Doc questo pezzo e eccezionale...Certo che hai un gran maiala!!!!Ma quante cose sai Dottore....Mi hai costretto a ristudiare il diagramma dello stato dell'acqua...Sono passati quasi 40 anni dal Liceo...................................................................
"E' vero che sono io la tua porca è vero?"
"E' vero che sono io la tua troia speciale è vero?"
Con voce tremante e con l'orgasmo in gola furono queste le sue ultime parole
"SEI TU LA MIA MAIALA SPORCA E ZOCCOLA"
"OHHHHHHHHH" dal basso del suo meato spruzzante del liquido trasparente e molto poco viscoso mi venne addosso
"OOOOOAAAAAAOOOOOO"
Intercalò la A in mezzo a quelle O gridando come non mai, la sua voce rimbombò nella stanza ed ascanio abbaioò per tre volte.
Mi disse "ti amo" si abbandonò stesa su letto, per qualche secondo le cosce e le mani le tremavano e lei respirava a tratti, poi si fermò e chiuse gli occhi.
IO rimasi lì legato ad osservare questa scena.
Bellissimo racconto, la prosa è particolare e ricercata, mi piace.Lento il mio senso scivolava lungo i solchi della tua vita, adoravi indossare un cinturino ottonato, una specie di catenella che costeggiava la vita e cercava appoggio lungo le sue ali, lo indossavi nelle ultime volte, che i nostri corpi intersecati cercavano il piacere mentre gli occhi spesso cercavano sicurezza nell'osservare che la maniglia della porta d'ingresso non si abbassasse. Mentre le losanghe della tua pelle aspettavano ansiose di rifocillarsi col calore della mia lingua, osservavo il susseguirsi delle vertebre, quegli incastri perfetti, quelle maglie di catena che smorzavano le forze, davano resistenza, quella corda lunga che originava dalla base del collo e trovava fine lungo la saldatura del tuo bacino. Era l'ultimo luogo in cui il mio cuore trovava pace, da quel fraseggio di metalli che affondavano lievi nella tua pelle iniziavano i sussulti.
Il mio petto trovava incastro lì dove quella corda si inarcava delineando una concavità , e la mia bocca un pò piu giu.
L'alternanza bianco-nero della tua abbronzatura, era una inesorabile illusione, tutto partì da lì, quel giorno a mare, fu carnale il mio piacere, poi sali a picco e trovò l'amore, quel gemitio bollente, quel rantolio che di tanto in tanto emanavi quando di segreto mi chiamavi dalla cabina telefonica.
La tua bocca cercò continuità nel mio pene, e le tue mani mi afferravano per i fianchi, mentre i miei piedi erano fissati sul terreno, il mio corpo di piegava e si saldava sulla tua schiena. Provai a darti uno schiaffo poi due, mentre tu ospitavi nella tua bocca la mia virile estensione. Quando chiamò tua figlia mi dicesti di rispondere ma continuasti a tenerlo in bocca.
Di tanto in tanto le dicevo "amore", d'istinto rispondevi facendomi sentire i tuoi denti affilati sul prepuzio, "puoi mai entrare in competizione con tua figlia?" io pensai mentre la ascoltavo a telefono.
Poi si rassegnò ma non mi fece uscire, rimase la forma dei suoi denti per qualche settimana, quei solchi mi prudevano, ma facevo sì che me ne ricordassi solo quando andavo a pisciare.
Posai il telefono al tuo fianco, non mi lasciasti andare, non staccasti la tua bocca nemmeno per farmi posare il telefono.
Ti presi per le spalle, da quelle scapole che ingenuamente uscivano, erano lievemente curve, ritraevano il ritratto della sedia, quella sedia di legno che ormai ti eri ben impressa su di te.
Sul tavolo c'era ancora la tovaglia, mi saltasti addosso, avevi organizzato una cena per me, venisti a milano, ero lì per un congresso, una cosa importante. Venisti e mi ascoltasti parlare inglese, me accorsi quando tra tutte quelle cosce accavallate in prima fila trovai le tue, erano inconfondibili. Quel velo cosi misterioso che tanto ingannava ma poi veniva ingannato da quelle proporzioni mi incantava, ti incolonnasti tra i colleghi, quei viscidi che erano solamente li per far numero "complimenti doc" di tanto in tanto mi diceva uno, "grazie" , sembrava il momento dell'eucarestia, tutti in fila a prendere l'ostia ma il sacerdote ero io, accennai questo sorriso quando accanto a me Foca disse una sciocchezza, ridevo per altro, le sue battute non mi facevano ridere.
Ti donava quel tailleur, quei tacchi, e quella gonna che faticava a raggiungere il ginocchio, quei colori neri contrastati dalla camicina bianca ben sbottonata, quell'orologio da donna professionista e quei capelli, ben curati.
"Auguri, auguri auguri"
Ti abbracciai forte, ma non ti ringraziai, i tuoi capezzoli duri ed eccitati primeggiavano oltre la camicia oltre la giacca, eri eccitata e vogliosa, e forse anche un pò gelosa. Quel giorno conoscesti due nomi di donna che sino ad ora nessuno di quella schifosa famiglia conosceva, me le tenevo per me, sapevo che erano due realtà che non potevano combaciare tra di loro.
Manuela era la coordinatrice del nostro gruppo, era una donna, una ragazza, che spesso e volentieri barattava la sua noia la sua malinconia mettendo il suo nome su tinder, non categorizzava gli uomini ma categorizzava le carenze i deficit della farmacologia dinanzi ai depressi.
"il depresso è un eccitato cronico" è una persona che si eccita in maniera continuativa. Cancellava i vapori di questa depressione uscendo la sera, non importava chi era importante il gesto. Era laureata in Medicina e Chirurgia con lode e manzione accademica, una leonessa, la ricordo che si era trovata una stanzetta nei sotterranei dell'edificio 20, diventava un camaleonte quando il guardiano passava per chiudere, restava li a studiare per giorni interi, una busta con tante monete da 50 centesimi per la macchinetta, i fazzolettini di carta. Era il massimo era un mare di intelligenza mischiata a memoria, il fatto che stava in mezzo a noi era la punta di diamante.
Spesso si disinibiva indossando abiti con un certo livello di ambiguità, non era malata, era depressa, lo studio, il sesso, cose strane avevano appannato questa sua ipocondria ma non l'avevano eradicata, la medicina è grande, è immensa ma è purtroppo limitata. Ti ingelosisti, ti vidi, lo capii perchè mi abbracciò forte e mi disse che non dovevamo mai dividerci. Non te ne avevo mai parlato, ti ammaccò un pò l'umore.
Elena fu il nome che scrissi all'ultima diapositiva, la foto di me e di lei mentre stavamo abbracciati, era uno dei suoi ultimi giorni, la conobbi perchè Mariano Pace, un uomo buono buono buono le sospese le terapie, venne nel mio studio, riusci a oltrepassare ben 50 pazienti prenotati, nessuno protestò, le dissi di chiamarmi il giorno dopo, se ne scappo non mi diede il tempo di avere le sue generalità per cercarla nel database.
Approfittai del computer di Foca, lui da viceprimario aveva tutti i privilegi per entrare in qualsiasi cartella clinica, anche di altri ospedali, mi disse un giorno. Non fu difficile trovarla, una paziente di nome Elena nata nel 1989, era l'unica.
Mi stampai 59 pagine di cartella clinica, mi chiusi in camera e le studiai, la notte non mi bastò arrivò subito il giorno e le portai con me. La malattia era avanzata di brutto e Mariano le aveva sospeso le terapie per farla morire dignitosamente, è forse questa il momento piu difficile per l'operatore non tanto per il paziente.
Quando mi chiamò le programmai un ricovero, nell'arco del giorno la andavo a trovare, nelle ultime sere i polmoni si riempivano mediante un respiratore, la malattia era arrivata lì la vidi io tramite una lastra che le feci, quella porcheria nei polmoni saltava come saltano i topi quando il gatto muore.
Ci tenevamo entrambi le mani, sapeva di tua figlia ma non sapeva di te, mentre per televisione amadeus svelava il parente misterioso le staccai di bocca quella mascherina affiancai una barella al suo letto e la feci salire, la sentivo ansimare, poteva morire
"non muori, respira e non fare la stupida" imperativamente le dissi.
A folle velocità percorremmo tutto il corridoio, poi superammo la porta taglia fuoco e arrivammo sulla scala antincendio
"non hai bisogno di alzare la testa tu, lo vedi perchè sei fortunata?"
guardammo il cielo, il freddo dell'inverno lo rendeva secco e le stelle acquisivano importanza nel loro brillare.
La stella polare e il grande carro, Il toro, la Vergine, le conosceva tutte.
Era laureata in astronomia lavorava come dipendente all'osservatorio astronomico.
Aspettò me prima di raggiungere quel cielo, cerco le mie mani, mi fece chiamare.
Mi baciò le labbra e mi disse "grazie" è stato un momento che non dimenticherò mai.
Mentre scrivo queste cose non nascondo una certa tristezza e lacrimar gli occhi mi fanno.
Di tanto in tanto, andavo al cimitero a portarle una rosa, ad alta voce le dicevo "da questa posizione quale stella si vede?"
il mio parlare, poi veniva meno e strozzarmi era un forte velo di angoscia che mi faceva piangere.
Scavalcavo per entrare, in mezzo a quei corpi morti, putrefatti e ossificati mi sentivo libero quando ero solo, con lei.
Milano per te fu una scoperta, ti lasciai le chiavi del monolocale, "cascina gobba" era il nome del luogo, via delle Olgettine, lì dove Berlusconi ha fondato il suo regno.
Andasti via da me, ti ritrovai in casa, avevi ben apparecchiato e reso l'atmosfera davvero rilassante e stuzzicante.
Mangiammo un risotto e dello spezzatino, non parlavamo, mi guardavi coi tuoi occhi naturali, avevi messo le lentine quel giorno per me. Comprasti un vino lombardo, lo stappai e sentii il suo odore, forse era friuliano.
Trovai dei calici in quella dispensa di quell'appartamento, trasferii il vino dalla sua bottiglia al fondo di quei calici, brindammo e ci baciammo. Sentivo il tuo odore di maturità prima ancora che le venature della tua bocca si intersecassero con le mie.
Brindammo e posai le mie mani sulle tue cosce.
Le righe del collant guidavano le mie mani a salire e scendere lungo quello scorcio di paradiso che la gonna mi aveva regalato, il contatto poi prese vigore perchè il dorso delle mie mani incontrò le tue e mi istruisti a capire come dovevo accarezzarti.
Una mano su una l'altra sull'altra e le tue mani sulle mie, Mi accogliesti sull'orlo del tuo mistero aprendo quelle cosce e spingendo le mie mani sotto al tessuto di quel capo, sentii i fili che collegavano le tue calze alla..
"Oh si, che biricchina che sei" ti sussurrai questo nell'orecchio mentre scoprii che avevi il reggicalze.
Alzai tutta la tua gonna e scoprii la tua vita, staccasti le mani dalle mie per abbassare la lampo che la teneva unita e avvolta intorno a te, viola era la mutandina velata che portavi, zuppa era dei tuoi umori, la sentivo e vedevo bagnata e il calore che custodiva riscaldò le mie mani. da sotto ti tolsi anche la camicina e la giacca, trovai il tuo seno avvolto da un reggiseno viola che faceva pendant con lo slip.
Sseduta sull'orlo del tavolo, mentre con le mani facemmo spazio fra i piatti e le stoviglie mi facesti sedere accanto e iniziasti a baciarmi sul collo, i tacchi persero il contatto con il pavimento e man mano che le tue cosce si divaricavano, quei fili che longitudinalmente le percorrevano diventavano sempre piu tesi.
La cravatta fu il manico per scaraventare il mio viso sui tuoi seni, iniziai a leccarli si sentiva il rumore della lingua in tutta la stanza.
Con le mani veicolasti le mie e le portasti sull'orlo della tua mutandina completamente bagnata.
Accarezzai il tuo sesso, era caldo e bagnava la tovaglia che farciva la tavola.
Le punte delle tue scarpe cercavano di allontanarsi piu possibile per far spazio a quella mano che spingeva sul tessuto velato lungo il basso del tuo ventre.
Alzavi la testa verso l'alto gemevi a bocca aperta, con una mano tiravi la mia cravatta con l'altra spingevi il mio capo sul tuo davanzale.
Le mani, esploravano il tuo sesso, aprendo poi la mutandina.
Continuai a succhiare entrambi quei capezzoli mentre la mia mano premeva interamente il tuo organo sessuale.
"oh si quanto sei forte, quanto sei prominente"
riscivi a scandire.
La folta peluria ben curata oramai zuppa dei tuoi liquidi percepi la mancanza della mia mano mentre lei decise di oltrepassare quel solco.
Le due labbra sembravano i lembi di una tenda di un palcoscenico, bastava poco per aprirla e spostarli.
Quando sverginai il tuo sesso con le mani mi allontanaasti dal tuo seno e piegasti lo sguardo per osservare la scena..
Per poco tempo le mie due dita consolarono il clitoride.
Ti sfilai la mutandina e tu poggiasti le punte delle tue scarpe sull'orlo del tavolo, con le mani veicolasti la mia cravatta poggiando la mia bocca sul solco del tuo sesso oramai completamente aperto.
La tua testa china osservava questa scena, mentre con le mani lasciasti la mia cravatta e iniziasti ad accarezzarti quei seni ormai zuppi di eros.. alla loro base abitavano ancora le coppe che prima lo accoglievano, ormai tutte accartocciate, sui loro lati, scorrevano tesi i due fili violastri quasi pronti a rompersi.
Con le dita premevi i capezzoli e muovevi la mano velocemente, e mi osservavi, io osservavo tutta questa scena, di tanto in tanto con le dita facevo la stessa cosa sul clitoride.
OH si quanto mi sei mancato, fu questa la frase che riuscisti a pronunciare.
In quel momento esatto osservai sotto al reggicalze quella cinturina ottonata, abitava lì in quel punto esatto mentre soffriva l'elastico trasparente di quell'indumento intimo.
Con la lingua poi scesi e lubrificai la chiusura del tuo ano. Inizialmente lo stringesti per farmi capire che non era il caso, continuai perserverando con la sua esplorazione alla fine lo penetrai.
Non riuscisti a stare piu ferma ad osservare la scena, il godimento era talmente tanto elevato che poggiasti la testa sul tavolo ed una delle due cosce sulla mia spalla mentre io succhiavo il clitoride e masturbavo con due dita il tuo sedere.
Con la coda dell'occhio vidi che alla caviglia della coscia che abitava ancora sul tavolo avevi una cavigliera, era di un metallo molto sottile, mi piacque molto.
Ansimante era la tua brama di sentire la punta del mio sesso, non ti feci muovere, circumnavigai il tavolo sino ad incontrare la tua testa, per le ascelle ti tirai un pò piu verso di me, sino a far perdere riposo al tuo collo lungo quella superficie dura, ti sporgesti e andasti verso dietro, ti tenevo ben salda io, malgrado il contrario apristi il pantalone e apristi la bocca. Feci l'amore con lei mentre i miei umori frammistati alla tua saliva spaccavano in due la tua fronte e sporcavano i tuoi capelli.
Si sentiva il rumore della tua bocca accogliere il mio sesso, lo scuotevo con il bacino e gemevo anche io
"oh si" dicevo ogni volta che la sommità del mio attributo bussava a ridosso della tua ugola. Era li che copiosa la saliva scorreva, lubrificava le tue labbra e si mischiava coi miei fluidi.
Le tue cosce aperte, spalancate, i fili del reggicalze e la cavigliera
"troia SUCCHIA"
ti dissi e tu obbedisti.
Tenendoti poi per i capezzoli mi lasciai andare, oltrepassai la tua gola e i conati scorrevano di brutto sul tuo viso ormai cancellato completamente da quei liquidi.
"ti sto facendo male"?
mi feci qualche scrupolo ma mentre mi fermavo tu rincaravi cercando ostinatamente il succo.
Te lo diedi
Telo diedi urlando forte il tuo nome....
Anche questo racconto è fantastico aspetto con piacere il resto complimenti per come scrivi!!Lento il mio senso scivolava lungo i solchi della tua vita, adoravi indossare un cinturino ottonato, una specie di catenella che costeggiava la vita e cercava appoggio lungo le sue ali, lo indossavi nelle ultime volte, che i nostri corpi intersecati cercavano il piacere mentre gli occhi spesso cercavano sicurezza nell'osservare che la maniglia della porta d'ingresso non si abbassasse. Mentre le losanghe della tua pelle aspettavano ansiose di rifocillarsi col calore della mia lingua, osservavo il susseguirsi delle vertebre, quegli incastri perfetti, quelle maglie di catena che smorzavano le forze, davano resistenza, quella corda lunga che originava dalla base del collo e trovava fine lungo la saldatura del tuo bacino. Era l'ultimo luogo in cui il mio cuore trovava pace, da quel fraseggio di metalli che affondavano lievi nella tua pelle iniziavano i sussulti.
Il mio petto trovava incastro lì dove quella corda si inarcava delineando una concavità , e la mia bocca un pò piu giu.
L'alternanza bianco-nero della tua abbronzatura, era una inesorabile illusione, tutto partì da lì, quel giorno a mare, fu carnale il mio piacere, poi sali a picco e trovò l'amore, quel gemitio bollente, quel rantolio che di tanto in tanto emanavi quando di segreto mi chiamavi dalla cabina telefonica.
La tua bocca cercò continuità nel mio pene, e le tue mani mi afferravano per i fianchi, mentre i miei piedi erano fissati sul terreno, il mio corpo di piegava e si saldava sulla tua schiena. Provai a darti uno schiaffo poi due, mentre tu ospitavi nella tua bocca la mia virile estensione. Quando chiamò tua figlia mi dicesti di rispondere ma continuasti a tenerlo in bocca.
Di tanto in tanto le dicevo "amore", d'istinto rispondevi facendomi sentire i tuoi denti affilati sul prepuzio, "puoi mai entrare in competizione con tua figlia?" io pensai mentre la ascoltavo a telefono.
Poi si rassegnò ma non mi fece uscire, rimase la forma dei suoi denti per qualche settimana, quei solchi mi prudevano, ma facevo sì che me ne ricordassi solo quando andavo a pisciare.
Posai il telefono al tuo fianco, non mi lasciasti andare, non staccasti la tua bocca nemmeno per farmi posare il telefono.
Ti presi per le spalle, da quelle scapole che ingenuamente uscivano, erano lievemente curve, ritraevano il ritratto della sedia, quella sedia di legno che ormai ti eri ben impressa su di te.
Sul tavolo c'era ancora la tovaglia, mi saltasti addosso, avevi organizzato una cena per me, venisti a milano, ero lì per un congresso, una cosa importante. Venisti e mi ascoltasti parlare inglese, me accorsi quando tra tutte quelle cosce accavallate in prima fila trovai le tue, erano inconfondibili. Quel velo cosi misterioso che tanto ingannava ma poi veniva ingannato da quelle proporzioni mi incantava, ti incolonnasti tra i colleghi, quei viscidi che erano solamente li per far numero "complimenti doc" di tanto in tanto mi diceva uno, "grazie" , sembrava il momento dell'eucarestia, tutti in fila a prendere l'ostia ma il sacerdote ero io, accennai questo sorriso quando accanto a me Foca disse una sciocchezza, ridevo per altro, le sue battute non mi facevano ridere.
Ti donava quel tailleur, quei tacchi, e quella gonna che faticava a raggiungere il ginocchio, quei colori neri contrastati dalla camicina bianca ben sbottonata, quell'orologio da donna professionista e quei capelli, ben curati.
"Auguri, auguri auguri"
Ti abbracciai forte, ma non ti ringraziai, i tuoi capezzoli duri ed eccitati primeggiavano oltre la camicia oltre la giacca, eri eccitata e vogliosa, e forse anche un pò gelosa. Quel giorno conoscesti due nomi di donna che sino ad ora nessuno di quella schifosa famiglia conosceva, me le tenevo per me, sapevo che erano due realtà che non potevano combaciare tra di loro.
Manuela era la coordinatrice del nostro gruppo, era una donna, una ragazza, che spesso e volentieri barattava la sua noia la sua malinconia mettendo il suo nome su tinder, non categorizzava gli uomini ma categorizzava le carenze i deficit della farmacologia dinanzi ai depressi.
"il depresso è un eccitato cronico" è una persona che si eccita in maniera continuativa. Cancellava i vapori di questa depressione uscendo la sera, non importava chi era importante il gesto. Era laureata in Medicina e Chirurgia con lode e manzione accademica, una leonessa, la ricordo che si era trovata una stanzetta nei sotterranei dell'edificio 20, diventava un camaleonte quando il guardiano passava per chiudere, restava li a studiare per giorni interi, una busta con tante monete da 50 centesimi per la macchinetta, i fazzolettini di carta. Era il massimo era un mare di intelligenza mischiata a memoria, il fatto che stava in mezzo a noi era la punta di diamante.
Spesso si disinibiva indossando abiti con un certo livello di ambiguità, non era malata, era depressa, lo studio, il sesso, cose strane avevano appannato questa sua ipocondria ma non l'avevano eradicata, la medicina è grande, è immensa ma è purtroppo limitata. Ti ingelosisti, ti vidi, lo capii perchè mi abbracciò forte e mi disse che non dovevamo mai dividerci. Non te ne avevo mai parlato, ti ammaccò un pò l'umore.
Elena fu il nome che scrissi all'ultima diapositiva, la foto di me e di lei mentre stavamo abbracciati, era uno dei suoi ultimi giorni, la conobbi perchè Mariano Pace, un uomo buono buono buono le sospese le terapie, venne nel mio studio, riusci a oltrepassare ben 50 pazienti prenotati, nessuno protestò, le dissi di chiamarmi il giorno dopo, se ne scappo non mi diede il tempo di avere le sue generalità per cercarla nel database.
Approfittai del computer di Foca, lui da viceprimario aveva tutti i privilegi per entrare in qualsiasi cartella clinica, anche di altri ospedali, mi disse un giorno. Non fu difficile trovarla, una paziente di nome Elena nata nel 1989, era l'unica.
Mi stampai 59 pagine di cartella clinica, mi chiusi in camera e le studiai, la notte non mi bastò arrivò subito il giorno e le portai con me. La malattia era avanzata di brutto e Mariano le aveva sospeso le terapie per farla morire dignitosamente, è forse questa il momento piu difficile per l'operatore non tanto per il paziente.
Quando mi chiamò le programmai un ricovero, nell'arco del giorno la andavo a trovare, nelle ultime sere i polmoni si riempivano mediante un respiratore, la malattia era arrivata lì la vidi io tramite una lastra che le feci, quella porcheria nei polmoni saltava come saltano i topi quando il gatto muore.
Ci tenevamo entrambi le mani, sapeva di tua figlia ma non sapeva di te, mentre per televisione amadeus svelava il parente misterioso le staccai di bocca quella mascherina affiancai una barella al suo letto e la feci salire, la sentivo ansimare, poteva morire
"non muori, respira e non fare la stupida" imperativamente le dissi.
A folle velocità percorremmo tutto il corridoio, poi superammo la porta taglia fuoco e arrivammo sulla scala antincendio
"non hai bisogno di alzare la testa tu, lo vedi perchè sei fortunata?"
guardammo il cielo, il freddo dell'inverno lo rendeva secco e le stelle acquisivano importanza nel loro brillare.
La stella polare e il grande carro, Il toro, la Vergine, le conosceva tutte.
Era laureata in astronomia lavorava come dipendente all'osservatorio astronomico.
Aspettò me prima di raggiungere quel cielo, cerco le mie mani, mi fece chiamare.
Mi baciò le labbra e mi disse "grazie" è stato un momento che non dimenticherò mai.
Mentre scrivo queste cose non nascondo una certa tristezza e lacrimar gli occhi mi fanno.
Di tanto in tanto, andavo al cimitero a portarle una rosa, ad alta voce le dicevo "da questa posizione quale stella si vede?"
il mio parlare, poi veniva meno e strozzarmi era un forte velo di angoscia che mi faceva piangere.
Scavalcavo per entrare, in mezzo a quei corpi morti, putrefatti e ossificati mi sentivo libero quando ero solo, con lei.
Milano per te fu una scoperta, ti lasciai le chiavi del monolocale, "cascina gobba" era il nome del luogo, via delle Olgettine, lì dove Berlusconi ha fondato il suo regno.
Andasti via da me, ti ritrovai in casa, avevi ben apparecchiato e reso l'atmosfera davvero rilassante e stuzzicante.
Mangiammo un risotto e dello spezzatino, non parlavamo, mi guardavi coi tuoi occhi naturali, avevi messo le lentine quel giorno per me. Comprasti un vino lombardo, lo stappai e sentii il suo odore, forse era friuliano.
Trovai dei calici in quella dispensa di quell'appartamento, trasferii il vino dalla sua bottiglia al fondo di quei calici, brindammo e ci baciammo. Sentivo il tuo odore di maturità prima ancora che le venature della tua bocca si intersecassero con le mie.
Brindammo e posai le mie mani sulle tue cosce.
Le righe del collant guidavano le mie mani a salire e scendere lungo quello scorcio di paradiso che la gonna mi aveva regalato, il contatto poi prese vigore perchè il dorso delle mie mani incontrò le tue e mi istruisti a capire come dovevo accarezzarti.
Una mano su una l'altra sull'altra e le tue mani sulle mie, Mi accogliesti sull'orlo del tuo mistero aprendo quelle cosce e spingendo le mie mani sotto al tessuto di quel capo, sentii i fili che collegavano le tue calze alla..
"Oh si, che biricchina che sei" ti sussurrai questo nell'orecchio mentre scoprii che avevi il reggicalze.
Alzai tutta la tua gonna e scoprii la tua vita, staccasti le mani dalle mie per abbassare la lampo che la teneva unita e avvolta intorno a te, viola era la mutandina velata che portavi, zuppa era dei tuoi umori, la sentivo e vedevo bagnata e il calore che custodiva riscaldò le mie mani. da sotto ti tolsi anche la camicina e la giacca, trovai il tuo seno avvolto da un reggiseno viola che faceva pendant con lo slip.
Sseduta sull'orlo del tavolo, mentre con le mani facemmo spazio fra i piatti e le stoviglie mi facesti sedere accanto e iniziasti a baciarmi sul collo, i tacchi persero il contatto con il pavimento e man mano che le tue cosce si divaricavano, quei fili che longitudinalmente le percorrevano diventavano sempre piu tesi.
La cravatta fu il manico per scaraventare il mio viso sui tuoi seni, iniziai a leccarli si sentiva il rumore della lingua in tutta la stanza.
Con le mani veicolasti le mie e le portasti sull'orlo della tua mutandina completamente bagnata.
Accarezzai il tuo sesso, era caldo e bagnava la tovaglia che farciva la tavola.
Le punte delle tue scarpe cercavano di allontanarsi piu possibile per far spazio a quella mano che spingeva sul tessuto velato lungo il basso del tuo ventre.
Alzavi la testa verso l'alto gemevi a bocca aperta, con una mano tiravi la mia cravatta con l'altra spingevi il mio capo sul tuo davanzale.
Le mani, esploravano il tuo sesso, aprendo poi la mutandina.
Continuai a succhiare entrambi quei capezzoli mentre la mia mano premeva interamente il tuo organo sessuale.
"oh si quanto sei forte, quanto sei prominente"
riscivi a scandire.
La folta peluria ben curata oramai zuppa dei tuoi liquidi percepi la mancanza della mia mano mentre lei decise di oltrepassare quel solco.
Le due labbra sembravano i lembi di una tenda di un palcoscenico, bastava poco per aprirla e spostarli.
Quando sverginai il tuo sesso con le mani mi allontanaasti dal tuo seno e piegasti lo sguardo per osservare la scena..
Per poco tempo le mie due dita consolarono il clitoride.
Ti sfilai la mutandina e tu poggiasti le punte delle tue scarpe sull'orlo del tavolo, con le mani veicolasti la mia cravatta poggiando la mia bocca sul solco del tuo sesso oramai completamente aperto.
La tua testa china osservava questa scena, mentre con le mani lasciasti la mia cravatta e iniziasti ad accarezzarti quei seni ormai zuppi di eros.. alla loro base abitavano ancora le coppe che prima lo accoglievano, ormai tutte accartocciate, sui loro lati, scorrevano tesi i due fili violastri quasi pronti a rompersi.
Con le dita premevi i capezzoli e muovevi la mano velocemente, e mi osservavi, io osservavo tutta questa scena, di tanto in tanto con le dita facevo la stessa cosa sul clitoride.
OH si quanto mi sei mancato, fu questa la frase che riuscisti a pronunciare.
In quel momento esatto osservai sotto al reggicalze quella cinturina ottonata, abitava lì in quel punto esatto mentre soffriva l'elastico trasparente di quell'indumento intimo.
Con la lingua poi scesi e lubrificai la chiusura del tuo ano. Inizialmente lo stringesti per farmi capire che non era il caso, continuai perserverando con la sua esplorazione alla fine lo penetrai.
Non riuscisti a stare piu ferma ad osservare la scena, il godimento era talmente tanto elevato che poggiasti la testa sul tavolo ed una delle due cosce sulla mia spalla mentre io succhiavo il clitoride e masturbavo con due dita il tuo sedere.
Con la coda dell'occhio vidi che alla caviglia della coscia che abitava ancora sul tavolo avevi una cavigliera, era di un metallo molto sottile, mi piacque molto.
Ansimante era la tua brama di sentire la punta del mio sesso, non ti feci muovere, circumnavigai il tavolo sino ad incontrare la tua testa, per le ascelle ti tirai un pò piu verso di me, sino a far perdere riposo al tuo collo lungo quella superficie dura, ti sporgesti e andasti verso dietro, ti tenevo ben salda io, malgrado il contrario apristi il pantalone e apristi la bocca. Feci l'amore con lei mentre i miei umori frammistati alla tua saliva spaccavano in due la tua fronte e sporcavano i tuoi capelli.
Si sentiva il rumore della tua bocca accogliere il mio sesso, lo scuotevo con il bacino e gemevo anche io
"oh si" dicevo ogni volta che la sommità del mio attributo bussava a ridosso della tua ugola. Era li che copiosa la saliva scorreva, lubrificava le tue labbra e si mischiava coi miei fluidi.
Le tue cosce aperte, spalancate, i fili del reggicalze e la cavigliera
"troia SUCCHIA"
ti dissi e tu obbedisti.
Tenendoti poi per i capezzoli mi lasciai andare, oltrepassai la tua gola e i conati scorrevano di brutto sul tuo viso ormai cancellato completamente da quei liquidi.
"ti sto facendo male"?
mi feci qualche scrupolo ma mentre mi fermavo tu rincaravi cercando ostinatamente il succo.
Te lo diedi
Telo diedi urlando forte il tuo nome....