foraggi Sergio con la paghetta di altri 250 € al mese.”
“Però tu con quel che rimane ci fai tutto, anche la spesa per noi. Io ti ho dato il mio bancomat e la mia carta di credito perché gestissi la casa e le cose della nostra vita, e tu in sei mesi ci hai pagato solo la riparazione della lavapiatti, giusto perché avevi bloccato il tuo bancomat, ricordi?”
“Insomma, voglio dire con ciò che tu sei totalmente autonoma, libera ed indipendente. Non hai bisogno di nessuno, tantomeno di un marito.”
“IO HO BISOGNO DI TE!” quasi mi urla in faccia.
“Ed io di te.” le dissi prendendole il viso tra le mani guardandola dritto negli occhi.
“Guardami: ti ho promesso tutto il mio amore ed intendo rispettare la mia promessa, a prescindere."
"Dal punto di vista legale, tutto quello che serve è qualcosa che attesti i tuoi diritti su una parte dei miei beni. E a questo avevo già provveduto, visto che ho creato un trust di cui tu sei la beneficiaria in caso di mia morte. Insomma, quello che voglio dirti è che, se anche morissi, hai i diritti inviolabili sanciti da un legato testamentario."
"Non tolgo nulla ai miei figli, perché li ho coinvolti prima ed ho avuto la loro totale ed incondizionata approvazione. E sono stato assistito da Laura e da Fabrizio, che sai quanto ti sono vicini” le parlai con il cuore in mano.
“E sai che c'è? Invece di fare la festa per il matrimonio civile, celebreremo un matrimonio simbolico, che avrà valore solo per noi. Ed è tutto ciò che ci serve. D’accordo?” conclusi.
Francesca annuì e mi baciò.
E così ci mettemmo al lavoro.

Non riuscimmo a festeggiare.
Francesca purtroppo, ci lasciò.
Mi chiamò Claudio, suo figlio, in lacrime.
"Mamma sta malissimo, corri! Ti prego, corri!"

Era stato avvisato da un collega di Francesca, suo amico, che la mamma era stata ricoverata di corsa al Policlinico Casilino per un’emorragia interna molto grave.
Francesca aveva avuto a suo tempo problemi uterini ed era stata operata con un intervento di cauterizzazione dei vasi afferenti in attesa di una isterectomia totale che non fu mai praticata.

Corsi come un pazzo. Lasciai la macchina in mezzo al piazzale urlando dal dolore e chiamando Francesca a gran voce.
La gente mi guardava prima con sorpresa, poi con compassione, quindi con muta partecipazione al mio dolore.
Vidi Claudio fuori del reparto di chirurgia d’urgenza, che stringeva le spalle al fratello Serse.
C’erano le sorelle di Francesca, in lacrime. C’era già Sophia, accanto a Nicoletta, entrambe in lacrime.
“Dov'è? VOGLIO VEDERLA! COME STA?” urlai.
I loro occhi gonfi di lacrime, le spalle chiuse, i capi chini, mute risposte alle mie strazianti domande.
“PERCHÉ? PERCHÉ? PERCHÉ?” e crollai anch’io.

Mi risvegliai in una stanza dell’ospedale, tutta una serie di cannule e flebo, il monitor che riportava il ritmo del mio cuore, la mascherina dell’ossigeno che mi aumentava il senso di oppressione.
“Francesca?” chiesi a qualcuno che stava vicino al mio letto.
“Papà, Francesca… non c’è più” rispose con voce rotta e tremula Sophia.
Dall’altra parte del letto, c’erano Luca e Claudio.
“Dove sono? Che è successo?” e poi, un’epifania dolorosa.
Francesca era morta.

Avevo avuto un infarto a cui ero sopravvissuto solo per il fatto di essere in ospedale di fronte al pronto soccorso.
Non partecipai al suo funerale, ero ancora in coma farmacologico mentre venivo curato per il più classico degli infarti cardiaci. Rimasi una settimana in terapia intensiva e poi fui spostato in clinica per il decorso e la riabilitazione.
Recuperai, in qualche modo, la salute.

Ma ho perso la voglia di vivere.
Vado spesso a trovare Francesca, seppellita accanto al papà che ha tanto amato e che la ha altrettanto amata.
Le parlo, le racconto dei nostri figli, dei nostri nipoti, dei miei giorni pieni solo delle cose semplici della vita di un pensionato a cui il fato bastardo e cinico ha tolto l’amore per due volte.
Lei mi ascolta, la sento dentro di me. Ogni volta che la penso, una profonda emozione scalda il mio cuore.
Ho la fortuna di avere ereditato una famiglia allargata che mi ha dato quel calore che mi è mancato con la perdita del mio Amore.

Sophia si è sposata ed ha avuto una bambina che ha chiamato Francesca. Mi accompagna spesso al cimitero e si mette accanto a me, abbracciandomi e sostenendomi.
Claudio, il primo figlio di Francesca, si è anch’egli sposato con Nicoletta, la sua fidanzata, ed hanno avuto una coppia di gemelli. Anche essi hanno chiamato la loro femmina Francesca, il maschietto invece ha preso il nome del nonno materno.
Luca si è definitivamente spostato a Boston. Sua moglie è un’americana WASP, molto “sophisticated lady”. Nelle varie telefonate che ci facciamo, mi ha confessato che la suocera gli ricorda sua madre, e che rimpiange la semplicità e la cordialità di Francesca.
Serse ha portato il padre con sé e si è spostato a vivere in Bulgaria. Non lo ho più sentito. Ho fatto in modo di aiutarlo materialmente trasferendogli metà del fondo che avevo intestato a Francesca. L’altra metà l’ho girata a Claudio, che l’ha usata per comprare la porzione di villetta bifamiliare accanto a quella di Sophia. Sono contento che i due fratellastri abbiano un rapporto così stretto. E’ come se Francesca operasse per tenerli assieme e farmi compagnia.
Ho perso lei, ma ho trovato un figlio e la sua compagna, che mi amano e mi considerano un padre.
E ogni volta che vado da loro a trovarli, le due piccole Franceschine mi corrono incontro “Nonno, nonno!” e mi abbracciano.
E i miei occhi si gonfiano di lacrime, ed il cuore mi si scalda.
Addio, Francesca, amore mio.
Ho messo mi piace sulla fiducia, vista l'ora non sono "pronto" a leggere tutto.
Domani leggo e aggiorno!
Grazie :)
 

Maxtree

"Level 4"
1 Anno di Phica.net
Messaggi
842
Punteggio reazione
851
Punti
99
Age
54
Paolo grazie mille per questo racconto bellissimo, mi dispiace molto per il lutto che vivi.
Ti confesso che mi sono commosso mentre scrivo questo messaggio "vedo appannato". Capisco bene cosa significa vivere un grande amore e quindi posso immaginare cosa provi. Tuttavia la vita continua in modo diverso adesso hai una famiglia allargata e nuove piccole gioie che ti riempiono la vita, puoi donare a loro il tuo amore.
 
OP
timassaggio

timassaggio

"Level 6"
1 Anno di Phica.net
Messaggi
1,029
Punteggio reazione
2,881
Punti
119
Ringrazio tutti per il calore con il quale hanno voluto rappresentarmi la loro vicinanza.
Tuttavia, devo fare una doverosa precisazione.
Paolo e Francesca è la rappresentazione romanzata di alcuni anni della mia vita.
Mi sono liberamente ispirato a fatti ed episodi effettivamente successi con Francesca, il mio secondo Amore.
Tutto quello che ho raccontato si è effettivamente verificato in tempi, luoghi e circostanze simili a quanto vi ho raccontato.
L'epilogo reale della nostra storia, invece, per quanto drammatico e straziante per me e per chi mi è stato attorno, si è svolto in maniera differente. La fine ahimè è la stessa, tempi, modi e luoghi no.
Perché ho voluto raccontare tanti particolari tutto sommato molto intimi, dando un'idea malsana della nostra coppia?
Perché a Francesca e a me piaceva il sesso.
Ci piaceva da morire e come possibile lo facevamo, anche sperimentando, compatibilmente con la nostre possibilità e con le situazioni.
E comunque, vorrei ribadire un concetto che forse non sono riuscito a trasmettere compiutamente.
La vera Francesca, la donna che ho amato con tutto il mio cuore, era quella dei primi tre e degli ultimi tre capitoli.
Una donna meravigliosa, altruista, generosa, una vera gattara delle anime, mossa da un fuoco ardente alimentato da un profondo senso del giusto e del dovere.
Madre attenta, amante appassionata, compagna devota.
Francesca era tutto ciò.
E se ne ho raccontato, evidenziandolo, qualche aspetto prurigginoso, so che me lo perdonerà.

Mi scuso con voi per questa precisazione e vi ringrazio ancora.
Paolo

P.S.: La Francesca di cui parlo in un racconto ambientato in Grecia non è la Francesca di cui ho narrato qui. Omonima del mio secondo Amore, essa era la mia prima moglie, conosciuta nei lontani anni '80, ed è la madre dei miei due figli.
 

Top Bottom