Esperienza reale Mia suocera mi tormenta

P

peppegiuit

Guest
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"E' vero che sono io la tua porca è vero?"
"E' vero che sono io la tua troia speciale è vero?"

Con voce tremante e con l'orgasmo in gola furono queste le sue ultime parole

"SEI TU LA MIA MAIALA SPORCA E ZOCCOLA"

"OHHHHHHHHH" dal basso del suo meato spruzzante del liquido trasparente e molto poco viscoso mi venne addosso

"OOOOOAAAAAAOOOOOO"
Intercalò la A in mezzo a quelle O gridando come non mai, la sua voce rimbombò nella stanza ed ascanio abbaioò per tre volte.

Mi disse "ti amo" si abbandonò stesa su letto, per qualche secondo le cosce e le mani le tremavano e lei respirava a tratti, poi si fermò e chiuse gli occhi.

IO rimasi lì legato ad osservare questa scena.
Doc questo pezzo e eccezionale...Certo che hai un gran maiala!!!!Ma quante cose sai Dottore....Mi hai costretto a ristudiare il diagramma dello stato dell'acqua...Sono passati quasi 40 anni dal Liceo:ROFLMAO::ROFLMAO::p:D:D:p
 

marcoforte

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sempre meglio...
una lettura che ti incolla allo schermo, senza dare la possibilita' di mollare il racconto fino alla fine.
fantastico, grazie!
 

mitcho

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Doc siamo tutti in trepidante attesa. Lo so, hai un sacco da fare in questo periodo ma ormai hai una schiera di fedeli lettori che aspettano il seguito.
 
OP
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lunapop

Guest
Camminavano veloci, quella notte, le tre lancette di quel quadrante di orologio appeso in quella camera ospedaliera.
Erano i loro ultimi giri per Elena. Era una donna, una guerriera coraggiosa, la incontrai per la prima volta meno di tre mesi fa, era seduta sulla sedia del reparto. Ebbe fede nel suo intuito. Vide uscire il primario discutere veracemente con Foca, il corridoio lungo e verde si desolò, mentre le due porte tagliapanico si chiusero rimbombò latrando "SOLO PER LE EMERGENZE" risposi con uno spicciolo e rassegnato "occhei". Era tutto nelle mie mani, non mi faceva paura.
Mi incamminai nello studio, me ne impossessavo quando Foca non ci stava, mi sedevo al suo posto, di tanto in tanto usavo il suo computer.
Le nocche delle sue mani scuoterono il ciglio della porta in un modo quasi non percettibile.
"Avanti, prego, venga pure"
Incoraggiai quei segnalini.
Venne da me per una confessione, il medico, a differenza del tuo amico prete, ha orecchie e occhi ben aperti per le confessioni, la differenza è che mentre il tuo amico prete ti giudica, il medico non deve giudicare mai, "il medico deve sapere e fare tutto, ma questo si deve estendere in qualsiasi altro ambito" lo diceva spessissimo il professor Lanza, era stato mio professore di Anatomia, fu lo stesso di mia madre, ci premiò entrambi con la lode, ricordo meraviglioso.

Non ero solito guardare i pazienti negli occhi, soprattutto nei primi istanti di colloquio, mi soffermavo su tutto quello che la vista non era in grado di percepire, gli odori, Elena mi colpì perchè era una delle persone che sicuramente non faceva parte del nostro ambiente. Solitamente i pazienti si capiscono subito dall'odore, i metaboliti dei medicinali antiblastici, la loro tendenza alla nausea, al vomito, facevano di loro quasi una "categorizzazione", quando feci il tirocinio ed entrai la prima volta in questo reparto la caposala cercò di incoraggiarmi "ti devi abituare alla puzza di merda" mi disse mentre fuori consumavamo i primi tiri di una sigaretta. In quel periodo fumavo le Luky strike, quelle dure, erano fortissime quelle sigarette, le sentivo scivolare dentro di meno sino all'ultimo millimetro di polmone, quanto piacere.

"PACE mi ha sospeso la terapia io sono SPACCIATA"
Era il suo oncologo il prof. Mariano Pace, un professionista, un uomo che ha scritto pagine di letteratura scientifica, un uomo di scienza, di cultura, di sacrificio, di altruismo. Era un uomo che tornava in istituto a tutte le ore, i pazienti lo chiamavano per sciocchezze lui c'era sempre. Aveva la saggezza di un nonno e la dolcezza di un bambino. Quando si trattava di darti brutte notizie era lui il primo che piangeva, Quando erano belle le notizie, saltava dinanzi ai pazienti, io lo vidi e non riuscii a trattenermi dal ridere, sembrava un capretto.

"signorina la prego si calmi, mi dica bene, non ho parlato col professor Pace ma se ha fatto questa scelta avrà avuto i suoi motivi" cercai di giustificare quell'uomo lungimirante.
Quando dissi spostai la testa dal monitor del computer, un cassone vecchio col tubo catodico, possibile che nel 2019 esistono ancora i tubi catodici?
Gli occhi azzurri interrompevano quella luce fredda emanata dal neon della stanza, i capelli biondi si posavano ribelli sulle sue spalle scoperte da una maglia a giromaniche. Le bretelline trasparenti di una fascia che costernava il seno era piu un ornamento.
Quella bocca piena d parole, pronta ad esplodere da un momento all'altro, tratteneva le lacrime ma la sua essenza di guerriera sovrastava la fragilità, faceva tremare i vetri.
L'empatia decodificò quel blocco di ghiaccio che le parole non erano capaci di decifrare, presi un pezzettino di carta, quello che gli informatori farmaceutici ti lasciano in quantita industriali, le scrissi il mio numero, le dissi di chiamarmi la sera del giorno dopo, passate le 20.

Andò via, alzandosi dalla sedia sollevò una fragranza credo di un profumo francese, qualcosa di delicato ma di non troppo sofisticato, sovrastava il carattere di quella donna non l'odore.

Tornai quella notte, entrai nella stanza, non tutti potevamo accedere alle cartelle cliniche dei pazienti, c'era la gerarchia, non mi feci impressionare, conoscevo a memoria le credenziali del Foca, entrai nell'intranet locale senza troppi sotterfugi. Scrissi il suo nome tra i pazienti del dottor Pace, trovare la sua cartella era facile, era l'unica paziente di nome Elena nata nel 1990.
Aveva una recidiva da Osteosarcoma, un tumore osseo che, sviluppato in età giovanile, si dimostra un pessimo nemico con cui battersi, è spietato è aggressivo e soprattutto resistente alle terapie, recidiva spesso.
Nell'anamnesi lessi che due anni prima le era stato tolto il femore, sede primaria in cui originava la malattia, ora si trovava in istituto perchè era nata una recidiva, una metastasi asincrona a carico del polmone.
"la paziente riferisce affaticamento in fase di sforzo, ECG nella norma"
Scrisse questo il professor Pace il primo giorno che la incontrò
Quindici giorni prima del nostro incontro aveva fatto una TC, la malattia aveva oltrpassato il letto vascolare aveva corrotto l'Aorta.
Pace le sospese la terapia perchè il tumore aveva raggiunto una sede in cui era statisticamente impossibile prevedere la retrocessione o l'arresto della neoplasia.

Mi chiamò tua figlia, mi chiese dove ero, le dissi la verità, non si fece tanti problemi, mi disse che il giorno dopo sarei dovuto venire da voi, mi avevate invitato, tuo marito aveva pescato, pescato bene, era il caso di condividere.
Non esitai tanto nel dir di si, speravo che tra te o tua figlia ci fosse stato un ascolto ed un consiglio terapeutico su come muovermi con Elena.

Mi apristi la porta d'ingresso, indossasti una gonna con lo spacco dietro, era di pelle o finta pelle, al di sopra una camicina che entrava sul bordo della gonna il tutto avvitato da una cinturina sottile, la tua bocca era aurea e lungo i bordi delle tue labbra una linea di demarcazione scura, camminava lungo il perimetro dei tuoi segni.
Apristi la camicina di due o tre bottoni al di sotto del colletto, i tuoi capelli erano lisci e sciolti e i tuoi piedi erano accolti da un paio di stivaletti col tacco, quello spesso.
Quando mi apristi la porta mi baciasti, prima al lato destro poi al lato sinistro, con la mano afferrasti il mio fianco e lo tirasti a te, volevi sentire il turgore del mio sesso, spento, dinanzi a tutto ciò che avevo da raccontarti.

Lo sapevi cucinare il pesce, eri brava, lo disse tuo marito, lo confermò tuo figlio io apprezzai, tua figlia era indifferente.
Il cambio radicale di abbigliamento, il saluto cosi stretto sul tuo ventre mi fece capire differenti cose, anzi forse l'unica, eri eccitata, non vedevi l'ora che le luci si riposavano quando la corrente cessava di essere erogata.

L'appuntamento era sempre il solito, tu in bagno a cambiarti, io fuori al balcone, mi posizionai subito questa volta.
Dall'altro lato tu eri già dentro e aspettavi me, lo capii perchè ti vidi che aspettavi l'apertura della finestra.
Prendesti il cell in mano e mi mandasti un sms, "quelli mio marito non può intercettarli" mi dirai qualche giorno in avanti"
"vorrei tanto che fossi tu a fare tutto questo che sto per fare"
"ben presto lo farò davvero" risposi e mi misi in posizione.

Tuo marito era nell'altro balcone, quello in cui si vede il mare, era insieme a tuo figlio, erano sbronzi di alcol e fumavano insieme un sigaro che avevano comprato al tabaccaio della stazione, da lontano sembrava che avevano in bocca un pezzo di legno.
Tua figlia in camera, si stava videochiamando con la sua amica, quella che io schifo, era una chiamata importante e segreta, riguardava motivi sentimentali, cose grosse...

Allontanasti le due estremità di quel cinturino, era marroncino e la fibbia era ottonata, la allontanasti delicatamente, l'estremità, quella che finisce a punta l'hai fatta salire lungo il tuo busto facendole incontrare la tua lingua, la leccasti alla fine.
Mentre le due punte si incontravano in questo rovente contatto abbassasti la lente degli occhiali e mi guardasti, ti volevo parlare sì ma quello sguardo mi distanziò un attimo dal mio discorso.

Poggiasti poi la punta della scarpa sull'orlo del water e non smettesti di guardarmi negli occhi.
Con le mani allargasti la camicina scoprendo il tuo seno, era avvinghiato da un paio di coppe completamente trasparenti, si vedevano i tuoi capezzoli schiacciati e poco poco la pelle raggrinzita, sembrava che ti calzasse stretto.

tirasti quello che avanzava fuori dalla gonna con forza, ma ti piacque, mi guardasti e godesti, peccato non sentii bene la tua voce.

Ti lasciasti ammirare, per pochi attimi in questa mise, la tua pelle, nuda, costernava i tuoi polpacci, liberi sotto la fine della gonna e le tue caviglie, prossime ad accogliere quelle calzature, ti girasti poi e mi regalasti le tue spalle.
Le abbottonature del reggiseno e lì dove finivano i tuoi capelli, giusto dove la schiena si curvava e apizzava il tuo meraviglioso fondoschiena, ancora lucido di quella finta pelle nera che lo invitava a prendere le sue forme.
Uno schiaffo su quella sommità avrei voluto darti alla sola e unica visione, non potevo, mi fermai continuai ad osservare.

Ti girasti e continuasti a guardarmi, mentre lo facevi ti inginocchiasti, accentuasti quindi le tue ginocchia, mentre quei tacchi ti sostenevano, con entrambe le mani ti aggrappasti al water, poi ti avvicinasti e lo iniziasti a leccare.
Collegai in quel momento, collegai che ero andato io prima...
Lo leccasti con estrema serietà, nel punto esatto in cui entra il pene all'interno della cavità, eri decisa, quei sapori o quel contesto eccitava i tuoi capezzoli, le tue cosce dure, sensuali la tua gonna che le interrompeva facevano il resto.

Alla lingua e alle labbra successe il tuo seno, facesti la stessa azione servendoti delle tue mammelle di mamma, poi pretendesti di piu e le liberasti.
A quei capezzoli gli facesti percorrere tutto quanto l'orlo del water, di tanto in tanto il brodo caldo che sgorgava dalle tue labbra scivolava su di loro, in questo modo erano piu liberi di scorrere da sopra l'orlo di quel pisciatoio.

Mi controllavi con lo sguardo e cercavi la mia protuberanza intorno al pantalone, ti accertavi se eri abbastanza eccitante, me ne accorsi perchè in alcuni punti della performance rincaravi la dose.

Decollasti sulla pista della disinibizione, era tutto tuo quel water, mentre io, poggiato al pilastro del tuo balcone ti osservavo mentre, per non dare nell'occhio, mi accesi una sigaretta.
Fissasti il muro sovrastante il water sino al punto di piegarti e ti metterti a cavallo. Lo spacco della gonna ti permise di starci ma la lunghezza limitata non di permise di allargare le cosce come volevi. Ti sedesti quindi al contrario di quella tazza, giusto nella posizione opposta di quando solitamente si fa il bisogno grande.
Il tuo meraviglioso sedere era diventato curvo e appuntito e in quel momento la gonna si decise a scoprire di piu i tuoi arti.
Erano lucide le tue cosce, erano come quando tua figlia si toglieva il reggiseno a mare e metteva l'olio.
Mi guardavi, poi ti allungasti e da terra prendesti quel cinturino che prima avvolgeva la vita.
Tuo marito e tuo figlio intonavano canti patriottici americani, tua figlia per il troppo disturbo di quegli schiamazzi abbasso completamente la tapparella del balcone comunicante.
Congiungesti le due estremità e formasti un lazo, lo prendesti e lo lanciasti sul tuo culo.
Quando combaciavano le due pelli si facevano una festa che si traduceva in un suono meraviglioso, al resto ci pensavano le geometrie, pazze, del tuo culo a rendere quella festa una straordinaria sinfonia.
Per un attimo ho pensato al maestro Riccardo Muti, uomo di spessore immenso, lo conobbi non molto tempo fa, è un uomo che ha conosciuto il mondo in tutte le sue culture ma non ha mai smesso di parlare pugliese, maggiormente per questo era entrato nel mio cuore.

"Si...." lo sussurravi piano, per evitare di far cadere quel muro e tutte quelle maschere che ti eri costruita.
Frustavi il tuo sedere in un modo forsennatamente progressivo, aumentava la forza in cui quella cintura batteva sul gluteo.
Soffocasti la tua fame di pene, in bocca, iniziando a succhiare il pulsante di scarico,
cercasti di accontentare cosi la tua vogliosa bocca.
Succhiavi il pulsante mentre accentuavi le forme del sedere per rendere piu eccitante quella frustata, di tanto in tanto lo abbassavi, simulando la penetrazione.
L'erotismo di quella scena fu una fune di acciaio che si ancorò al mio attributo e lo tirò fuori, tutto quanto fuori.

Saziata la tua fame di frusta ti alzasti, nuvamente le tue spalle mi parlarono, la mano scese lungo il fianco incontrando l'inizio di quella gonna, approfondì l'incontro e trovò la cernierà. Con delicatezza la riportò al punto iniziale.

La circonferenza stretta che tagliava il tuo ventre in due si allentò, le forme ripresero ossigeno, piu che vita,
capii che aveva alterato qualche cosa di fisiologico, se ne andò quella gonna senza togliere il disturbo, impattando sul pavimento calpestato dai tuoi tacchi.

Quella marmorea figura era costernata da una semplice V, era una V di colore blu, lasciava intravedere interamente tutte le sue forme fisiologiche, anche se questa V di velo blu aveva a sua volta delle venature che allentavano la fedeltà di ritrarre quel capolavoro che portavi al di sopra delle cosce.
Alcune linee rosse, sul gluteo sinistro raccontavano di quella scena passata, ti piegasti in avanti e poggiasti le tue mani sull'orlo della vasca da bagno che si trovava dinanzi. Ti facesti accompagnare da loro e raggiungesti con la guancia sinistra quel piano, togliesti le mani.
Fecero il percorso contrario, tornarono infatti indietro e raggiunsero l'ottava meraviglia del mondo, la aprirono, aiutarono quella V a diventare quasi una Y. Man mano che separavi i due gemelli il tessuto entrava sempre di piu.
Questa cosa ti eccitava, sentire quel tessuto che scorreva fra i tuoi sessi lubrificati dai tuoi umori ti faceva impazzire,
Ogni tanto affilavi uno dei due capezzoli e mi guardavi, volevi che io uscissi il pene e mi masturbassi.
"Ma pretendi troppoo signora" Pensai ma non lo dissi.

"quante sigarette ti stai fumando?"
Usci nel mentre tua figlia e mi riprese. Non poteva mai pensare che ero li per il nostro motivo, fu stesso lei a dirmi che prima o poi dovevo togliermi questo vizio di fumare.

Abbandonai con estrema rassegnazione quella scena, tuo marito ci aspettava in cucina, aveva fatto il suo pezzo forte, "l'acqua col limone" un qualche cosa di scintillante pensai tra me e me, uscisti dal bagno col pigiama, era un vecchio pigiama di tua figlia, ci sedemmo tutti e 5 al tavolo e bevemmo quel miscuglio, dovevi dire per forza che era buona.
"buona, davvero molto ma molto buona"

Andammo a letto ed eravamo tutti quanti stanchi. Corteggiai morfeo mischiando alcune gocce di diazepam, lo sentivo mentre attraversava la mia barriera emato encefalica. Adoravo assumere farmaci e poi descrivere la loro farmacocinetica e farmacodinamica, era una cosa piu forte di me, in quel momento mi dimenticai veramente di Elena e immaginavo come queste molecole di medicinale dalla bocca entravano in circolo e poi dal circolo vanno al cervello lo schema si chiama LADMET, liberazione assorbimento distribuzione metabolismo escrezione tossicità Farmacologia è un esame tostissimo.

Pensare allo studio e alla scienza mi liberava definitivamente da tutto, è cosi che voglio morire, pensai, mentre studio o mentre leggo o mentre ripeto qualche argomento. Se non fossi entrato a oncologia avrei scelto o cardiologia o anestesia e rianimazione.

Di fretta entrasti nel mio letto occasionale. Dalla tasca di quel pigiamone uscisti la tua mutandina, quella di prima, estratta la ponesti sul mio viso, i tuoi umori riempirono i miei polmoni, con la mano afferrai da sopra al pantalone del pigiama il tuo ginocchio, poi cercai l'entrata scendendo sopra ai tuoi piedi, la trovai ma troncasti l'invito.

Ti piegasti, mi abbassasti di poco i pantaloni e desti un bacio al mio pene, lo copristi e incontrasti la mia bocca, mi sussurrasti "Ti amo"
non ti risposi, ti diedi la buonanotte.
 
OP
L

lunapop

Guest
Lento il mio senso scivolava lungo i solchi della tua vita, adoravi indossare un cinturino ottonato, una specie di catenella che costeggiava la vita e cercava appoggio lungo le sue ali, lo indossavi nelle ultime volte, che i nostri corpi intersecati cercavano il piacere mentre gli occhi spesso cercavano sicurezza nell'osservare che la maniglia della porta d'ingresso non si abbassasse. Mentre le losanghe della tua pelle aspettavano ansiose di rifocillarsi col calore della mia lingua, osservavo il susseguirsi delle vertebre, quegli incastri perfetti, quelle maglie di catena che smorzavano le forze, davano resistenza, quella corda lunga che originava dalla base del collo e trovava fine lungo la saldatura del tuo bacino. Era l'ultimo luogo in cui il mio cuore trovava pace, da quel fraseggio di metalli che affondavano lievi nella tua pelle iniziavano i sussulti.
Il mio petto trovava incastro lì dove quella corda si inarcava delineando una concavità , e la mia bocca un pò piu giu.

L'alternanza bianco-nero della tua abbronzatura, era una inesorabile illusione, tutto partì da lì, quel giorno a mare, fu carnale il mio piacere, poi sali a picco e trovò l'amore, quel gemitio bollente, quel rantolio che di tanto in tanto emanavi quando di segreto mi chiamavi dalla cabina telefonica.

La tua bocca cercò continuità nel mio pene, e le tue mani mi afferravano per i fianchi, mentre i miei piedi erano fissati sul terreno, il mio corpo di piegava e si saldava sulla tua schiena. Provai a darti uno schiaffo poi due, mentre tu ospitavi nella tua bocca la mia virile estensione. Quando chiamò tua figlia mi dicesti di rispondere ma continuasti a tenerlo in bocca.
Di tanto in tanto le dicevo "amore", d'istinto rispondevi facendomi sentire i tuoi denti affilati sul prepuzio, "puoi mai entrare in competizione con tua figlia?" io pensai mentre la ascoltavo a telefono.
Poi si rassegnò ma non mi fece uscire, rimase la forma dei suoi denti per qualche settimana, quei solchi mi prudevano, ma facevo sì che me ne ricordassi solo quando andavo a pisciare.

Posai il telefono al tuo fianco, non mi lasciasti andare, non staccasti la tua bocca nemmeno per farmi posare il telefono.
Ti presi per le spalle, da quelle scapole che ingenuamente uscivano, erano lievemente curve, ritraevano il ritratto della sedia, quella sedia di legno che ormai ti eri ben impressa su di te.
Sul tavolo c'era ancora la tovaglia, mi saltasti addosso, avevi organizzato una cena per me, venisti a milano, ero lì per un congresso, una cosa importante. Venisti e mi ascoltasti parlare inglese, me accorsi quando tra tutte quelle cosce accavallate in prima fila trovai le tue, erano inconfondibili. Quel velo cosi misterioso che tanto ingannava ma poi veniva ingannato da quelle proporzioni mi incantava, ti incolonnasti tra i colleghi, quei viscidi che erano solamente li per far numero "complimenti doc" di tanto in tanto mi diceva uno, "grazie" , sembrava il momento dell'eucarestia, tutti in fila a prendere l'ostia ma il sacerdote ero io, accennai questo sorriso quando accanto a me Foca disse una sciocchezza, ridevo per altro, le sue battute non mi facevano ridere.
Ti donava quel tailleur, quei tacchi, e quella gonna che faticava a raggiungere il ginocchio, quei colori neri contrastati dalla camicina bianca ben sbottonata, quell'orologio da donna professionista e quei capelli, ben curati.

"Auguri, auguri auguri"
Ti abbracciai forte, ma non ti ringraziai, i tuoi capezzoli duri ed eccitati primeggiavano oltre la camicia oltre la giacca, eri eccitata e vogliosa, e forse anche un pò gelosa. Quel giorno conoscesti due nomi di donna che sino ad ora nessuno di quella schifosa famiglia conosceva, me le tenevo per me, sapevo che erano due realtà che non potevano combaciare tra di loro.

Manuela era la coordinatrice del nostro gruppo, era una donna, una ragazza, che spesso e volentieri barattava la sua noia la sua malinconia mettendo il suo nome su tinder, non categorizzava gli uomini ma categorizzava le carenze i deficit della farmacologia dinanzi ai depressi.
"il depresso è un eccitato cronico" è una persona che si eccita in maniera continuativa. Cancellava i vapori di questa depressione uscendo la sera, non importava chi era importante il gesto. Era laureata in Medicina e Chirurgia con lode e manzione accademica, una leonessa, la ricordo che si era trovata una stanzetta nei sotterranei dell'edificio 20, diventava un camaleonte quando il guardiano passava per chiudere, restava li a studiare per giorni interi, una busta con tante monete da 50 centesimi per la macchinetta, i fazzolettini di carta. Era il massimo era un mare di intelligenza mischiata a memoria, il fatto che stava in mezzo a noi era la punta di diamante.
Spesso si disinibiva indossando abiti con un certo livello di ambiguità, non era malata, era depressa, lo studio, il sesso, cose strane avevano appannato questa sua ipocondria ma non l'avevano eradicata, la medicina è grande, è immensa ma è purtroppo limitata. Ti ingelosisti, ti vidi, lo capii perchè mi abbracciò forte e mi disse che non dovevamo mai dividerci. Non te ne avevo mai parlato, ti ammaccò un pò l'umore.

Elena fu il nome che scrissi all'ultima diapositiva, la foto di me e di lei mentre stavamo abbracciati, era uno dei suoi ultimi giorni, la conobbi perchè Mariano Pace, un uomo buono buono buono le sospese le terapie, venne nel mio studio, riusci a oltrepassare ben 50 pazienti prenotati, nessuno protestò, le dissi di chiamarmi il giorno dopo, se ne scappo non mi diede il tempo di avere le sue generalità per cercarla nel database.
Approfittai del computer di Foca, lui da viceprimario aveva tutti i privilegi per entrare in qualsiasi cartella clinica, anche di altri ospedali, mi disse un giorno. Non fu difficile trovarla, una paziente di nome Elena nata nel 1989, era l'unica.
Mi stampai 59 pagine di cartella clinica, mi chiusi in camera e le studiai, la notte non mi bastò arrivò subito il giorno e le portai con me. La malattia era avanzata di brutto e Mariano le aveva sospeso le terapie per farla morire dignitosamente, è forse questa il momento piu difficile per l'operatore non tanto per il paziente.
Quando mi chiamò le programmai un ricovero, nell'arco del giorno la andavo a trovare, nelle ultime sere i polmoni si riempivano mediante un respiratore, la malattia era arrivata lì la vidi io tramite una lastra che le feci, quella porcheria nei polmoni saltava come saltano i topi quando il gatto muore.
Ci tenevamo entrambi le mani, sapeva di tua figlia ma non sapeva di te, mentre per televisione amadeus svelava il parente misterioso le staccai di bocca quella mascherina affiancai una barella al suo letto e la feci salire, la sentivo ansimare, poteva morire
"non muori, respira e non fare la stupida" imperativamente le dissi.
A folle velocità percorremmo tutto il corridoio, poi superammo la porta taglia fuoco e arrivammo sulla scala antincendio
"non hai bisogno di alzare la testa tu, lo vedi perchè sei fortunata?"
guardammo il cielo, il freddo dell'inverno lo rendeva secco e le stelle acquisivano importanza nel loro brillare.
La stella polare e il grande carro, Il toro, la Vergine, le conosceva tutte.
Era laureata in astronomia lavorava come dipendente all'osservatorio astronomico.
Aspettò me prima di raggiungere quel cielo, cerco le mie mani, mi fece chiamare.
Mi baciò le labbra e mi disse "grazie" è stato un momento che non dimenticherò mai.
Mentre scrivo queste cose non nascondo una certa tristezza e lacrimar gli occhi mi fanno.
Di tanto in tanto, andavo al cimitero a portarle una rosa, ad alta voce le dicevo "da questa posizione quale stella si vede?"
il mio parlare, poi veniva meno e strozzarmi era un forte velo di angoscia che mi faceva piangere.
Scavalcavo per entrare, in mezzo a quei corpi morti, putrefatti e ossificati mi sentivo libero quando ero solo, con lei.

Milano per te fu una scoperta, ti lasciai le chiavi del monolocale, "cascina gobba" era il nome del luogo, via delle Olgettine, lì dove Berlusconi ha fondato il suo regno.
Andasti via da me, ti ritrovai in casa, avevi ben apparecchiato e reso l'atmosfera davvero rilassante e stuzzicante.
Mangiammo un risotto e dello spezzatino, non parlavamo, mi guardavi coi tuoi occhi naturali, avevi messo le lentine quel giorno per me. Comprasti un vino lombardo, lo stappai e sentii il suo odore, forse era friuliano.
Trovai dei calici in quella dispensa di quell'appartamento, trasferii il vino dalla sua bottiglia al fondo di quei calici, brindammo e ci baciammo. Sentivo il tuo odore di maturità prima ancora che le venature della tua bocca si intersecassero con le mie.
Brindammo e posai le mie mani sulle tue cosce.
Le righe del collant guidavano le mie mani a salire e scendere lungo quello scorcio di paradiso che la gonna mi aveva regalato, il contatto poi prese vigore perchè il dorso delle mie mani incontrò le tue e mi istruisti a capire come dovevo accarezzarti.
Una mano su una l'altra sull'altra e le tue mani sulle mie, Mi accogliesti sull'orlo del tuo mistero aprendo quelle cosce e spingendo le mie mani sotto al tessuto di quel capo, sentii i fili che collegavano le tue calze alla..
"Oh si, che biricchina che sei" ti sussurrai questo nell'orecchio mentre scoprii che avevi il reggicalze.
Alzai tutta la tua gonna e scoprii la tua vita, staccasti le mani dalle mie per abbassare la lampo che la teneva unita e avvolta intorno a te, viola era la mutandina velata che portavi, zuppa era dei tuoi umori, la sentivo e vedevo bagnata e il calore che custodiva riscaldò le mie mani. da sotto ti tolsi anche la camicina e la giacca, trovai il tuo seno avvolto da un reggiseno viola che faceva pendant con lo slip.
Sseduta sull'orlo del tavolo, mentre con le mani facemmo spazio fra i piatti e le stoviglie mi facesti sedere accanto e iniziasti a baciarmi sul collo, i tacchi persero il contatto con il pavimento e man mano che le tue cosce si divaricavano, quei fili che longitudinalmente le percorrevano diventavano sempre piu tesi.
La cravatta fu il manico per scaraventare il mio viso sui tuoi seni, iniziai a leccarli si sentiva il rumore della lingua in tutta la stanza.
Con le mani veicolasti le mie e le portasti sull'orlo della tua mutandina completamente bagnata.
Accarezzai il tuo sesso, era caldo e bagnava la tovaglia che farciva la tavola.
Le punte delle tue scarpe cercavano di allontanarsi piu possibile per far spazio a quella mano che spingeva sul tessuto velato lungo il basso del tuo ventre.
Alzavi la testa verso l'alto gemevi a bocca aperta, con una mano tiravi la mia cravatta con l'altra spingevi il mio capo sul tuo davanzale.
Le mani, esploravano il tuo sesso, aprendo poi la mutandina.
Continuai a succhiare entrambi quei capezzoli mentre la mia mano premeva interamente il tuo organo sessuale.
"oh si quanto sei forte, quanto sei prominente"
riscivi a scandire.
La folta peluria ben curata oramai zuppa dei tuoi liquidi percepi la mancanza della mia mano mentre lei decise di oltrepassare quel solco.
Le due labbra sembravano i lembi di una tenda di un palcoscenico, bastava poco per aprirla e spostarli.
Quando sverginai il tuo sesso con le mani mi allontanaasti dal tuo seno e piegasti lo sguardo per osservare la scena..
Per poco tempo le mie due dita consolarono il clitoride.
Ti sfilai la mutandina e tu poggiasti le punte delle tue scarpe sull'orlo del tavolo, con le mani veicolasti la mia cravatta poggiando la mia bocca sul solco del tuo sesso oramai completamente aperto.
La tua testa china osservava questa scena, mentre con le mani lasciasti la mia cravatta e iniziasti ad accarezzarti quei seni ormai zuppi di eros.. alla loro base abitavano ancora le coppe che prima lo accoglievano, ormai tutte accartocciate, sui loro lati, scorrevano tesi i due fili violastri quasi pronti a rompersi.
Con le dita premevi i capezzoli e muovevi la mano velocemente, e mi osservavi, io osservavo tutta questa scena, di tanto in tanto con le dita facevo la stessa cosa sul clitoride.
OH si quanto mi sei mancato, fu questa la frase che riuscisti a pronunciare.
In quel momento esatto osservai sotto al reggicalze quella cinturina ottonata, abitava lì in quel punto esatto mentre soffriva l'elastico trasparente di quell'indumento intimo.
Con la lingua poi scesi e lubrificai la chiusura del tuo ano. Inizialmente lo stringesti per farmi capire che non era il caso, continuai perserverando con la sua esplorazione alla fine lo penetrai.
Non riuscisti a stare piu ferma ad osservare la scena, il godimento era talmente tanto elevato che poggiasti la testa sul tavolo ed una delle due cosce sulla mia spalla mentre io succhiavo il clitoride e masturbavo con due dita il tuo sedere.
Con la coda dell'occhio vidi che alla caviglia della coscia che abitava ancora sul tavolo avevi una cavigliera, era di un metallo molto sottile, mi piacque molto.

Ansimante era la tua brama di sentire la punta del mio sesso, non ti feci muovere, circumnavigai il tavolo sino ad incontrare la tua testa, per le ascelle ti tirai un pò piu verso di me, sino a far perdere riposo al tuo collo lungo quella superficie dura, ti sporgesti e andasti verso dietro, ti tenevo ben salda io, malgrado il contrario apristi il pantalone e apristi la bocca. Feci l'amore con lei mentre i miei umori frammistati alla tua saliva spaccavano in due la tua fronte e sporcavano i tuoi capelli.
Si sentiva il rumore della tua bocca accogliere il mio sesso, lo scuotevo con il bacino e gemevo anche io
"oh si" dicevo ogni volta che la sommità del mio attributo bussava a ridosso della tua ugola. Era li che copiosa la saliva scorreva, lubrificava le tue labbra e si mischiava coi miei fluidi.
Le tue cosce aperte, spalancate, i fili del reggicalze e la cavigliera
"troia SUCCHIA"
ti dissi e tu obbedisti.

Tenendoti poi per i capezzoli mi lasciai andare, oltrepassai la tua gola e i conati scorrevano di brutto sul tuo viso ormai cancellato completamente da quei liquidi.
"ti sto facendo male"?
mi feci qualche scrupolo ma mentre mi fermavo tu rincaravi cercando ostinatamente il succo.

Te lo diedi
Telo diedi urlando forte il tuo nome....
 

niels

"Level 6"
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Punteggio reazione
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124
Lento il mio senso scivolava lungo i solchi della tua vita, adoravi indossare un cinturino ottonato, una specie di catenella che costeggiava la vita e cercava appoggio lungo le sue ali, lo indossavi nelle ultime volte, che i nostri corpi intersecati cercavano il piacere mentre gli occhi spesso cercavano sicurezza nell'osservare che la maniglia della porta d'ingresso non si abbassasse. Mentre le losanghe della tua pelle aspettavano ansiose di rifocillarsi col calore della mia lingua, osservavo il susseguirsi delle vertebre, quegli incastri perfetti, quelle maglie di catena che smorzavano le forze, davano resistenza, quella corda lunga che originava dalla base del collo e trovava fine lungo la saldatura del tuo bacino. Era l'ultimo luogo in cui il mio cuore trovava pace, da quel fraseggio di metalli che affondavano lievi nella tua pelle iniziavano i sussulti.
Il mio petto trovava incastro lì dove quella corda si inarcava delineando una concavità , e la mia bocca un pò piu giu.

L'alternanza bianco-nero della tua abbronzatura, era una inesorabile illusione, tutto partì da lì, quel giorno a mare, fu carnale il mio piacere, poi sali a picco e trovò l'amore, quel gemitio bollente, quel rantolio che di tanto in tanto emanavi quando di segreto mi chiamavi dalla cabina telefonica.

La tua bocca cercò continuità nel mio pene, e le tue mani mi afferravano per i fianchi, mentre i miei piedi erano fissati sul terreno, il mio corpo di piegava e si saldava sulla tua schiena. Provai a darti uno schiaffo poi due, mentre tu ospitavi nella tua bocca la mia virile estensione. Quando chiamò tua figlia mi dicesti di rispondere ma continuasti a tenerlo in bocca.
Di tanto in tanto le dicevo "amore", d'istinto rispondevi facendomi sentire i tuoi denti affilati sul prepuzio, "puoi mai entrare in competizione con tua figlia?" io pensai mentre la ascoltavo a telefono.
Poi si rassegnò ma non mi fece uscire, rimase la forma dei suoi denti per qualche settimana, quei solchi mi prudevano, ma facevo sì che me ne ricordassi solo quando andavo a pisciare.

Posai il telefono al tuo fianco, non mi lasciasti andare, non staccasti la tua bocca nemmeno per farmi posare il telefono.
Ti presi per le spalle, da quelle scapole che ingenuamente uscivano, erano lievemente curve, ritraevano il ritratto della sedia, quella sedia di legno che ormai ti eri ben impressa su di te.
Sul tavolo c'era ancora la tovaglia, mi saltasti addosso, avevi organizzato una cena per me, venisti a milano, ero lì per un congresso, una cosa importante. Venisti e mi ascoltasti parlare inglese, me accorsi quando tra tutte quelle cosce accavallate in prima fila trovai le tue, erano inconfondibili. Quel velo cosi misterioso che tanto ingannava ma poi veniva ingannato da quelle proporzioni mi incantava, ti incolonnasti tra i colleghi, quei viscidi che erano solamente li per far numero "complimenti doc" di tanto in tanto mi diceva uno, "grazie" , sembrava il momento dell'eucarestia, tutti in fila a prendere l'ostia ma il sacerdote ero io, accennai questo sorriso quando accanto a me Foca disse una sciocchezza, ridevo per altro, le sue battute non mi facevano ridere.
Ti donava quel tailleur, quei tacchi, e quella gonna che faticava a raggiungere il ginocchio, quei colori neri contrastati dalla camicina bianca ben sbottonata, quell'orologio da donna professionista e quei capelli, ben curati.

"Auguri, auguri auguri"
Ti abbracciai forte, ma non ti ringraziai, i tuoi capezzoli duri ed eccitati primeggiavano oltre la camicia oltre la giacca, eri eccitata e vogliosa, e forse anche un pò gelosa. Quel giorno conoscesti due nomi di donna che sino ad ora nessuno di quella schifosa famiglia conosceva, me le tenevo per me, sapevo che erano due realtà che non potevano combaciare tra di loro.

Manuela era la coordinatrice del nostro gruppo, era una donna, una ragazza, che spesso e volentieri barattava la sua noia la sua malinconia mettendo il suo nome su tinder, non categorizzava gli uomini ma categorizzava le carenze i deficit della farmacologia dinanzi ai depressi.
"il depresso è un eccitato cronico" è una persona che si eccita in maniera continuativa. Cancellava i vapori di questa depressione uscendo la sera, non importava chi era importante il gesto. Era laureata in Medicina e Chirurgia con lode e manzione accademica, una leonessa, la ricordo che si era trovata una stanzetta nei sotterranei dell'edificio 20, diventava un camaleonte quando il guardiano passava per chiudere, restava li a studiare per giorni interi, una busta con tante monete da 50 centesimi per la macchinetta, i fazzolettini di carta. Era il massimo era un mare di intelligenza mischiata a memoria, il fatto che stava in mezzo a noi era la punta di diamante.
Spesso si disinibiva indossando abiti con un certo livello di ambiguità, non era malata, era depressa, lo studio, il sesso, cose strane avevano appannato questa sua ipocondria ma non l'avevano eradicata, la medicina è grande, è immensa ma è purtroppo limitata. Ti ingelosisti, ti vidi, lo capii perchè mi abbracciò forte e mi disse che non dovevamo mai dividerci. Non te ne avevo mai parlato, ti ammaccò un pò l'umore.

Elena fu il nome che scrissi all'ultima diapositiva, la foto di me e di lei mentre stavamo abbracciati, era uno dei suoi ultimi giorni, la conobbi perchè Mariano Pace, un uomo buono buono buono le sospese le terapie, venne nel mio studio, riusci a oltrepassare ben 50 pazienti prenotati, nessuno protestò, le dissi di chiamarmi il giorno dopo, se ne scappo non mi diede il tempo di avere le sue generalità per cercarla nel database.
Approfittai del computer di Foca, lui da viceprimario aveva tutti i privilegi per entrare in qualsiasi cartella clinica, anche di altri ospedali, mi disse un giorno. Non fu difficile trovarla, una paziente di nome Elena nata nel 1989, era l'unica.
Mi stampai 59 pagine di cartella clinica, mi chiusi in camera e le studiai, la notte non mi bastò arrivò subito il giorno e le portai con me. La malattia era avanzata di brutto e Mariano le aveva sospeso le terapie per farla morire dignitosamente, è forse questa il momento piu difficile per l'operatore non tanto per il paziente.
Quando mi chiamò le programmai un ricovero, nell'arco del giorno la andavo a trovare, nelle ultime sere i polmoni si riempivano mediante un respiratore, la malattia era arrivata lì la vidi io tramite una lastra che le feci, quella porcheria nei polmoni saltava come saltano i topi quando il gatto muore.
Ci tenevamo entrambi le mani, sapeva di tua figlia ma non sapeva di te, mentre per televisione amadeus svelava il parente misterioso le staccai di bocca quella mascherina affiancai una barella al suo letto e la feci salire, la sentivo ansimare, poteva morire
"non muori, respira e non fare la stupida" imperativamente le dissi.
A folle velocità percorremmo tutto il corridoio, poi superammo la porta taglia fuoco e arrivammo sulla scala antincendio
"non hai bisogno di alzare la testa tu, lo vedi perchè sei fortunata?"
guardammo il cielo, il freddo dell'inverno lo rendeva secco e le stelle acquisivano importanza nel loro brillare.
La stella polare e il grande carro, Il toro, la Vergine, le conosceva tutte.
Era laureata in astronomia lavorava come dipendente all'osservatorio astronomico.
Aspettò me prima di raggiungere quel cielo, cerco le mie mani, mi fece chiamare.
Mi baciò le labbra e mi disse "grazie" è stato un momento che non dimenticherò mai.
Mentre scrivo queste cose non nascondo una certa tristezza e lacrimar gli occhi mi fanno.
Di tanto in tanto, andavo al cimitero a portarle una rosa, ad alta voce le dicevo "da questa posizione quale stella si vede?"
il mio parlare, poi veniva meno e strozzarmi era un forte velo di angoscia che mi faceva piangere.
Scavalcavo per entrare, in mezzo a quei corpi morti, putrefatti e ossificati mi sentivo libero quando ero solo, con lei.

Milano per te fu una scoperta, ti lasciai le chiavi del monolocale, "cascina gobba" era il nome del luogo, via delle Olgettine, lì dove Berlusconi ha fondato il suo regno.
Andasti via da me, ti ritrovai in casa, avevi ben apparecchiato e reso l'atmosfera davvero rilassante e stuzzicante.
Mangiammo un risotto e dello spezzatino, non parlavamo, mi guardavi coi tuoi occhi naturali, avevi messo le lentine quel giorno per me. Comprasti un vino lombardo, lo stappai e sentii il suo odore, forse era friuliano.
Trovai dei calici in quella dispensa di quell'appartamento, trasferii il vino dalla sua bottiglia al fondo di quei calici, brindammo e ci baciammo. Sentivo il tuo odore di maturità prima ancora che le venature della tua bocca si intersecassero con le mie.
Brindammo e posai le mie mani sulle tue cosce.
Le righe del collant guidavano le mie mani a salire e scendere lungo quello scorcio di paradiso che la gonna mi aveva regalato, il contatto poi prese vigore perchè il dorso delle mie mani incontrò le tue e mi istruisti a capire come dovevo accarezzarti.
Una mano su una l'altra sull'altra e le tue mani sulle mie, Mi accogliesti sull'orlo del tuo mistero aprendo quelle cosce e spingendo le mie mani sotto al tessuto di quel capo, sentii i fili che collegavano le tue calze alla..
"Oh si, che biricchina che sei" ti sussurrai questo nell'orecchio mentre scoprii che avevi il reggicalze.
Alzai tutta la tua gonna e scoprii la tua vita, staccasti le mani dalle mie per abbassare la lampo che la teneva unita e avvolta intorno a te, viola era la mutandina velata che portavi, zuppa era dei tuoi umori, la sentivo e vedevo bagnata e il calore che custodiva riscaldò le mie mani. da sotto ti tolsi anche la camicina e la giacca, trovai il tuo seno avvolto da un reggiseno viola che faceva pendant con lo slip.
Sseduta sull'orlo del tavolo, mentre con le mani facemmo spazio fra i piatti e le stoviglie mi facesti sedere accanto e iniziasti a baciarmi sul collo, i tacchi persero il contatto con il pavimento e man mano che le tue cosce si divaricavano, quei fili che longitudinalmente le percorrevano diventavano sempre piu tesi.
La cravatta fu il manico per scaraventare il mio viso sui tuoi seni, iniziai a leccarli si sentiva il rumore della lingua in tutta la stanza.
Con le mani veicolasti le mie e le portasti sull'orlo della tua mutandina completamente bagnata.
Accarezzai il tuo sesso, era caldo e bagnava la tovaglia che farciva la tavola.
Le punte delle tue scarpe cercavano di allontanarsi piu possibile per far spazio a quella mano che spingeva sul tessuto velato lungo il basso del tuo ventre.
Alzavi la testa verso l'alto gemevi a bocca aperta, con una mano tiravi la mia cravatta con l'altra spingevi il mio capo sul tuo davanzale.
Le mani, esploravano il tuo sesso, aprendo poi la mutandina.
Continuai a succhiare entrambi quei capezzoli mentre la mia mano premeva interamente il tuo organo sessuale.
"oh si quanto sei forte, quanto sei prominente"
riscivi a scandire.
La folta peluria ben curata oramai zuppa dei tuoi liquidi percepi la mancanza della mia mano mentre lei decise di oltrepassare quel solco.
Le due labbra sembravano i lembi di una tenda di un palcoscenico, bastava poco per aprirla e spostarli.
Quando sverginai il tuo sesso con le mani mi allontanaasti dal tuo seno e piegasti lo sguardo per osservare la scena..
Per poco tempo le mie due dita consolarono il clitoride.
Ti sfilai la mutandina e tu poggiasti le punte delle tue scarpe sull'orlo del tavolo, con le mani veicolasti la mia cravatta poggiando la mia bocca sul solco del tuo sesso oramai completamente aperto.
La tua testa china osservava questa scena, mentre con le mani lasciasti la mia cravatta e iniziasti ad accarezzarti quei seni ormai zuppi di eros.. alla loro base abitavano ancora le coppe che prima lo accoglievano, ormai tutte accartocciate, sui loro lati, scorrevano tesi i due fili violastri quasi pronti a rompersi.
Con le dita premevi i capezzoli e muovevi la mano velocemente, e mi osservavi, io osservavo tutta questa scena, di tanto in tanto con le dita facevo la stessa cosa sul clitoride.
OH si quanto mi sei mancato, fu questa la frase che riuscisti a pronunciare.
In quel momento esatto osservai sotto al reggicalze quella cinturina ottonata, abitava lì in quel punto esatto mentre soffriva l'elastico trasparente di quell'indumento intimo.
Con la lingua poi scesi e lubrificai la chiusura del tuo ano. Inizialmente lo stringesti per farmi capire che non era il caso, continuai perserverando con la sua esplorazione alla fine lo penetrai.
Non riuscisti a stare piu ferma ad osservare la scena, il godimento era talmente tanto elevato che poggiasti la testa sul tavolo ed una delle due cosce sulla mia spalla mentre io succhiavo il clitoride e masturbavo con due dita il tuo sedere.
Con la coda dell'occhio vidi che alla caviglia della coscia che abitava ancora sul tavolo avevi una cavigliera, era di un metallo molto sottile, mi piacque molto.

Ansimante era la tua brama di sentire la punta del mio sesso, non ti feci muovere, circumnavigai il tavolo sino ad incontrare la tua testa, per le ascelle ti tirai un pò piu verso di me, sino a far perdere riposo al tuo collo lungo quella superficie dura, ti sporgesti e andasti verso dietro, ti tenevo ben salda io, malgrado il contrario apristi il pantalone e apristi la bocca. Feci l'amore con lei mentre i miei umori frammistati alla tua saliva spaccavano in due la tua fronte e sporcavano i tuoi capelli.
Si sentiva il rumore della tua bocca accogliere il mio sesso, lo scuotevo con il bacino e gemevo anche io
"oh si" dicevo ogni volta che la sommità del mio attributo bussava a ridosso della tua ugola. Era li che copiosa la saliva scorreva, lubrificava le tue labbra e si mischiava coi miei fluidi.
Le tue cosce aperte, spalancate, i fili del reggicalze e la cavigliera
"troia SUCCHIA"
ti dissi e tu obbedisti.

Tenendoti poi per i capezzoli mi lasciai andare, oltrepassai la tua gola e i conati scorrevano di brutto sul tuo viso ormai cancellato completamente da quei liquidi.
"ti sto facendo male"?
mi feci qualche scrupolo ma mentre mi fermavo tu rincaravi cercando ostinatamente il succo.

Te lo diedi
Telo diedi urlando forte il tuo nome....
Bellissimo racconto, la prosa è particolare e ricercata, mi piace.
 

leonx88

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48
Lento il mio senso scivolava lungo i solchi della tua vita, adoravi indossare un cinturino ottonato, una specie di catenella che costeggiava la vita e cercava appoggio lungo le sue ali, lo indossavi nelle ultime volte, che i nostri corpi intersecati cercavano il piacere mentre gli occhi spesso cercavano sicurezza nell'osservare che la maniglia della porta d'ingresso non si abbassasse. Mentre le losanghe della tua pelle aspettavano ansiose di rifocillarsi col calore della mia lingua, osservavo il susseguirsi delle vertebre, quegli incastri perfetti, quelle maglie di catena che smorzavano le forze, davano resistenza, quella corda lunga che originava dalla base del collo e trovava fine lungo la saldatura del tuo bacino. Era l'ultimo luogo in cui il mio cuore trovava pace, da quel fraseggio di metalli che affondavano lievi nella tua pelle iniziavano i sussulti.
Il mio petto trovava incastro lì dove quella corda si inarcava delineando una concavità , e la mia bocca un pò piu giu.

L'alternanza bianco-nero della tua abbronzatura, era una inesorabile illusione, tutto partì da lì, quel giorno a mare, fu carnale il mio piacere, poi sali a picco e trovò l'amore, quel gemitio bollente, quel rantolio che di tanto in tanto emanavi quando di segreto mi chiamavi dalla cabina telefonica.

La tua bocca cercò continuità nel mio pene, e le tue mani mi afferravano per i fianchi, mentre i miei piedi erano fissati sul terreno, il mio corpo di piegava e si saldava sulla tua schiena. Provai a darti uno schiaffo poi due, mentre tu ospitavi nella tua bocca la mia virile estensione. Quando chiamò tua figlia mi dicesti di rispondere ma continuasti a tenerlo in bocca.
Di tanto in tanto le dicevo "amore", d'istinto rispondevi facendomi sentire i tuoi denti affilati sul prepuzio, "puoi mai entrare in competizione con tua figlia?" io pensai mentre la ascoltavo a telefono.
Poi si rassegnò ma non mi fece uscire, rimase la forma dei suoi denti per qualche settimana, quei solchi mi prudevano, ma facevo sì che me ne ricordassi solo quando andavo a pisciare.

Posai il telefono al tuo fianco, non mi lasciasti andare, non staccasti la tua bocca nemmeno per farmi posare il telefono.
Ti presi per le spalle, da quelle scapole che ingenuamente uscivano, erano lievemente curve, ritraevano il ritratto della sedia, quella sedia di legno che ormai ti eri ben impressa su di te.
Sul tavolo c'era ancora la tovaglia, mi saltasti addosso, avevi organizzato una cena per me, venisti a milano, ero lì per un congresso, una cosa importante. Venisti e mi ascoltasti parlare inglese, me accorsi quando tra tutte quelle cosce accavallate in prima fila trovai le tue, erano inconfondibili. Quel velo cosi misterioso che tanto ingannava ma poi veniva ingannato da quelle proporzioni mi incantava, ti incolonnasti tra i colleghi, quei viscidi che erano solamente li per far numero "complimenti doc" di tanto in tanto mi diceva uno, "grazie" , sembrava il momento dell'eucarestia, tutti in fila a prendere l'ostia ma il sacerdote ero io, accennai questo sorriso quando accanto a me Foca disse una sciocchezza, ridevo per altro, le sue battute non mi facevano ridere.
Ti donava quel tailleur, quei tacchi, e quella gonna che faticava a raggiungere il ginocchio, quei colori neri contrastati dalla camicina bianca ben sbottonata, quell'orologio da donna professionista e quei capelli, ben curati.

"Auguri, auguri auguri"
Ti abbracciai forte, ma non ti ringraziai, i tuoi capezzoli duri ed eccitati primeggiavano oltre la camicia oltre la giacca, eri eccitata e vogliosa, e forse anche un pò gelosa. Quel giorno conoscesti due nomi di donna che sino ad ora nessuno di quella schifosa famiglia conosceva, me le tenevo per me, sapevo che erano due realtà che non potevano combaciare tra di loro.

Manuela era la coordinatrice del nostro gruppo, era una donna, una ragazza, che spesso e volentieri barattava la sua noia la sua malinconia mettendo il suo nome su tinder, non categorizzava gli uomini ma categorizzava le carenze i deficit della farmacologia dinanzi ai depressi.
"il depresso è un eccitato cronico" è una persona che si eccita in maniera continuativa. Cancellava i vapori di questa depressione uscendo la sera, non importava chi era importante il gesto. Era laureata in Medicina e Chirurgia con lode e manzione accademica, una leonessa, la ricordo che si era trovata una stanzetta nei sotterranei dell'edificio 20, diventava un camaleonte quando il guardiano passava per chiudere, restava li a studiare per giorni interi, una busta con tante monete da 50 centesimi per la macchinetta, i fazzolettini di carta. Era il massimo era un mare di intelligenza mischiata a memoria, il fatto che stava in mezzo a noi era la punta di diamante.
Spesso si disinibiva indossando abiti con un certo livello di ambiguità, non era malata, era depressa, lo studio, il sesso, cose strane avevano appannato questa sua ipocondria ma non l'avevano eradicata, la medicina è grande, è immensa ma è purtroppo limitata. Ti ingelosisti, ti vidi, lo capii perchè mi abbracciò forte e mi disse che non dovevamo mai dividerci. Non te ne avevo mai parlato, ti ammaccò un pò l'umore.

Elena fu il nome che scrissi all'ultima diapositiva, la foto di me e di lei mentre stavamo abbracciati, era uno dei suoi ultimi giorni, la conobbi perchè Mariano Pace, un uomo buono buono buono le sospese le terapie, venne nel mio studio, riusci a oltrepassare ben 50 pazienti prenotati, nessuno protestò, le dissi di chiamarmi il giorno dopo, se ne scappo non mi diede il tempo di avere le sue generalità per cercarla nel database.
Approfittai del computer di Foca, lui da viceprimario aveva tutti i privilegi per entrare in qualsiasi cartella clinica, anche di altri ospedali, mi disse un giorno. Non fu difficile trovarla, una paziente di nome Elena nata nel 1989, era l'unica.
Mi stampai 59 pagine di cartella clinica, mi chiusi in camera e le studiai, la notte non mi bastò arrivò subito il giorno e le portai con me. La malattia era avanzata di brutto e Mariano le aveva sospeso le terapie per farla morire dignitosamente, è forse questa il momento piu difficile per l'operatore non tanto per il paziente.
Quando mi chiamò le programmai un ricovero, nell'arco del giorno la andavo a trovare, nelle ultime sere i polmoni si riempivano mediante un respiratore, la malattia era arrivata lì la vidi io tramite una lastra che le feci, quella porcheria nei polmoni saltava come saltano i topi quando il gatto muore.
Ci tenevamo entrambi le mani, sapeva di tua figlia ma non sapeva di te, mentre per televisione amadeus svelava il parente misterioso le staccai di bocca quella mascherina affiancai una barella al suo letto e la feci salire, la sentivo ansimare, poteva morire
"non muori, respira e non fare la stupida" imperativamente le dissi.
A folle velocità percorremmo tutto il corridoio, poi superammo la porta taglia fuoco e arrivammo sulla scala antincendio
"non hai bisogno di alzare la testa tu, lo vedi perchè sei fortunata?"
guardammo il cielo, il freddo dell'inverno lo rendeva secco e le stelle acquisivano importanza nel loro brillare.
La stella polare e il grande carro, Il toro, la Vergine, le conosceva tutte.
Era laureata in astronomia lavorava come dipendente all'osservatorio astronomico.
Aspettò me prima di raggiungere quel cielo, cerco le mie mani, mi fece chiamare.
Mi baciò le labbra e mi disse "grazie" è stato un momento che non dimenticherò mai.
Mentre scrivo queste cose non nascondo una certa tristezza e lacrimar gli occhi mi fanno.
Di tanto in tanto, andavo al cimitero a portarle una rosa, ad alta voce le dicevo "da questa posizione quale stella si vede?"
il mio parlare, poi veniva meno e strozzarmi era un forte velo di angoscia che mi faceva piangere.
Scavalcavo per entrare, in mezzo a quei corpi morti, putrefatti e ossificati mi sentivo libero quando ero solo, con lei.

Milano per te fu una scoperta, ti lasciai le chiavi del monolocale, "cascina gobba" era il nome del luogo, via delle Olgettine, lì dove Berlusconi ha fondato il suo regno.
Andasti via da me, ti ritrovai in casa, avevi ben apparecchiato e reso l'atmosfera davvero rilassante e stuzzicante.
Mangiammo un risotto e dello spezzatino, non parlavamo, mi guardavi coi tuoi occhi naturali, avevi messo le lentine quel giorno per me. Comprasti un vino lombardo, lo stappai e sentii il suo odore, forse era friuliano.
Trovai dei calici in quella dispensa di quell'appartamento, trasferii il vino dalla sua bottiglia al fondo di quei calici, brindammo e ci baciammo. Sentivo il tuo odore di maturità prima ancora che le venature della tua bocca si intersecassero con le mie.
Brindammo e posai le mie mani sulle tue cosce.
Le righe del collant guidavano le mie mani a salire e scendere lungo quello scorcio di paradiso che la gonna mi aveva regalato, il contatto poi prese vigore perchè il dorso delle mie mani incontrò le tue e mi istruisti a capire come dovevo accarezzarti.
Una mano su una l'altra sull'altra e le tue mani sulle mie, Mi accogliesti sull'orlo del tuo mistero aprendo quelle cosce e spingendo le mie mani sotto al tessuto di quel capo, sentii i fili che collegavano le tue calze alla..
"Oh si, che biricchina che sei" ti sussurrai questo nell'orecchio mentre scoprii che avevi il reggicalze.
Alzai tutta la tua gonna e scoprii la tua vita, staccasti le mani dalle mie per abbassare la lampo che la teneva unita e avvolta intorno a te, viola era la mutandina velata che portavi, zuppa era dei tuoi umori, la sentivo e vedevo bagnata e il calore che custodiva riscaldò le mie mani. da sotto ti tolsi anche la camicina e la giacca, trovai il tuo seno avvolto da un reggiseno viola che faceva pendant con lo slip.
Sseduta sull'orlo del tavolo, mentre con le mani facemmo spazio fra i piatti e le stoviglie mi facesti sedere accanto e iniziasti a baciarmi sul collo, i tacchi persero il contatto con il pavimento e man mano che le tue cosce si divaricavano, quei fili che longitudinalmente le percorrevano diventavano sempre piu tesi.
La cravatta fu il manico per scaraventare il mio viso sui tuoi seni, iniziai a leccarli si sentiva il rumore della lingua in tutta la stanza.
Con le mani veicolasti le mie e le portasti sull'orlo della tua mutandina completamente bagnata.
Accarezzai il tuo sesso, era caldo e bagnava la tovaglia che farciva la tavola.
Le punte delle tue scarpe cercavano di allontanarsi piu possibile per far spazio a quella mano che spingeva sul tessuto velato lungo il basso del tuo ventre.
Alzavi la testa verso l'alto gemevi a bocca aperta, con una mano tiravi la mia cravatta con l'altra spingevi il mio capo sul tuo davanzale.
Le mani, esploravano il tuo sesso, aprendo poi la mutandina.
Continuai a succhiare entrambi quei capezzoli mentre la mia mano premeva interamente il tuo organo sessuale.
"oh si quanto sei forte, quanto sei prominente"
riscivi a scandire.
La folta peluria ben curata oramai zuppa dei tuoi liquidi percepi la mancanza della mia mano mentre lei decise di oltrepassare quel solco.
Le due labbra sembravano i lembi di una tenda di un palcoscenico, bastava poco per aprirla e spostarli.
Quando sverginai il tuo sesso con le mani mi allontanaasti dal tuo seno e piegasti lo sguardo per osservare la scena..
Per poco tempo le mie due dita consolarono il clitoride.
Ti sfilai la mutandina e tu poggiasti le punte delle tue scarpe sull'orlo del tavolo, con le mani veicolasti la mia cravatta poggiando la mia bocca sul solco del tuo sesso oramai completamente aperto.
La tua testa china osservava questa scena, mentre con le mani lasciasti la mia cravatta e iniziasti ad accarezzarti quei seni ormai zuppi di eros.. alla loro base abitavano ancora le coppe che prima lo accoglievano, ormai tutte accartocciate, sui loro lati, scorrevano tesi i due fili violastri quasi pronti a rompersi.
Con le dita premevi i capezzoli e muovevi la mano velocemente, e mi osservavi, io osservavo tutta questa scena, di tanto in tanto con le dita facevo la stessa cosa sul clitoride.
OH si quanto mi sei mancato, fu questa la frase che riuscisti a pronunciare.
In quel momento esatto osservai sotto al reggicalze quella cinturina ottonata, abitava lì in quel punto esatto mentre soffriva l'elastico trasparente di quell'indumento intimo.
Con la lingua poi scesi e lubrificai la chiusura del tuo ano. Inizialmente lo stringesti per farmi capire che non era il caso, continuai perserverando con la sua esplorazione alla fine lo penetrai.
Non riuscisti a stare piu ferma ad osservare la scena, il godimento era talmente tanto elevato che poggiasti la testa sul tavolo ed una delle due cosce sulla mia spalla mentre io succhiavo il clitoride e masturbavo con due dita il tuo sedere.
Con la coda dell'occhio vidi che alla caviglia della coscia che abitava ancora sul tavolo avevi una cavigliera, era di un metallo molto sottile, mi piacque molto.

Ansimante era la tua brama di sentire la punta del mio sesso, non ti feci muovere, circumnavigai il tavolo sino ad incontrare la tua testa, per le ascelle ti tirai un pò piu verso di me, sino a far perdere riposo al tuo collo lungo quella superficie dura, ti sporgesti e andasti verso dietro, ti tenevo ben salda io, malgrado il contrario apristi il pantalone e apristi la bocca. Feci l'amore con lei mentre i miei umori frammistati alla tua saliva spaccavano in due la tua fronte e sporcavano i tuoi capelli.
Si sentiva il rumore della tua bocca accogliere il mio sesso, lo scuotevo con il bacino e gemevo anche io
"oh si" dicevo ogni volta che la sommità del mio attributo bussava a ridosso della tua ugola. Era li che copiosa la saliva scorreva, lubrificava le tue labbra e si mischiava coi miei fluidi.
Le tue cosce aperte, spalancate, i fili del reggicalze e la cavigliera
"troia SUCCHIA"
ti dissi e tu obbedisti.

Tenendoti poi per i capezzoli mi lasciai andare, oltrepassai la tua gola e i conati scorrevano di brutto sul tuo viso ormai cancellato completamente da quei liquidi.
"ti sto facendo male"?
mi feci qualche scrupolo ma mentre mi fermavo tu rincaravi cercando ostinatamente il succo.

Te lo diedi
Telo diedi urlando forte il tuo nome....
Anche questo racconto è fantastico aspetto con piacere il resto complimenti per come scrivi!!
 
P

peppegiuit

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Doc sarai sicuramente impegnato per l'emergenza covid-19 e allora ti mando un saluto da parte mia e penso di tutti e frequentatori del forum:"Forza Doc!!!" :love: :love: :love: :love: :love: :love: :love: :love: :love: :love:
 
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lunapop

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Il merletto nero delle piccole mutandine costernava i suoi glutei, il perimetro si accentuava man mano che in quei corridoi roventi si faceva strada. Spingeva spesso un carrello con al di sopra utensili di qualsiasi tipo, Flavia era una ragazzetta, avrà avuto si e no una ventina d'anni, fresca di diploma era una studentessa di infermieristica vogliosa di imparare, rispettosa di qualsiasi ordine e grado. Erano queste le cartucce che utilizzò per colpire l'attenzione dei suoi professori ma soprattutto della caposala, la preferiva, si era fissata, le dava carta bianca e spesso la trovavi in reparto anche di notte. Il suo accento lasciava intendere che i chilometri che la separavano dalle sue origini erano tanti. I colori chiari che si districavano fra gli occhi e i capelli, quel frammento di carnagione che si esprimeva fra la fine del pantalone e l'inizio del fantasmino lasciavano intendere che la pelle che l'avvolgeva era chiara. Aveva dei punti fissi, abbellire il suo marmoreo sedere con quelle mutandine era una cultura piuttosto che un semplice costume. Sensibile, tanto, agli occhi che si posavano su quelle sezioni auree ma nello stesso tempo indiscreta e sempre formale. "dottore" non riuscì mai a declinare nemmeno uno spicciolo di confidenza, fredda, racchiusa nella sua professionalità era orgogliosa. orgoglio che la fece arrivare subito alla laurea e non molto tempo più tardi ci ritrovammo in istituto nuovamente isieme, nuovamente a percorrere le stesse mattonelle di quei corridoi. Quando mi vedeva contemplare il fumo di una sigaretta, cambiava strada, costruì questa nostra conoscenza solo ed unicamente sul lavoro.

Quando ero in ambulatorio riuscivo a riconoscerla dai suoi passi, la risonanza gomma-gomma fra le sue ciabatte e il pavimento era un suo modo di esprimersi, attiravano la mia attenzione anche quando stavo dentro impegnato col lavoro, qualche paziente, quelli abituali che ogni 21 giorni vengono in day hospital la conoscevano molto bene, ci scherzavano e la salutavano, incantati poi restavano nell'osservare come quelle montagnelle così appuntite si alternavano a riempire il pantalone attillato.

Un nostro paziente un giorno fu trasferito dal nostro reparto all'urologia, i colleghi urologi dovevano fargli un esame particolare e poi fornirci i risultati, era un vecchio poliziotto in pensione lo chiamavano "campagna" era un nome di battaglia probabilmente attribuitogli per qualche merito lavorativo. Era un uomo che aveva vinto tanto in mezzo alla strada, consegnando alla giustizia un inquantizzavbile numero di mafiosi, ma in casa era il servo della moglie quel giorno gli dovettero prelevare dei frammenti dalla vescica, entrando dal pene, una blanda anestesia, e si viaggia in sedia a rotelle sino all'ultimo piano dal collega.
"Sono De Marchi chiamo dall'urologia collega il paziente cerca esplicitamente lei e la sua infermiera, è solo e dice che l'esame lo vuol sostenere in vostra presenza"

Annuì e agganciai, chiamai in infermeria e aspettai l'arrivo di quella ragazza, non l'avevo ancora vista quel giorno ma sapevo che ci stava, noi medici abbiamo la lista di tutti gli infermieri che sono operativi, era una strategia adottata da Foca, sono tecniche che vengono dal nord, cose che non trovi su nessun tipo di manuale.

Quanto siete cattive voi donne, prima vi impossessato di noi uomini e poi alla fine ci buttate come ferro vecchio, non avete umanità non avete nemmeno una briciola di buon senso, è solo il vostro dannato egoismo quello che purtroppo prevale.

Bussò alla porta ed esclamò "dottore"
"avanti" risposi, apri la porta e andammo....
Entrammo io e lei in quel l'ascensore stretto, aveva indosso ancora una volta quei merletti che tanto venivano riempiti dalla sua pelle chiara, tanto quel nero la contrastrava e il bianco del pantalone li rendeva evanescenti.
Entrati all'interno chiuse le porte, pigiò il numero e salimmo, il tubicino nero dello stetoscopio marcava le sue forme lungo la base del suo collo, da un lato il piatto pesante spesso pendolava sulla spalla destra di rado si rifiugiava nella sbottonatura della camicina, dall'altro gli auricolari ben fissati nel taschino, insieme alle penne da cui sopraelevata un targhettino con scritto il suo nome il suo cognome e una serie di notizie che potevano essere più o meno importanti.
Fredda lei non mi degnava di uno sguardo mentre quella cabina saliva lentamente verso il cielo, mi soffermati a vedere dove quel piatto si rifiugiava e data la vicinanza evanescenti i suoi odori pullulavano dentro le mie narici...

Erano odori strani, non era né un profumo né un deodorante, era qualche cosa di intenso, qualche cosa di appena prodotto era qualche cosa di dinamico che rasserenava i miei sensi e mi dava pace, volevo che quel percorso non finisse mai, si girò verso di me e mi sorrise, guardai il display di quel montacarichi e annuì, era il momento di scendere.

Il suono delle porte ci fa capire che siamo arrivati a destinazione, andammo da Campagna, il valoroso militare era lì allettato che ci aspettava, che festa che ci fece, "dobbiamo fare presto che ho già 12 pazienti che mi aspettano" gli dissi, questo lo tirò su, è psicologia, sai, quando dici al paziente che quello che deve affrontare è sbrigativo per lui tutto diventa differente, non significa barare, significa semplicemente "predisporre" il paziente ad un qualche cosa che oggettivamente potrebbe essere lesivo per lui.

Ce lo restituirono non molto tempo dopo, Flavia prese il manubrio della sua sedia a rotelle e andammo tutti e tre in ascensore, Campagna era al settimo cielo, aveva appena fatto quell'esame era felice, non vedeva l'ora di prendere il telefono e informare tutti i suoi amici i parenti e soprattutto quella generale della moglie, che sicuramente era in qualche salone di bellezza a sperperare soldi.

Tanta ilarità contagiò l'infermierina che tutta presa spinse il goliardo paziente e fece entrare anche me.
Non si rassegnò il poliziotto a raccontare a noi tutte le sue emozioni, Fu in quell'attimo che sentii quegli odori di donna più intensi e forse capii..
Il metallo che avvolgeva il mio polso destro improvvisamente si riscaldò. A destra portavo l'orologio, perchè con la destra io ci scrivo, ci firmo e quindi per me la destra è la mano più importante. Era un orologio massiccio, un Hamilton lo regalarono a mio padre durante la sua festa di pensionamento, non lo mise mai, quando morì me lo presi io, lo indossavo solo quando stavo a lavoro. Le maglie di quella catena che teneva fermi i quadranti sul mio polso era pesante e ossessionata mente fredda il peso del tempo e la presenza di mio padre era questo quel significato, me lo ricordavo sempre e solo quando stavo a lavoro era il mio angelo custode, soprattutto quando in tempi come questi, entri alle 8 del mattino e torni a casa anche alle 8 del mattino dopo, ma non siamo né angeli e né eroi come dicono per televisione, siamo dei falliti perchè la nostra scienza non ha fatto in modo da fermare una minaccia globale chiamato covid, per me gli eroi sono altri, Campagna poteva esserlo.

Quella piccola mano afferrò quel metallaccio pesante e maschile, era calda, era forse sudata, sentivo la sua presa venir meno, sentivo rinvigorirsi sempre di piu. Entrambi guardavamo la porta di uscita mentre campagna cantava le sue imprese, la prese con quella forza gracile di donna e la veicolò, di rovesciò, sul suo gluteo destro. Lo sentivo morbido, sentivo la sua forma piena di eccitazione.
Trovò confindenza su quell'altura allora lei continuò con la voce ad alimentare il monologo di campagna, mentre la mia mano procedeva nello scoprire quella linea profonda che custodiva il suo sesso e formalmente era oscurata da quel tessuto nero. Ah quel merletto, sentivo le sue irregolarità sul tessuto del pantalone che man mano che veniva percorso dalla mia mano tendeva a schiacciarsi sopra e Lei mentre parlava respirava di sussulto.

Quando la cabina iniziò a rallentare nella discesa vidi che quella mano, la stessa di prima iniziò a togliersi dal manubrio destro della carrozzina su cui era appoggiato il valoroso paziente, l'empatia mi portò a terminare, bruscamente quella esplorazione.

Mezz ora dopo in reparto eravamo più freddi di prima.
 
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lunapop

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Non furono tanti i giorni che mi separarono a tuffarmi nel mare di quello sguardo, tra di noi non c'era nessun tipo di passione, nessun tipo di complicità, solo quel gesto di una ventata di erotismo che tu non puoi immaginare, quando sentii le sue dita sui miei polsi, il mio membro si riempi di vigore in men che non si dica, negli istanti successivi, poi, quando uno dei due sedili trovò ristoro nella mia mano ero perso. Quando la porta si aprì fini all'improvviso tutto, coitante il mio membro era pronto a ritirarsi, alla fine si ritirò del tutto.

Spensi il telefono, non mi andava di sentirti, non mi andava di leggere i messaggi di quella cornacchia di tua figlia, non ci girai tanto intorno a cosa era sucesso, avevo capito che le paranoie i troppi pensieri portano a marcire l'essere e che certe volte alcune cose vanno fatte spontaneamente, senza nessun tipo di pensiero.

Di tanto in tanto avvolgevo intorno alla cartina del tabacco, fresco umido, certe volte accendevo la luce, perchè era bello vedere l'alternanza di colori dei filini di tabacco, il filtro un ulteriore giro e poi lascio sempre che la lingua corrobori di saliva l'estremità collosa per rollarla e chiuderla. Mi alzai e uscii fuori nel corridoio, lì sulla scala antincendio, era un punto di ritrovo per noi operatori di reparto ma ogni tanto è facile incontrare qualche paziente. La posa sulle mie labbra quell'artefatto e dolcemente feci scivolare la capocchia del fiammifero sulla minerva, quanto è bello il primo odore che emana lo zolfo quando avviene la combustione, avevo comprato i fiammiferi per godermi questo momento, questo profumo.

Eravamo due anime erranti, forse cercavamo la fuga o forse con le nostre perversioni volevamo semplicemente distogliere la realtà. Sembrava quasi un set di un film pornografico, l'infermiera ad un certo punto la dà al dottore cazzuto e muscoloso. Non ci demmo nessun tipo di appuntamento ma era chiaro che ero diventato una sua preda, voleva sentire le mie mani sul suo corpo, le desiderava, era questo quello che io sentivo.

Oltre qualsiasi immaginazione degna di un regista di film a luci rosse, quella sorgente di luce mi aspettava per davvero. La sera di quel giorno uscii fuori e con foca percorremmo i pochi metri che dall'uscita dell'istituto ci avrebbero portato ai nostri mezzi per tornare a casa. Il dottore mi raccomandò su un paziente nel nostro reparto, era parente ad una persona, la stessa persona che poi l'avrebbe dovuto far tornare nel suo amato Nord. "Foca per me I pazienti sono tutti uguali, ci fosse l'assassino di mio padre, ci fosse chi ha tentato di uccidermi per me sono tutti uguali" , schematico il Foca andò via.

Nelle caldaie spente di quel mese di giugno non c'era anima di nessuno, i vigilantes in quell area non passavano perchè era un area dismessa e forse anche pericolosa, fu lì che quella donna volle continuare quel tripudio di umori. Mi aspettò dinanzi al motorino e mi disse "dottore prima che lei va via avrei bisogno di mostrarle una cosa" Il buio di quel parcheggio e le macchine silenti da poco arrivate, del personale notturno, non riuscirono a fare da testimoni di quelle vicendevole scene.

Quando entrammo lì dentro flebili fili di luce di neon invano cercavano di riflettere sul pavimento, vidi i suoi occhi e le sciolsi i capelli, sentii il suo odore, quell'odore selvaggio di donna che sopravanzava al di sotto di quel camice verde, ancora una volta i miei polsi si rincuorarono del suo tatto e trovarono la strada per i suoi fianchi. Era tremante la sua bocca ma non si trattenne nel baciarmi, sentivo il lucida labbra sciogliersi mentre la mia lingua pian piano le esplorava, sentivo lo schioccare della sua mentre, eccitata, soprabbondava di saliva.

Il calore del suo respiro, lungo le narici riscaldava la mia bocca mentre le mie mani con virile tatto esplorano i suoi fianchi e la sua schiena. Continuai quel lungo bacio, lasciai alla lingua La goduriosa voglia di esplorare la sua bocca, di tuffarsi nella sua linfa, di riscaldarsi con la sua eccitazione. Quando la lingua fece l'amore con la sua bocca penetrandola, un gemito mi sussurrò e così le mani scesero lungo l'orlo del suo pantalone.

I suoi sessi erano complementari alla forma delle mie mani e la mia lingua girava intorno alla sua, ogni tanto aprivo gli occhi e vedevo quell'iride oceanica che spalancata sul mio viso mi fotografava. Le tolsi dal collo lo stetoscopio, lo poggiai a terra accompagnandolo sulle mattonelle. Le mie mani cullavano i suoi glutei, di tanto in tanto sentivano i merletti, famosi, delle sue mutandine ma la maggior parte del tempo si trastullavano con la naturalezza della sua morbidità.

Le mie labbra ormai avevano salutato la bocca e lungo il suo collo si spostavano, le mani scavalcarono la cinta del pantanole, ma con progressione accarezzano il suo sedere ancora avvolto dalle mutadine.

"OH sì dottore, si premi più forte, mi stai facendo godere"
non risposi e a questo punto le sfilai il pantalone sin sotto le ginocchia. Fu lei a toglierselo completamente.
Credimi era una dimensione afrodisiaca, ho rinunciato il mio battesimo e alla mia comunione e sono un ateo e un agnostico dichiarato ma è stata una mano di dio quella visione.
La flebile luce di quei neon esterni alla nostra stanza non riusciva a non commuoversi dinanzi a quelle concavità, quegli archi farciti da quelle sgambature di quegli slip. Fu lei stessa a staccarsi da me e mostrarsi mentre camminava.

"avevo capito sin da subito che questo ti attraeva di me"
mi disse voltandomi le spalle e allontanandosi. Premeva il mio sesso lungo le pareti del pantalone, come lei coi suoi piedi scalzi premeva sul pavimento di quei locali.
Non persi tempo, mentre si allontanava da me la presi da dietro e la raggiunsi, continuai ad esplorare quella grazia paradisiaca, le sfilai la maglia e nuda fu.

Quei seni curati intorno a quella fascia, quella mutandina, sempre da dietro la mia bocca cercava continuazione con il suo collo, le mani bischilleggiavano sul suo ventre inebriandola di piacere, poi le mie mani sopra ai lati usavano a manubrio le creste iliache accompagnando il solco del sedere giusto sopra alla mia protuberanza.

La sua voce ancora bianca, il suo respiro profondo, le mie mani abbandonarono la cresta e pian piano salivano lungo i seni, li liberarono e sentirono quei capezzoli come due punesse, era profondamente eccitata, quando con i due pollici e indici cercai di toccarglieli provò un orgasmo, si girò subito verso di me e sbattè forte il suo sesso sul mio, lo fece per due tre volte in un crescere di caldi ansimi. Dopo il terzo si fermo e respiro profondamente per placare quel grande fiatone.

"OH sIii oh si bravo oh..." si susseguirono queste parole mentre il suo inguine batteva sul mio come se fosse un incudine. Placo i suoi affanni baciandomi ma poi si fermò, allora continuai io con dei piccoli bacetti lungo la sua bocca, man mano che la sua pelle nuda scivolava sulla mia le extrasistoli erano tante ed io godevo. Le presi la mutandina e gliela infilati nel solco del sedere e gliela tirai su oltre la vita. Tolse le mie mani dai manici laterali di quelle famose mutande, come al solito mi prese per il polso e mi guidò, questa volta mi fece entrare per il suo ingresso principale, non aveva nessun tipo di pelo, era completamente liscia, curata, era un velluto, un rovente velluto.

Gli umori avevano trovato strada al di sotto di quella stoffa nera che lei indossava, forse si erano addirittura diramati al di fuori, erano talmente tanti che avevano fatto una colla fra quelle due grandi labbra verticali. Mi lasciò entrare con tutta la libertà che voleva, stacco la sua mano ed io cercai il suo sesso.
Quel frontespizio liscio, mi metteva soggezione, ma non ne feci un dramma, lo oltrepassa con facilità e sentii la protuberanza di sopra completamente unta di eccitazione. Mentre le nostre bocche si saldavano liquefando qualsiasi tipo di eccitazione, l'indice e il medio festeggiavano quel contatto. Si alternavano ma con una delicatezza di tatto che più era delicato più lei godeva, a destra e a sinistra si propagavano in linea verticale le due labbra, ormai cucite da quella colla bianca e viscosa. Entrambi le seguirono, poi tornarono indietro, poi riscesero. Flavia era nel massimo del suo impeto di donna, Non sapeva come chiamarmi, perchè formalmente ero io il dottore.

Mi apri la cinta e mi dissi che non dovevo staccarmi da lei, mi abbassò il pantalone, trovò il mio eros uscito fuori dalla gamba di sotto del boxer, Con imbarazzo lo prese con la mano e per qualche secondo lo masturbò, grave la mia voce ansimò un imponente verso di piacere, le piacque e fece godere anche lei.

Io e Flavia quella sera divenimmo un solo corpo, eravamo in piedi nei locali caldaie, preferì il mio sesso estremo aggressivo, preferì sentire il rumore del contatto del mio inguine nel suo sesso, seduta con il suo sedere e le cosce divaricate ad accogliere il mio virgulto sesso dentro di lei, la mia bocca nella sua e i nostri respiri che cercavano di coprire le nostre voci gementi.
I piedi si incastrarono dietro al mio sedere forte sbatteva il mio sesso dentro di lei, amava il sesso duro, orgogliosa accettava quei movimenti chiedendomi di sbatterla sempre più forte sempre più forte.
Il mio scroto si frastagliata sul bordo dell'apertura del suo sedere, era completamente blindata.

La penetrazione sempre più intensa, quel respiro così frenetico e i nostri corpi che sembravano scandire le lancette di un pendolo accelerato "oh si dottore sbattimi" "più forte dottore più forte" incoraggiato sempre di più quella penetrazione.
La lintensitificai sempre di più quella penetrazione, sempre sempre di più sino al punto di trovare in quella fessura forse il giusto punto in cui far aggrappare il mio seme.

Il mio sesso impazzita in quella insenatura, il prepuzio pompava, si gonfiava e si sgonfiava ad intermittenza, erano le fasi che precedevano poi i miei definitivi orgasmi. Lo sentiva lei, lo avvertiva, godeva man mano che si gonfiava e si sgonfiava la mia punta. Per istinto e per impeto eiaculai.

OH..... SI, la strinsi così forte, le entrai tutto dentro e subito dopo, quando il cuore è a mille, continuai a baciarla. Le sue cosce a forbice lungo il mio Busto si intersecavano sempre di piu.

Mi squillo il telefono, quello dell'ospedale, con la mano sfilai il mio sesso dalla sua fessura, era colma del mio seme, lei rimase seduta su quel davanzale.

" Doc non so dove sei ma torna presto in istituto perchè la paziente sta andando in crisi respiratoria la stanno rianimando"
Chiuse il telefono senza nemmeno accertarsi che avevo ascoltato, mi vestì di fretta le diedi una mano,

Le dissi "ora esco io fai passare un quarto d'ora e poi esci tu"
"E' stato meraviglioso, grazie dottore"

Non le risposi nulla, uscì da quella stanza chiusi la porta e seguendo la linea dell'ombra entrai per la porta delle accettazioni, di solito a quell'ora si apriva solo dall'interno ma io sapevo come fare per aprirla dall'interno. Tornai a fare il medico, nelle scale giusto il tempo di comporre un whatsapp "amore resto in istituto stanotte" il tempo di chiamare a casa e dire che non sarei tornato. Tornai a fare il medico anche quella notte.

Dopo quel coito la mia eccitazione fu ta
 
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peppegiuit

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E come diceva una mia amica di infanzia diventata infermiera:"Vedrai che diventerò capo sala".Io che la conoscevo da quando era nata le cantavo una strofetta di una canzone degli Squallor:"Sta miniera in mezzo i cosce sfrutterò" :p :p :p Verso i 40 anni è diventata Capo Sala:p:p:p(y)(y)(y)
 
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lunapop

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Grigio il cielo era al di fuori del vetro camera delle finestre di un hotel. Il Vento spostava i panni stesi dai balconi di fronte e le luci del cupolone invano cercavano di smorzare quel grigiore così angosciante.
Era silenzio intorno a me, il letto matrimoniale, per noi era comodo e la televisione era grande, il bagno munito di quelle vasche a idromassaggio che sembravano piscine. Cercai di accelerare quello sterile tempo che non riusciva a passare, sorridevo leggendo i messaggi di foca, poi la chiamata di tua figlia " si amore sono arrivato tutto bene" ingoiò l'ennesima bugia, ci cascò senza un minimo di tentennamento, ogni tanto ci riflettevo, non avevo capito se ero troppo bravo io ad organizzare palle o era troppo rincoglionita lei.
Accesi il tablet e iniziai a studiare alcune cartelle cliniche che mi ero portato, il milanese Foca aveva risposte importanti da dare ad alcuni pazienti, bene fece a diramare a noi fidati le loro cartelle cliniche per per formare lo studio. Non riusciva a stare calmo chiamava e richiamava sull'aziendale anche a distanze ravvicinate di minuti non aveva mai realizzato che erano giorni di ferie che mi ero trasparentemente sudato e meritato.

Posai la giacca sullo schienale della sedia aprii il tablet e lo motai sulla tastiera, il mouse illuminava quel legno liscio e nel frattempo accesi un DSR, mi rilassava ascoltare quello che si dicevano i radioamatori, percepire come nei loro QSO radiantistici parlavano di "antenne" di "canne da pesca" di ulteriori marchingegni che loro facevano mi rilassava,
Nel mentre la freccetta faceva muovere velocemente immagini di Tronchi, sezioni polmonari, alveoli, reni.

Roma non era molto distante dai nostri numeri civici, dalle nostre storie, Roma quel giorno per te era diventato il posto in cui dovevi partecipare ad un convegno, una bugia a tuo marito tu una bugia a tua figlia io aspettavo che venivi.

Titubante eri nel Dare le nostre generalità a quell'albergo, titubante ero nell'andare a fotterti nell'ostello della gioventù.
Dopo un paio d ore mi alzai, alzai le braccia verso il cielo e aspettai che le mie vertebre si sgranchissero lasciando quei suoni caratteristici, poi andai in bagno, era grande aveva una vasca incredibilmente grande e bella, c'era una pulsantiera e dei getti laterali, capii che si trattava di una vasca a idromassaggio. Asciugamani ed accappatoi morbidi e per di più tutte quelle saponette profumate, " cazzo le cose messe sul sito erano vere" pensai

Con le mani aprii la fibbia della mia cinta, poi sbottonai il pantalone e uscii fuori il mio membro che avvolto nel sacco del boxer aspettava di svuotare la vescica, quando lo vidi accennai un sorriso, ma non dissi nulla.
Tirai lo scarico, poi mi accavallai al bidet e lavai per primo la sua base poi la punta, era un gesto che facevo da quando avevo 8 anni, ti dirò negli ultimi tempi, sapendo che poi l'avresti preso in bocca tu questo gesto non ero tanto propenso a farlo.

Tornai in camera rinchiusi un ciuffo di tabacco dentro a una cartina e ci misi un filtro.
Uscii fuori dal balconcino e poggiali i gomiti sulla ringhiera, poi dalla tasca destra presi l'accendino e lasciai che il fuoco si continuasse lungo quel manufatto. Di sottofondo il tablet riproponeva il gracchiare di quegli old-man wiskey-charlie-hotel parlavano usando l'alfabeto fonetico nato.

MI guardavo intorno e sentivo l'aria della capitale essere ben diversa di quella della mia città, lasciavo i miei sensi osservare cercando di non pensare mentre di rado il mio braccio assecondava i miei polmoni assicurandogli delle boccate.

Arrivasti non molto dopo, una cartella sulla mano destra, lì dove al polso ti avvolgeva un orologio legato con una catena di acciaio. Il suono dei tacchi attenuato dalla moquette e quella gonna nera che attillava i tuoi arti in maniera accentuata.
La giacca aperta ed una camicina di seta sottile ben abbottonata.
Sembravi un hostess, mentre camminavi la gonna non riusciva a trattenere le rotule e quindi si scopriva, la pelle bruna usciva fuori e riecheggiava le sue cromie oltrepassando quel nylon da signora in carriera.
Le essenze non ebbero molto indugio a evaneggiare negli angoli di quella stanza, la moquette cercò di attutire i suoni dei due tacchi che si prolungavano al di sotto degli spigoli dei piedi.

Sembrava quasi il rumore di una goccia che cade in un mare di acqua, quel suono proveniva dal rame che impregnava la tua bocca, lasciava che le due estremità si allontanassero e la lingua si intercalasse in mezzo per aspettare la mia.
Non uscì una parola, facesti giusto in tempo a posare la borsa su quel pavimento, accogliesti la mia lingua sulla tua e le mie mani con passione si aggrappavano lungo il tuo torace.

In un climax vorticoso le nostre effusioni da deplorevoli amanti si susseguivano in maniera vicendevole, la mia lingua la mia bocca si rendeva attraente alla tua tanto da provocarla, da spingerla a cercare sempre di piu.
Veraci le mie mani cercavano l'orlo inferiore di quel panno che avvolgeva le tue gambe....
"mi sei mancato tanto......"
"mi sono mancate tanto...." ti rivolgesti alle mie mani mentre abbandonavi il tuo corpo al mio.

I muri di quella stanza ci videro forse come due inopportuni, eravamo al centro, la mia bocca oltrepassò la tua e sotto al mento girò intorno al tuo collo, quel ciondolo di corallo con cura te lo slegai dal collo e sfilai la giacca.
Con quella camicetta e la gonna eri impeccabile, avevo voglia di piantare il mio seme lì dove tuo marito non è stato mai capace di arrivare.

Veicolai il tuo corpo ponendoti di spalle ad uno specchio quando arrivammo in quel punto ti sussurai nell'orecchio "non puoi immaginare quanto ho sognato di possedere il tuo culo"
Le dissi queste parole con passione mentre ti leccavo il lobo dell'orecchio con cui parlavo, non esitai, abbassai la zip laterale e la gonna terminò di aggrapparsi ai tuoi fianchi.

Quel nylon fedelmente viscido si incollata sul tuo corpo, le mie mani sopra ai glutei e i miei occhi dinanzi allo specchio
"Quanto sei tosta" ti dissi parlando allo stesso orecchio mentre la lingua pian piano lo penetrava
Mentre parlavo sentivo sotto le ie mani la tua pelle mutarsi in tante spine, non era la pelle di un oca, era la pelle tua eccitata.

Lungo il pube le mie mani lasciavano dei solchi più o meno forti, salivano e scendevano cercando di percorrere le cuciture di quel collant, poi trovarono il punto più basso in cui le due ante della camicia tenute dai bottoni si univano,
continuai a baciarti con passione, eri ormai all'apice della eccitazione, non parlavi piu, non avevi nemmeno la forza di trovare il mio membro. Mentre le mie mani del tutto ti denudavano, mentre copiosa la mia lingua scivolava nella tua bocca.

Con cura sfilai le calze dalle cosce e finalmente le vidi nude, ti rimisi le scarpe e ti osservai mentre con le mani lanciavi la camicia sul letto, eri in splendida forma,
Il merletto del tanga sottile e trasparente costeggiava il tuo bacino e sfiorava la protuberanza lasciata dall'ombellico, era viola e sulle due ali posteriori era trasparente, valorizzava gli archi che le tue antiche disegnavano sotto la gonna parzialmente coperte dalla giacca, dinanzi era tutto trasparente lasciasti intendere che forse il giorno prima con cura avevi completamente raso a zero quel prato nero che tanto ho inseminato l'ultima volta che ci siamo fusi.

"Ti ho portato un regalo" con voce soffusa le dissi,
incuriosita mi guardò negli occhi poi lasciò fare me. Dalla mia borsa presi un cofanetto avvolto con della carta regalo ed una coccarda al lato destro, incuriosita da quei colori sgargianti me la togliesti di mano e la scartasti.
Trovasti un contenitore di plastica con apertura a conchiglia, lo apriti vincendo la curiosità che in quel momento ti assaliva.

Quando vedesti il regalo ti emozionasti, non dicesti nulla, guardavi me negli occhi guardavi lui, poi con la mano destra lo prendesti da quel letto fatto in cui poggiava, il rumore del metallo che intonava sotto le tue unghie e la tua attenzione vogliosa di sentire quella massa dentro di te.

Te lo tolsi di mano, lo presi io, e accuratamente lo misi nella tua bocca, ti dissi "si bagnalo, si così bagnalo"
"obbedisci porca bagnalo" più ti comandavo più godevi, più ti chiamavo porca più ti eccitavi.
"ti piace quando ti ordino di fare le cose?"
"guarda qui sei completamente bagnata"
Ti dissi ponendo con peso la mano lì dove le cosce terminavano e si chiudevano nel tuo inguine.
Poi ti distesi a pancia in giù sul letto, vidi i tuoi piedi allungati le tue cosce così belle, per un attimo mi fermai e mi incantati nel vedere quelle forme così belle, di tanto in tanto docile il segmento di un vaso sanguigno scendeva, dall'altro lato ruvide accennavano a parlare dei segni di smagliatura.
Posai il regalo accanto al tuo corpo che ansiosamente aspettava di riceverlo e lasciai alle mie mani esplorare quel capolavoro.
Il tuo viso poggiato sul lato destro, le braccia formavano un cerchio chiuso.

"mi trovi ingrassata?"
"ah no ti trovo proprio bene , l'aria di Roma ti è servita, ma poi al convegno con i cattolici con il tanga?"

Vi di poco poco un accenno di sorriso ma non parlasti, ripresi dal letto quel piccolo regalo da una estremità e te lo Posai in bocca, "col tanga dai cattolici=bella fuori troia dentro" "leccalo troia" .
Una mano civolava imperterrita lungo il tuo corpo e l'altra faceva scivolare lungo la tua bocca quel regalo.
Era un plug anale di metallo, aveva una estremità appuntita, poi si continuava con un fuso poi terminava con una forma circolare con sopra un brillante di colore blu. Lo comprai su amazon, senza vergogna lo feci recapitare nel palazzo in cui abito, lo lasciarono alla donna che solitamente stava lì dinanzi al portone come guardiana o portiera o qualcosa del genere.

Spostai il filo del tanga che ingenuamente tentava di coprire le tue intimità e con l'altra mano ti tolsi di bocca quel coso, "lo hai succhiato abbastanza" ti dissi, poi con finto fare saccente lo infilai a colpo sicuro in mezzo alle tue cosce, lì dove la selvaggia aiula nera non ci era mai arrivata, lì dove sei sempre stata vergine.

Entrò perfettamente nei tuoi glutei, non ebbe nessun tipo di esitazione a divaricare lo sfintere, quando sentisti quel metallo chiatto dentro di te "ohhhh si" queste furono le tue espressioni, svegliò il tuo essere porca, il tuo essere dannatamente porca, come tutte le donne d'altronde.
Con la mano poi riposai il filo della tua mutandina nella sua posizione naturale, ma questa volta non riuscì a coprire tutto quello che era nascosto.
Quella circonferenza di colore blu veniva diametralmente tagliata ma era completamente tutta fuori, per i due fianchi la alzai un pò quella mutandina sino al punto di far entrare in mezzo al tuo sesso parte del tessuto che componeva il lato anteriore.

Ti mettesti su un fianco, un piede lo tirasti verso di te e inarcasti la coscia, posati poi la testa su di una mano,
"sono stata molto biricchina, vorrei tanto che mi punissi"
Le tue frasi disinibite avanzavano da quella bocca che ormai aveva perso quelle tinte religiose.

Sbottonai il mio pantalone, iniziati a mordicchiare l'asta del mio membro che gridava oltre il tessuto del mio boxer, lo volevi lo aspettavi lo desideravi come non mai, lo liberai e con vigore fece la sua figura di dominante dinanzi ai tuoi occhi, con la mano destra lo presi e con forza ti ho frustrato il viso, poi ti dissi di cacciare fuori la lingua e feci lo stesso.
Con le mani Posai di nuovo il tuo capo sul letto, mi misi a cavallo della tua faccia guardando tutto il tuo corpo,
rinchiusi il mio membro fra i tuoi seni e ti dissi di leccarmi il buco del culo.
"si così lecca" ti dissi così mentre con il bacino andavo avanti e dietro,
Ti tanto in tanto sputavo lungo il solco del tuo seno per agevolare lo scivolamento del mio attributo,
I tuoi capezzoli erano eccitatissimi, erano il manico principale da cui prendevo quelle protuberanze, di tanto in tanto le giravo come se fossero i due pomelli di una radio.
"si porca voglio che mi penetri con la lingua" dissi tutto questo mentre continuavo a premere sul tuo volto,
non so se godevi nel percepire il sapore del mio culo o godevi nell'essere trattata cosi, sentivo le tue mani aggrapparsi sulle mie cosce e il mio pisello si interrompeva nel frustare le parti più scure dei tuoi seni.

Ti alzasti poi e ti mettesti a mezzo busto, facesti fare la stessa cosa anche a me, mi lasciasti seduto su quel letto mentre tu ti alzasti definitivamente, mi guardavi fisso negli occhi e mentre mi guardavi con le mani ti sfilasti le mutandine, poi ti sedesti accanto a me, "ti piace? ho messo la mutandina da porca, sapevo che poi mi avessi chiamato cosi,"
"guarda come sono eccitata" mi indicasti il velo bagnato da quei viscosi umori che hai lasciato.
Avvicinasti quel tessuto al mio naso e me la facesti annusare, con l'altra mano cercavi il mio eros, lo trovasti.
Lo Masturbavi Con entusiasmo mentre con la mano spingevi la mutandina sul mio naso, "annusa" "ah si annusa" continuavi a masturbare il mio sesso, poi non hai più resistito e hai iniziato a succhiarlo con la bocca.

Vedevo il tuo viso adulto e serio consumarsi lungo le venature del mio sesso duro, sentivo il rumore della tua bocca vedevo la saliva scorrere e dileguarsi lungo i ricciolini che il mio pelo disegnava. accavallai le mie gambe sulle tue spalle e le chiusi, poi ti girai di spalle sul letto e feci l'amore Con la tua testa sino al punto oltrepassare la tua faringe.
le vene sul collo si gonfiavano, e il tuo sedere splendido di tanto in tanto riceveva rumorosi schiaffi che poi si continuavano con i tuoi gemiti di godimento.

Ti lasciai su letto e ti presi per le anche, a pecora eri spettacolare, il brillante sotto la luce trovava splendore e luccichio mentre il mio pene ormai scivolava nel tuo antro, di spalle e ti testa poggiata sul letto mi accogliesti, le mie mani affondavano lungo i tuoi fianchi e complementavano perfettamente lo spazio vuoto compreso tra il tuo bacino e le coste del torace.
Sbatteva forte la mia pelle sulla tua, Eros dentro ti entrava seguendo il ritmo dei tuoi gemiti che si facevano sempre più intensi, "non ti fermare si" dicevi cercando di prendere fiato, quel pezzo di ferro che albergava nel tuo sfintere contribuiva alla tua escalation di piacere, sodo il tuo fondo schiena accoglieva il mio membro mentre le mie mani lo punivano con degli schiaffi.

Mi alzai in piedi sul letto, misi uno dei piedi sul tuo viso, per qualche secondo non dissi niente, poi mi inginocchiai, con le mani alzai la tua testa e ti dissi di leccare tutti i fluidi vaginali che mi avevi lasciato. Veicolai il tuo capo sino alla base del mio pene, la lingua fuori si saldava con lo scroto, caldo, dove la mia prole all'interno ribollita vogliosa di uscire e bagnarti.

Mentre leccavi con la mano sfilai dal tuo deretano quel fuso di metallo, il buio dell'apertura sfinteriale mi colpì, tornai nel mio ruolo mi alzai quindi e tornai dietro di te.
Con la mani afferrai nuovamente il bacino e ti rimisi sulle ginocchia, riabbassai la tua testa sul letto e questa volta con le mani divaricai i tuoi glutei.
L'orofizio aperto abbagliava di un nero soave, Il sesso mio era già lì dentro e veracemente scorreva saldandosi con le restrizioni degli anelli peristaltici dell'intestino.

Un boato pronunciasti quando sentisti il mio sesso dall'altra apertura, un boato che finalmente ti proiettava per come eri veramente, di tanto in tanto lo lasciavo uscire e lubrificavo gli orli con la tua saliva, con le mani la prelevavo dalla tua bocca e poi lubrificavo anche il mio sesso, sempre servendomi della tua bocca.

Presi le mani da sopra al letto e te le misi sulle natiche, ti dissi "allargarle a più non posso" mi obbedisti e mi sussurrasti
"oh si rompimi il culo" mentre i tuoi gemiti sovrastavano i miei respiri.
Gocce di sudore si originavano dalla tua pelle, più le cosce si costringevano più emanavano quel liquido lubrificante che luccicava lasciando trasparire un alone della tua genuina eroticità.
Gli insulti che ti donavo erano sempre più intensi, non mi fermavo più ad entrare ed uscire dal tuo sfintere, le tue urla erano sconvolgenti, di tanto in tanto pensavo che non stessi scopando te.

Nell'ultimo istante non riuscii più a trattenere il coito, nell'ultimo colpo, quello finale lasciai entrare dentro di te tutta la mia virgulta essenza e lasciai che i miei testicoli si svuotassero del tutto.
Quando percepisci quel liquido caldo dentro di te mi lasciasti dentro e con la mano raggiungessti il tuo sesso, iniziassti a muoverla veloce, velocemente, poi subentrati alla tua. Intercettati il clitoride gonfio e due delle mie dita ti entrarono dentro mentre da dietro il mio membro sostituiva quel pezzo di ferro.
Immenso quello scombussolio delle mie dita, i polpastrelli premevano le tue cosce tremavano,
il mio braccio come una sequenza vibrante scorreva sul tuo ventre e la mano sbatteva lungo i legamenti che componevano l'inguine
"ah si non fermarti si...."
Gemente la tua voce mi implorava ad aumentare a dismisura la frequenza.

Oooooh un urlo vivace uscì fuori dalle corde vocali e un fiume in piena di stupore sgorgò a moderata pressione dalla parte più bassa del tuo sesso, mi bagno le dita mi bagno la mano, il mio membro ancora duro dinanzi a quella scena decise di continuare a percorrere quel corridoio stretto e dritto.....
Fosti complice per la ricerca di questo mio secondo orgasmo, avanzai il piede accanto alla tua mano, ti aggrappasti li.

"OH si..... Ti Amo"
il mio pene scoppiò nel tuo sfintere per la seconda volta.
 

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